TÍTULO La pecora nera
AÑO 2010
SUBTITULOS No
DURACIÓN 93 min.
DIRECTOR Ascanio Celestini
GUIÓN Ascanio Celestini, Ugo Chiti, Wilma Labate (Historia: Ascanio Celestini)
FOTOGRAFÍA Daniele Cipri
REPARTO Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Barbara Valmorin
PRODUCTORA Madeleine / Passione
GÉNERO Comedia. Drama
SINOPSIS «El manicomio es un condominio de santos. Son santos los pobres locos burros bajo las sábanas chinas, mortajas de fabricación industrial, santa es la monja que se ilumina como un ex-voto a lado de la pequeña luz en su mesilla de noche. Y el doctor es el más santo de todos, es el jefe de todos los santos, es Jesús». Así Nicola nos cuenta sus 35 anos de “manicomio eléctrico” y en su confusa cabeza chocan realidad y fantasía produciendo imprevisibles iluminaciones. Nicola nació en los años sesenta, “los fabulosos años sesenta”, y el mundo que ve en el instituto no es tan diferente del que está allí fuera – un mundo siempre más voraz, donde la única cosa que parece no poderse consumir es el miedo. (FILMAFFINITY)
Enlaces de descarga(Cortados con HJ Split)
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http://www.mediafire.com/?07qh0k2lf25d540
http://www.mediafire.com/?6fzoet0n20ojxou
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«Il manicomio è un condominio di santi. So’ santi i poveri matti asini sotto le lenzuola cinesi, sudari di fabbricazione industriale, santa la suora che accanto alla lucetta sul comodino suo si illumina come un ex-voto. E il dottore è il più santo di tutti, è il capo dei santi, è Gesucristo». Così ci racconta Nicola i suoi 35 anni di «manicomio elettrico», e nella sua testa scompaginata realtà e fantasia si scontrano producendo imprevedibili illuminazioni. Nicola è nato negli anni Sessanta, «i favolosi anni Sessanta», e il mondo che lui vede dentro l’istituto non è poi così diverso da quello che sta correndo là fuori – un mondo sempre più vorace, dove l’unica cosa che sembra non potersi consumare è la paura.
«Non si sa se ridere o piangere, ma non importa niente. In questa compresenza assoluta di comico e di tragico si ritrova incarnata la grande modalità tragica moderna».
Edoardo Sanguineti
http://www.ascaniocelestini.it/la-pecora-nera-ascanio-celestini-2010/
Edoardo Sanguineti
http://www.ascaniocelestini.it/la-pecora-nera-ascanio-celestini-2010/
Orfano di madre (morta in manicomio), affidato ad una nonna contadina e ignorante, debole a scuola e con un padre assente, Nicola viene rinchiuso, ragazzino, al Santa Maria della Pietà di Roma. Vent’anni di “terapia” più tardi, ripercorre le tappe dell’infanzia che lo portarono all’internamento, dividendo le proprie giornate tra il supermercato e l’istituto, con la compagnia costante del suo migliore amico.
Unico esordiente italiano in concorso a Venezia 2010, Ascanio Celestini scrive (con Ugo Chiti e Wilma Labate), dirige e interpreta l’adattamento cinematografico del proprio romanzo (e spettacolo teatrale) La Pecora Nera, delicatissimo sguardo sulla realtà manicomiale italiana pre-Basaglia.
Ambientata tra le mura del padiglione 18 (quello dei malati criminali), ristrutturato per l’occasione, la pellicola di Celestini cerca di liberarsi dei vizi più smaccatamente “teatrali” della pièce, conservandone però alcune caratteristiche peculiari. La voce-off monocorde del protagonista ritorna con insistenza ossessiva sugli eventi significativi del proprio passato, sovrapponendosi a quella dei personaggi rievocati in flash-back o raccontando aneddoti in un inarrestabile flusso di parole. Il pigolio di una gallina o la canzone ascoltata in riva al mare (“Io che t’ho fatto ti disfo, come t’ho fatto ti disfo”) si trasformano in leit motiv e le individualità ricordate si fondono fino a diventare sfaccettature diverse di una stessa mente schizofrenica.
Nella semplicità quasi minimale della sua messa in scena, Celestini sceglie di non mostrare la violenza elettrica del manicomio, lasciandola fuori campo, compresa nel racconto di un Nicola adulto che ancora si esprime come il Nicola bambino, una giovinezza imprigionata dentro cento cancelli. Eppure la violenza c’è, se un uomo sceglie di togliersi la vita spaccandosi il cranio contro un calorifero e un bambino muore per sbaglio sotto lo sguardo volontariamente impotente di due compagni di gioco.
I matti fanno ridere finchè non diventano pericolosi sembra insegnare l’ottimo Giorgio Tirabassi, impegnato a contare le puzze della vecchia suora con i soldi, ossessionato dalle “donne che leccano gli òmini nudi”, dall’opulenza alimentare del supermercato, dai cinesi che clonano tutto (tranne la pecora del titolo). Ognuno ha le proprie fissazioni: Nicola, più pacato, si accontenta dell’ordine che fa ritrovare ogni cosa e di Marinella (Maya Sansa), l’amore “di un attimo”, che si permette di offrirgli il caffè al banco promozioni. Ma il confine tra follia e sanità non è netto come sembra quando la mente smette di percorrere i binari della “normalità”.
