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martes, 7 de junio de 2011

Il vento fa il suo giro - Giorgio Diritti (2005)


TITULO Il vento fa il suo giro
AÑO 2005
IDIOMA Italiano, Occitano, Francés
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 110 min
DIRECCION Giorgio Diritti
GUION Giorgio Diritti, Fredo Valla
PRODUCCION Simone Bachini, Mario Chemello, Giorgio Diritti
PRODUCTORAS ARANCIAFILM, Imago Orbis Audiovisivi
FOTOGRAFIA Roberto Cimatti
MONTAJE Edu Crespo, Giorgio Diritti
MUSICA  Marco Biscarini, Daniele Furlati
GENERO Drama
REPARTO Thierry Toscan, Alessandra Agosti,Dario Anghilante, Giovanni Foresti
PREMIOS
London Film festival
Annecy cinéma italien: Gran Prix, Premio CICAE
Bergamo Film Meeting 2006: Rosa Camuna d'oro al miglior film
Lisbon Village Film Festival: Miglior Film
1ª Festa del Cinema di Roma: Premio SIAE
Gallio Film Festival: Miglior Film, Miglior Attore, Premio Speciale
Napoli Film Festival: Miglior Film

SINOPSIS A Chersogno, piccolo villaggio delle Alpi Occitane, si trasferisce un pastore francese con la moglie, due figlie e le sue capre. Gli abitanti del villaggio, dopo una generosa accoglienza cominciano a sentire scomoda la presenza del nuovo arrivato. Gelosia e incomprensione prendono il sopravvento e la convivenza diventa sempre più difficile.


