TITULO ORIGINAL Una donna ha ucciso
AÑO 1952
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 97 min.
DIRECCION Vittorio Cottafavi
ASISTENTE DE DIRECCION Giorgio Capitani
GUION Vittorio Cottafavi, Siro Angeli, Giorgio Capitani, Sergio Agostini
REPARTO Lidia Cirillo, Lianella Carell, Pia De Doses, Frank Latimore, Vincenzo Milazzo, Diego Muni, Vera Palumbo, Marika Rowsky, Alexander Serbaroli, Umberto Spadaro, Celesta Aida Zanchi
FOTOGRAFIA Bitto Albertini
MUSICA Renzo Rossellini
PRODUCCION NOVISSIMA FILM
GENERO Drama
SINOPSIS Finita la guerra, un ufficiale dell'U.S. Army ha una relazione con la napoletana Anna. Per lui è un'avventura come tante; per lei è amore. Anna lo uccide. Processo, condanna, monito finale. Ispirata a un fatto di cronaca e a un'autobiografia della donna (L. Cirillo), graziata dopo qualche anno, che nel film compare nel prologo e nell'epilogo. La sceneggiatura è del regista con Siro Angeli e Giorgio Capitani. L'ambizione di innervare di un impianto realistico una struttura drammaturgica in chiave di melodramma popolare è riuscita soltanto in parte. Apre un quintetto di film di V. Cottafavi sulla condizione femminile nella società italiana degli anni '50.AUTORE LETTERARIO: Lidia Cirillo (Il Morandini)
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TRAMA:
Il cap. Roy Prescott, addetto all'amministrazione militare alleata, conosce a Napoli, dove risiede, una bella ragazza napoletana, Anna, alla quale fa una corte assidua. Roy è un esperto dongiovanni e la sua relazione con Anna non è per lui che un fuggevole episodio; mentre la ragazza è seriamente innamorata del capitano. Quando vien trasferito a Roma, Roy cerca di por fine alla relazione; ma Anna non sa rassegnarsi e finisce col raggiungerlo. Essa ormai fa vita comune con l'amato ufficiale; ma si vede da lui trascurata e concepisce dei sospetti, anche troppo fondati, sulla sua fedeltà. Un giorno che essa ha deciso di provocare una spiegazione, ha modo d'ascoltare una conversazione telefonica in cui Roy manifesta chiaramente il disgusto ch'ella gl'ispira. Ferita profondamente, Anna afferra la pistola del capitano e l'uccide. Arrestata e sottoposta a processo, essa viene condannata. Il racconto della triste vicenda si conclude con un accorato monito, volto a deprecare ogni vendetta, ogni violenza.
CRITICA:
"Cinema grosso, col cuore in mano, questo "Una donna ha ucciso". Ha diretto Vittorio Cottafavi, del quale ricordavamo un film non disprezabile, "I nostri sogni" (1943) (...). V'era dell'attenzione e un sorridente, bonario approfondimento del carattere dei personaggi. Qui, alle prese con il "fattaccio", tali cure sono neglette e il pressapochismo impera. Si salva nel conto finale una sola sequenza "di colore", per la sua fuggevole ma non equivoca intensità, quella serata al Club alleato (...). E' l'unico momento in cui il film abbandona la sua prosa da cronaca giudiziaria per un interessante intuizione umana (...)". (T. Ranieri, "Rassegna del Film", n. 13 dell' aprile 1953).
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UNA DONNA HA UCCISO
(Italia/1952) R.: Vittorio Cottafavi. D.: 97'. V. italiana
[Cottafavi] soltanto nel 1951, due anni dopo lo "scandalo" della Fiamma che non si spegne, trovò in una piccola casa di produzione, la Novissima Film, la possibilità di girare con pochi mezzi, tra non poche difficoltà finanziarie e tecniche, lavorando in ultimo soltanto la domenica con gli spezzoni di pellicola che via via gli erano messi a disposizione, Una donna ha ucciso, un film minore che segna tuttavia la ripresa della sua attività registica ed è il primo di una serie di opere melodrammatiche che, insieme a Traviata '53 (1953), In amore si pecca in due (1953), Nel gorgo del peccato (1954) e Una donna libera (1954), costituiscono una sorta di pentalogia sulla condizione della donna nella società contemporanea e sui problemi morali e sociali ad essa connessi. Il soggetto di Una donna ha ucciso, basato su un fatto di cronaca nera dell'immediato dopoguerra, che vide protagonista una donna italiana che uccise per amore il suo amante inglese nei mesi dell'occupazione alleata, fu rielaborato dallo stesso Cottafavi in collaborazione con Siro Angeli e Giorgio Capitani. L'idea di farne un film era del produttore, che proprio allora aveva acquistato i diritti dell'autobiografia di questa donna appena uscita dal carcere, graziata; e si proponeva di sfruttarne gli elementi melodrammatici e passionali in un momento in cui, ad esempio, il cinema di Raffaello Matarazzo stava ottenendo un successo veramente eccezionale (...).
