ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




martes, 31 de mayo de 2011

Pane, Amore e Gelosia - Luigi Comencini (1954)


TÍTULO Pane, amore e gelosia
AÑO 1954 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 93 min.    
DIRECTOR Luigi Comencini
GUIÓN Ettore Comencini, Luigi Margadonna, Titina de Filippo, Eduardo de Filippo
MÚSICA Alessandro Cicognini
FOTOGRAFÍA Carlo Montuori (B&W)
REPARTO Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida, Marisa Merlini, Maria Pia Casilio, Virgilio Riento, Roberto Risso, Tina Pica, Paolo Stoppa
PRODUCTORA Titanus
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Don Antonio Carotenuto, comandante del puesto de carabineros de la pequeña localidad de Sagliena, en los Abruzzos, ha decidido jubilarse antes de la edad reglamentaria con el propósito de contraer matrimonio con Anarella, la comadrona del lugar. El motivo de este precipitado retiro es que la novia es madre soltera, asunto muy mal visto en el intachable cuerpo de carabineros. (FILMAFFINITY)


Ritroviamo i protagonisti del primo film all’indomani delle loro dichiarazioni d’amore, il maresciallo Carotenuto (Vittorio De Sica) scoperto che la levatrice Nannarella (Marisa Merlini) non solo ha un figlio, ma è stata abbandonata dall’uomo che l’ha sedotta, decide ugualmente di impegnarsi con lei, mentre il carabiniere Stellutti (Robert Risso) è riuscito finalmente a confessare il suo amore alla bella Bersagliera (Gina Lollobrigida)  che tra parentesi non aspettava altro.
Confessati i propri sentimenti le due coppie ora dovranno fare i conti con alcune complicazioni che rischieranno di minare l’immane fatica fatta, infatti Stellutti dovendo terminare il suo servizio in un altro paese, prima di partire affida la sua fidanzata a Carotenuto, che per tenerla d’occhio la assumerà come governante in casa propria dando il via ad una serie di chiacchiere che il piccolo paese contribuirà a far arrivare sia a Stellutti che a Nannarella, fomentando in loro gelosia e sospetti.
Ci vorrà un semplice ed ingenuo ballo tra la Bersagliera e Carotenuto affinchè  le coppie scoppino, Nannarella si lancerà in una scenata di gelosia e Stellutti romperà il fidanzamento. nel frattempo Carotenuto cercando di riparare all’equivoco intende sposare Nannarella e dare le dimissioni dall’Arma così da regolarizzare la loro situazione, ma il ritorno del seduttore latitante che vuole riparare al torto fatto in passato sposando Nannarella e riconoscendo suo figlio complicherà ancor più la situazione, intanto la Bersagliera pensa di abbandonare il paese…
Il regista Luigi Comencini torna ad un anno da Pane, amore e fantasia dietro la macchina da presa per questo secondo capitolo che aggiunge qualche ulteriore complicazione amorosa alla sceneggiatura, e si permette un lieto fine dai risvolti agrodolci.



Anche il cast fa il bis, Sempre impeccabile De Sica e splendida Gina Lollobrigida, tornano anche Gigi Reder (Ricuccio) il futuro ragionier Filini della saga Fantozzi e Tina Pica nel ruolo della governante Caramella, ricordiamo questa memorabile attrice e caratterista napoletana insieme a Totò in Destinazione Piovarolo e con Alberto Sordi e Vittorio De Sica ne Il conte Max.
Pane, amore e gelosia è il secondo capitolo di una fortunata serie che vedrà ancora due episodi più un quinto messo in cantiere, ma mai realizzato. Alla sua uscita nel 1954 il film sbancò nuovamente i botteghini secondo negli incassi solo all’Ulisse di Roberto Camerini, peplum mitologico con Kirk Douglas.
http://www.ilcinemaniaco.com/pane-amore-e-gelosia-recensione/


lunes, 30 de mayo de 2011

Hamam il bagno turco - Ferzan Ozpetek (1997)


TÍTULO Hamam il bagno turco
AÑO 1997 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 101 min.
DIRECTOR Ferzan Ozpetek
GUIÓN Ferzan Ozpetek
MÚSICA Pivio & Aldo De Scalzi
FOTOGRAFÍA Pasquale Mari
REPARTO Alessandro Gassman, Halil Ergün, Francesca D'Aloja, Carlo Cecchi, Serif Sezer, Mehmet Gunsur, Basak Köklükaya, Alberto Molinari
PRODUCTORA Coproducción Turquía-Italia
GÉNERO Drama

SINOPSIS Un joven italiano recibe en herencia un viejo hamam, un baño turco, situado en la ciudad de Estambul. Su antigua propietaria, la Madame, había sido su tía, que había emigrado a aquel país hacía muchos años. El hombre deja a su mujer en Italia y va a intentar arreglar los papeles para vender el inmueble lo antes posible. Allí se aloja en casa de los antiguos empleados de su tía, un matrimonio con un hijo y una hija... (FILMAFFINITY)



Roma. Il giovane architetto Francesco, sposato con Marta, compagna di lavoro e nella vita, un giorno riceve un telegramma dalla Turchia che lo informa di uno stabile che egli ha ereditato da Anita, sorella della madre trasferitasi ad Istambul. Una volta giunto nella capitale turca per vendere lo stabile, un giorno, accompagnando un anziano signore, apprende dell’esistenza degli hamam, i bagni turchi. Quando scopre che anche l’immobile che egli ha ereditato è un hamam, chiede all’avvocato che si sta occupando della vendita di poterlo visitare. Qui conosce la famiglia di Osman, il custode dell’edificio. Ospite, man mano Francesco impara costumi ed abitudini del luogo e leggendo le lettere che Anita spediva a sua sorella, indaga su ciò che convinse sua zia a trasferirsi ad Istambul. Il giorno della vendita dell’immobile, apprende dal suo avvocato che l’acquirente, una facoltosa signora, ha intenzione di acquistare l’intero isolato per costruirvi un centro commerciale. Francesco decide allora di non vendere e convince tutti quelli del quartiere a fare altrettanto, mettendosi contro la potente signora. Un giorno arriva anche Marta ad Istambul, informata dalle intenzioni di Francesco di rimettere in vita il decadente hamam che ha ereditato. Dopo un paio di giorni in cui i due s’incontrano poco, una sera Marta entra nel bagno turco e scopre Francesco mentre bacia Memo, il figlio di Osman. La sera seguente, a cena, mentre si festeggia il futuro matrimonio di Fusun, la figlia del padrone di casa, Marta litiga con Francesco ed oltre a metterlo al corrente di aver assistito alla scena, lo informa della sua relazione con un altro uomo. La coppia decide di dividersi ma la mattina che Marta dovrebbe partire, Francesco è accoltellato sotto casa e quella, corsa all’ospedale, apprende della sua morte. Un’infermiera le consegna la sua fede nuziale, Marta la sua l’aveva gettata. La donna occupa il posto del marito e si sostituisce alla zia in uno scambio epistolare con Memo, partito lontano da Istambul.
Con questa pellicola, grazie alla Sorpasso Film di Marco Risi e Maurizio Tedesco, esordisce un nuovo regista, turco ma italiano di adozione (ha studiato e vive a Roma). Con un tema difficile quanto provocatorio, il giovane Ozpetek racconta una storia (ed un cinema) dalle forti tinte tradizionali (“L’hamam è tradizione, un luogo che solleva lo spirito…” insegna Memo a Francesco) che rispetta lingue originali e quelli che sono un po’ gli stereotipi del cinema che racconta l’altro (nella prima cena a casa di Osman per esempio, utilizza due diverse inquadrature, una di gruppo per la famiglia turca ed una su Gassman come singolo). Omaggiando la sua Turchia, Ozpetek si affida alle parole scritte dalla zia di Francesco per regalare il quadro migliore della capitale Istambul, poetica e melanconica. Interessanti i tratti psicologici che portano ad una vera e propria sostituzione tra la zia Anita e Francesco, ed infine anche con Marta, forse la reincarnazione vera della donna fuggita ad Istambul. Ozpetek stesso, non rinuncia a questo scambio, quando racconta il piacere che aveva la zia nello spiare gli uomini nel loro intimo, e spiando egli stesso nell’animo di Francesco, che scopre la propria omosessualità (emozionalità dunque). Tra gli stereotipi, a dir il vero ben rappresentati comunque, l’uso del cibo che strizza l’occhio alla passione quanto al folklore (a quest’ultimo si aggiunge anche il rito della circoncisione). L’omicidio di Francesco, le parole di Marta nel finale, il melanconico giudizio, non ipocrita, sulla sua città in una sceneggiatura stesa dal regista con la collaborazione di Stefano Tummolini. Lo sguardo (soggettiva della m.d.p.) di Marta, disorientata all’arrivo dall’aeroporto, un accenno ad uno stile più coraggioso. Frequente l’uso delle musiche composte dai Trancedental, i genovesi Pivio e Aldo De Scalzi, alle quali spesso si appoggia per raccontare una storia fatta principalmente di sapori e cambiamenti prossimi. Tre Globi d'oro a Roma, una Mela d'oro in Turchia (il Morandini 2003 – Dizionario dei film).
http://www.cinemah.com/neardark/index.php3?idtit=1077


