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miércoles, 13 de julio de 2011

Hotel Meina - Carlo Lizzani (2007)


TITULO Hotel Meina
AÑO 2007
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano (Incorporados)
DURACION 110 min
DIRECCION Carlo Lizzani
GUION Pasquale Squitieri, Dino Gentili, Filippo Gentili, Carlo Lizzani (Colaboración)
MUSICA Luis Enrìquez Bacalov
MONTAJE Massimo Quaglia
FOTOGRAFIA Claudio Sabatini
GENERO Drama / Histórico
INTERPRETES Y PERSONAJESIvana Lotito (Becky Behar)
Benjamin Sadler (Hans Krassler)
Ursula Buschhorn (Cora Bern)
Ralph Palka (Otto Spitz)
Silvia Cohen (Liliana Fendez)
Federico Pacifici (Alberto Moneri)
Danilo Nigrelli (Giorgio Benar)
Marta Bifano (Camy Benar)
Federico Costantini (Julien Fendez)
Buse Butz (Tepper)
Ernesto Mahieux (Filippetti)
Majlinda Agaj (Irma Moneri)
Eugenio Allegri (Vittorio Pomas)
Diana Collepiccolo (Ester Moneri)
Elia Donghi (Robert Fendez)
Simone Colombari (Pierre Fendez)
Giancarlo Judica Cordiglia (Mario Manulli)
Massimiliano Di Grazia (Nipote Someco)

SINOPSIS Il film è basato su fatti realmente accaduti, raccontati nell’omonimo libro di Marco Nozza. Lago Maggiore, settembre 1943. Un gruppo di 16 ebrei italiani, provenienti dalla Grecia, sono ospiti dell’Hotel Meina di proprietà di Giorgio Benar, ebreo anche lui ma con passaporto turco e quindi cittadino di un paese neutrale. In seguito all’8 settembre, giorno dell’armistizio fra l’Italia e gli Alleati, un reparto di SS capitanato dal comandante Krassler giunge a Meina. Due giovani, Noa Benar e Julien Fendez, sono strappati al loro amore dal brutale irrompere del drappello nazista. All’inizio non è chiaro quali siano gli ordini. Gli ebrei vengono reclusi nell’Hotel e inizia una settimana di attesa, terrore e speranza. È una strana convivenza tra ebrei, ospiti dell’albergo non ebrei e SS. Si discute sulle possibilità di fuga, mentre gli stessi tedeschi attedono ordini... (continua). Forse anche per loro si sta avvicinando la fine della guerra. Ma poi inizia l’escalation verso la strage. Le SS prelevano gli ebrei a piccoli gruppi e li traducono fuori dall’albergo per interrogarli – dicono – al Comando della vicina città di Baveno. In realtà li massacrano e poi li gettano nel lago. E risulta vano anche il tentativo di salvarli fatto da Cora, una tedesca antinazista collegata ad una Rete che opera tra Svizzera e Italia. Gli ultimi a finire falciati dalle pallottole naziste sono proprio Julien Fendez, i suoi due fratellini e il nonno. Noa riesce a fuggire col padre, la madre e il fratellino verso la Svizzera, dopo che è perduta ogni possibilità di salvarli.

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Una sineddoche dell'olocausto
by Cristina Belloni

Il regista di "Achtung! Banditi!", "La vita agra" e "Mussolini ultimo atto" continua il suo viaggio nella storia. "Hotel Meina", tratto dall’omonimo saggio requisitorio di Marco Nozza, racconta del primo eccidio di ebrei consumato in territorio italiano, mescolando la cronaca degli eventi al romanzesco. Un film corale, una pellicola viscontiana e neorealista insieme, uno stile narrativo classico che sublima l’attualità dei conflitti insanati e laceranti per parlare di nazismo, riuscendo ancora a suscitare indignazione.