Capita ogni tanto che tra la propria vita e quella della società circostante si formi come un compartimento stagno. Succede per esempio nei periodi di lavoro intenso, quando uno si sogna i problemi anche di notte, o quando si soggiorna all’estero per un tempo significativo (i fatti e misfatti della madrepatria arrivano attutiti) o quando la propria attenzione è dedicata ad un evento o situazione così importante da annullare tutto il resto. In questi casi si perde la cognizione di quello che succede nel mondo e quando si ritorna “consci” si scoprono novità buone e cattive.
Eppure, per evitare queste involontarie “perdite di contatto” basterebbe mantenere l’abitudine di frequentare con continuità le sale cinematografiche. La quantità e qualità di nuovi film disponibili ogni anno e una conseguente scelta mirata tra impegno e intrattenimento ci fa capire, meglio, a mio parere, di quello che si riesce ad ottenere dagli altri media, “dove siamo”.
Il cinema, insomma, traccia la storia. Basterebbe una ventina di film, secondo me, per spiegare l’evoluzione (o l’involuzione, a seconda della sfaccettatura considerata) della società italiana nel dopoguerra; un giorno mi divertirò a compilare questa lista.
Ad esempio, se uno volesse esaminare il più rilevante fenomeno sociale degli ultimi 15 – 20 anni, l’immigrazione, e capire gli effetti che ha provocato in Italia (paura del diverso, ansia di sicurezza, ostilità, con punte di razzismo, verso gli “stranieri”) avrebbe ampio materiale di studio. Per citare solo alcuni titoli recenti, La sconosciuta di Tornatore o La giusta distanza di Mazzacurati.
Ma uno mi ha colpito per una particolare coincidenza: benchè uscito nel 2005 l’ho visto al solito cineforum una settimana prima delle ultime elezioni politiche. Dopo aver visto il film il risultato elettorale più eclatante (il successo della Lega Nord) non mi ha sorpreso più di tanto.
Ma andiamo con ordine.
Il film in questione è Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti (che, confesso, non avevo mai sentito nominare). Al di là del tema e del messaggio di fondo, che vedremo, contiene molti lineamenti interessanti. E’ stato girato in Val Maira, una delle valli occitane del Piemonte, in un paese che ha mantenuto la sua antica struttura, benchè degradata per il tempo e per il parziale abbandono; gli attori sono non professionisti (peraltro molto bravi nelle parti dei perfidi e degli invidiosi), eccetto il protagonista e la moglie; i dialoghi tra paesani sono nel dialetto originale, derivato dalla lingua d’Oc (a questo proposito si assiste ad interessanti dialoghi tra il protagonista e l’intellettuale-artista del paese sulla civiltà d’Oc esistente nella Francia meridionale, ma anche nelle valli con essa confinanti del Piemonte, intorno all’anno 1000, e praticamente distrutta nella crociata contro gli Albigesi, eretici catari della Linguadoca. Probabilmente è un riferimento a quanto accadrà nella vicenda raccontata.)
Veniamo ora al film.
Philippe è un ex professore che ha fatto la scelta di vivere secondo natura. E’ diventato un pastore di capre in Francia e, grazie al suo entusiasmo e all’aiuto della famiglia, moglie e tre figli, ricava dalla nuova attività di che vivere decorosamente.
Purtroppo il suo paese viene individuato come sede per una centrale nucleare e allora decide di trasferirsi con tutta la sua famiglia in un paesino di poche anime, sulle montagne piemontesi.
Il paese, pieno di pascoli abbandonati e di testimonianze di antiche pastorizie, gli sembra adatto per esercitare la sua attività. È un paese praticamente spopolato dall'emigrazione verso i centri maggiori e le città, che vive quasi soltanto di seconde case e vacanze estive. Ma i pochi residenti stanziali e quelli pendolari, a partire dal sindaco, proteggono le tradizioni, preservano e custodiscono la specificità come un gioiello.
Philippe dunque si presenta al bar del paese dichiarando agli attoniti avventori di essere interessato all’acquisto di una casa con tutto il necessario per il suo lavoro (stalla per le capre, locale per la preparazione e la stagionatura del formaggio etc).
Da questo momento inizia un percorso di reciproco studio, di confronto-scontro, risolto in una maniera davvero notevole. Con una ricchezza di sfumature e sottigliezze davvero preziosa. Il primo stadio è quello della sorpresa venata di diffidenza. Per i pochi paesani rimasti, usi ormai ad una “tranquilla” rassegnazione e decadenza, la novità rischia di compromettere questo precario equilibrio. Il secondo è quello dell'accoglienza e della collaborazione: tutto il paese si dà da fare per aiutare i nuovi venuti a trovare una sistemazione, a inserirsi. E’ il momento in cui gli abitanti del paese si scuotono dal loro torpore e intravvedono l’opportunità di una nuova vita. Il terzo stadio è quello del crescere sordo e poi dell'esplodere violento di tutte le pulsioni negative: le gelosie, l’ostilità fino alla xenofobia. Sembra quasi che i paesani non accettino il successo di una forma di vita e di economia che avevano abbandonato. Alla fine, inevitabile, l'espulsione dell'intruso, contrassegnata da uccisione di animali, un suicidio in un’atmosfera di abbrutimento generale. Emblematica la frase finale del film, pronunciata dal sindaco del paese, uno dei pochi buoni del film: ”Come ci siamo ridotti!”
Altri (pochi), come Philippe e la moglie, hanno abbandonato fabbrica od ufficio e vita urbana per tornare all’agricoltura o alla pastorizia (ne ho conosciuto qualcuno, che non sopportava l’aria degli stabilimenti petrolchimici), cercando di raggiungere un nuovo equilibrio con le cose del mondo. Certo, se l’ambiente umano non li aiuta è una scommessa persa in partenza.
Che dire? Nel cuore dell’uomo alberga naturalmente la “cattiveria”? Solo nelle grandi calamità (guerre, carestie, povertà) si esprimono buoni sentimenti?
Non entro in particolari dettagli sul film per rispetto verso coloro che non l’hanno ancora visto e che possono ancora farlo (lo consiglio vivamente). E’ un tipico “caso di studio” cinematografico: il film esce nel 2005 ma non trova distributore; esce in poche sale perché il produttore lo vende porta a porta (quasi), dal 2007. A questo punto si sviluppa il passaparola e così la programmazione si estende, non solo limitata ai cineforum. E così diventa appunto un caso: se ne discute, attraverso i media e i vari festival del cinema, non solo tra gli addetti ai lavori, i quali peraltro sono prodighi di riconoscimenti. Sarà che la lingua batte dove il dente duole?
http://abbracciepopcorn.blogspot.com/2008/09/il-vento-fa-il-suo-giro-2.html



