ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




jueves, 30 de septiembre de 2021

Gli sfiorati - Matteo Rovere (2011)

TÍTULO ORIGINAL
Gli sfiorati
AÑO
2011
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Inglés (Separados)
DURACIÓN
111 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Matteo Rovere
GUIÓN
Matteo Rovere, Laura Paolucci, Francesco Piccolo. Novela: Sandro Veronesi
MÚSICA
Andrea Farri
FOTOGRAFÍA
Vladan Radovic
REPARTO
Andrea Bosca, Miriam Giovanelli, Claudio Santamaria, Asia Argento, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Aitana Sánchez-Gijón
PRODUCTORA
Fandango Produzione, RAI Cinema
GÉNERO
Drama

Sinopsis
Narra de manera pausada el drama existencial de unos personajes perdidos y atormentados en una Roma caótica, prepotente e inmersa en sus ruinas y sus ritos cotidianos. (FILMAFFINITY)
 
2 

Per il suo secondo lungometraggio da regista, Gli sfiorati, Matteo Rovere adatta il romanzo omonimo di Sandro Veronesi senza riuscire troppo a convincere sul piano della scrittura, ma confermando le sue qualità di regista.
Indeterminatezza (non) classificabile
Un padre in comune: è questa l’unica cosa che unisce Méte e Belinda. Lui giovane ed esperto grafologo, lei adolescente inafferrabile, in bilico tra consapevolezza e scoperta di sé. Non si sono praticamente mai visti, adesso sono costretti a passare sotto lo stesso tetto la settimana che precede il matrimonio dei propri genitori. Sullo sfondo c’è una Roma caotica e inattesa, intorno a loro amici in movimento continuo, e adulti sempre alla ricerca dei propri sogni… [sinossi]
Coloro che sembrano sempre lontani e distratti, senza però essere superficiali, che non hanno punti fermi e – camaleontici – cambiano il proprio atteggiamento nell’arco di una manciata di istanti lasciandosi trascinare dagli eventi, vivendoli in profondità senza risparmiarsi: essi appartengono a una nuova categoria umana e spirituale che non ha età, sesso, razza e religione, una sorta di nuova esistenza antropologica che affronta, entra in contattato, si scontra e interagisce, in maniera imprevedibile con il tempo, lo spazio e l’altro. Una categoria che ha nel proprio dna forme di ossimoro persistenti, ma che per qualche inspiegabile alchimia riescono a coesistere lasciandola sospesa senza corda di sicurezza in equilibrio sulla fragile fune della vita. Una categoria che, se accertata, messa sotto la lente d’ingrandimento di uno dei personaggi nati dalla penna di un acclamato scrittore, diventa a sua volta il centro di una teoria scientifica capace di tramutare il suo carattere di indeterminatezza non classificabile in qualcosa di catalogabile. È a loro che richiama il romanzo Gli Sfiorati, al loro “mondo”, che Sandro Veronesi più di vent’anni fa dedicò un ritratto letterario nel suo omonimo romanzo. Adesso quel libro, e con esso coloro che abitavano le sue pagine, prendono forma e sostanza sul grande schermo nell’opera seconda di Matteo Rovere che, con l’aiuto di Francesco Piccolo e Laura Paolucci, sotto l’ala protettrice di Domenico Procacci e della Fandango, lo sottraggono alle atmosfere degli anni Ottanta per attualizzarlo ai giorni nostri. Da registrare, però, il fatto che se da una parte le lancette dell’orologio hanno continuato a scandire lo scorrere impietoso dei decenni, dall’altra vizi, virtù, pregi e difetti, degli appartenenti alla suddetta categoria sembrano essere rimasti immutati. E questo basta a spiegare perfettamente il senso e le motivazioni che hanno guidato l’operazione.

Gli Sfiorati di Matteo Rovere, che torna dietro la macchina da presa a tre anni di distanza dall’altalenante Un gioco da ragazze, si regge sull’intelligente scelta di non trasporre fedelmente l’opera originale, tradendola in gran parte, a cominciare dall’epoca e dall’intreccio narrativo che si affida alla ciclicità costruita intorno a un piano reale con brevi incisi (il volo etilico nella discoteca e le proiezioni mentali del protagonista), ma conservandone intatti lo spirito, la natura dei personaggi (anche se alcuni subiscono delle mutazioni come nel caso di quello di Belinda che nel film si barrica in casa mentre nel romanzo ha una sua vita all’esterno) e l’ambientazione, ossia una Roma dal cuore palpitante sospesa tra il giorno e la notte, percorsa in lungo e in largo da persone che si sfiorano a malapena con lo sguardo. Il regista capitolino viene messo così nelle condizioni di raccontarlo dall’interno e non di trasporlo di riflesso, di mettere in quadro storie e personaggi che conosce perché figli del suo tempo e non di quello che ha appena assaporato vista l’età riportata sulla sua carta d’identità. Piccolo e Paolucci gli cuciono addosso il film, loro che avevano avuto già modo di lavorare su un altro celebre romanzo dello scrittore toscano: quel Caos calmo la cui trasposizione cinematografica, al contrario, è rimasta fedele all’origine cartacea del 2005. Forse per questo nelle mani del giovane regista romano, il plot cinematografico e molti degli elementi che lo vanno a comporre assorbono dal libro di Veronesi temi e stilemi riconoscibili nel cinema di Rovere, già presenti in maniera embrionale nella sua pluri-premiata produzione breve (da Lexotan a Uncoventional Toys, da Sulla riva del lago a Homo Homini Lupus). Nel suo primo lungometraggio, infatti, aveva posto le basi per l’annientamento del modello della famiglia classica, per la messa in scena di un “universo” popolato da individui in perenne difficoltà con qualcosa della vita (il passato, il conflitto generazionale, il proprio stato sociale) o con l’impossibilità (incapacità) di amare l’oggetto del proprio desiderio, perché la stragrande maggioranza di loro (a partire proprio da Mete) è anaffettivo, incapace di dare e chiedere affetto nelle sue diverse sfaccettature. Ne Gli Sfiorati c’è sempre stata la traccia di tutto questo ed è su questi elementi che la trasposizione affidata a Rovere punta con decisione.

Il nuovo film del regista romano sceglie la strada della contaminazione al confine tra leggerezza e dramma. Ne scaturisce una commedia di contenuti che purtroppo non convince a pieno, anche se più matura rispetto alla precedente pellicola che aveva messo in evidenza profondi squilibri narrativi. Allora come adesso a convincere rimane lo stile e l’approccio visivo, mai manierista e ricco di soluzioni. Sa come e quando muovere la macchina da presa, a dimostrazione dell’enorme potenziale estetico a disposizione. Peccato che queste potenzialità non vadano di pari passo con la componente narrativa. C’è da dire che qui, grazie all’esperienza degli sceneggiatori che lo hanno affiancato, la scrittura acquista più sostanza dal punto di vista dialogico e strutturale, anche se lo sviluppo drammaturgico delle one line dei personaggi appare a conti fatti ancora poco delineata. Per questo forse molti dei personaggi non consentono l’immedesimazione allo spettatore di turno, quasi volerlo respingere a priori. Se Veronesi nelle pagine del suo romanzo riesce mirabilmente a mettere a disagio il lettore, coinvolgendolo però attivamente fino a fargli persino desiderare l’indesiderabile, Rovere al contrario porta sullo schermo un racconto di e sulla tentazione che lascia l’indesiderabile fuori campo.

Matteo Rovere
https://quinlan.it/2012/02/20/gli-sfiorati/

Gli Sfiorati non è dirompente allo stesso livello di quanto lo fosse lo sfrenato Un gioco da ragazze, però è ancora una volta un viaggio di Rovere sul labile delirio dell'ossessione e sulle sue conseguenze sui corpi. Il film si muove tutto nella sorta di nebbioso dormiveglia nel quale si costringe a vivere senza sosta il protagonista, in giro giorno e notte per una Roma dalla consistenza alchemica, una geografia capitolina dai contorni sfuggenti, fascinosamente fuori fuoco, probabilmente figlia soprattutto dello sceneggiatore Francesco Piccolo

Matteo Rovere ha uno sguardo interessante, che non ha paura di esagerare, fa un cinema che ha un suo carattere deciso e una certa visionarietà anche spinta e non sempre dai risultati felici, ma nel panorama italico è probabilmente difficile trovare un giovane regista altrettanto incosciente o contemporaneamente così consapevole da accettare di firmare una seconda opera come questa. Gli Sfiorati non è dirompente allo stesso livello di quanto lo fosse lo sfrenato Un gioco da ragazze, però è ancora una volta un viaggio sul labile delirio dell'ossessione e sulle sue conseguenze sui corpi: ecco, Rovere è uno dei pochi cineasti italiani di nuova generazione che sembra prestare attenzione al lavoro sui corpi dei propri personaggi, e dei propri attori (da qui non a caso il lucido utilizzo di una figura iconica potentissima com'è Asia Argento).