"Il pregio maggiore del film, scritto e diretto con estrema delicatezza di toni dal promettente Ozpetek, sta nel fatto che ad accompagnare il tipico occidentale in crisi alla scoperta di un mondo diverso sia la macchina da presa di un cineasta che sa rispecchiarne dal di dentro la complessa e fascinosa realtà." (Alessandra Levantesi, 'La Stampa', 11 maggio 1997) "Una sensibilità raffinata, un vero compiacimento per l'esuberanza di un folklore non turistico e una mano già esperta nel raccontare per immagini sono le qualità che connotano in Ozpetek un regista dal quale si possono attendere altri film belli. Quanto al giovane Gassman, sta scoprendo un suo personale sentiero espressivo felicemente divergente dal cammino reale del genitore; in un personaggio tutto stridori, la d'Aloja ne accompagna adeguatamente le traumatiche scoperte; un po' sfocato, purtroppo, Carlo Cecchi in una figura di servizio simile a quella di Io ballo da sola. Stupendi tutti gli attori turchi, dai grandi ai piccoli: memorabile la madre di famiglia Serif Sezer, schizzato con proprietà l'avvocaticchio di Zozo Toledo che fra occhiate sbieche e tremori si configura come un tipo da commedia che annuncia la tragedia, grottesco messaggero di morte." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 12 maggio 1997)
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=34650&film=Il-Bagno-Turco-Hamam

domingo, 29 de mayo de 2011

La Strategia del Ragno - Bernardo Bertolucci (1970)


TÍTULO La strategia del ragno
AÑO 1970 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 97 min.
DIRECTOR Bernardo Bertolucci
GUIÓN Bernardo Bertolucci, Marilú Parolini, Eduardo de Gregorio (Liberamente ispirato a Tema del traditore e dell'eroe di Jorge Luis Borges)
MÚSICA Giuseppe Verdi
FOTOGRAFÍA Vittorio Storaro
REPARTO Giulio Brogi, Alida Valli, Vito Scotti, Pippo Campanini, Franco Giovannelli, Allen Midget
PRODUCTORA RAI / Red TV
PREMIOS 1971: Seminci: Espiga de Oro: Mejor película
GÉNERO Drama

SINOPSIS Un joven regresa a la ciudad donde su padre fue asesinado antes de que él naciera. El muchacho trata de encontrar una explicación a la muerte de su padre a manos de un fascista en 1936. Pero la verdad se revela compleja como una tela de araña. (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)


Chi era Athos Magnani? Eroe antifascista o traditore? Qual è la vera storia di Athos Magnani? Morì da eroe, ucciso alle spalle da un vigliacco fascista, o da imbroglione, inscenando una sciarada per essere ricordato come un martire? Per abbattere con gli ideali postumi il fascismo tanto odiato.
Il figlio non sa niente di tutto questo e a più di trent’anni dalla sua morte si reca a Tara, il paese nativo, per fare chiarezza e scoprire la verità. Incontrerà Draifa, la sua amante, e i vecchi compagni con cui pianificò l’assassinio, non riuscito, a Mussolini, perché quel giorno qualcuno fece la spia. Tra menzogna, omertà e codardia verrà fuori una verità sconcertante e ancora piena di enigmi.
La quinta opera di Bernardo Bertolucci, incentrata sul labile confine che separa passato e presente, verità e menzogna, fedeltà e tradimento, si interroga sul passato, quello fascista del 1936, attraverso il filtro della provincia emiliana, la provincia di Parma. L’indagine del figlio nei confronti del padre suona come ricerca di una memoria storica ormai in via di dissoluzione, quella memoria partigiana troppo spesso lasciata sola a se stessa e tradita dalle proprie intenzioni vitali, necessarie e ribelli.
La strategia del film vive proprio su questo legame tra passato e presente, narrato magistralmente dal regista senza stacchi o dissolvenze di sorta. Il passaggio da un ordine cronologico all’altro si alterna in modo fluido, senza nessun artificio – attraverso movimenti di macchina o con semplici campi-controcampi -, quasi a volerne dimostrare l’estrema interdipendenza. E sembra quasi citare in anticipo Stella solitaria, il capolavoro di John Sayles, riferimento obbligato per ogni regista che si accinge a miscelare epoche e tempi differenti.
Nonostante il film sia intriso di autorialità e lungimiranza dall’inizio alla fine, e sia scritto da un 27enne che manifestava già allora, se non soprattutto prima, tutta la sua coscienza politica, appare datato, almeno se si considerano i dialoghi e i ritmi cinematografici. La metafora, se c’è, si risolve in forme intellettuali, lontana anni luce da quella di Dillinger è morto di Marco Ferreri, affresco politico senza tempo che gioca sull’astrazione e sui silenzi la sua fama ai posteri.



Regia e istanza narrante si palesano senza parsimonia mediante la macchina da presa: le inquadrature non trascurano la prospettiva e il background, risolvendosi più volte in soluzioni simmetriche.
L’inizio del film è già esaustivo di per sé: i campi lunghi di Bertolucci riprendono Athos che arriva a Tara e sin dalla prime battute ci raccontano un personaggio in cammino, in movimento: verso quel padre mai conosciuto, verso quei segreti del passato che pesano sulla sua coscienza di figlio e di antifascista.
Il carrello laterale è la cifra estetica dell’opera: ordina lo spazio e i personaggi al suo interno; snoda e lega i passi dell’intreccio e in particolare, ancora una volta, il passato e il presente; espleta e racconta con un’inquadratura – il carrello finale che riprende i binari morti affogati nell’erbaccia – il senso apparente e metaforico di tutta la storia e ci fa porre una domanda: Athos Magnani è mai esistito?
Il cast tecnico è di altissimo livello: con Di Giacomo e Storaro alla fotografia e Roberto Perpignani al montaggio. Giulio Brogi è il protagonista, teatrale e kafkiano quanto basta per esprimere al meglio la stranezza della vicenda. La leggendaria Alida Valli è l’amante del padre. Il film è ispirato al racconto Tema dell’eroe e del traditore di Borges.

sábado, 28 de mayo de 2011

Mediterraneo - Gabriele Salvatores (1991)


TÍTULO Mediterraneo
AÑO 1991 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 90 min.
DIRECTOR Gabriele Salvatores
GUIÓN Enzo Monteleone
MÚSICA Giancarlo Bigazzi & Marco Falagiani
FOTOGRAFÍA Italo Petriccione
REPARTO Claudio Bigagli, Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna, Ugo Conti, Gigio Alberti, Memo Dini, Vasco Mirandola, Vanna Barba, Irene Grazioli, Claudio Bisio, Luigi Montini, Antonio Catania
PRODUCTORA A.M.A. Film / Penta Film
PREMIOS
1991: Oscar Mejor Película de habla no inglesa
1991: 3 premios David de Donatello: Mejor película, montaje, sonido. 6 nominaciones
GÉNERO Comedia. Bélico | II Guerra Mundial

SINOPSIS Durante el transcurso de la Segunda Guerra Mundial, un grupo de soldados desembarcan en una pequeña isla del mar Egeo, donde únicamente hay un pueblo habitado por niños, ancianos y mujeres. (FILMAFFINITY)



Me-di-ter-ra-ne-o: sussurrato così, sillaba per sillaba, è ancora più forte il pathos mitico del nostro mare. È nostro, questo mare, perché ne abbiamo i colori negli occhi, il profumo nella memoria, la tentazione nel cuore. La stessa tentazione di Odisseo: la dolcezza del dimenticare, la tiepida  quiete del sole,la sospensione del tempo, la fuga da   Penelope.  Chi non ha mai provato  la tenerezza di  questo sussurro: Me-di-ter-ra-ne-o?  Son  queste cose che il film di Salvatores evoca. Il pericolo è  di  non accorgersene, rincorrendo – per amor di   banalità -quello che sembra attuale. Mediterraneo parla di guerra, di italiani in guerra, e di fuga. Scritto     due anni prima dell'uscita appare in un clima che gli può solo nuocere. Non vediamolo come se i suoi autori   -   Salvatores e lo sceneggiatore Vincenzo Monteleone - avessero girato un qualunque film d'impegno sulla guerra, contro la guerra. Questo non è un film contro, per fortuna. Se lo fosse, non sarebbe il bel film che è. Mediterraneo parla di una fuga, certo: fuga da Penelope e dalla sua ovvietà. Ossia: fuga dalla seriosità degli impegnati, fuga dalla stupidaggine dei dinamici, fuga dal cinismo degli uomini-guida, fuga dalla volgarità dei profittatori in buona o in cattiva coscienza. Già in Kamikazen (1987) Salvatores aveva a cuore tutto questo. Ma   qui arriva a una maturità, una misura, una profondità, una "leggerezza", un senso del racconto e dei tempi di montaggio che ne fanno davvero un autore, e non un piccolo autore. Nonostante le apparenze, sono un gruppo di amici metropolitani questi soldati che la burocrazia - imbecillità e pigrizia del potere - manda in un'isola perduta nel Mediterraneo. Sono lo stesso gruppo di amici che Salvatores ha  narrato negli altri suoi film:   trentenni  comuni, uomini come tanti altri, in bilico tra un'utopia che sfuma e un realismo che incombe. In Mediterraneo sono meno riconoscibili, meno legati a una tipicità metropolitana. E però sono metropolitani: metropolitana è la loro utopia, come il loro linguaggio, le loro paure,i loro gesti (bravi tutti gli attori,      bravissimi Diego Abatantuono e, in una difficile parte marginale, Claudio Bisio). La poetica di Salvatores è   tra le poche che, in Italia, non siano provinciali ed ex contadine. I suoi valori non stanno nel passato. I suoi personaggi non vogliono recuperare nulla del ruralismo che il paese si è lasciato alle   spalle.   D'altra   parte, non condividono gli entusiasmi fessi di chi scambia il folclore metropolitano per cultura metropolitana,  di  chi  ha    fatto   dello   yuppismo un'ideologia.   La   loro   utopia,   anzi,   è   che   sia   possibile   essere   metropolitani   senza soccombere all'apologia imbecille del successo, all'immoralità del carrierismo. 