Il risvolto realistico e "zavattiniano" dell'opera è accentuato dal fatto che questa donna appare nel prologo e nell'epilogo quasi a inquadrare la storia del suo assassinio e a darne una valutazione morale. (...) Chiuso in questi limiti moralistici e quasi pedagogici, il film si sviluppa secondo i moduli del romanzo d'appendice, con un impianto fortemente realistico e al tempo stesso chiaramente melodrammatico.
Forse fu questa struttura drammaturgica, alquanto inconsueta, a disorientare il pubblico, che riservò al film un'accoglienza fredda. (...) Ma l'importanza di Una donna ha ucciso risiede nel suo essere la prima opera di quella pentalogia sulla condizione della donna nella società contemporanea (...). Ed è la questione femminile, e più in generale i problemi della coppia, in un'ottica spiritualistica e accentuatamente moralistica in senso alquanto antitradizionale, con un taglio problematico per certi versi provocatorio, a costituire l'asse portante di un più generale discorso sui rapporti interpersonali in una società dominata dagli egoismi, dai soprusi, dalla violenza psicologica, dai condizionamenti morali e culturali. Il melodramma, il romanzo d'appendice, la storia "fumettistica", il dramma popolare - sempre controllati tuttavia, nei limiti delle reali possibilità tecnico-artistiche, da un vigile senso della forma e da una continua ricerca della giusta dimensione spettacolare da dare alle storie e ai personaggi, agli ambienti e ai fatti - furono i generi e i modelli che Cottafavi seguì e applicò, nel tentativo non soltanto di giungere a una più vasta udienza popolare (...), ma anche di sperimentare una vasta gamma di possibilità espressive, secondo la strada maestra d'un cinema inteso come arte di massa, erede diretto della grande letteratura romanzesca popolare dell'Ottocento e del melodramma italiano, da Rossini a Puccini.
(Gianni Rondolino, Vittorio Cottafavi cinema e televisione, Cappelli Editore, Bologna 1980)
http://www.cinetecadibologna.it/evp_vittorio_cottafavi/programmazione/app_984/from_2009-06-30/h_1815
Il risvolto realistico e "zavattiniano" dell'opera è accentuato dal fatto che questa donna appare nel prologo e nell'epilogo quasi a inquadrare la storia del suo assassinio e a darne una valutazione morale. (...) Chiuso in questi limiti moralistici e quasi pedagogici, il film si sviluppa secondo i moduli del romanzo d'appendice, con un impianto fortemente realistico e al tempo stesso chiaramente melodrammatico.
Forse fu questa struttura drammaturgica, alquanto inconsueta, a disorientare il pubblico, che riservò al film un'accoglienza fredda. (...) Ma l'importanza di Una donna ha ucciso risiede nel suo essere la prima opera di quella pentalogia sulla condizione della donna nella società contemporanea (...). Ed è la questione femminile, e più in generale i problemi della coppia, in un'ottica spiritualistica e accentuatamente moralistica in senso alquanto antitradizionale, con un taglio problematico per certi versi provocatorio, a costituire l'asse portante di un più generale discorso sui rapporti interpersonali in una società dominata dagli egoismi, dai soprusi, dalla violenza psicologica, dai condizionamenti morali e culturali. Il melodramma, il romanzo d'appendice, la storia "fumettistica", il dramma popolare - sempre controllati tuttavia, nei limiti delle reali possibilità tecnico-artistiche, da un vigile senso della forma e da una continua ricerca della giusta dimensione spettacolare da dare alle storie e ai personaggi, agli ambienti e ai fatti - furono i generi e i modelli che Cottafavi seguì e applicò, nel tentativo non soltanto di giungere a una più vasta udienza popolare (...), ma anche di sperimentare una vasta gamma di possibilità espressive, secondo la strada maestra d'un cinema inteso come arte di massa, erede diretto della grande letteratura romanzesca popolare dell'Ottocento e del melodramma italiano, da Rossini a Puccini.