Il materiale è tratto dal Sandro Veronesi che aveva dato possibilità a Grimaldi di girare già una sorta di doppio sogno quasi “ferreriano” (il mare, il sesso…) con Caos Calmo, e anche stavolta il film si muove tutto sul confine tra realtà e onirismo, soprattutto nella sorta di nebbioso dormiveglia nel quale si costringe a vivere senza sosta il protagonista Méte (Andrea Bosca), che cerca in tutti i modi compagnia e occupazioni in giro per Roma per tutto il giorno e la notte pur di non tornare a casa a dormire. Nell'appartamento che occupa (non suo, ma della compagna del padre) infatti si è trasferita la conturbante sorellastra Belinda (Miriam Giovanelli), che fa una vita da reclusa senza mai mettere il piede fuori casa, e Méte teme di cedere alle pulsioni erotiche fortissime che la ragazza gli trasmette. E dunque si ritrova a vagare come un cane senza padrone, a guardare i crepuscoli, le mattine su Roma, come i primi atti della Dopostoria. E la sorella Belinda sempre più spesso lo visita nei suoi sogni ad occhi aperti, di volta in volta più audaci e mostruosamente proibiti. Qua appare fondamentale il lavoro di adattamento compiuto in sceneggiatura da Francesco Piccolo (con Laura Paolucci e lo stesso Rovere), che disegna una geografia capitolina dai contorni sfuggenti, fascinosamente fuori fuoco, fatta di cornettari aperti tutta la notte, chioschetti con i tavolini e le sedie impilate, vialoni deserti del centro che all'alba paiono vivere di luce fluorescente, feste in discoteche da vip e loft vista fori imperiali: una città che perde progressivamente la verosimiglianza “altolocata” per trasformarsi nell'erratico purgatorio di questa anima in pena, che vive in un flusso simile a quello degli improbabili documentari in loop senza sosta e senza pause delle programmazioni dei canali satellitari, di cui Méte è grande appassionato..

E Vladan Radovic, che fu sorprendente direttore della fotografia soprattutto in Sonètaula di Mereu, intuisce subito la consistenza alchemica (non a caso il protagonista è un grafologo, dunque esperto nella decifrazione dei codici…) della Roma di Rovere, e risponde con sequenze sospese e galleggianti: il riferimento centrale è quello alla Porta Magica di Piazza Vittorio, monumento esoterico di fine 1600 attraversando il quale si entrerebbe in una dimensione parallela. Quando Méte lo racconta alla ragazza che sta accompagnando in tram, lei gli sbotta di risposta: “ma che ce stai a provà?”. Ecco, questa tendenza alla sdrammatizzazione paradossalmente è l'elemento meno interessante dell'opera (Popolizio è un coatto arricchito sopraffino ma davvero (di) troppo), e la parodia del finale con canzone pop intonata sguaiatamente in coro da famiglia riunita in abitacolo di automobile (i riferimenti a un certo cinema italiano – e a un certo autore, padre di tutti gli "sfiorati" – appaiono evidenti…) magari va pure a segno, ma è decisamente un'idea sbagliata per chiudere questo film.

Sergio Sozzo
https://www.sentieriselvaggi.it/gli-sfiorati-di-matteo-rovere/

In uscita venerdì 2 marzo, Gli sfiorati è la seconda prova dietro la macchina da presa del giovane Matteo Rovere, filmaker romano classe 1982 impostosi all’attenzione del pubblico e della critica tricolore grazie al discusso Un gioco da ragazze (2008), prima tappa di una sorta di viaggio iniziatico intrapreso dal regista volto a proporre storie diverse dal solito e nuovi modi di esprimersi attraverso il mezzo cinema.
Quanto segue è un resoconto delle domande più significative poste dai giornalisti al cast della pellicola durante la conferenza stampa milanese, tenutasi lo scorso 23 febbraio presso la Terrazza Martini di Piazza Armando Diaz.
Oltre allo stesso Matteo Rovere, erano presenti i protagonisti Andrea Bosca e Miriam Giovanelli e lo scrittore Sandro Veronesi, autore dell’omonimo romanzo che ha ispirato il film.

Quali sono le principali differenze che intercorrono tra il libro e il film? E quali le similitudini?

Andrea Bosca: In sostanza, ciò che cambia dal libro al film sono i toni di narrazione.
Ciò che invece rimane del tutto invariato è questa idea di ossessione in modo così profondo sulla quale abbiamo lavorato molto.
La stessa passione/ossessione per la grafologia che ha il mio personaggio è un aspetto molto importante e al quale abbiamo dedicato una congrua attenzione.
La cosa più difficile è stata proprio imprimere la giusta efficacia a questa sorta di dipendenza - da una persona piuttosto che da una sostanza - insita un po’ in tutti i personaggi.

Leggendo il romanzo, quali sono stati i fattori che vi hanno convinto a trasporlo sul grande schermo?

Matteo Rovere: Domenico Procacci venne da me con questo romanzo e ne rimasi totalmente folgorato, al che, io e gli sceneggiatori, come diceva prima Andrea, abbiamo deciso di mantenere pressoché invariato quello che era lo spirito contenuto in quelle pagine, quindi quell’ossessione spesso tendente alla perversione che accomuna i protagonisti. Questo è stato, in pratica, il punto da cui siamo partiti e che ci ha più affascinato nell’intero romanzo.

Matteo, quali sono stati i modelli che più ti hanno ispirato?

Matteo Rovere: Semplicemente ho fatto un salto indietro a quella che è stata la mia infanzia attingendo dal cinema degli anni ’90, un’epoca alla quale devo molto e che, per questioni anagrafiche, ha contribuito più di tutte a influenzarmi in maniera positiva.

Che tipo di approccio hanno avuto gli attori nel confrontarsi con i loro personaggi e con le rispettive ossessioni?

Andrea Bosca: Come attori abbiamo dovuto confrontarci con un universo sconosciuto, sia a noi che agli spettatori. In questo, Matteo ci ha aiutato molto perché è riuscito a imprimere in ognuno di noi una parte dei personaggi che interpretavamo, di modo che, alla fine, le loro vite non risultavano così diverse dalle nostre.

Miriam Giovanelli: Per me, questa è stata la prima esperienza come attrice a tutto tondo, perché mi sono confrontata con un vero set e un vero regista che ha saputo dirigermi in tutto ciò che facevo. Anche per me vale quanto detto da Andrea, nel senso che sono riuscita a trovare nel del mio personaggio dei caratteri molto simili a ciò che sono io.

Andrea, come ti sei preparato per interpretare questo ruolo?

Andrea Bosca: Ho cominciato ad assimilarlo leggendo il libro di Sandro, dopodiché l’ho sviluppato con la sceneggiatura. E’ stato un lavoro abbastanza bizzarro perché mi sono preparato per sei mesi e, arrivato sul set, ho dovuto “dimenticare” tutto. Interpretare questo personaggio mi ha fatto capire che un attore non deve seguire sempre regole prestabilite, ma affidarsi anche a ciò che gli suggerisce l’istinto.
Poi, naturalmente, i vari corsi di grafologia che ho seguito mi hanno lasciato parecchio ed è stata un’esperienza semplicemente meravigliosa.

Matteo, che tipo di pubblico ti aspetti per questo tuo secondo film? A chi ti sei rivolto quando l’hai pensato?

Matteo Rovere: Quando si fa un film si cerca di parlare a un pubblico il più vasto possibile per un motivo fondamentalmente banale, ovvero perché si pensa che la storia che racconti possa avere un’universalità, altrimenti non la racconteresti.
Questo è un film un po’ pruriginoso e un po’ sensuale, ma allo stesso tempo molto centrato nel descrivere una società a prescindere da quelle che sono le varie fasce di spettatori.
Questo sentirsi “sfiorati” è un modo di essere che non appartiene solo ai ragazzi degli anni ’80, come sostiene Sandro Veronesi nel suo libro, ma è una cosa che, secondo me, accomuna anche gran parte delle persone nella nostra contemporaneità.

Matteo, secondo te, essere “sfiorati” è più vero adesso o lo era più negli anni ’80?

Matteo Rovere: Leggendo il romanzo ho subito pensato quanto fosse incredibile che i fatti e i personaggi raccontati fossero molto legati anche al presente. Gli “sfiorati” esistono e si stanno espandendo. Il problema è che, oggi, la “sfioratezza” non è neanche più una caratteristica ma è diventata quasi una qualità, un fatto comune che accomuna tantissime persone. Personalmente la considero quasi un’arma di difesa contro una società che attacca tutti senza distinzioni. In questo, anch’io mi sento un po’ uno “sfiorato”...

Matteo, in questo film tu racconti i giovani d’oggi, ma è curioso notare che questi, al contrario dei loro coetanei che abbiamo visto al cinema in questi ultimi tempi, non ricorrono quasi mai all’uso della tecnologia. Come lo spieghi?

Matteo Rovere: In realtà questa è una cosa in parte voluta, perché nel film ci sono diversi riferimenti a Facebook e altri social network, ma tutti i personaggi, entrando in contatto con questo mondo di “sfioratezza”, cercano quasi di riallacciarsi alle relazioni umane dimenticando la tecnologia.