Questo       gruppo     di   amici,    di   gente    comune,       viene    sbalzato     ai   confini    estremi dell'ovvietà e dell'appartenenza. Dell'appartenenza significa: della somma di opinioni, valori   e   simboli   che, tutti insieme, costituiscono la cultura e l'anima di un paese. Dell'ovvietà significa: della fede scontata nel dovere di darsi da fare perché l'appartenenza funzioni. Gli si è chiesto di far la loro parte, in tutto ciò,  di farla credendoci. Ma un'isoletta greca, con la sua assolata estraneità alla  Storia, incrina quella fede e suggerisce la tentazione di fuggire. Uno dei meriti, e non il minore, di Mediterraneo è di raccontare questa tentazione senza tradire la commedia: si vede d'un fiato, sorridendo e ridendo (e riconoscendosi). Salvatores e Monteleone amano i loro personaggi: non li deridono per farci ridere, non li deturpano con il folclore. Insomma,la loro è una commedia, ma non è «all'italiana» e neppure «italiana». Sono coerenti: negano in questo     modo la loro "ovvia appartenenza" a un cinema che si distingue per il disprezzo di sempre nei confronti delle storie comuni della gente comune. a un cinema colmo di servi buffi e di villani, di caricature ruralistiche.   Rispettando questi uomini comuni, dunque, gli autori ne seguono i diversi modi di reagire alla tentazione della fuga. C'è chi, per tornare dalla sua Penelope, rema su una barchetta fino a Cipro. Ci sono altri che,in felice incoscienza, assaporano il sole, come in una vacanza. Tornano, questi. Tornano a fare il loro "dovere", ancora una volta tra le braccia dell'ovvietà. E c'è anche chi davvero diserta, nascosto in una botte di olive. Altri,   invecchiati,  riprenderanno una nave verso l'isola: anche loro in fuga, alla fine, dalla seriosità  degli impegnati, dalla stupidaggine dei dinamici, dal cinismo degli uomini-guida, dalla volgarità al cinismo. Ci si specchia, forse, nella loro onesta rabbia triste, sullo sfondo mitico-azzurro del  mare   di Odisseo. D'altra   parte, per girare un film come Mediterraneo per sentire questa onesta rabbia triste, occorre sognarla, la fuga,   e avere il coraggio di non praticarla. 
Roberto Escobar, ‘Il Sole-24 Ore’ 

viernes, 27 de mayo de 2011

Pane, Amore e Fantasia - Luigi Comencini (1953)


TÍTULO Pane, amore e fantasia
AÑO 1953 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 92 min.
DIRECTOR Luigi Comencini
GUIÓN Luigi Comencini & Ettore M. Margadonna
MÚSICA Alessandro Cicognini
FOTOGRAFÍA Arturo Gallea (B&W)
REPARTO Gina Lollobrigida, Vittorio De Sica, Roberto Risso, Marisa Merlini, Virgilio Riento, Maria Pia Casilio, Tina Pica, Memmo Carotenuto, Guglielmo Barnabo, Nino Vingelli, Vittoria Crispo, Gigi Reder, Mario Meniconi, Checco Rissone, Alfredo Rizzo, Violetta Gragnani, Giulio Battiferri, Attilio Torelli, Fausto Guerzoni
PRODUCTORA Titanus
PREMIOS 1954: Nominada al Oscar: Mejor historia
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Antonio Carotenuto, un subteniente de los carabineros procedente del norte de Italia, se enamora de una guapa y salvaje muchacha de un pequeño pueblo del Abruzzo, Maria Pizzicarella "la Bersagliera". Entre los admiradores de María está el cabo Pietro Stellati, pero es demasiado tímido para declararse a la muchacha. Maria le corresponde y está decidida a conquistar al joven a pesar de sus escarceos con el maduro subteniente. Además, la comadrona del pueblo, Anna, está enamorada de Antonio, aunque tiene razones para ocultarle sus sentimientos. (FILMAFFINITY)


Il film, vincitore dell'Orso d'Argento al festival di Berlino del '54, lanciò Gina Lollobrigida come star del cinema italiano e fu il primo successo di Luigi Comencini. In un piccolo paese dell'Italia centrale, il maresciallo dei carabinieri proveniente dal nord, Antonio Carotenuto, si invaghisce della bella Maria Pizzicarella.
Maria, detta la Bersagliera, è contesa da numerosi ammiratori, tra i quali l'appuntato Pietro Stellati, nipote del parroco del paese, che per l'eccessiva timidezza non si dichiara. Maria ricambia sinceramente il suo amore e nonostante, tra ritrosie e concessioni, giochi con l'attempato maresciallo, è decisa a conquistare il giovane.
Di Antonio invece è innamorata anche Anna la levatrice che nutre i suoi sentimenti nell'ombra. Antonio si sente diviso tra le due donne e finisce con il vederle andare via entrambe. Solo Anna tornerà da lui, mentre Maria porterà Pietro a dichiararsi e i due si metteranno insieme.
http://www.italica.rai.it/cinema/film/pane.htm



Tra gli Abruzzesi, per conquistare una ragazza  era tradizione “mandare la serenata”. Con una serenata inizia la storia tra Pietro, nato qualche anno prima del millenovecento e Lucia, una bellissima ragazza dai lunghi riccioli neri. Entrambi nati a Palena un paesino poco distante da Chieti. Pietro lavorava nella fornace dei mattoni, appena fuori dal paese e la sua vita era tutta lì. La mattina alle cinque era già in fabbrica a impastare argilla e sabbia, al tramonto poi andava a zappare l’orto; c’era il padre ad aspettarlo. In quei tempi di grande miseria i prodotti della terra erano l’unica risorsa per superare l’inverno abruzzese. Il momento di riposo per Pietro arrivava il sabato sera. Gli amici lo aspettavano in piazza per bere un bicchiere di vino e giocare alla “passatella” o alla “morra”. Lucia invece era la classica ragazza “casa e chiesa”. Aiutava la madre ad accudire galline, conigli e un paio di maiali che razzolavano nel piccolo recinto del casale. Tutto il paese la chiamava “Lucietta bella”, poiché era una ragazza di straordinaria bellezza e tutti gli uomini, più o meno, erano invaghiti di lei. Fece innamorare di sé professionisti e nobili, ma alla fine preferì sposare il ragazzone robusto con i capelli a spazzola ed i lunghi baffi neri. Pietro l’aveva conquistata con la serenata che lui stesso aveva organizzato con i suoi amici. L’operazione iniziava con la ricerca di un cantante e alcuni musicisti. Qualche giorno prima della prevista esibizione un messaggero si recava dalla famiglia della ragazza per annunciare la visita della piccola “band”, che di solito avveniva di notte quando tutti i paesani dormivano. La famiglia rispondeva tramite il messaggero se gradiva l’iniziativa oppure no. Di solito però la serenata non veniva mai rifiutata. Anzi, a quei tempi, per la famiglia e soprattutto per la ragazza era un onore. I musicanti iniziavano il loro giro poco prima della mezzanotte. Per i vicoli del paese, il silenzio era assoluto; nessuno doveva fare il minimo rumore. La prima fermata era prevista sotto le finestre dei genitori dove venivano eseguite tre canzoni, poi si andava dai fratelli della ragazza, già sposati; qui le canzoni da eseguire erano due. Il giro terminava dagli zii della promessa sposa, con altre due melodie. Al termine della lunga nottata i musicanti andavano al ristorante a riposarsi e a rinfrescarsi la gola con un paio di bicchieri di vino. Alle quattro del mattino infatti, era previsto un “bis” con lo stesso percorso della mezzanotte. La tradizione prevedeva che la piccola orchestra e il ristorante, prenotato anche per il rinfresco del giorno dopo, venissero pagati dalla famiglia del “pretendente”. Veniva preparata una lunga tavolata per ospitare gran parte del paese. Nel frattempo la famiglia della ragazza era riunita in consiglio con zii e fratelli, per decidere cosa rispondere. Se al rinfresco del giorno dopo arrivavano solo i genitori della ragazza, significava che la risposta non era positiva. Consumavano un caffè, tanto per gradire, poi andavano via. Tutto ciò che era stato preparato veniva consumato dai musicisti e da coloro che volevano rimanere per consolarsi del rifiuto. Tutt’altra atmosfera invece si respirava, se al rinfresco arrivavano genitori, zii, fratelli e naturalmente la promessa sposa. Lei avrebbe ricevuto l’anello di fidanzamento dalle mani del proprio innamorato. Ma cosa c’entra la storia di Pietro e Lucia con il film “Pane, amore e fantasia”? Ebbene si racconta che il personaggio della “bersagliera” interpretato da Gina Lollobrigida, sia stato ispirato soprattutto dalla bellezza di “Lucietta bella”. Infatti il soggettista e sceneggiatore cinematografico Ettore Margadonna, autore della trama della spassosa commedia, era anche lui nativo di Palena. I fatti e i personaggi del racconto cinematografico sono in parte ispirati alle vicende realmente accadute a Palena. Anche il titolo del film “Pane, amore e fantasia” trae origine da una risposta che un contadino dette a chi gli aveva chiesto cosa avrebbe messo dentro le due enormi fette di pane che stava per mangiare. Rispose semplicemente: “Fantasia”. Pietro Como e Lucia Travaglini si sposarono a Palena, il venerdì mattina del 18 Ottobre 1901. Come di regola, prima celebrarono le nozze in Comune davanti al Sindaco Eugenio Vittoria, poi la domenica successiva tutto il Paese li accompagnò in chiesa. I due ragazzi emigrarono in America dove ebbero tredici figli. Uno di loro divenne famoso in tutto il mondo con il nome di Perry Como. E tutto questo accadde, per una… serenata.
http://incontromeditaly.wordpress.com/2009/12/01/pane-amore-e-fantasia/
-----------