In quel “condominio di santi” che è l’istituto non si guarisce, si ingoiano pillole e non ci si interroga sul perchè. Un ragazzino nato negli anni sessanta (“i favolosi anni sessanta”), appassionato di marziani e cremini (non si accontenta di uno, ne vorrebbe cento), taciturno nel suo costume da coniglio che “puzza di manicomio”, non può avere immaginazione: si “inventa le cose”, non può andare male a scuola: ha qualcosa che non va nella testa. Solo una prostituta in tenuta marziana potrebbe capirlo veramente ma la notte la inghiotte e non se ne saprà più nulla.
Celestini muove la sua critica senza urlare, con un rispetto ed una pacatezza di toni che non hanno niente in comune con l’eclatante esibizionismo cui la pazzia è spesso ridotta sul grande schermo. La comicità del folle si trasforma in umorismo pirandelliano e ad un certo punto non si ride più. L’insensatezza di una reclusione frutto di povertà e ignoranza appare tanto evidente quanto più ci si addentra nella condizione di Nicola: una mente bambina, illuminata da flash di lucidità adulta che non sanno essere definitivi. Un ergastolo cerebrale che non si riesce a rimettere in ordine.
Adriano Pallotta, ex infermiere del Santa Maria, e Alberto Paolini (per lui un cameo nel finale), ex paziente che nel manicomio ha trovato per quarant’anni la propria casa, offrono i propri racconti di vita all’opera teatrale e cinematografica di Celestini, riempiendola di un senso che va oltre quello finzionale e sfocia in un realismo carico di sensibilità.
Fulvia Massimi
http://www.storiadeifilm.it/La_Pecora_Nera.p0-r769
Ambientata tra le mura del padiglione 18 (quello dei malati criminali), ristrutturato per l’occasione, la pellicola di Celestini cerca di liberarsi dei vizi più smaccatamente “teatrali” della pièce, conservandone però alcune caratteristiche peculiari. La voce-off monocorde del protagonista ritorna con insistenza ossessiva sugli eventi significativi del proprio passato, sovrapponendosi a quella dei personaggi rievocati in flash-back o raccontando aneddoti in un inarrestabile flusso di parole. Il pigolio di una gallina o la canzone ascoltata in riva al mare (“Io che t’ho fatto ti disfo, come t’ho fatto ti disfo”) si trasformano in leit motiv e le individualità ricordate si fondono fino a diventare sfaccettature diverse di una stessa mente schizofrenica.
Nella semplicità quasi minimale della sua messa in scena, Celestini sceglie di non mostrare la violenza elettrica del manicomio, lasciandola fuori campo, compresa nel racconto di un Nicola adulto che ancora si esprime come il Nicola bambino, una giovinezza imprigionata dentro cento cancelli. Eppure la violenza c’è, se un uomo sceglie di togliersi la vita spaccandosi il cranio contro un calorifero e un bambino muore per sbaglio sotto lo sguardo volontariamente impotente di due compagni di gioco.
I matti fanno ridere finchè non diventano pericolosi sembra insegnare l’ottimo Giorgio Tirabassi, impegnato a contare le puzze della vecchia suora con i soldi, ossessionato dalle “donne che leccano gli òmini nudi”, dall’opulenza alimentare del supermercato, dai cinesi che clonano tutto (tranne la pecora del titolo). Ognuno ha le proprie fissazioni: Nicola, più pacato, si accontenta dell’ordine che fa ritrovare ogni cosa e di Marinella (Maya Sansa), l’amore “di un attimo”, che si permette di offrirgli il caffè al banco promozioni. Ma il confine tra follia e sanità non è netto come sembra quando la mente smette di percorrere i binari della “normalità”.
In quel “condominio di santi” che è l’istituto non si guarisce, si ingoiano pillole e non ci si interroga sul perchè. Un ragazzino nato negli anni sessanta (“i favolosi anni sessanta”), appassionato di marziani e cremini (non si accontenta di uno, ne vorrebbe cento), taciturno nel suo costume da coniglio che “puzza di manicomio”, non può avere immaginazione: si “inventa le cose”, non può andare male a scuola: ha qualcosa che non va nella testa. Solo una prostituta in tenuta marziana potrebbe capirlo veramente ma la notte la inghiotte e non se ne saprà più nulla.
Celestini muove la sua critica senza urlare, con un rispetto ed una pacatezza di toni che non hanno niente in comune con l’eclatante esibizionismo cui la pazzia è spesso ridotta sul grande schermo. La comicità del folle si trasforma in umorismo pirandelliano e ad un certo punto non si ride più. L’insensatezza di una reclusione frutto di povertà e ignoranza appare tanto evidente quanto più ci si addentra nella condizione di Nicola: una mente bambina, illuminata da flash di lucidità adulta che non sanno essere definitivi. Un ergastolo cerebrale che non si riesce a rimettere in ordine.
Adriano Pallotta, ex infermiere del Santa Maria, e Alberto Paolini (per lui un cameo nel finale), ex paziente che nel manicomio ha trovato per quarant’anni la propria casa, offrono i propri racconti di vita all’opera teatrale e cinematografica di Celestini, riempiendola di un senso che va oltre quello finzionale e sfocia in un realismo carico di sensibilità.
Fulvia Massimi
http://www.storiadeifilm.it/La_Pecora_Nera.p0-r769
oye y los subtitulos donde los podría encontrar
ResponderEliminarYo no los encontré.
EliminarSi aparecen y alguien avisa... bienvenidos.
Subtitulos por favor! no importa en que idioma estén. :/ yo no encuentro nada.
ResponderEliminarNemmeno io
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