Francesci Manca
https://cinema.everyeye.it/articoli/intervista-gli-sfiorati-conferenza-stampa-16270.html


 


miércoles, 29 de septiembre de 2021

La moglie vergine - Franco Martinelli (1975)

TÍTULO ORIGINAL
La moglie vergine
AÑO
1975
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
98 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Marino Girolami
GUIÓN
Marino Girolami, Carlo Veo
MÚSICA
Armando Trovajoli
FOTOGRAFÍA
Fausto Zuccoli
REPARTO
Edwige Fenech, Renzo Montagnani, Carroll Baker, Raymond Lovelock, Michele Gammino, Florence Barnes, Antonio Guidi, Maria Rosaria Riuzzi, Rosaura Marchi, Gastone Pescucci
PRODUCTORA
Fida Cinematografica, Flaminia Produzioni Cinematografiche
GÉNERO
Comedia | Erótico

Sinopsis
Cuando regresa de su luna de miel, Valentina se encuentra desolada porque su marido no ha logrado cumplir con sus obligaciones sexuales. La madre de Valentina decide entonces tomar cartas en el asunto para que todo acabe felizmente. (FILMAFFINITY)
 
2 

TRAMA LA MOGLIE VERGINE

Giovanni, un tempo efficiente, non riesce a consumare il matrimonio con Valentina, con gran sollazzo della gente e altrettanta disperazione di Lucia e Federico, rispettivamente madre e zio della sposina. Mentre gli sposi si affliggono e lo zio si vanta della sua virilità, a esasperare la situazione iungono Gianfranco e la mogliettina tedesca Brigitta, due maniaci del sesso. Il grave problema viene risolto quando Giovanni, invocando la "mamma" in una notte di tempesta, giace con la suocera mentre Valentina si lascia andare nelle braccia di un campeggiatore.

CRITICA DI LA MOGLIE VERGINE

"Priapismo e spogliarelli sono gli ingredienti di questa ennesima barzelletta all'italiana dove, assenti totalmente fantasia e buon gusto, si supplisce con abbondanza di nudo e di amplessi (...).
"(V. Spiga, 'Il Resto del Carlino', 12 febbraio 1976)

"Deprimente commediaccia alla puttanesca, una licenziosa 'Grazie suocera', in cui l'idiozia della sceneggiatura è pari soltanto alla volgarità delle situazioni e dei dialoghi. La stagionata e davvero incauta ex baby doll Carol Baker si spoglia con voluttà perdendo per svariate lunghezze l'improponibile confronto con la floridissima Edwige Fenech. Il povero Renzo Montagnani butta via un'altra fetta del suo grande talento." 
(Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 30 agosto 2001)

https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/la-moglie-vergine/13901/

Giovannino (Ray Lovelock) non riesce a soddisfare sessualmente la bella neo sposa Valentina (Edwige Fenech). Avrà il sostegno dello zio Federico (Renzo Montagnani), impenitente donnaiolo, ma soltanto la suocera Lucia (Carroll Baker) riuscirà a sbloccare la situazione.

Marino Girolami, accreditato come Franco Martinelli, firma una commedia grezza che sfrutta i temi tipici del filone sexy all'italiana: sessualità repressa, complessi edipici, nudità varie (in questo caso particolarmente abbondanti), giochi linguistici, simbologie falliche. Renzo Montagnani, maturo satiro sempre a caccia di gonnelle, è al massimo della volgarità («In questo momento c'ho un turbinio di balle che potrei anche decollare») e anche il resto del cast spinge sul pedale del triviale (a partire da Michele Gammino e Florence Barnes, lussuriosa coppia alla costante ricerca di nuovi amplessi). Alcune sequenze, comunque, colpiscono nel segno (Valentina che immagina il marito come un virile superuomo mentre emerge dalle acque) e i tentativi di seduzione di Edwige Fenech, anche se un po' ripetitivi, risultano divertenti e a tratti eccitanti. Gabriella Giorgelli è Matilde, una delle tante amanti di Federico. Sceneggiatura di Girolami e Carlo Veo, musiche di Armando Trovajoli. Enzo Jannacci è consulente per la versione milanese dei dialoghi.

https://www.longtake.it/movies/moglie-vergine-la

 

Una Fenech di rara conturbanza, da addentare come un popone maturo, alle prese con una storia di impotenza…

Impotentia coeundi. La dicitura scientifica, a non sapere quale guaio fisico adombri, non possiede un suono così terrificante. La dicitura comune, quella del volgo, è invece tremenda, enfatizza una negazione, il segno meno e racchiude il senso di una condanna, configurandosi, insieme, quale marchio d’infamia e sberleffo: “Non tira”, “Non funziona”; “Non si rizza”, con tutte le possibili, immaginifiche e coloratissime varianti dialettali. L’uomo che “nun jie la fa’…” è figura che di quando in quando ricorre nel bis italiano degli anni Settanta, benché poi il fiume carsico dell’impotenza maschile emerga, quando emerge, prevalentemente nei territori della commedia, laddove (e poiché) il riso esorcizza e smitizza un problema che nell’epoca in cui Sidenafil o Levitra dovevano ancora essere scoperti, era un grosso problema, pressoché insormontabile se sommato alla vergogna di chi ne era portatore. Qualche film serio sull’argomento lo si è anche girato, tipo La seduzione coniugale: serio solo nel senso che non si ride o se si ride, si ride oggi per l’atteggiamento terroristico con cui l’impotenza maschile viene rappresentata: maledizione, orrore, malattia e finanche colpa, dalla quale ci si redime solo con la morte.

La moglie vergine gioca fin dal titolo sulla forza dell’ossimoro. Tanto più se la moglie in questione, illibata suo malgrado, è una Edwige Fenech di rara conturbanza: curvacea, con quelle carni lievemente pesanti e deliziosamente gonfie, da addentare come un popone maturo. E invece Ray Lovelock niente: in re calidissima friget, ghiaccia cioè in una situazione bollente, e tuffatosi in tutto quel ben di dio, l’ispirazione, beffa e smacco massimi, gli si ammoscia. Di fronte alla disgrazia di Giovannino, però, la sceneggiatura di Carlo Veo e del regista Marino Girolami, non batte una strada alla fin fine così risaputa. Se in un altro film (che so: ad esempio nel Buzzanca di Le inibizioni del dottor Gaudeni vedovo col complesso della buonanima, che pure segue la stessa procedura narrativa per cui il protagonista recupera grazie alla suocera piacente e compiacente la perduta carica virile) il deficit erettile è materia di barzelletta e di date di gomito tra quanti formano il coro che assiste alla tragedia, qui Lovelock (sorprendentemente plausibile in questa chiave) diventa oggetto di pietas e di empatia da parte dei comprimari. Girolami, e non si direbbe conoscendone il grezzo curriculum, firma una commedia dulcamara in qualche modo evoluta, progressista, inossequiosa degli stereotipi che il pubblico medio di questi film si attendeva in materia.

L’opinione comune vuole La moglie vergine marcatamente più spinto delle ginecommedie – dicitura idiota, coniata da Buttafava, ma tant’è, usiamola – del periodo. Sì e no. La Fenech faceva di norma nudità frontali totali senza problemi e anche in altre circostanze s’è fatta massaggiare le tette da una donna, con tentazione cripto lesbica. Le fanciulle di contorno ci danno magari più dentro, soprattutto Florence Barnes, quando si rotola tra le lenzuola con Michele Gammino senza curarsi punto dei malandrinissimi angoli d’incidenza dell’obiettivo. Quanto a Maria Rosaria Riuzzi, la starlette più simpatica dell’intero cinema bis italiano, tempera il piccante di certe situazioni nelle risate, come quando si ritrova con Gammino a far l’amore nella dispensa, tra salumi scambiati per membri e altre amenità del genere. Carrol Backer pone il dilemma se fosse davvero invecchiata tutto d’un botto rispetto ai gialli di qualche anno prima o se la conciassero così per esigenze sceniche – ma il seno erto che sfoggia alla fine depone per la seconda. Invece, il dialogo milanese curato da Enzo Jannacci e Beppe Viola funziona poco (pensiamo a cosa poteva in un film come Romanzo polare), non per debolezza in sé ma perché le battute mal si incollano ai personaggi interpretati da attori troppo poco nordici. Scena cult: la visita dal medico Gastone Pescucci che fa vedere a Lovelock un catalogo con dei culturisti, per capire: fosse per caso frocio…

https://www.nocturno.it/movie/la-moglie-vergine/ 



martes, 28 de septiembre de 2021

Melodie immortali - Mascagni - Giacomo Gentilomo (1952)

TÍTULO ORIGINAL
Melodie immortali - Mascagni
AÑO
1952
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
96 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Giacomo Gentilomo
GUIÓN
Liana Ferri, Giacomo Gentilomo, Ivo Perilli, Piero Pierotti, Giovanna Soria. Historia: Maleno Malenotti
MÚSICA
Nino Rota
FOTOGRAFÍA
Aldo Giordani (B&W)
REPARTO
Pierre Cressoy, Carla del Poggio, Nerio Bernardi, Enzo Biliotti, Mimo Billi, Giuseppe Chinnici, Maurizio Di Nardo, Giovanni Grasso, Achille Millo, Guido Riccioli, Ciro Scafa, Roberto Bruni, Franco Scandurra, ver 9 más
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia; Ge Si, Lux Film
GÉNERO
Drama | Biográfico. Música. Ópera