"Il vento fa il suo giro",
film "povero" premiato dal passa parola del pubblico Budget di 480 mila euro, attori non professionisti, dialoghi in tre lingue e un tema di grande attualità, il difficile inserimento di uno straniero
di Laura Salvai

Girato in una sperduta valle del Piemonte, con un budget talmente limitato che gli attori stessi e la troupe hanno contribuito a finanziarlo, Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti, uscito a maggio in sole quattro copie e costato appena 480 mila euro, è stato da subito ignorato dalla grande distribuzione, per i soliti motivi: un regista poco conosciuto, un cast di attori non professionisti e in gran parte sopra i sessant'anni, dialoghi in tre lingue (occitano, francese e italiano), sottotitoli, una location rustica tra greggi di capre e borgate di montagna in abbandono. C'era da aspettarsi un flop, invece Il vento si è rivelato un fenomeno del cinema d'autore. Tre mesi dopo l'uscita nelle sale ha avuto 38.000 spettatori (come se fosse andato a vederlo l'intera città di Spoleto) e una permanenza record nelle sale: 140 giorni di proiezione a Torino, 100 a Milano, 100 a Roma. E Il vento continua il suo "giro" in sei città italiane, sorretto dal tam tam degli spettatori e da un tema d'attualità: il difficile inserimento di uno straniero in una piccola comunità.
"È un grande risultato per un film italiano", dice Simone Bachini dell'AranciaFilm, coproduttore e distributore della pellicola. "Per ottenerlo abbiamo dovuto inventarci una strategia diversa da quella della distribuzione ufficiale, che promuove ogni film nello stesso modo. Abbiamo stabilito contatti con le associazioni di cinema, le sale autonome, le manifestazioni culturali, e tutte le realtà che potevano essere interessate a diffondere il film. Siamo andati ai festival, alle presentazioni e ovunque ci fosse il modo di incontrare il pubblico".
Questo lavoro sul campo ha dato un esito interessante: alcune sale, come il Centrale di Torino, hanno tenuto il film per un lungo periodo, confortate dalla presenza costante di spettatori. "Ricevevamo fin dal mattino decine di telefonate di persone che ci chiedevano se lo proiettavamo ancora. Erano interessati a vederlo perché ne avevano sentito parlare da altri", dice Gaetano Renda, proprietario del Centrale, che ha proposto il film senza interruzione dal 4 maggio al 6 ottobre. "È un film che stimola la riflessione, diverso dal cinema di consumo a cui siamo ormai abituati. Racconta con semplicità una storia forte, e il pubblico all'uscita sente il bisogno di parlarne".
Il vento fa il suo giro affronta con sguardo lucido diversi temi che non hanno ancora avuto in Italia (e forse neanche in Europa) un'adeguata elaborazione: lo spopolamento delle montagne, la difficoltà di accettare lo straniero, la chiusura delle piccole comunità. La storia è presto detta. Un pastore francese arriva con la moglie e i tre figli in un paesino dell'Alta Val Maira in provincia di Cuneo. È un ex professore che ha scelto di vivere in montagna e di dedicarsi alla produzione di formaggi. La discreta accoglienza iniziale da parte dei pochi abitanti del paese si trasforma presto in diffidenza e infine in ostilità. È difficile per la gente del posto accettare l'idea che un "forestiero" possa riuscire dove loro hanno fallito. Il film mostra l'abbandono delle borgate montane, ridotte ad agglomerati di seconde case, mentre l'attività produttiva si svolge in pianura, nelle stalle moderne prefabbricate tipiche del paesaggio padano.
Il film è girato in una valle alpina del Piemonte dove si parla occitano (una lingua di origine provenzale), ma potrebbe anche essere ambientato in Abruzzo o in Sardegna. Ovunque in Italia ci sono borghi in declino che non riescono a trovare una nuova identità, e che nello stesso tempo faticano ad accettare l'inserimento degli stranieri. Forse è per questo che il film piace a Torino come a Roma. E potrebbe piacere anche a Palermo, quando ci arriverà.