(Gianni Rondolino, Vittorio Cottafavi cinema e televisione, Cappelli Editore, Bologna 1980)
http://www.cinetecadibologna.it/evp_vittorio_cottafavi/programmazione/app_984/from_2009-06-30/h_1815
Vittorio Cottafavi è ascrivibile a quel gruppo di registi italiani che, pur lavorando in maniera continuativa tra gli anni ’40 e ’50 (e oltre), si tennero sostanzialmente al di fuori della parabola neorealista, nonostante il suo esordio come regista sia di due anni precedente al film che di quel “movimento” è considerato il manifesto (Roma città aperta di Roberto Rossellini) e nonostante egli abbia preso attivamente parte - in qualità di assistente alla regia - alla realizzazione di uno di quei film che vengono abitualmente considerati come precursori del neorealismo (I bambini ci guardano di Vittorio De Sica). Non è un caso, infatti, se la carriera di regista cinematografico di Cottafavi inizia con una commedia (I nostri sogni,del 1943) e si conclude con una serie di pepli da La rivolta dei gladiatori a Ercole alla conquista di Atlantide, fino a quel I cento cavalieri che gli sbarrò definitivamente le porte del cinema e lo costrinse a virare verso le produzioni televisive. Insomma, il suo percorso professionale e artistico dimostra come la questione del “genere” abbia costantemente occupato nel suo cinema un posto di enorme rilievo.
Non fa eccezione, in questo senso, Una donna ha ucciso, film realizzato nel 1952. Il punto di partenza della macchina narrativa messa in piedi da Cottafavi è un fatto di cronaca nera passato alla storia come “Caso Cirillo” (da non confondersi con l’altro “Caso Cirillo” riguardante il consigliere regionale campano Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse nel 1981), dal cognome della donna protagonista di questa triste vicenda, Lidia Cirillo (nel film il suo nome è c ambiato in Anna), perdutamente innamorata di un capitano dell’esercito inglese, Roy Prescott, tanto da non sopportare i tradimenti e il successivo abbandono da parte di lui al punto da ucciderlo a colpi di rivoltella. Cottafavi prende le mosse dal fatto di cronaca, ma lo manipola e lo filtra proprio attraverso il genere, anzi, per essere più corretti, attraverso i generi. Il plurale è d’obbligo, dal momento che Una donna ha ucciso riesce a variare improvvisamente registro trasformandosi da commedia romantica alla Frank Capra - nella prima parte - in un melodramma che a tratti riesce a riecheggiare quell’ossessione/disperazione femminile presente in alcune opere di King Vidor degli anni ’30 (vedi, per esempio, Stella Dallas. Un Amore sublime), attraverso un lavoro indirizzato principalmente verso la recitazione degli attori e l’utilizzo delle musiche.
La fase iniziale del film, nella quale viene raccontato il lungo corteggiamento avviato dal giovane e affascinante capitano, affetto sin dall’inizio da un inguaribile “dongiovannismo”, si conclude nel momento del primo bacio tra Roy e Anna, sottolineato da un’improvvisa irruzione musicale di archi e percussioni che “stona” evidentemente con gli spensierati motivetti che hanno accompagnato la prima parte del film. Il momento del bacio, dunque, lungi dall’essere presentato come il coronamento del sogno d’amore dei due protagonisti, si fa da subito presagio di sventura, come dimostra chiaramente il fatto che lo stesso, drammatico motivo musicale tornerà ancora in due occasioni decisamente poco felici del film: nel momento in cui Anna riceve una lettera di addio da Roy, il quale è stato improvvisamente trasferito dalla Campania a Roma, e poi nel pre-finale, proprio mentre Anna, impugnata la pistola, apre il fuoco contro Roy, uccidendolo.
Il corpo centrale del film è incorniciato tra un prologo ed un epilogo nei quali compare la vera Lidia Cirillo nel ruolo di se stessa, come ci suggerisce un interessante (almeno per l'epoca) espediente narrativo messo in scena da Cottafavi.