Sinopsis
Biografía del compositor italiano Pietro Mascagni. (FILMAFFINITY)
 
2 

Pietro Mascagni, intento a comporre la sua prima opera, "Guglielmo Ratcliff", trascura le lezioni e viene cacciato dal conservatorio di Milano. Spinto dalla necessità, accetta il posto di direttore della compagnia d'operette Maresca, con la quale passa da una città all'altra. A Genova s'innamora di Lina, che diverrà la sua compagna, la sua ispiratrice. Un anno più tardi Mascagni si trova con la compagnia a Cerignola; sua moglie aspetta un bambino. Per sottrarre la sua compagna a quella vita randagia, Mascagni accetta il posto di direttore della filarmonica di Cerignola. Mentre si dedica alla composizione del "Ratcliff", sua moglie dà alla luce un maschietto. Ma purtroppo il piccino è gracile e poco sano: la cattiva salute è per i genitori cagione di continue angosce. Un giorno Lina prende, per caso, che la Casa Sonzogno ha bandito un concorso per un'opera in un atto. Ella segnala la notizia al marito; ma il tempo a disposizione è ristretto. Per consiglio della moglie, Mascagni si rivolge a due amici, che gli mandano a puntate i versi del libretto della "Cavalleria Rusticana", che il maestro riveste di note. Intanto il piccolo figlio muore: Mascagni non vuol più sentir parlare di concorsi, ma Lina manda di nascosto lo spartito a Sonzogno. L'opera è premiata e la sua prima rappresentazione è un trionfo.
https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/melodie-immortali/4408/


Pietro Mascagni

(Livorno, Italia, 1863 - Roma, 1945) Compositor y director de orquesta italiano. Como en el caso de su coetáneo Ruggero Leoncavallo, autor de I pagliacci, sólo una ópera entre las escritas por Pietro Mascagni, Cavalleria rusticana, ha sobrevivido al paso del tiempo.

Al igual que I pagliacci, Cavalleria rusticana era una obra de juventud, escrita en 1888, y con ella Pietro Mascagni se convirtió, junto con Umberto Giordano, Giacomo Puccini y el citado Leoncavallo, en uno de los principales adalides de la corriente verista que dominó la escena lírica italiana entre la última década del siglo XIX y las dos primeras del XX, y que se caracterizó por la descripción de ambientes y situaciones extraídos de la vida cotidiana, en ocasiones con un alto contenido melodramático.

Marcado por el éxito de esa partitura, ninguna de sus composiciones posteriores consiguió hacerse un lugar entre las preferencias de los melómanos, aunque sería injusto no mencionar títulos como L'amico Fritz (1891), que gozó de un favor relativo, Iris (1898) o Lodoletta (1917). Partidario de Mussolini, durante el régimen fascista desempeñó un papel de notable relevancia en la vida musical italiana.

Ruiza, M., Fernández, T. y Tamaro, E. (2004). Biografia de Pietro Mascagni. En Biografías y Vidas. La enciclopedia biográfica en línea. Barcelona (España).

https://www.biografiasyvidas.com/biografia/m/mascagni.htm 

Vida de Pietro Mascagni y su Cavallería rusticana

Si bien es considerado (por simples aficionados) como el compositor de un solo trabajo, Pietro Mascagni escribió otras óperas de interés y calidad. Aparte de Cavallería Rusticana, el simpático cómico L’amico Fritz, Iris, e Il Piccolo Marat poseen una gran variedad de estilos y una atmósfera agradable. Sin embargo, la primer ópera de Pietro fue tan exitosa que ningún otro de sus esfuerzos posteriores pudieron igualar el triunfo inicial. Su apego al régimen fascista de Mussolini lo convirtió en un fiel servidor durante 1920 y 1930; pero al final, este mismo apego lo desacreditó y lo llevó a la pobreza.

A pesar de que sus padres habían deseado que su hijo estudiase la carrera de derecho, Mascagni recibió algo de entrenamiento musical privado. Sin embargo, cuando comenzó a estudiar con el director del recientemente formado Instituto musicale Livornese, su padre le prohibió los estudios musicales, hasta que un tío suyo intercedió para ofrecerle al joven Pietro un hogar y medios para financiar su entrenamiento.

Estudios en el Conservatorio de Milán
Cuando Mascagni llegó al Conservatorio de Milán, permaneció allí nada más que dos años antes de embarcarse en una inestable carrera como miembro de una orquesta y ocasionalmente director de operetas. Al casarse con Lina Carbognani en 1889, tomó un puesto en Puglia como instructor musical.

Para una competencia precedida por la editorial musical Sonzogno, Mascagni presentó su tercer ópera, Caballería Rusticana, en Febrero de 1890. Al año siguiente, Pietro disfrutó de un logro mucho más sumiso junto a L’Amico Fritz. Silvano lo llevó nuevamente a una presentación en Verismo en el año 1895, sin embargo, su recepción fue menos positiva que su antigua ópera Iris, un éxito substancial de 1899 con un tema oriental muy potente.

Sus óperas más importantes
Desafortunadamente, el compositor empleaba recurrentemente como tema de sus óperas la desolación que sentía a causa de la muerte de su madre cuando él sólo tenía 10 años. En 1903 comenzó una relación ilícita con Anna Lolli que duró hasta el día de su muerte en 1945.

Mascagni continuó componiendo durante el nuevo siglo, compuso Isabeau en 1911, Parisina en 1913, Lodoletta en 1917 e Il Piccolo Marat en 1921. Al igual que en Nerone (1935), continuamente Mascagni exploraba los límites de las posibilidades vocales a través de complejas tesituras. Apareció ocasionalmente como director, más positivamente en Italia que en su gira por América en 1902-03.

https://www.pianomundo.com.ar/mascagni/


 

lunes, 27 de septiembre de 2021

Buio Omega - Joe D'Amato (1979)

TÍTULO ORIGINAL
Buio Omega
AÑO
1979
IDIOMA
Italiano y Francés (Opcionales)
SUBTÍTULOS
Español, Inglés Italiano y Portugués (Separados), Francés (Opcional)
DURACIÓN
94 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Joe D'Amato
GUIÓN
Giacomo Guerrini, Ottavio Fabbri
MÚSICA
The Goblins
FOTOGRAFÍA
Joe D'Amato
REPARTO
Kieran Canter, Cinzia Monreale, Franca Stoppi, Sam Modesto, Anna Cardini, Lucia D'Elia
PRODUCTORA
D.R. Comunicazioni di massa
GÉNERO
Terror. Thriller | Gore. Asesinos en serie

Sinopsis
Un malintencionado conjuro, debido a una sesión de brujería fallida, acaba con la vida de la joven novia de Francesco, un taxidermista. Después de ser enterrada, Francesco recupera el cadáver de la chica y decide disecarlo para poder vivir a su lado eternamente. Le ayuda una siniestra mujer, ama de llaves de la mansión donde ambos viven. Francesco se convierte, poco a poco, en un demente sin cordura alguna, que realiza cualquier acción (tortura, violación, mutilación, descuartización...) con tal de que nadie descubra su "secreto". (FILMAFFINITY)
 
1 
2 
3 

Ho paura. Provo angoscia, terrore, sgomento, E’ ancora presto per dirlo, ma tutti i sintomi convergono verso una diagnosi dolorosa, per certi versi imprevedibile. Sembrerebbe proprio che sia arrivata una pessima annata. Che il 2018 sia il nadir del cinema di genere, in specie del cinema horror, malgrado la Blumhouse, malgrado i confortanti successi commerciali di certo horror di cassetta. Ho bisogno di qualcosa di forte, che sia coraggioso, repulsivo, provocatorio, brutale. Che sia rivoluzionario, perché a me purtroppo piace guardare la rivoluzione, anziché farla. Ho bisogno di Buio Omega, di Joe D’Amato.

Piano con i like o le commemorazioni pelose, abbiate la pazienza di leggermi, e l’umiltà di approcciare il film spogliandovi di circa 40 anni di pregiudizi, cure sedative continuate, scariche di stereotipi e tabù. Buio Omega è un’opera che rende felici, per il solo fatto che esista. Un serial killer professionista, che di mestiere fa il tassidermista. Ricchissimo, orfano, impotente. Necrofilo, antropofago, feticista. Al centro di un mondo, di un girone infernale popolato da allegorie di donne, mai veramente concrete, mai veramente vive, quindi mai veramente morte se assassinate. C’è una fidanzata terminale per sortilegio, con la quale il sesso è promesso ma non consumato. C’è una autostoppista invadente e burina, da consumare – nell’acido – al trancio. Poi, una runner da giornaletto porno, morbida da mordere, una dancer da balera, sguaiata da bandire, una cognata pudibonda, buona per il talamo o per un tumulo.