Ambientato interamente a Ussolo, piccolo paesino disperso nelle splendide valli occitane della provincia di Cuneo, Il vento fa il suo giro (2005) è il primo lungometraggio di Giorgio Diritti, regista classe ’59 e una gavetta al fianco di grandi autori come Lizzani e Avati. L’opera, parlata in tre lingue (italiano, francese e occitano), è interpretata quasi esclusivamente da abitanti del luogo che per una volta hanno vestito i panni degli attori.
E l'aura fai son vir (questo è il titolo in lingua d’oc che riprende un detto popolare) racconta la storia di Philippe, ex professore francese stufo della burocrazia scolastica ed ora dedito alla pastorizia, che rientrando dalla Svizzera si imbatte per caso nel paesino di Chersogno. Affascinato dal luogo cerca una casa per vivere insieme a sua moglie Chris e i tre piccoli figli. La comunità si mostra diffidente nei suoi confronti, ma grazie all’aiuto del sindaco Costanzo che “promuove” l’arrivo del francese ai suoi concittadini, Philippe riesce a mettere su casa e stabilirsi nel piccolo borgo. Il suo arrivo, però, mina inevitabilmente l’equilibrio del paese.
Bello, veramente. Con tutti i limiti che un prodotto del genere può avere, ma davvero bello, sincero, genuino, diretto. Il ritratto rustico del paesino di montagna che si fa micromondo è lo specchio della nostra società che dis-integra le coscienze adagiandosi su stereotipi triti e ritriti che non portano a niente, anzi, che portano AL niente.
La premessa della storia ha in sé elementi di prevedibilità significativi: l’arrivo di un corpo estraneo; l’impatto con la comunità; gli effetti da esso derivanti. Tuttavia il suo svolgimento è di un’intima armonia tale che si traduce in poesia rurale: nella saggezza contadina della semina, nei racconti intorno ad un caminetto, nella spossante fatica del raccolto.
La morale del film (o meglio, una delle tante a seconda dei piani di lettura) sulla diversità risulta toccante nella sua estrema semplicità. Nessuna enfatizzazione né ricerca di una solennità lirica, tutto accade per ordine naturale (come da titolo), in una sequenzialità fatta di piccole abitudine incastrate nella ciclicità del tempo (il pensiero va a Bes Vakit, 2006), di inconsapevoli orrori quotidiani.
Disarma la bellezza di alcuni paesaggi, colpisce l’accanimento, sottile ma inesorabile, nei confronti di Philippe da parte degli altri abitanti: gesti intimidatori (un barattolo di vermi lanciato nella stalla del francese); false accuse (la vecchia Emma disposta a fracassarsi due dita con una bastonata per incolpare il pastore); azioni violente (le capre uccise e appese per le zampe).
La sensazione è che un paesino immerso in un paradiso cova il male, anche inconsapevolmente. Perché nell’ottica dei suoi abitanti difendersi con qualunque mezzo da ciò che è altro, conserverebbe - per essi - intatta l’identità culturale e morale del paese, senza capire che così facendo si alimenta solo l’odio verso propri simili. Ed il bello è che, nel caso dei vermi e delle capre, non verremo a sapere chi ha commesso tali brutalità perché, come d’altronde ci ha fatto vedere Haneke ne Il nastro bianco (2009), è più importante cercare di comprendere i motivi piuttosto che i colpevoli.
E risuona come una beffa il fatto che alla fine a rimetterci di più sia forse l’unico innocente di Chersogno, lo scemo del paese che correva a braccia tese per i campi, sfiorando quel vento che tutto fa ritornare. Anche la fiducia nel nostro cinema.
http://pensieriframmentati.blogspot.com/2010/01/il-vento-fa-il-suo-giro.html

6 comentarios:

  1. Hola Amarcord, serìa posible la pudieras volver a subir? gracias

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  2. Hola, Amarcord

    He visto que los enlaces de este film han caducado. ¿Es posible activarlos de nuevo?

    Muchas gracias por anticipado,

    Abrazos

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  3. Ciao Amarcord, purtroppo i link qui sopra sono scaduti e possibile riattivarli? Grazie in anticipo per la diffusione!

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