Luigi Comencini (1916-2007), regista e sceneggiatore, si è imposto con uno stile particolare, allontanandosi dai toni neorealisti, o mitigandoli con uno taglio suggestivamente morbido ed armonioso, avvicinandosi agli stilemi propri della cosiddetta “commedia all’italiana”; i personaggi dei suoi film, grazie anche a valide sceneggiature, sono sempre calati nel reale, caratterizzati da varie sfaccettature, estremamente vivi e autentici. La sua estrema sensibilità, si è poi esternata felicemente verso il mondo dell’ infanzia, sin dal documentario Bambini in città, ’46, passando per il bellissimo sceneggiato tv Le avventure di Pinocchio ed arrivando al suo ultimo film, Marcellino, ’92. Il grande successo di pubblico arriva nel ’53, con Pane, amore e fantasia, che si attira gli strali del mondo intellettuale e della critica, reo a dir loro di aver tradito il neorealismo: gli stessi giudizi negativi rivolti due anni prima a Renato Castellani per Due soldi di speranza, il cui plot narrativo è del resto molto simile, considerando che lo sceneggiatore, Ettore Margadonna, è lo stesso, insieme a Comencini.
A Sagliena, Italia centromeridionale, paese che ancora porta i segni della guerra e di qualche scossa di terremoto, giunge il maresciallo Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica), per dirigere la locale stazione dei Carabinieri. Scapolo maturo e con arie da uomo di mondo, la vita di paese sembra andargli stretta, pur se tra gli abitanti vi è chi attira la sua attenzione: la giovane Maria De Ritis (Gina Lollobrigida), detta “Pizzicarella la Bersagliera”, segretamente innamorata del timido carabiniere Stelluti (Alberto Risso), e la levatrice del paese, Annarella (Marisa Merlini), anche lei con qualcosa da nascondere.
Dopo alterne e colorite vicende, sarà proprio il maresciallo a dare una svolta definitiva tanto ai propri che agli altrui problemi sentimentali.
L’immaginario paesino si eleva al ruolo di arcadico microcosmo, simbolo dell’Italia del dopoguerra, passata attraverso l’esperienza fascista e la lotta di liberazione, alla ricerca di una propria identità. Non a caso al centro del film ruotano, come elementi risolutori, le figure del maresciallo, l’autorità costituita, e di don Emidio (Virgilio Riento), il prete del paese, del quale esprime tutta la rassegnazione e il fatalismo.
Tra riprese in esterni, l’uso della presa diretta, i dialoghi in dialetto o sottolineati da vari inflessioni, il neorealismo è filtrato dai toni umoristici ed allegri propri della commedia, che avanzano prepotentemente, evidenziati da scaramucce sentimentali, sapidi battibecchi (come quelli tra De Sica e Tina Pica, la domestica Caramella) e momenti di spontanea e sincera tenerezza. Indimenticabile De Sica, più bonario padre di famiglia che impenitente dongiovanni, pronto ad arrendersi all’amore rappresentato dalla bella Annarella-Merlini, una delle nostre caratteriste più valide, nonostante il suo insistito “per me…oramai…” di fronte a chi gli paventi una probabile unione. La “Lollo” non sarà mai più così a suo agio come nel ruolo della bella popolana, che, evolvendo il personaggio di Carmela (Maria Fiore) del citato Due soldi di speranza, ben rappresenta un nuovo modello di donna, di ascendenze goldoniane, che si fa padrona del proprio destino. Due sequel, Pane amore e gelosia, ’54, stessi regista e attori, Pane amore e…, ’55, regia di Risi e la Loren protagonista, e l’ indefinito Pane amore e Andalusia, ’58, di Xavier Setò.
Che mangi?
Pane.
E dentro che ci metti?
Fantasia, marescià !
(Breve dialogo tra il maresciallo Carotenuto-De Sica ed un abitante di Sagliena, in una scena del film)
http://suonalancorasam.wordpress.com/2010/11/04/pane-amore-e-fantasia-1953/

jueves, 26 de mayo de 2011

Il Lupo della Sila - Duilio Coletti (1949)


TÍTULO Il lupo della Sila
AÑO 1949 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 95 min.
DIRECTOR Duilio Coletti
GUIÓN Mario Monicelli, Giuseppe Gironda, Carlo Musso, Ivo Perilli, Steno, Vincenzo Talarico
MÚSICA Enzo Masetti, Osvaldo Minervini
FOTOGRAFÍA Aldo Tonti
REPARTO Silvana Mangano, Amedeo Nazzari, Vittorio Gassman, Jacques Sernas, Luisa Rossi, Olga Solbelli, Dante Maggio, Michele Capezzuoli, Laura Cortese, Attilio Dottesio
PRODUCTORA Lux Film
GÉNERO Drama | Melodrama

SINOPSIS Pietro y Orsola se aman y debido a que Rocco, hermano de Orsola, se opone a este amor, han de verse a escondidas en una cabaña. Una tarde matan a un hombre; Pietro, de regreso de la cabaña, es arrestado acusado del asesinato. Él proclama su inocencia, pero para no poner en peligro a Orsola, se niega a confesar donde ha pasado la tarde. La madre de Pietro habla con Orsola para que interceda por su hijo; pero Rocco lo rechaza brutalmente. (FILMAFFINITY)


Il grido della terra, Il lupo della Sila e Cielo sulla palude: laici contro cattolici (1949)

Il cinema italiano del dopoguerra appare ripiegato su se stesso. Se affronta questioni sociali e politiche lo fa rimanendo saldamente ancorato alla realtà nazionale e le poche eccezioni (Emigrantes di Fabrizi, Germania anno zero di Rossellini, entrambi del 1948), peraltro relative occupandosi di situazioni in qualche modo correlate a quella italiana, non fanno che confermare la tendenza.
...
Ancora il binomio Lux-Duilio Coletti, per il tramite del produttore Dino De Laurentis, mette in cantiere un nuovo “attacco alla tradizione” con la pellicola Il lupo della Sila (dicembre 1949; 95 min.), ambientato tra gli aspri paesaggi della Calabria rurale. Come già in numerose altre pellicola finanziate dalla ditta piemontese (si pensi ad esempio al simile Notte di tempesta di Franciolini, 1945; vedi) l’astuto meccanismo consiste nel calare una vicenda fumettistica, degna di un romanzo d’appendice, all’interno di una cornice dal sapore documentaristico e perfino “neorealistico” (riprese in esterni che valorizzano in modo abile il paesaggio calabrese, utilizzazione della popolazione locale, una magnifica fotografia in un denso e contrastato bianco e nero). Al centro viene collocata una figura mostruosa che finisce con il divenire emblematica di quel luogo e di quella cultura che si vogliono dipingere con accenti “arcaico-medievali”, pieni di disprezzo. Così Rocco Barra (Amedeo Nazzari), il più stimato proprietario locale, è un fanatico, disumano e autoritario difensore dell’onore familiare: dapprima impedisce alla sorella (Luisa Rossi) di scagionare il proprio amante (Vittorio Gassman) ingiustamente accusato di omicidio, decretandone in definitiva la morte; anni dopo invece, follemente inamorato di una giovane, prosperosa lavorante (Silvana Mangano), decide di sposarla senonché, quando il figlio Salvatore (Jacques Sernas), a cui sembra sinceramente affezionato, gliela porta via, lo insegue e immediatamente, saltando ogni doveroso chiarimento verbale, cerca di ucciderlo a fucilate. Insomma una vera e propria bestia infernale, animata da un feroce egoismo dettato da un’interpretazione estremistica e artificiosa delle tradizioni familiari del meridione d’Italia.



Si noti, per finire, che l’unica figura totalmente positiva è quella di Salvatore, un presunto calabrese interpretato da un attore francese (privo del minimo tratto somatico meridionale), il quale ha abbandonato la propria terra e le proprie convenzioni per vivere e studiare in una imprecisata, lontana e popolosa città: ovvero un perfetto e astratto modello di meridionale assimilato alla cultura laico-modernista.
Il film di Coletti, basato su questo sciocco soggetto inventato da Steno e Monicelli (e da loro sceneggiato con altri), è dunque soprattutto una caricatura indecente del costume del sud ad opera dei noti settori laici della Torino “illuminista”, settori assorbiti dalla propria guerra di modernizzazione di un’Italia rurale (fin dai tempi delle guerre d’indipendenza, della repubblica romana e dei Mille garibaldini) considerata oscurantista e inutile. In questa “guerra di religione” ogni mezzo è valido e ogni risorsa viene mobilitata: la bellezza provocante di Silvana Mangano (subito spogliata nella prima sequenza), l’autorità attoriale di Nazzari, la accattivante, veloce struttura narrativa (un Coletti finalmente in forma) animata da un montaggio serrato e da eventi spettacolari che si susseguono in modo trascinante (sebbene totalmente inverosimile) e infine una indubbia capacità di fotografare in modo perfino poetico la natura montagnosa e solcata di torrenti della Sila. Il pubblico resta giustamente soggiogato dal lavoro e ne sancisce un imprevisto, largo successo. Il centro cattolico al contrario, meno sensibile a queste qualità linguistiche e più attento alla visione ideale che la pellicola reca con sé, bolla con il solito “escluso” il prodotto Lux.
...
http://www.giusepperausa.it/_il_grido_della_terra__il_lupo.html

miércoles, 25 de mayo de 2011

My name is Tanino - Paolo Virzì (2002)


TÍTULO My Name Is Tanino
AÑO 2002 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 124 min.
DIRECTOR Paolo Virzì
GUIÓN Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo 
MÚSICA Carlo Virzì
FOTOGRAFÍA Arnaldo Catinari
REPARTO Corrado Fortuna, Rachel McAdams, Frank Crudele, Jessica De Marco, Mary Long, Beau Starr, Lori Hallier, Danielle Bouffard, Barry Flatman
PRODUCTORA Coproducción Italia-Canadá
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Durante un soleado verano en Sicilia el joven Tanino (Corrado Fortuna) mantiene una tierna y dulce historia de amor con Sally (Rachel McAdams), una joven turista americana. Pero cuando el verano se acaba, Sally se vuelve a los Estados Unidos, olvidando su cámara de fotos. Tanino no puede resistirlo, y decide ir a devolverle la cámara a su amada en persona... (FILMAFFINITY)