Sopra tutte, c’è una governante maliziosa, austera tanto quanto carnale, che ama lo psicopatico di un amore spurio, materno muliebre filiale, ne soddisfa i desideri sessuali più puerili ed al contempo rimuove i resti delle sue atroci scorribande. Una freak, come freak di Tod Browning sono i suoi parenti. Gobble, gobble, one of us!

La complicità e la repulsione tra i due è la stessa che provo io, da spettatore ignaro, nel guardarli agire attraverso una macchina da presa impietosa e, per mia fortuna, impudica.Con una ferocia, con una autorevolezza che forse riconosco solo al Deodato di Cannibal Holocaust, Joe D’Amato mostra, esibisce, spiattella, sfrucuglia. Corpi femminili, magri o pingui. Mutilazioni, cremazioni, asportazioni. Joe D’Amato è sfidante, perchè non cerca il giudizio, cerca lo sfizio, la possibilità di affrancarsi dal ciò che si deve godendo puramente del ciò che si vede. La sfida è ardua, difficilissima da accettare, non c’è parossismo o effettaccio speciale che possa difendere lo spettatore dallo sbigottimento, anche dal fastidio per la sua guasconeria, per la sua audacia così maramalda. Il piacere della visione, liberatorio, indimenticabile, perverso nasce allora da un vero e proprio atto di sottomissione al regista, dall’accettazione e dalla consapevolezza di essere parte integrante del ritratto del serial killer che lui verga.

Prima, molto prima del celebratissimo Henry Pioggia di Sangue, contaminando i generi più estremi (più liberi) in un modo, amici miei, che è vera e propria avanguardia, Joe D’Amato  realizzava in Italia, girando a Bressanone, questo capolavoro assoluto e dissoluto. Guardare indietro, amici miei, è doveroso. Guardare indietro è un atto di resistenza.
https://dikotomiko.wordpress.com/2018/05/09/buio-omega-di-joe-damato-formidabili-quegli-anni/

Buio omega (1979) è una raccapricciante storia di necrofilia con forti tinte erotiche. Il regista del film è Joe D'Amato, uno fra i tanti nomi d'arte di Aristide Massaccesi, artigiano del cinema morto nel 1999. La trama parte quasi a voler rileggere il racconto di Lovecraft Herbert West il rianimatore, ben presto prende un'altra strada e affonda nella follia del protagonista necrofilo spalleggiato da una governante sadica e gelosa. Tutto ha inizio quando Anna (Cinzia Monreale) la giovane moglie di Francesco muore e lui decide di recuperare il cadavere per conservarlo al suo fianco, nella sua villa solitaria e gigantesca. Qualcuno però nota i suoi strani movimenti sin dal funerale di Anna e decide di vederci chiaro, mentre la situazione per Francesco e per la governante (Franca Stoppi) precipita in un susseguirsi sempre maggiore di morte e violenza. Se L'orribile segreto del dottor Hichcock di Riccardo Freda ci raccontava le attività del necrofilo più accennandole che mostrandole (siamo nel 1962), Buio omega mostra senza problemi sbudellamenti, nudità, eccitazione per il sangue, compiacimento per la violenza.

Francesco (Kieran Kanter) è un pazzo che si improvvisa profanatore di tombe pur di riavere l'amata Anna con sé, che fa di tutto pur di esaudire la sua voglia di sangue, che non ha problemi ad ammazzare chi capita se questi gli intralcia i piani. Il sangue è per lui anche eccitamento sessuale, come il fare l'amore con una ragazza avendo Anna nascosta sotto le coperte del letto vicino. Queste perversioni, questo estremizzare il sesso, porteranno Massaccesi qualche anno dopo ad intraprendere una fortunata carriera nel mondo del porno. A vederlo oggi il film non perde il suo fascino malsano, quel suo tocco originale colorato di rosso nonostante la moda splatter-finto snuff dell'epoca e regala un sano divertimento ad un pubblico di "malati". Molte le citazioni, una per tutte quelle a Psycho di Alfred Hitchcock per la passione che accomuna Francesco e Norman Bates per gli uccelli imbalsamati, e per la scena in cui la domestica ha un vestito (è complice anche il coltello che ha in mano) simile a quello della defunta signora Bates. Con Buio omega Aristide Massaccesi si avvale della musiche dei Goblin, del makeup di Cesare Biseo, delle scenografie di Donatella Donati.

Roberto Junior Fusco
http://moviecinemania.blogspot.com/2007/11/buio-omega-joe-damato.html

Pocos títulos castellanos son tan acertados como el de Demencia (Buio Omega, Joe D'Amato, 1979), porque si hay algo que abunda en esta película, además de escenas que pueden revolver el estómago del espectador con asombrosa facilidad, es demencia. Demencia y locura y perversión.

Frank (Kieran Carter) es un joven que vive una vida acomodada en su gran villa, disecando animales. Sin embargo, su felicidad se trunca cuando su guapa novia Anna (Cinzia Monreale) cae enferma y muere. Frank no sabe que la muerte ha sido provocada mediante magia negra por su ama de llaves, Iris (Franca Stoppi), la cual está enfermizamente enamorada de él. Frank decide robar el cadáver de Anna y disecarla, lo que iniciará su carrera como asesino en serie, ayudado siempre por Iris.

Más de 30 años después de que se estrenara, Buio Omega mantiene intacto todo su poder. Desde el principio, donde vemos a Iris con cara de satisfecha maldad pagando a una bruja para que le haga vudú a la pobre Anna (algo que no vuelve a aparecer en el resto de la película), el film nos sumerge en una atmósfera llena de locura, resultando en un film inquietante y perturbador. Y logra crear este efecto simplemente mostrando la enfermiza relación de sus protagonistas de forma realista y natural.

El perverso triangulo amoroso proviene de la película de la cual Buio Omega es un pseudoremake: El tercer ojo (Il terzo occhio, Mino Guerrini, 1967). Aunque dejando de lado algunas semejanzas superficiales en el argumento, ambos filmes tienen poco o nada en común.

Por supuesto, este film de D'Amato es conocido hoy día principalmente por sus escenas gore, filmadas de una manera realista que te hace sospechar si no estás viendo en realidad una cinta snuff. Aunque personalmente lo que más me atrae de la película es la perversa relación entre Frank e Iris, así como las insinuaciones de incesto y necrofilia, es innegable que los momentos gore son tremendamente impactantes. Sin embargo, la única escena que me revuelve el estómago cada vez que veo esta película (y en Blu-ray es todo un desafío) es el momento en que Iris come una especie de estofado de forma repugnante, llenándose con gula la boca y dejando que la comida caiga en la cuchara desde la boca a medio masticar, ante la horrorizada mirada de Frank, que no para de tener flashbacks del cadáver que acaban de deshacer en ácido.

Es posible que, si no fuera por las escenas de sangre e higadillos, esta película estaría mejor considerada. Porque, más allá del gore, Buio Omega nos ofrece una malsana atmósfera que rezuma perversión y demencia (para volver al título castellano) y que hará las delicias de los y las más perversos/as. No sé que pensaréis de mí al decir que disfruto viendo esta película, pero a pesar de ello me parece un film fantástico en su versión sin censurar (titulada solo Buio Omega o Beyond The Darkness en inglés [título que aparece en el Blu-ray])

http://elcinefagodelalagunanegra.blogspot.com/2015/06/demencia-buio-omega.html


 


domingo, 26 de septiembre de 2021

Agguato a Tangeri - Riccardo Freda, Jorge Grau (1957)

TÍTULO ORIGINAL
Agguato a Tangeri
AÑO
1957
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
92 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Riccardo Freda, Jorge Grau
GUIÓN
Sandro Continenza, Riccardo Freda, Vittoriano Petrilli, Paolo Spinola
MÚSICA
Lelio Luttazzi
FOTOGRAFÍA
Gábor Pogány, Francisco Sempere (B&W)
REPARTO
Edmund Purdom, Geneviève Page, Gino Cervi, José Guardiola, Félix Dafauce, Antonio Molino Rojo, Luis Peña, Amparo Rivelles
PRODUCTORA
Co-production Italia-España; Cinematografica Cervi, Producciones Ariel, Rodas P.C
GÉNERO
Drama | Crimen

Sinopsis
La Interpol intenta atrapar a una banda de narcotraficantes que opera en Tánger. (FILMAFFINITY)
 
1 
2 
3 
4 
Sub 

John Milwood, un americano che si dice sia stato espulso dagli Stati Uniti, fa la corte a Mary, figlia di Henry Bovelasco, ricco ittiologo. Questi non vede di buon occhio il giovane, che ritiene sia un cacciatore di dote: resosene conto, John lascia Mary, che l'abbandono addolora vivamente. John passa le sue serate al tabarin, di cui è proprietario un certo Gonzales, e avendo scoperto che costui e un trafficante di stupefacenti, gli propone di associarlo al proprio losco traffico. Per evitare una denuncia, Gonzales accetta la proposta ed affida a John l'incarico di far sparire il cadavere d'un agente della polizia federale americana, che nella veste di barman era riuscito ad introdursi nell'ambiente dei trafficanti di droga. Ma anche John è, in realtà, un agente, cui è stato affidato il compito di scoprire le fila del losco traffico che si svolge a Tangeri. Egli sfugge per miracolo ad un tranello tesogli da un corrotto funzionario di polizia, e tutti lo credono morto, ad eccezione di Mary, cui ha rivelato i suoi piani. Riesce così a sgominare la banda dei trafficanti, il cui capo era un ex gangster di Chicago, Henry Bovelasco.