Ragionare su un film come questo, invoglia davvero a tornare a riflettere, ancora una volta, sulla questione delle relazioni tra “autorialità” e “genere”. Una questione che, forse, è stata spesso mal posta dalla critica italiana e considerata prevalentemente in termini oppositivi. Questo film, realizzato in un momento della storia del cinema italiano compres(s)o tra la pesante eredità neorealista e l’approssimarsi di esordi eccellenti che avrebbero sancito la nascita di una “nuova ondata” autoriale nell’universo cinematografico di casa nostra (Lo Sceicco Bianco di Federico Fellini esce nello stesso anno), dimostra come il ricorso al genere non intacchi minimamente la dignità di un’opera, e quanto si possa facilmente cadere in errore - da un punto di vista storico-critico - quando si lasciano interagire, senza alcuna mediazione, preconcetti ideologici e giudizi di valore.
http://www.sentieriselvaggi.it/16/42555/DVD_-_Una_donna_ha_ucciso,_di_Vittorio_Cottafavi.htm
Non fa eccezione, in questo senso, Una donna ha ucciso, film realizzato nel 1952. Il punto di partenza della macchina narrativa messa in piedi da Cottafavi è un fatto di cronaca nera passato alla storia come “Caso Cirillo” (da non confondersi con l’altro “Caso Cirillo” riguardante il consigliere regionale campano Ciro Cirillo, rapito dalle Brigate Rosse nel 1981), dal cognome della donna protagonista di questa triste vicenda, Lidia Cirillo (nel film il suo nome è c ambiato in Anna), perdutamente innamorata di un capitano dell’esercito inglese, Roy Prescott, tanto da non sopportare i tradimenti e il successivo abbandono da parte di lui al punto da ucciderlo a colpi di rivoltella. Cottafavi prende le mosse dal fatto di cronaca, ma lo manipola e lo filtra proprio attraverso il genere, anzi, per essere più corretti, attraverso i generi. Il plurale è d’obbligo, dal momento che Una donna ha ucciso riesce a variare improvvisamente registro trasformandosi da commedia romantica alla Frank Capra - nella prima parte - in un melodramma che a tratti riesce a riecheggiare quell’ossessione/disperazione femminile presente in alcune opere di King Vidor degli anni ’30 (vedi, per esempio, Stella Dallas. Un Amore sublime), attraverso un lavoro indirizzato principalmente verso la recitazione degli attori e l’utilizzo delle musiche.
La fase iniziale del film, nella quale viene raccontato il lungo corteggiamento avviato dal giovane e affascinante capitano, affetto sin dall’inizio da un inguaribile “dongiovannismo”, si conclude nel momento del primo bacio tra Roy e Anna, sottolineato da un’improvvisa irruzione musicale di archi e percussioni che “stona” evidentemente con gli spensierati motivetti che hanno accompagnato la prima parte del film. Il momento del bacio, dunque, lungi dall’essere presentato come il coronamento del sogno d’amore dei due protagonisti, si fa da subito presagio di sventura, come dimostra chiaramente il fatto che lo stesso, drammatico motivo musicale tornerà ancora in due occasioni decisamente poco felici del film: nel momento in cui Anna riceve una lettera di addio da Roy, il quale è stato improvvisamente trasferito dalla Campania a Roma, e poi nel pre-finale, proprio mentre Anna, impugnata la pistola, apre il fuoco contro Roy, uccidendolo.
Il corpo centrale del film è incorniciato tra un prologo ed un epilogo nei quali compare la vera Lidia Cirillo nel ruolo di se stessa, come ci suggerisce un interessante (almeno per l'epoca) espediente narrativo messo in scena da Cottafavi.
Ragionare su un film come questo, invoglia davvero a tornare a riflettere, ancora una volta, sulla questione delle relazioni tra “autorialità” e “genere”. Una questione che, forse, è stata spesso mal posta dalla critica italiana e considerata prevalentemente in termini oppositivi. Questo film, realizzato in un momento della storia del cinema italiano compres(s)o tra la pesante eredità neorealista e l’approssimarsi di esordi eccellenti che avrebbero sancito la nascita di una “nuova ondata” autoriale nell’universo cinematografico di casa nostra (Lo Sceicco Bianco di Federico Fellini esce nello stesso anno), dimostra come il ricorso al genere non intacchi minimamente la dignità di un’opera, e quanto si possa facilmente cadere in errore - da un punto di vista storico-critico - quando si lasciano interagire, senza alcuna mediazione, preconcetti ideologici e giudizi di valore.
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