Tanino vive nel piccolo paese siciliano di Castelluzzo, ma ha grandi ambizioni. Sogna la regia cinematografica e approfitta di un flirt estivo con una ragazza americana per compiere il grande passo e sbarcare negli Stati Uniti alla ricerca del suo mito, il famoso regista indipendente (in realta' immaginario) Chinawsky.
Caratterialmente Tanino e' una specie di angelo, uno di quei personaggi puri costruiti con abilita' per coniugare in modo credibile ingenuita', spontaneita', fervore giovanile e soprattutto una grande carica di contagiosa simpatia. Nella prima parte il taglio scelto da Virzi', per questa sorta di racconto di formazione, conquista proprio per la verve dei dialoghi e del giovane protagonista, il debuttante Corrado Fortuna. Anche l'arrivo negli Stati Uniti diverte per il modo di evidenziare e sdrammatizzare i luoghi comuni americani. Poi, pero', le coincidenze si infittiscono, come anche i colpi di fortuna e sfortuna da cui Tanino esce sempre con un candore che finisce con lo stancare. E' proprio l'ingenuita' di Tanino a diventare progressivamente sempre piu' stucchevole, anche se si tenta di giustificarla con i pensieri fuori campo dello stesso protagonista. O semplicemente diventa ripetitivo il modello narrativo con cui Tanino capita casualmente tra macchiette caricaturali, per poi uscirne indenne. L'America viene un po' smitizzata e un po' derisa, cogliendo contraddizioni e sfumature grottesche che non raggiungono, ma forse non ricercano nemmeno, alcun approfondimento. Dopo la leggerezza comunicativa di "Ovosodo" e il riuscito ritratto di provincia di "Baci e abbracci", ci si aspettava da Paolo Virzi' qualche cosa di piu' di una commedia simpatica ma un po' superficiale. Probabilmente sul risultato, tutt'altro che disprezzabile ma appesantito da una seconda parte che gira un po' su se stessa, hanno inciso i problemi produttivi con il Gruppo Cecchi Gori, in pieno deficit finanziario proprio nel bel mezzo della lavorazione del film.
Luca Baroncini
Colpisce del film rammendato ogni volta dal povero Virzì, coinvolto suo malgrado nelle vicende Cecchi Gori, l’atteggiamento attraverso cui il personaggio principale affronta la vita, o meglio, capita nella vita. Straparla, allude a un sogno più o meno ambito, e subito ci casca dentro. Così arriva in America. Senza punti di riferimento. Eppure tutti si occupano di lui. Persino chi non lo vorrebbe, addirittura chi lui stesso non vorrebbe. E così viene palleggiato, come in una buffa partita di ping pong, tra due famiglie stereotipizzate: quella americana con bellissima moglie annoiata e amante fatto in casa, quella italoamericana con strascichi mafiosi per niente lasciati alle spalle. Dentro tutta questa divertente confusione, dipinta attraverso le venature di una prevedibile e tranquilla commedia, alcuni camei. Intensi camei: come i ricordi che riaffiorano nella memoria di lui nei momenti difficili che quasi lo ricollegano a quello che c’è di più serio e intimo nella sua esistenza. A qualcosa che sia davvero più personale, rispetto ad una battuta riuscita. E ce ne sono di situazioni simpatiche e riuscite in quel puro stile beffardo toscano travestito di siciliano. Misto, in questo caso, ad un inglese comprensibilissimo e incastrato a pennello nell’intreccio di una storia double face.
Tutti bravi gli attori, con il ritmo giusto della battuta, degli sguardi, delle espressioni, della mimica. Anche il protagonista, Tanino, che ci è parso proprio un volteiriano “Candido, ovvero l’ottimismo” dei tempi moderni. E allora la vita cosa dovrebbe essere? Affanno oppure noia? No, ci sono anche la leggerezza e l’essere super partes attraverso una filosofia di vita che lascia che tutto rotoli via come in una commedia, salvo quei ricordi che talvolta drammatizzano, rendendole umane, anche le maschere più divertenti.
Cinzia Bovio



Virzì, l'ultimo erede (della commedia all'italiana)
di F.F.
Impossibile evitare subito una nota "biografica" sulla lavorazione del film, giunto nelle sale italiane dopo 8 mesi di peripezie giudiziarie. Prodotto con spreco di mezzi e "locations" americane da Cecchi Gori nel periodo della sua massima follia economica, My name is Tanino, dopo una presentazione Fuori Concorso al festival di Venezia 2002, è rimasto parcheggiato negli uffici dei curatori fallimentari del produttore fino a pochi giorni fa.
Protagonista della vicenda è appunto Gaetano, detto Tanino, un ragazzo di Castelluzzo, bella e sperduta cittadina sul mare a sud di Trapani. Un ambiente assolutamente invivibile per un adolescente sognatore e ingenuo come Tanino, stretto tra compagni intellettuali liceali ma già vetero-marxisti e una mamma impicciona che lo vuole rifilare alla bruttina locale. Il pretesto per una fuga giunge a Tanino sotto le forme di Sally, bionda ragazza americana in vacanza in Sicilia. Consumato un breve flirt con il giovane, Sally se ne riparte per il Rhode Island, dimenticando però in Italia una videocamera. Videocamera che aprirà a Tanino le porte dell'avventura nella terra dell'evasione per eccellenza nell'immaginario giovanile: gli Stati Uniti. Tanino se ne parte, solo e sprovvisto di soldi e di idee sul proprio futuro, per riportare lo strumento alla ragazza. Da qui, nella migliore tradizione del romanzo di formazione, inizieranno "picaresche e sconvolgenti avventure". Prima porterà il caos nella perfetta famiglia wasp di Sally, poi farà strada nella mafia italo-americana grazie al fidanzamento con la figlia cicciona di un boss italo-americano presentatogli da parenti emigrati negli Usa. Infine, dopo fughe su treni e per le vie di New York, farà conoscenza con l'eroe della sua mitologia underground: il film-maker Seymour Chinaski, emulo, per nome e caratterizzazione, dello scrittore Charles Bukowski. Effetto prevedibile (ma non certo per il candido Tanino) dell'incontro: il mito americano è ormai un vecchio barbone che non si cura di vivere in uno scantinato degradato e che ignora come tenere in mano una macchina da presa.
Romanzo di formazione, appunto, e di avventura, My name is Tanino è una versione italiana scanzonata e meno universale dei romanzi di Dickens e Dumas. Rispetto a D'Artagnan, anch'egli giunto nella grande città carico di sogni, Tanino è molto meno ambizioso, ma ugualmente spavaldo: le avventure in cui si imbatte sono più grandi di lui o perlomeno della sua idea del mondo. Sballottato qua e là tra eventi di cui non coglie la portata, ne esce egregiamente proprio grazie a questa incoscienza. Se il Guascone finiva capo dei Moschettieri, il castelluzzese se ne tornerà a casa senza aver capito un granché, ma senza nessuna tristezza o morale. Tanino è impersonato da Corrado Fortuna, esordiente all'epoca delle riprese, ma presente in queste settimane sugli schermi nel film Perduto Amor di Battiato. In conferenza stampa a Venezia, alla domanda su perché si fosse affidato ad un esordiente per il ruolo principale, Virzì, indicando Fortuna che sedeva accanto a lui, ha risposto "Ma come perché? Guardatelo in faccia. Avevo già scritto la sceneggiatura e me lo sono trovato davanti. Lui è Tanino! Per me è stato come incontrare Pippo o Topolino in persona". Difficile dargli torto. Presentato al regista dal fratello Carlo, autore delle musiche con il gruppo Snaporaz, l'attore è effettivamente una scelta azzeccatissima, forse la chiave della leggerezza e riuscita comica del film. Giunto, dopo il recente Baci e abbracci del '99, alla quarta regia e con alle spalle i successi di Ferie d'agosto (David di Donatello come miglior film nel 1996) e Ovosodo (Premio della giuria a Venezia '97), Virzì ha ripreso in parte lo schema base di quest'ultimo. La formula funziona perfettamente e il film, girato con abilità tecnica ancora più affinata delle altre volte, scorre via con leggerezza e tra molte risate. Ma se il confronto, inevitabilmente, si impone con le altre opere del regista, allora My name is Tanino, formalmente più ricco e curato, manca in fondo dello spessore sociologico, in forma di sberleffo, di Ferie d'agosto e pure della freschezza di Ovosodo, rispetto al quale ha anche il "difetto" di venire qualche anno dopo. Detto questo, il film è perfettamente "riuscito" grazie, oltre che alla faccia del protagonista, a un'ottima sceneggiatura, ricca di spunti e trovate comiche, firmata dallo stesso Virzì (che proprio come sceneggiatore in Tournée di Salvatores mosse i primi passi nel mondo del cinema) e i due Francesco, Piccolo e Bruni. In fondo, adesso che anche i Vanzina si sono convertiti con la svolta "seria" delle ultime opere (resta, ahinoi, Neri Parenti), film come quello di Virzì, commedia quasi pura con ritmo tenuto sempre alto, sono ormai cosa rara nel panorama italiano. Forse l'ultimo - vero - continuatore di una tradizione che il nostro cinema non farebbe male a mantenere viva.

martes, 24 de mayo de 2011

La lunga notte del '43 - Florestano Vancini (1960)


TÍTULO La lunga notte del 43
AÑO 1960 
SUBTITULOS No
DURACIÓN 110 min.
DIRECTOR Florestano Vancini
GUIÓN Ennio de Concini, Pier Paolo Pasolini. Novela: Giorgio Bassani
MÚSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA Carlo di Palma
REPARTO Belinda Lee, Enrico Maria Salerno, Gabriele Ferzetti, Nerio Bernardi, Raffaella Pelloni, Andrea Checchi
PRODUCTORA Ajace PC / EIA / Films Metzger et Woog
GÉNERO Drama | II Guerra Mundial

SINOPSIS Mientras Anna mantiene una relación al margen de su marido, enfermo de sífilis y postrado en una silla de ruedas, los líderes fascistas de Ferrara planean una violenta represalia por el asesinato de un dirigente local. (FILMAFFINITY)