Film italospagnolo di Riccardo Freda, basato su di una certa diligenza e, soprattutto, con notevole chiarezza narrativa. (U. Tani, "Intermezzo", 3,15/2/1958).
https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/agguato-a-tangeri/8525/


John, agente FBI in incognito, indaga a Tangeri su un grosso giro di narcotraffico. Nel tempo libero trova modo di frequentare la bella Mary, ma il facoltoso Henry Bovelasco, padre di lei, lo tiene a distanza. Ciò che John scoprirà su Henry sarà scioccante.

Con Agguato a Tangeri, Riccardo Freda – sotto pseudonimo anglofono: Robert Hampton – tenta la carta del noir: e con discreta resa in termini estetici e di intrattenimento. Ne viene infatti fuori una pellicola fosca, nebbiosa, complice anche la fotografia in bianco e nero di Gabor Pogany e la colonna sonora jazzata di Lelio Luttazzi; un film misterioso e dai personaggi, per quanto tagliati con l’accetta, gravidi di segreti, volutamente inafferrabili. La sceneggiatura è opera di un team di scrittura a otto mani composto dal regista, da Sandro Continenza, da Paolo Spinola e da Vittoriano Petrilli; la storia sostanzialmente si regge in piedi da sé, il ritmo c’è e tanto basta per gli obiettivi del lavoro. Fra gli interpreti sono in evidenza Gino Cervi, Edmund Purdom, Genevieve Page e Felix Dafauce; in veste di produttore troviamo Antonio Cervi, figlio del protagonista, che qualche anno dopo passerà dietro la macchina da presa col nomignolo di Tonino. Agguato a Tangeri è un prodottino senza tanti fronzoli, né aspettative, ma nei suoi limiti adeguatamente rifinito.

mm40
https://www.filmtv.it/film/176/agguato-a-tangeri/recensioni/944437/#rfr:none


***

In una Tangeri poco riconoscibile si muovono i fili di una complicata crime-story, dove un uomo dal passato poco chiaro si destreggia felino fra situazioni ad alto rischio di morte. Riccardo Freda, con l'eleganza e la capacità di sempre, confeziona ancora un prodotto dignitoso, guardando al mercato internazionale, penalizzato però da un budget all'italiana. La trama, non originalissima, è solo un pretesto per tenere desta l'attenzione, fra false piste e colpi di scena, dove, fra tutti, si staglia accattivante la figura di un giovane Edmund Purdon.
MEMORABILE: La recitazione stranamente "legnosa" di Gino Cervi.

Myvincent
https://www.davinotti.com/film/agguato-a-tangeri/44721

sábado, 25 de septiembre de 2021

Scarlet Diva - Asia Argento (2000)

TÍTULO ORIGINAL
Scarlet Diva
AÑO
2000
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Opcinal), Inglés y Portugués (Separados)
DURACIÓN
91 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Asia Argento
GUIÓN
Asia Argento
MÚSICA
John Hughes
FOTOGRAFÍA
Frederic Fasano
REPARTO
Asia Argento, Vera Gemma, Jean Shephard, Gianluca Arcopinto, Joe Coleman, Francesca D'Aloja, Daria Nicolodi, Leo Gullotta, Paolo Bonacelli, Peppe Lanzetta, Selen
PRODUCTORA
Opera Film Produzione
GÉNERO
Drama | Cine dentro del cine. Erótico

Sinopsis
Anna Battista, una joven actriz italiana de fama internacional, tiene las ideas muy claras en lo referente a su deseo de pasar al otro lado de la cámara y a su búsqueda de amor absoluto, pero un mundo inundado de hipocresía y corrupción como el cinematográfico acabará con sus sueños. (FILMAFFINITY)
 
1 
2 
3 

Argento, apellido de culto en el mundo del cine, sobretodo en el del género de terror. Al oír este apellido fácilmente la mente vuela hacia el que probablemente es el director por excelencia del giallo italiano Dario Argento. Pero no, hoy no hablaremos de él sino de Asia Argento, convertida ya en actriz y directora de culto por méritos propios.

Con una extensa carrera interpretativa a sus espaldas y tras realizar algunos cortos, Asia Argento se lanzó a la dirección de su primer largo, Scarlet Diva en el año 2000. En ella se narra la historia de Anna Batista, una reconocida actriz, pese a tener sólo veinticuatro años de edad, que desengañada del mundo de la interpretación decide orientar su carrera hacia la dirección.

Con este argumento es comprensible que el espectador empiece a tejer paralelismos entre la ficción y la realidad y no deje de preguntarse cuando lo que está viendo es una cosa u otra. Mientras se divaga entre estas dudas lo que aparece ante nosotros es una fascinante muestra del arte de la directora. El cine de Asia Argento no conoce límites, entendiendo límites como normas establecidas. Es libertad, fuerza y poesía pura. Una poesía sin nada de lirismos, es una poesía dura y real.

Con una cámara eternamente en movimiento y la intensidad propia de sentirse cercano a un cuerpo, propiciada por los primeros planos, viajamos por caminos de sexo, drogas, de humillaciones y de perversiones. Viajamos en el tiempo, drásticamente y sin previo aviso. Argento parece confiar plenamente en la capacidad del espectador y se deja de fundidos o difuminados innecesarios, ya que pensándolo bien, ¿quién antes de recordar su pasado o su futuro, se lo plantea? Se hace y ya está. Así vamos de tiempo pasado a tiempo futuro, de vez en cuando a tiempos deformados por las drogas. A instantes de vida tan simples como un sencillo viaje en coche con un amigo o a solas cantando y dejándose llevar por la luz y el sonido que envuelve el espacio.

Lugares indigentes, acciones crueles, sexo y excitación, amor y deseo, dolor. Acciones y sentimientos son retratados por una visión sin filtros, sin evasión y sin exageraciones. La vida tal cual es, con claroscuros. Con eternos contrastes que condensados en la vida de la “diva escarlata” hacen que el tiempo de inmersión en dicha vida no tenga ni un ápice de desperdicio.
https://filmfilicos.com/scarlet-diva?cli_action=1631213267.903


Una emoción color escarlata. Asia Argento no es una directora de cine, ni una actriz más o menos competente, hija de un director de cine y de una actriz. En todo caso, podrá ser ambas cosas, suficientemente publicitadas y acreditadas, pero sobre todo es un portento; un animal exótico criado en algún universo paralelo de la historia del cine. Scarlet Diva, su desembarco extraterrestre en la dirección, luce como una explosión insensata de colores chillones, de música, de incorrección política y de comicidad. La protagonista de la película es Anna Battista, una improbable actriz en el pináculo de su carrera. El comienzo de Scarlet Diva muestra un collage de entrevistas frenético, de notas de prensa y de declaraciones; todos quieren sacarle algo a la joven diva, la promesa del cine italiano hecha realidad que esboza sonrisas enigmáticas debajo del pelo negro azabache y la mirada desafiante. Enseguida, en unos de los giros sorpresivos que la película nos ofrece, la historia se bifurca, del mismo modo en el que estallan el tono y la banda de sonido, acaso para recordarnos, con una falta de pudor estremecedora, pero también con humor, que el cine puede ser un juego disparatado, un salto sin red en la conciencia del espectador menos desprevenido. Anna es interrumpida mientras tiene sexo violentamente con un negro que la dobla en tamaño cuando le golpean la puerta del trailer; su compañero huye acomodándose los pantalones y ella se encierra en el baño masturbándose con urgencia para terminar la tarea. Entonces, mediante un barrido de pantalla, nos encontramos con una Anna niña que es sorprendida en una faena análoga por su madre (Daria Nicolodi, madre auténtica de la directora), las piernas enrolladas alrededor de un oso de peluche. Enseguida se hace evidente que Argento no tiene entre manos una historia acerca de la fatuidad del estrellato, o de la locura inconducente del mundo del espectáculo, sino una comedia estrafalaria que tiene como eje la representación cinematográfica. Anna deambula de presentación en presentación, de una ciudad a otra. En París llega a la casa de su mejor amiga y la encuentra revuelta, y a su propia amiga desnuda, atada y golpeada. Anna la libera, vuelve el novio golpeador y les da una paliza a las dos; cuando Anna se repone los ve a los dos besándose apasionadamente y se escabulle de la casa. La aparición del novio dispara un recuerdo antiguo acerca de las dos amigas recorriendo alegremente distintos tugurios de la ciudad en busca de drogas y seduciendo con desparpajo a los dealers. Queda claro que la gracia violenta de la película reside en parte en la deriva constante, en el cambio de tono y en la falta de inhibiciones para exhibir con una empatía real los impulsos de los personajes. Pero además de eso, la asombrosa directora italiana parece todo el tiempo estar haciendo varias películas en una, o una sola película hecha con retazos, pequeños gags demenciales sobre el mundo del cine, melodrama, love story, comedia picaresca digna de Lando Buzzanca, fragmentos que estallan, parecen diluirse unos dentro de otros o se dedican a implosionar discretamente, al punto que a veces no podemos saber qué estamos viendo. Si nos distraemos un segundo no sabremos cómo Anna ha pasado de ser una devoradora de hombres a esa actriz ingenua que chilla mientras un productor inescrupuloso la corretea en pelotas por los pasillos del hotel. O esa mujer enamorada con desesperación de un cantante de rock envanecido (su banda parece un calco berreta de los extraordinarios Crime & The City Solution) que la ha abandonado y de quien lleva un hijo en el vientre. Anna Battista parece tener muchas caras, como son diversas las maneras de representarlas. Asia Argento ha hecho una película graciosa y violenta que se ve como un caleidoscopio defectuoso: cada escena parece remitir a un estado olvidado del cine en el que las imágenes nos devuelven el calor y el estremecimiento de una emoción perdida.