 È l’8 settembre 1943. Dai microfoni dell’EIAR il generale Pietro Badoglio, capo del governo italiano dopo la destituzione di Benito Mussolini, annuncia alla nazione l’armistizio con le potenze anglo-americane, ponendo così fine all’alleanza con la Germania. Il re e i membri del governo fuggono a Brindisi sotto la protezione degli alleati, sbarcati nel sud della penisola. Intanto, le armate tedesche della Wehrmacht e delle SS danno il via all’Operazione Achse sotto la guida del generale Erwin Rommel, occupando tutti i centri nevralgici dell'Italia settentrionale e centrale fino a Roma, con l’obiettivo di annientare definitivamente i reparti militari italiani che, incapaci di organizzare una valida resistenza, sciolgono le fila per far ritorno “tutti a casa”, come racconta Comencini nell’omonimo film. Nel caos che regna sovrano, l’esercito tedesco opta per una “soluzione finale” anche in Italia, mentre l’intera impalcatura politico-istituzionale si sgretola e la resistenza popolare appare come l’unica via d’uscita praticabile.
Tutto questo trova posto solo de relato nel film di Carlo Lizzani. Al Meina, un grazioso hotel turistico sulle rive del Lago Maggiore, la guerra sembra consumarsi altrove, distante, quasi come in una piecè di Cechov, dove il dramma si compie sempre lontano dalla ribalta ed è portato in scena da un resoconto a voce bassa. Al Meina la guerra arriva perché ne parlano i giornali e la radio. Al Meina la guerra esiste perché dei suoi orrori riferisce il gruppo di ebrei sfollati dalla Grecia. Nessuna immagine di bombardamenti, nessuna incursione aerea, nessun campo di concentramento. Solo un albergo in cui “ebrei” ed “ariani italiani” condividono gli stessi spazi. Un albergo in cui gli uni e gli altri accolgono con lo stesso entusiasmo l’annuncio radiofonico dell’armistizio.
La rievocazione dell’eccidio è affidata alle memorie della giovane Noa (Ivana Lotito), figlia del proprietario dell’hotel, Giorgio Behar (Danilo Nigrelli), un ebreo con passaporto turco, considerato perciò cittadino di un paese neutrale. In un lungo flashback, Noa ritorna al settembre del 1943 per rivivere il tragico epilogo di quei giorni e del suo amore adolescenziale per il giovane Julien Fendez (Federico Costantini). L’idillio dell’ordinaria quotidianità che si vive al Meina nonostante la guerra è interrotto dalla brutale irruzione nell’albergo di un plotone di SS capitanato dal comandante Krassler (Benjamin Sadler), che deterrà coattivamente in un’ala dell’hotel il gruppo di ebrei greci fino a quando gli ordini da Berlino imporranno la loro morte, inderogabilmente.
L’hotel Meina assume i connotati di un piccolo microcosmo in cui si riproduce e si consuma, quasi in forma simbolica, una porzione della “guerra mondiale”. L’orrore del Meina, che si percepisce tanto nella tortura psicologica quanto nell’eliminazione fisica del gruppo di ebrei, diventa una sineddoche dell’intero Olocausto. Ma con un tratto singolare. Nell’hotel Meina ebrei e tedeschi condividono gli stessi spazi, in una dimensione quasi claustrofobica. Il loro rapporto non è mediato da quella che Weber definirebbe una struttura “organizzata” e “burocratizzata”, come lo erano i lager e i campi di lavoro. Non esiste quella “spersonalizzazione” che Elisa Springer, nel suo libro-testimonianza Il silenzio dei vivi, imputa al numero di matricola tatuato sull’avambraccio all’ingresso di Auschwitz (“da quel momento smettevamo di essere persone per diventare numeri”). Il rapporto vittima-carnefice rimane diretto, vis-à-vis. Tra vittime e carnefici si crea ed esiste una condivisione che va oltre lo spazio fisico per diventare, talvolta, interazione – come accade tra soldato e condannato nella Colonia penale kafkiana – fino al presagio di una speranza di salvezza. E proprio per questo l’epilogo finale appare ancora più imprevedibile, efferato e ingiustificabile. Resta nudo, allora, impossibile da celare o dissimulare, quell’orgasmo di esaltazione che raggiunge il militare tedesco durante l’eliminazione fisica dell’altro, percepito come nemico perché diverso. Questo delirio finale non si può nascondere, e infatti Lizzani lo mostra in tutta la sua irrazionalità.



Al progetto del Mein Kampf, incarnato in tutta la sua irrazionale apoteosi dal generale Krassler, si contrappone, seguendo lo schema della narrazione classica “bene vs male”, la figura enigmatica di Erika Bern (Ursula Bushhorn), una donna tedesca che tenta invano di mettere in salvo gli ebrei del Meina. Erika rappresenta l’esistenza di una Germania dissidente al nazismo e funge da espediente narrativo per dar conto del ruolo diplomatico della Svizzera e della posizione della borghesia italiana post-fascista di fronte all’occupazione nazista. È lei che simboleggia la Germania di Kant, di Goethe, di Schiller, di Thomas Mann. La sua presenza richiama quel progetto, ancora embrionale negli anni ’40, di una nuova Europa “libera” e “unita”, come la descrive Altiero Spinelli nel suo Manifesto di Ventotene, espressamente rievocato nel film.
Le accuse rivolte da Erika al gerarca fascista sembrano staccarsi dallo schermo, uscire fuori dalla narrazione dei fatti, per diventare una denuncia senza tempo della criminalità e dell’idiozia della violenza nazista, assurgendo a monito per le formazioni di estrema destra ancora oggi attive in Germania (come ha dichiarato lo stesso Lizzani). Per di più, l’atto di accusa di Erika sembra scagliarsi contro l’impunità di cui hanno goduto i responsabili del massacro del Meina, grazie alla sentenza pronunciata da un tribunale di Berlino nel 1970 con cui si dichiararono prescritti quei reati. Le aporie della giustizia umana fanno da contraltare alla umana sete di giustizia; quella stessa sete che, nonostante l’acqua sia tutta intorno, prova ancora Noa nell’ultima emblematica sequenza del film: quando ormai la guerra è finita, la giovane donna ebrea si immerge nel lago e vede i corpi dei suoi amici che i nazisti hanno gettato sul fondo dopo il massacro. La sua macabra danza di giustizia tra i cadaveri appare come ulteriore prova dell’eccidio, quasi ad urlare allo spettatore: “Eccoli! Li vedete? Questi sono i morti dell'hotel Meina. Sono morti davvero!”.
Carlo Lizzani, con un film che ha riscosso il plauso della Biennale di Venezia, va oltre le posizioni revisioniste che vorrebbero rinegoziare le responsabilità e la portata storica dell’Olocausto, per continuare a raccontare, in forma simbolica, gli orrori della guerra. Nel tentativo di dare seguito a quell’ideale “processo alla Storia” che tante (troppe) volte si è tentato invano di avviare, spesso con esiti discutibili (come fu per il tribunale di Norimberga). Nel tentativo di rendere onore al vero attraverso l’espediente artistico, inteso, alla maniera di Heidegger, come momento dell’aletheia.
http://www.jgcinema.com/single.php?sl=hotel-meina-recensione

3 comentarios:

  1. Hola Amarcord,
    ¿Podrías reponer los enlaces de esta peli?

    Saludos,
    A.

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  2. ¡Muchas gracias!

    Gracias a tu blog estoy aprendiendo de realizadores sorprendentes. Lizzani es uno de ellos y ya he podido admirar dos de sus obras, Hotel Meina e Il Processo di Verona, ambas extraordinarias.

    Seguiré con mis pedidos, si no es mucha molestia.
    A.

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