Della guerra appresi fin da bambina dai racconti di mia nonna prima ancora di approfondire l’argomento a scuola e  attraverso le letture a me particolarmente care di Bassani.
Mia nonna apparteneva alla classe 1918 quindi di due anni più giovane del grande scrittore ferrarese.
Le “VRITA’” in vernacolo ferrarese come le definiva lei. Mia nonna non mentiva mai, sapevo che erano “VRITA’” perché appartenevano al suo vissuto. Un episodio vorrei ricordare: proprio nel ‘43 teneva tra le braccia la mia mamma nata da pochi mesi ed il racconto ha luogo nella loro casa di Sabbioni di Pescara - un paesino alle porte della città di Ferrara - dove i soldati tedeschi si erano fermati a dormire nei locali della casa. Si stabilivano allora dentro le case, occupando anche quella intimità del focolare domestico. L’immagine dei soldati che coccolavano la bambina e domandavano alla mia nonna  “ Wo ist dein Mann?”, “Dov’è tuo marito?” e  lei con sguardo impaurito “Lontano, in guerra!” e seguiva la risposta “Nein, tuo marito, Kaputt!!!!”  e con un gesto della mano di rifiuto mia nonna “Ma va là , va là!!!!” Il nonno tornò dopo sette lunghi anni trascorsi lontano dalla famiglia. Spesso però era la dura verità del tedesco a prevalere. “Kaputt!”
Quando circa due anni fa travolta dall’euforia emotiva della mia seconda gravidanza, rilessi quasi febbrilmente tutti i romanzi di Bassani, dalla mia memoria emersero tutte le emozioni di quei racconti dell’infanzia. Ritrovare i cari luoghi della mia città, con le sue vie più antiche e meno antiche, i palazzi, le nebbie e le antiche mura. Per non perdere, testimoniare, tramandare alle generazioni e fare Memoria!
Bassani oltre l’ammirazione riesce a suscitarmi tutta la tenerezza della relazione nipote-nonno. Nonno testimonianza, testimone e memoria delle verità drammatiche accadute durante gli anni della guerra.
Nel 1960 il racconto Una notte del '43 della raccolta Cinque storie ferraresi, libro con il quale Giorgio Bassani vinse il Premio Strega nel 1956, diventò grazie a Florestano Vancini il film La lunga notte del '43.Vancini, vista la delicatezza della vicenda narrata e tratta da un fatto realmente accaduto (l'eccidio del novembre del 1943- trasposta nel racconto di Bassani al 15 dicembre del 43- di una decina di antifascisti ferraresi davanti al muretto del castello) trovò molte difficoltà per far produrre il film visto che i produttori avrebbero preferito che la rappresaglia fosse attribuita ai nazisti anziché ai fascisti ma Vancini proseguì nel suo intento ed il film fu un grande successo.
Il film uno dei capolavori del cinema italiano, premio opera prima al XXI Festival di Venezia si svolge in una Ferrara dall’opprimente atmosfera autunnale e nebbiosa del 1943 dove ha luogo la tragedia della Storia: indifferenza, risveglio della coscienza civile, paura, cinismo.  La farmacia Barilari gestita da Anna la moglie di Pino (celebre l’ottima interpretazione di Enrico Maria Salerno) il quale reso invalido da una malattia venerea, consuma la sua vita di “assistito” al piano di sopra dell’esercizio isolato dal mondo. Ed è proprio da quella finestra che passa la maggior parte del tempo ad osservare Ferrara e ciò che avviene fuori ma che al momento della testimonianza preferirà il silenzio e l’ipocrisia. Per viltà, per orrore, per disperazione? Cito dal racconto di Bassani:“Pensava che tra poche ore, se non dalle labbra di Pino, dalla sua faccia, almeno, la verità l’avrebbe saputa. E invece niente. Non una parola, da parte sua, non uno sguardo che le permettessero di capire. Né quella mattina, né mai più. E perché, tutto questo perché? Se era sveglio, quella notte, perché non aveva mai voluto ammetterlo? Aveva paura?Ma di chi o di che con precisione”?
Il dipanarsi poi della clandestina storia d’amore tra Anna e Franco Villani inserita nel quadro di uno degli episodi più tragici non solo della città di Ferrara ma di un popolo intero.
Sul corso principale di Ferrara, sotto gli occhi vigili di Barilari, si consuma una triste tragedia: l'inquietante e diabolico Carlo Aretusi, detto Sciagura, ambisce a sostituire il federale fascista di Ferrara, Console Bolognesi, da lui ritenuto un mite burocrate. Attraverso un'imboscata ordita da Aretusi Bolognesi viene eliminato. Subito a Ferrara accorrono le squadre fasciste da altre città, inviate direttamente da Verona. Su indicazione di Aretusi vengono arrestati, come capri espiatori, alcuni antifascisti ferraresi e tra questi l'avvocato Villani, padre di Franco.
Gli antifascisti vengono fucilati nella notte proprio davanti al muretto del Castello Estense e sotto gli occhi di Barilari, sveglio e davanti alla sua finestra, che assiste impotente prima al massacro e poi al ritorno di Anna, reduce da una notte passata da Franco.



Dal racconto: “ Ricordava molto bene ogni particolare della scena: come se l’avesse, anche adesso, dinanzi agli occhi. Rivedeva corso Roma tutto vuoto, sotto la luna piena; la neve, indurita dal freddo, sparsa come una specie di polvere brillante su ogni cosa; così chiara e trasparente l’atmosfera da poter leggere le ore all’orologio del Castello, lì sopra – le quattro e ventuno, esatte-; e i cadaveri, infine, che, dal punto di dove lei li guardava, assomigliavano a tanti fagotti di stracci, e invece erano corpi umani, l’aveva capito subito”.
Oggi sul luogo dell'eccidio in Corso Martiri della Libertà rimane una lapide a ricordare i nomi dei trucidati. Film da vedere per non dimenticare.
http://www.spigolature.net/joomla/index.php?option=com_content&view=article&id=1122&Itemid=295

lunes, 23 de mayo de 2011

L'anatra all'arancia - Luciano Salce (1975)


TÍTULO L'anatra all'arancia
AÑO 1975 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 105 min.
DIRECTOR Luciano Salce
GUIÓN Bernardino Zapponi, Marc-Gilbert Sauvajon (Obra: William Douglas-Home)
MÚSICA Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA Franco Di Giacomo
REPARTO Monica Vitti, Ugo Tognazzi, Barbara Bouchet, John Richardson, Sabina De Guida, Antonio Allocca
PRODUCTORA Capital Films / Cinerix
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Un alto ejecutivo de publicidad, empeñado en lanzar en Italia el vino californiano Mamma mía, se encuentra ante una extraña situación conyugal. Su esposa le engaña con un famoso play-boy y él, en lugar de mostrar celos, decide insinuar, que a su vez, él está enamorado de una atractiva secretaria. Todo menos permitir que el matrimonio se disuelva. (FILMAFFINITY)



Il film ha ottenuto, nella stagione 1975/76, una ottima accoglienza da parte del pubblico, classificandosi al settimo posto nella graduatoria degli incassi nelle prime visioni con 1 miliardo e quasi 500 milioni di lire.  
     
  «[...] Si sente assai bene che né a Salce, regista ormai passato in posizione ausiliaria e privo d'ogni ambizione [...], né allo sceneggiatore né agli attori, né a nessuno, insomma, importa un fico secco di confezionare un prodotto che abbia almeno una certa parvenza di professionalità. [...] Persino gli attori sembrano preda d'una certa indifferenza: la Vitti sopratono e distratta oltre ogni limite, Tognazzi ormai costretto a girare a vuoto, attaccandosi al mestiere, sfruttato com'è di continuo dal nostro cinema, l'insipido John Richardson assolutamente privo di personalità [...]».
   Claudio G. Fava, Corriere Mercantile, Genova, 27 dicembre 1975.  
     
  «[...] Il film rileva tutta l'inconsistenza del testo e procede stancamente, naufragando infine nella noia. Ne vengono a risollevarlo, tutt'al contrario, le trovate di dubbio gusto con le quali Salce, regista tutt'altro che raffinato, ha infiorettato l'insieme. Quanto alla Vitti e Tognazzi, offrono una prestazione adeguata al film, vale a dire assai al di sotto del loro standard abituale».
     S.P. [Salvatore Piscicelli], Avanti!, Roma, 24 dicembre 1975.  
     
  «[...] Passato il primo quarto d'ora si è già capito il gioco e il divertimento è finito. La Vitti e Tognazzi, nei loro ruoli inverosimili, sono bravi (ma non si sono stancati di tanta stupidità?). La Bouchet, quasi sempre nuda, si lascia volentieri guardare [...]».
     M. Ac. [Mirella Acconciamessa], L 'Unità, Roma, 24 dicembre 1975.   