David Obarrio
https://cinemarama.wordpress.com/2015/04/10/dossier-asia-argento-scarlet-diva/
 

Scarlet Diva: La tórrida película casera de Asia Argento

La "aparente" femme fatale extraordinaria Asia Argento, hija del escritor y director Dario Argento y la actriz y guionista Daria Nicolodi, ha estado haciendo películas desde los nueve años ( Sogni e Bisogni 1984). Cuestiono su condición de chica mala porque su último largometraje debut Scarlet Divaes en parte una respuesta artística a esta imagen difundida por los medios italianos. En el sentido de que esta película demuestra que Asia Argento es mucho más que una provocadora sexual. Además, como la única imagen que tenemos fuera de Italia de esta actriz / directora / escritora extraordinariamente talentosa, es muy fácil pensar en Asia como la chica de los azotes del padre Argento, y olvidar que en realidad ha hecho mucho más arte italiano y películas convencionales. que las películas de terror o giallo. Asia ha protagonizado tres de las películas de su padre, Trauma (1993), (la subestimada) El síndrome de Stendhal (1996) y (la horrible) El fantasma de la ópera (1998). Además de estos, hay pequeños papeles en otras dos películas de terror, The Church (1986) y Demons 2.(1988). Eso es cinco de cerca de 30 películas (incluidas sus películas no italianas).

En plena confrontación con esta imagen, Scarlet Divaadopta la nueva tecnología digital como pocas películas lo han hecho. Como se afirma con orgullo en los créditos, la película fue filmada, anotada y editada en su totalidad en formato digital (con el lado de la exhibición muy por detrás de la producción y la postproducción, se ha transferido y proyectado en 35 mm). La naturaleza menos engorrosa del rodaje digital le da una maravillosa sensación de libertad y energía a esta película, ya que el estilo de vida de la jet-set de Asia la ve saltando de ciudad en ciudad para asistir a reuniones de prensa, sesiones de fotos, festivales de cine, audiciones de actuación y visitas con lejanos. amigos. En menos de dos horas recibimos visitas relámpago a Roma, París, Los Ángeles, Nueva York, Londres, Milán, Nápoles y Ámsterdam. La película comienza con un montaje que nos muestra el lado glamoroso del estrellato, los premios, las fotos de revistas brillantes, los fanáticos aduladores y los elogios de los medios de comunicación. de una Anna Battista (Asia Argento). Sin embargo, rasca un poco debajo de esta superficie y encontrarás el lado más oscuro del estrellato: drogas, sexo animal, sin amor, fanáticos agresivos, agentes degolladores y productores sórdidos y sexualmente abusivos. Aquellos que no tienen la piel para sobrevivir salen como solitarios y torturados emocionalmente (Anna), autodestructivos y autodestructivos (la actriz amiga de Anna, Veronica, que vive en París), drogados en el olvido sin sentido (los fotógrafos de Vogue con sede en Londres ), o descoloridos, ha sido (la madre de Anna y el artista alcohólico y drogadicto del parque de caravanas en Ámsterdam). Pero con el mundo a sus pies, lo mejor que Anna puede decir sobre sí misma es "Soy la chica más solitaria del mundo" o "Soy una puta". Cuando Anna se burla de su amigo de Los Ángeles por renunciar a su arte para convertir en trucos homosexuales, le lanza las palabras godardianas de Anna: "¿No dijiste que todos los artistas son prostitutas?" Anna parece más feliz cuando conduce sola en su auto cantando desafinada con la radio de su auto.

Pero con todos sus adornos góticos / grunge, Anna es una romántica desesperada de corazón, que se enamora locamente de su doppelganger masculino, el trágicamente hermoso cantante principal de una banda de rock similar a Velvet Underground, Kirk (el acertadamente llamado) Vaine. (Jean Shepard). La proverbial escena de 'amor a primera vista' en el bar donde Anna se encuentra por primera vez con Kirk es un ejemplo de cómo la película a menudo se desliza hacia la subjetividad hiper-emocionalizada y romantizada de Anna (una escena que recuerda el momento en Holy Fumarcuando el personaje de Kate Winslet se 'enamora' del gurú indio). Después de su única noche, Anna descubre que Kirk se va a dar un concierto en Japón. Kirk le da a Anna sus pantalones plateados y una foto de su 'padre' como recuerdo (su verdadero legado es el niño que luego nos enteramos que acaba de concebir). De acuerdo con el oscuro giro cómico de la película hacia el estrellato y la creación de mitos, la persona en la foto es Elvis Presley (dada la voz de Shepard y su apariencia e imagen en el escenario, habría identificado a su padre como Jim Morrison).

Aunque decididamente moderno en su estilo, Scarlet Diva presenta un mundo artístico no muy alejado de The Factory de los años 60 de Andy Warhol. La música, la apariencia, el estilo, todo está ahí (todo representado en los pantalones plateados del actor Jean Shepard, el cabello largo y negro azabache y los drones tipo Lou Reed). El desinterés de la película por la estructura narrativa clásica, su existencialismo temático (la búsqueda de Anna de su vocación artística) y la puesta en primer plano de un personaje femenino fuerte también recuerda el alto período modernista del cine (finales de los cincuenta y finales de los sesenta). Pero lo que distingue a Scarlet DivaAparte de esa forma de arte cinematográfico, para bien o para mal, está su aura de (a veces vergonzosamente) narcisismo y autocomplacencia. En el peor de los casos, se siente como una película casera épica; en su mejor momento, un valiente viaje a través de un país de las maravillas pecaminoso. Una línea de diálogo en particular resume muy bien el precario equilibrio de la película entre el alto existencialismo modernista y la autocomplacencia de la escuela de cine, lo que conduce a líneas increíblemente audaces como: "Tengo una personalidad oblicua que está en proporción directa con lo que me pasa". Pero los talentos precoces de Argento evitan que esto se deslice en el primero por mucho tiempo.

Anna Battista es una tapadera muy finamente disfrazada de la propia Asia. En las entrevistas, Asia ha sido franca al decir que gran parte de su propia vida está representada en la de su personaje, pero en un sentido más general que específico. En otras palabras, los eventos no deben tomarse como una copia al carbón de su vida. Pero existen paralelismos. La madre de Anna es interpretada por la madre de la actriz y guionista de la vida real de Argento, Daria Nicolodi. Cuando le dicen que no "parece italiana", responde que la madre de su padre era brasileña, lo que es cierto en el caso de Dario Argento. Cuando hace una audición para un ridículo remake de Hollywood de Cleopatra, el director interpreta a David Brandon, que es un homenaje a un papel similar que interpretó en Stagefright 1987 de Michele Soavi, protegido de Dario Argento (Asia Argento actuó en The Church de Soavi).). En un flashback, vemos morir al hermano menor de Anna cuando un automóvil lo golpea de costado. La media hermana de Asia Argento, Anna (del matrimonio anterior de Daria Nicolodi) también murió a una edad temprana (de hecho, uno de los cuatro tatuajes de Argento es el nombre de Anna). Uno también se pregunta: ¿es el ex director holandés adicto a las drogas y alcohólico que vive en la miseria de un parque de casas rodantes una referencia velada a Dario Argento (¿Asia es tan cruel?).