 
   
El marido, la adúltera, la secretaria y el "maridastro"
Ugo, un maduro cincuentón es un hombre de posición envidiable, triunfa en el campo de la publicidad; no tiene rival en cuanto a saber lanzar al mercado cualquier producto. Pero de pronto su repentina felicidad se trastoca cuando su mujer Lisa, le confiesa inocentemente que le pone los "tubos" con Jean Claude, un apuesto playboy mucho más joven, de ojos azules y tez bronceada. Pero Ugo es un marido moderno y lejos de despecharse y enfrentarse a su rival, opta por otra estrategia más sutil, invita a éstos dos y a su secretaria a pasar un fin de semana juntos para despedirse como dios manda. Entre los eventos que prepara el cornudo marido hay una suculenta comida que tiene como plato estrella el Pato a la naranja.
Una irregular comedia Italiana de los años setenta, que proviene de una obra teatral que en su momento cosechó un notable éxito. La obra cinematográfica se deja ver pese a tener numerosos altibajos. Lo mas destacable sin duda es el guión que contiene frases bastante ingeniosas que te permiten esbozar alguna sonrisa.
Recuerdo que cuando se estrenó la película en Bilbao estuvo bastante tiempo en cartelera (no pude verla porque entonces no tenía dieciocho años). Ahora comprendo que el tiempo prolongado que estuvo en pantalla, fue mas fruto de los desnudos de las dos chicas, que de la calidad que atesora la cinta, que no pasa de interesante... siendo generosos.
Recomendable para los amantes de la comedia Italiana... que no sean excesivamente exigentes.
Walter Neff
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/789068.html

En el prefacio del libro El glotón, publicado por Editorial Crea en Buenos Aires en 1980, a seis años de su primera edición en Italia, el talentoso y bufo actor Ugo Tognazzi, fallecido en 1990 a los 68 años, declara: "Me siento vivo delante de una olla. El aceite que dora es música para mis oídos. Sería capaz de usar el perfume de un buen tuco como loción o para después de afeitar. Un plato de tallarines entrelazados o una pieza de carne asada son para mí esculturas vitales, dignas de un Henry Moore".
Será el film Pato a la naranja, de 1975, el que le vuelva a permitir a Tognazzi, tras el rodaje de Amigos míos de Mario Monicelli, cocinar en la pantalla. Basado en una comedia francesa de gran éxito de público y de crítica, Pato a la naranja, de Luciano Salce... No deja de ser toda una invitación a la mesa, esta ágil comedia de enredos.
Muy al estilo años 60, en el tono de sus personajes, desenfadado y grotesco, Tognazzi interpreta a un exitoso hombre de mediana edad destacado en el mundo de la publicidad que comienza a ver cómo peligra su matrimonio. Es entonces que Livio ?tal el nombre del protagonista? casado desde hace siete años con Lisa, asiste con sorpresa a una gran revelación: la presencia de un tercero. Y ante ello, idas y vueltas, desvelos y enojos, nuevos lances, decide poner en movimiento una serie de estrategias.
En un largo week end, en una villa junto al mar, Livio cocinará para la flamante pareja aquel plato símbolo de su luna de miel.
Lisa esta interpretada por la siempre sorprendente Mónica Vitti. Y los acompañan la sex symbol Bárbara Bouchet y John Richardson.
Emilio A. Bellon

domingo, 22 de mayo de 2011

Le conseguenze dell'amore - Paolo Sorrentino (2004)


TÍTULO Le Conseguenze dell'amore
AÑO 2004 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 100 min.
DIRECTOR Paolo Sorrentino
GUIÓN Paolo Sorrentino
MÚSICA Pasquale Catalano
FOTOGRAFÍA Luca Bigazzi
REPARTO Toni Servillo, Olivia Magnani, Adriano Giannini, Antonio Ballerio, Gianna Paola Scaffidi, Nino D'Agata 
PRODUCTORA Medusa Produzione / Fandango / Indigo Film / Indigo Film / Medusa Film
WEB OFICIAL http://www.medusa.it/leconseguenzedellamore/
PREMIOS
2005: 5 Premios David de Donatello: Mejor película, director, guión, actor (Toni Servillo) y fotografía. 10 Nominaciones
GÉNERO Drama

SINOPSIS Todos tenemos algún secreto, pero Titta Di Girolamo tiene más de uno. Si no ¿por qué querría un hombre de cincuenta años vivir ocho en la habitación de un hotel desconocido? Ocho años sin trabajar. Ocho años fumando en silencio, sentado en el vestíbulo o en el bar del hotel, bien vestido pero sin grandes lujos. Una atroz rutina, esperando eternamente a que ocurra algo. Pero ¿qué es lo que tiene que pasar? Titta observa la vida ante él, sin expresar ningún sentimiento ni emoción. No tiene a nadie. Está solo. Es un hombre perdido a causa de la contemplación de algo escondido, pero ¿qué es?¿por qué lo contempla?¿Cuáles son los secretos inconfesables de Titta? (FILMAFFINITY)


La vita di Titta è dominata dalla solitudine, vive da otto anni in un albergo, ciondola dal letto al bagno, l’occupazione principale è la cura dell’aspetto e dell’abbigliamento. Una vita organizzata dalla mafia e dall’arrivo delle valigie cariche di denaro da ripulire in banca, finché posa lo sguardo sulla ragazza del bar che sorride». Cosa è Titta, protagonista di Le conseguenze dell’amore secondo la visione di Toni Servillo, che ne è grandioso interprete e che, a proposito del titolo, aggiunge: «Potrebbe essere un titolo di Marivaux, non voglio fare l’intellettuale ma è una storia che oscilla tra il caso e l’azzardo, che sono gli elementi del teatro di Marivaux». Servillo, che sulla scena francese ha portato Rasoi e sta definendo con il Festival d’autunno di Parigi la presentazione di Sabato, domenica, lunedì, è a Cannes con Olivia Magnani, la ragazza del bar, e il regista Paolo Sorrentino.
Sorrentino è anche autore della sceneggiatura del film, che ha scritto dopo un lungo lavoro di documentazione. «La difficoltà maggiore è che ci sono tanti testi, ma in genere descrivono i grandi processi, gli interrogatori, lo cercavo il vivere quotidiano dei mafiosi è mi hanno aiutato molto i giornalisti, raccontandomi come si vestono, come si muovono, i tic dei mafiosi. E sono state utili le intercettazioni telefoniche, in cui parlano di tutto, anche di cinema, ho sentito due mafiosi che litigavano su Il grande cocomero, dice Sorrentino. «Alcune situazioni sono inventate, ma è vero per esempio che la mafia non esita a mandare un paio di killer all’estero ad eliminare qualcuno. E il dialogo del film in cui uno dei due killer dice che dopo il delitto gli viene fame è preso dalla realtà. E in fondo Titta è come un piccolo Sindona tenuto sotto ricatto dalla mafia e sono tanti i corrieri che portano denaro in Svizzera».
L’ambientazione in Svizzera «è un elemento del film. Chi di noi, arrivando in Svizzera, soprattutto in quella italiana, non prova una sensazione di indeterminatezza? È lo stesso stato di sospensione che prova chi vive a lungo in un albergo», dice Servillo. Il quale avvicina Titta ai personaggi che ha interpretato in L’uomo in più, film d’esordio di Sorrentino, «sono persone destinate a perdere, è questo il loro fascino». Servillo ama il cinema, ma la vera passione di Servillo resta il teatro, sta per portare in scena Benjaminovvo di Franco Marcoaldi e per l’anno prossimo prepara un paio di testi di Vitaliano Trevisan (attore in Primo amore di Matteo Garrone). Se l’augurio dl Servillo è che «il film incontri un maggior numero di spettatori di quanti ne ha avuti L’uomo in più,che ha avuto ottimi risultati critici ma meritava un pubblico più vasto», la scelta di Le conseguenze dell’amore come unico titolo italiano in concorso per il regista Sorrentino è «già un grande risultato». Soddisfatto anche Domenico Procacci che lo ha prodotto con Nicola Giuliano e Medusa, anche perché «abbiamo subito trovato il distributore francese, la Ocean, la stessa di La meglio gioventù. Le aspettative? Spero che piaccia e, personalmente, mi auguro che non venga considerato un “film minore”, etnico, prediletto dai cinefili, come ha detto qualcuno tra i grandi produttori e critici italiani».
Maria Pia Fusco
Da La Repubblica, 14 maggio 2004

sábado, 21 de mayo de 2011

Il Federale - Luciano Salce (1961)


TITULO Il federale
AÑO 1961
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACION 100 min.
DIRECCION Luciano Salce
GUION Castellano e Pipolo, Luciano Salce
PRODUCTOR Isidoro Broggi, Renato Libassi
FOTOGRAFIA Erico Menczer
ESCENOGRAFIA Alberto Boccianti
MONTAJE Roberto Cinquini
MUSICA Ennio Morricone
VESTUARIO Giuliano Papi
GENERO Comedia   
INTERPRETES Y PERSONAJESUgo Tognazzi (Primo Arcovazzi), Georges Wilson (il prof. Erminio Bonafé), Gianrico Tedeschi (Arcangelo Bardacci), Elsa Vazzoler (Matilde Bardacci), Mireille Granelli (Rita Bardacci), Gianni Agus (un gerarca), Stefania Sandrelli (la vagabonda Lisa), Renzo Palmer (un partigiano), Franco Giacobini, Mimo Poli, Luciano Salce (il tenente tedesco), Gino Buzzanca, Leopoldo Valentino, Peppino De Martino, Nando Angelini, Luciano Bonanno, Jimmy, Ester Carloni, Leonardo Severini, Salvo Libassi, Edy Biagetti.

SINOPSIS Abruzzo, 1944. Fascistello diventa gerarca proprio quando il fascismo sta per cadere e fa un viaggio in sidecar con professore antifascista, da lui arrestato, che cerca di educarlo alla libertà. Per la prima volta dopo 43 film, Tognazzi lascia le macchiette per un personaggio a tutto tondo. Film di ottimo brio satirico, scritto da Castellano & Pipolo in vena e diretto con garbo da Salce.


Luciano Salce, chi era costui? A venti anni dalla sua scomparsa, sul poliedrico regista e attore, dall’aria elegantemente distaccata, attivo in ogni settore dello spettacolo, radio e televisione comprese, è sceso il silenzio.
La sua vasta produzione, pur discontinua e a volte modesta nei risultati, meriterebbe di essere presa in considerazione distaccandosi dai pregiudizi espressi all’epoca, dando risalto alla sua grande abilità nella direzione degli attori, ai quali sapeva attribuire il giusto spazio, permettendogli di esprimersi al meglio delle loro possibilità interpretative, nonché all’innato gusto per la satira sociale, con un sarcasmo dai toni amari e uno sguardo disilluso sulla decadenza morale del nostro paese in un arco temporale che va dagli anni sessanta agli anni ottanta.
Il suo debutto cinematografico avviene in Brasile, dove si era trasferito nel 1950:per la casa di produzione Vera Cruz dirige, nel ’53, la commedia Una pulga na balanca e il dramma Floradas na serra; tornato in Italia, dirige Le pillole di Ercole(1960); il successivo Il federale, sceneggiato da Castellano e Pipolo, e dallo stesso Salce, è uno dei suoi film più belli e ha il merito di consacrare Ugo Tognazzi come attore completo, capace di sfumature ironiche e drammatiche, allontanandolo definitivamente dai soliti ruoli in asfittici filmetti girati alla buona,sfruttando la sua popolarità televisiva.
“Buca…buca con acqua…”, il graduato delle brigate nere Primo Arcovazzi (Tognazzi)in sella al suo sidecar segnala al professore Bonafè(George Wilson) che gli sta a fianco tutte le asperità della strada che stanno percorrendo per giungere a Roma:la sua missione consiste nel consegnare alla milizia tedesca che occupa la città(siamo nel’44) il professore, che i partigiani hanno designato come futuro presidente del consiglio; se riuscirà nell’impresa sarà nominato federale; lungo il viaggio attraverso un’Italia squassata dalla guerra, tra imprevisti vari e cambio di mezzi, si delineano le loro psicologie, il milite fanatico ottusamente tronfio della sua idelogia e il professore ambiguo intellettuale che vorrebbe solo stare tranquillo a leggere l’amato Leopardi e che dispensa lezioni morali dall’alto della sua cultura; giunti alle porte di Roma, Primo si assegna la divisa da federale, acquistandola dalla vagabonda Lisa(Stefania Sandrelli), che aveva già incontrato lungo il cammino:la capitale è ora in mano degli Americani e solo l’intervento di Bonafè lo salva dal linciaggio che un gruppo di partigiani sta per mettere in atto.



Accusato alla sua uscita di qualunquismo, il film,pur peccando a volte di un eccessivo macchiettismo, che da un punto di vista stilistico ne inficia l’unità, riesce,con sagace ironia, ad eliminare ogni retorica eroica delle parti coinvolte nel conflitto, delineando essenzialmente le figure di due normali individui costretti a constatare la caducità di una presunta, reciproca, superiorità dei propri ideali dinanzi all’avanzare implacabile della Storia.
https://suonalancorasam.wordpress.com/tag/luciano-salce/

viernes, 20 de mayo de 2011

Kapò - Gillo Pontecorvo (1961)


TÍTULO Kapò
AÑO 1961
IDIOMA Italiano o Alemán (Dual, en pistas separadas)
SUBTITULOS Español, Inglés y Portugués (Separados)
DURACIÓN 120 min.
DIRECTOR Gillo Pontecorvo
GUIÓN Franco Solinas & Gillo Pontecorvo
MÚSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA Goffredo Bellisario (B&W)
REPARTO Susan Strasberg, Laurent Terzieff, Emmanuelle Riva, Didi Perego, Gianni Garko
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia
PREMIOS
1960: Nominada al Oscar: Mejor película de habla no inglesa
GÉNERO Drama | Holocausto. II Guerra Mundial

SINOPSIS Edith es una joven judía deportada a un campo de exterminio, donde pierde a su familia. Ella se salva porque acepta desempeñar la función de Kapo, prisionero privilegiado cuya misión consiste en vigilar a los demás presos. Edith se adaptará a las formas brutales y despiadadas de sus carceleros hasta que se enamora de un prisionero soviético. (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
http://www.mediafire.com/?fptvi20th25sx0s
http://www.mediafire.com/?0mwn5hys3r98p4r
http://www.mediafire.com/?3xx494bk3c2f8h5
http://www.mediafire.com/?beeub5fmhq2kphi
http://www.mediafire.com/?f55j723n9emq567
http://www.mediafire.com/?17acibr4r1m7faa
http://www.mediafire.com/?4w330anueh6laup
http://www.mediafire.com/?llg3ymrbn9w6o95
http://www.mediafire.com/?ycsbphfg2f3mj9j
http://www.mediafire.com/?2ju206o87w9lpuj

Subtítulos (Español)
http://www.mediafire.com/?4t5deoew39n5jvi

Subtítulos (Inglés)
http://www.mediafire.com/?ev3erf4wffwh2d9

Subtítulos (Portugués)
http://www.mediafire.com/?47t54949eqm1nlz

Perché gli altri dimenticano, e perché non dimentichino: questo è e rimane il punto di partenza e di arrivo di Kapò. Gillo Pontecorvo ha attinto alle rievocazioni, ai diari che sull’argomento sono usciti abbastanza copiosi   anche in Italia: da quelli di Anna Frank o di Bruno Piazza a Se questo è un uomo di Primo Levi e Chi ti ama     così di Edith Bruck. Il film ha anzi non poche analogie con la prima parte dell’“autobiografia” di questa "Anna   Frank sopravvissuta”; e forse non è casuale che anche la protagonista di Kapò si chiami Edith. Pontecorvo ha   tuttavia attinto ad altri testi, a documenti e indagini storiche quali Il nazismo e lo sterminio degli   ebrei   di Poliakov e il flagello della svastica di Russell. La ricostruzione,la “cronaca” che ci offre, è fedele e attendibile: la retata, la colonna di ebrei – donne, uomini, bambini – spinta verso la camera a gas, la deportazione nei campi di lavoro, la vita in quei campi, la degradazione morale oltre che fisica delle prigioniere, la lotta per la sopravvivenza (“si fa presto a dire fame”). La degradazione morale raggiunge in Edith punte e sviluppi estremi: educata ai sentimenti, alla semplicità e al candore, questa quattordicenne ebrea a poco a poco, posta d’improvviso di fronte a una tragica realtà, perde ogni suo carattere originario, ogni dignità, sino a impugnare il bastone delle “Kapò”, a collaborare con i tedeschi nel mantenimento dell’”ordine” nei campi di lavoro. La progressiva e inesorabile involuzione di Edith è scandita nei suoi momenti decisivi (l’esame di controllo, la selezione delle inabili destinate alla soppressione, le calze che essa sfila dal   cadavere di una compagna morta, l’offerta della sua verginità per un pezzo di pane, e cosi via). Pontecorvo non   ha tuttavia come unica finalità quella di offrire una documentazione sui campi nazisti, e in essa descrivere un   caso di così estrema degradazione morale. Le sue ambizioni sono anche altre, e maggiori. Egli ripropone un’alternativa che rimanda al paragrafo “il cuore e la mente”, enigma pressante nella circostanza descritta e   in altre. A questa alternativa Sascia, il prigioniero sovietico che ama riamato Edith, si oppone. Il suo “cuore”  respinge un orribile calcolo, la necessità di sacrificare il singolo –Edith appunto– per la salvezza degli   altri. “Certo è mostruoso costringere gli uomini a compiere un calcolo simile, – gli dice il più anziano dei prigionieri, la “mente” che guida il piano dell’evasione, e nel quale è facile ravvisare un commissario politico. “Ma quando questo accade, diventa necessario e anche giusto. Non siamo noi a uccidere; no, non è nostra la colpa”. La seconda parte del film è in funzione di questa tematica, che per la prima volta entra nel cinema italiano in maniera così esplicita; o meglio vuole giustificare al di là del solito e consueto romanzetto, frequente anche in film del genere, la storia d’amore, conciliare lo  spettacolo, nel senso comune del termine, con un’idea che lo nobiliti, che gli dia un significato e un respiro più ampio.  


         
Le “ragioni del cuore” spingono Sascia ad avvertire Edith della sicura monte cui va incontro, aiutando   l’evasione. Ha tradito? E in ogni caso chi ha tradito? Egli rimane, alla fine, nel campo ormai divenuto un cimitero, non tenta la fuga insieme agli altri. Edith muore accanto a Karl, il tedesco per il quale contava solo la sua terra e che ora, dinanzi alla incalzante disfatta, non sa cosa fare. “Ci hanno fregato, Karl, tutti   e   due. Non è poi così necessario vivere”; e dopo aver confessato la sua vera identità, prega in ebraico: “Signore,  mio Signore, tu che spezzi le catene degli schiavi...” Nel momento stesso in cui Pontecorvo inserisce l’alternativa accennata, quando cioè passa dalla “documentazione” alla costruzione narrativa, il film cede, fino ad arrivare alla sciattezza della scena d’amore nel lavatoio comune; e anche sul piano psicologico siamo lontani  dall’accurata descrizione iniziale: Edidi che si avvia spensierata verso casa, il suo arresto, l’arrivo nel campo di sterminio, i primi contatti con un mondo così terribile, i capelli che le vengono tagliati, il camice della morta che indossa con riluttanza, l’assistere impotente, dalla finestra, al macabro spettacolo dei genitori e  degli altri ebrei che vengono sospinti verso la camera a gas. È mancata a Pontecorvo la forza, la personalità   artistica per una profonda dipendenza tra la storia d’amore e l’alternativa in essa introdotta. Il film finisce con lo svilupparsi, così, sulla falsariga di quel genere cinematografico da cui si voleva allontanare. La  recitazione di Susan Strasberg dimostra come la scuola alla quale appartiene (il sopravvalutato “Actor’s Studio”) sia, almeno in questo caso, estranea anzi elemento di disturbo per una resa sul piano dell’autenticità: il suo   viso rimane “troppo bello”, richiama l’Anna Frank edulcorata   di George Stevens; così come il volto di Laurent Tenzieff rimanda a certi “clichés” sovietici. E che dire della musica nella sequenza finale? Essa  è senza dubbio suggestiva, ma nella misura e nel gusto della regressione dei valori accennati. Né del resto il regista è riuscito a dare rilievo a altri personaggi: a Sofia, l’anziana deportata; a Thérèse, che proviene dalla borghesia e dalle file partigiane: non articolate, queste risultano figure poco chiare nei loro diversi caratteri, origini, rapporti con la protagonista.
Guido Aristarco, ‘Cinema Novo’ 1960