De hecho, Scarlet Diva me recuerda a un cruce entre el 8 1/2 de Fellini y Juliet of the Spirits . Como 8 1/2 , Anna es una "artista" frustrada, sofocada y encasillada por su éxito como actriz popular. Aquí ella anhela ser directora, mientras que la directora de 8 1/2 hace películas populares de ciencia ficción pero quiere hacer películas serias. Como Mastroianni en 8 1/2, Argento está rodeado de tipos de industrias parasitarias; ambos personajes mantienen ideales de amor y belleza; ambos personajes están condicionados (al final para Anna) por la culpa católica; y ambas películas son metacines que presentan tramas que aparentemente tratan de su propia creación. Como Julieta de los espíritus, La respuesta femenina de Fellini a 8 1/2 , Scarlet Divaes un vuelo emancipador hacia la fantasía femenina, aunque yo diría que el vuelo de Argento es mucho más liberador, más valiente y más provocador. Por puro poder emotivo como reflejo del estrellato, la belleza y la creación de imágenes, señalaría la escena en la que Anna completamente desnuda, con un cigarrillo perenne colgando de su boca, se afeita las axilas y se maquilla en el baño. La cámara permanece siempre detrás de Anna, capturando su (falsa) imagen en el espejo. En un cambio estilístico de ritmo, la escena favorece que más tiempo se apodere del corte rápido utilizado a lo largo de la película. Anna aplica metódicamente su característico delineador de ojos oscuro, pestañas y colorete rojo rubí, transformándose en una vampiresa. La 'imagen' cambia una vez más cuando comienza a mancharse los ojos y la boca con el maquillaje, cambiando su expresión de seductora a payaso con los ojos llorosos.

Como Holy Smoke , Scarlet Divaes en última instancia una película de "grrrl power", no en el sentido del cambio feminista de los roles de género de Campion, sino en la pura determinación de Anna de perseverar a toda costa. Han pasado meses entre la aventura de una noche de Anna y Kirk. Anna se entera de que Kirk toca en el mismo bar de París y decide sorprenderlo con la noticia de su inminente bebé. Llega la sorpresa, pero de otra variedad. Anna tiene su fantasía hecha añicos cuando el gerente de gira de Kirk le prohíbe ver a Kirk porque él está detrás del escenario con su "esposa e hija". Anna, angustiada emocionalmente, abandona apresuradamente el bar y comienza a correr sin rumbo fijo por las calles nocturnas. Con tacones altos y un vestido ajustado como la piel, la muy embarazada Anna no es exactamente una vista glamorosa. Pero justo cuando su mundo se derrumba, Anna experimenta una epifanía. Ella tropieza con un tramo de escaleras y se cae. Mirando hacia arriba ve una pintura de la Virgen Madonna y Cristo. La escena se corta repetidamente a tomas más cercanas de la imagen, hasta que divisamos la imagen de Anna como la Madonna. Un interesante efecto digital aporta un carcaj realista a la imagen iluminada por velas. Junto al icono en la parte superior de las escaleras, de un halo de niebla y luz celestial, aparece la silueta de Kirk con forma de Cristo (después de todo, su nombre es 'Jean [el] Shepard'). El amante de los espejismos de fantasía de Anna se le aparece por última vez. Aparece la silueta cristiana de Kirk (después de todo, su nombre es 'Jean [el] Shepard'). El amante de los espejismos de fantasía de Anna se le aparece por última vez. Aparece la silueta de Kirk en forma de Cristo (después de todo, su nombre es 'Jean [el] Shepard'). El amante de los espejismos de fantasía de Anna se le aparece por última vez.

Quizás solo en las películas una mujer embarazada bebe, fuma, se mete en una pelea de bar, se cae primero sobre el estómago con escalones de cemento y luego su médico le dice que tanto ella como su bebé están "en perfecta salud". Pero quizás ese sea el punto, que todo lo que hemos visto es 'solo una película'. Que eventos tan ridículos y personas tan absurdas solo pueden existir en la familia extendida del mundo del cine. Después de todo, Scarlet Diva 'termina' con Anna en su computadora trabajando en un guión llamado Scarlet Diva y escribiendo “Bien”. PD: No te vayas antes de los increíbles créditos finales, que forman parte de una pantalla dividida con los créditos a la derecha y a la izquierda, imágenes del libro de dibujos infantiles y garabatos poéticos de Argento, "I Love You Kirk", publicado un año. antes de la película, en 1999.  

Donato Totaro
https://offscreen.com/view/scarlet_diva
 
 
Scarlet Diva: Mini tour Asia Argento

1. Asia Argento nació en 1975 y siendo hija de Dario, por ese entonces una promesa ascendente del giallo italiano, es posible que no recuerde la primera vez que visitó un set. Y si bien hizo su primera aparición en cine con tan sólo nueve años (Demoni 2 de Lamberto Bava, 1985), fue la hija de Nanni Moretti en Palombella rossa (1989) y participó en más de una veintena de películas en los siguientes 20 años (destacan Trauma, dirigida por su padre, New Rose Hotel de Abel Ferrara y La tierra de los muertos de George Romero), podría fecharse su consagración definitiva como actriz en Mayo de 2007, mes en que llegó a Cannes como protagonista de tres películas de la competencia oficial: Boarding Gate de Olivier Assayas, Une vieille maîtresse de Catherine Breillat y Go Go Tales de Ferrara (¡mejor dúo de striptease entre ser humano y rottweiler de la historia del cine!).

2. Cada vez que veo Boarding Gate me siento ante lo que los críticos llaman un “film fallido”, cuestión asociada a la impresión de cierto malestar o disparidad en la ejecución aunque mucho más a la imposibilidad de describir dicha impresión por parte del crítico, en este caso yo. Pero de pronto el film termina y mientras suena un tema tecno de Sparks sobre los créditos, me golpea una gran emoción, me siento inquieto y repentinamente triste. En otras palabras, estoy arruinado. Boarding Gate parece estar hecha de dos películas distintas. Una primera parte, en que Assayas hace aparecer paulatinamente al personaje de Asia Argento mediante no mucho más que dos largas escenas mano a mano con Michael Madsen. El segundo de estos encuentros, un larguísimo enfrentamiento de casi 30 minutos en un pálido loft de París, le sirve a Asia para desarrollar un tour actoral que pasea sin escalas entre el ajuste de cuentas, la inesperada y cariñosa docilidad, la declaración romántica, los picos de excitación sexual, la lucha por el dominio físico y verbal de la situación, el trance, el trauma, y hasta la intervención de un ser de ciencia ficción de nombre Vortex. Luego larga la segunda etapa. Mientras Assayas pone definitivamente el pie en el acelerador, Asia salta de un avión a un taxi en Hong Kong, sube por empinados edificios, improvisa una trampa letal de vestuario, huye por laberínticas escaleras y malls atestados, acecha furtivamente a su amante. El acierto de Assayas tal vez esté en haber confiado menos en la complicada y un poco absurda red de espías y capitalismo global de la trama que en el genio actoral de Asia para atravesarla. Ella le responde apropiándose con inteligencia de los parlamentos y poniéndose al hombro los periplos de acción pura. Despega por encima del argumento en un vuelo frágil como la Música para Aeropuertos de Brian Eno.

3. Un rubro en que la crítica norteamericana suele humillar a sus colegas del resto del mundo es el correspondiente a los actores. El gran referente de esta escuela es Manny Farber, un crítico capaz de declarar un declive general del cine mientras ve crecer la asfixia de los intérpretes a manos de los directores y del tema. De esto hablaba en “La decadencia del actor”, texto de 1963 y seguramente lo mejor que se haya escrito sobre el asunto. Otro nombre importante de la tradición es el neoyorquino J. Hoberman, responsable de una enérgica celebración de Asia Argento que lleva el título de “La única razón para ver Boarding Gate”. Como también pasa con Farber, la sorprendente cantidad de variantes para nombrar a una actriz resulta una proeza. Estoy muy tentado de copiar todas estas definiciones, pero no nos sobra el espacio así que me quedo con esto: “En su performance de Boarding Gate, Asia Argento es una estrella, aunque con sus penetrantes ojos de Bette Davis y su perpetua sonrisa de pucheros, es también una mirada. No ha habido una chica mala así de insolente desde Lydia Lunch, la reina punk de fines de los 70s, ni una femme fatale así de bizarra desde la Angelina Jolie pre-humanitaria. Argento es un nexo de contradicción: una criatura de instinto premeditado, una sumisa dominatrix, humillada y al mismo tiempo triunfante”.

4. Una cita más sobre los actores: “No hay nada que deteste más que a los actores. Son amorfos, no tienen ninguna sensibilidad, no son inteligentes. Sin embargo, en cuanto paso detrás de la cámara, me convierto en actor; en aquel individuo amorfo y poco inteligente. Nadie puede condenarme por lo que digo, ya que formo parte integrante de aquello que detesto. Me convierto en la vedette egoísta, inestable, sujeta a caprichos imbéciles. Como realizador, a ese tipo lo desprecio, lo vigilo y no le dejo pasar nada”. La última: “Aparte del presidente de los Estados Unidos, nadie parece tener tantos problemas como los actores”. La primera pertenece a Jerry Lewis. La segunda también. Fin de la digresión.

5. Además de la citada performance con el perro de Go Go Tales, Asia Argento intercambió saliva con una extraña criatura acuática en El síndrome Stendhal y huyó de un pequeño pero temible mandril en La Madre de las Lágrimas. Un poco más cerca de la especie humana, enlazó a Michael Madsen como si fuese un perro en Boarding Gate, lamió caninamente una herida de bala en Une vieille maîtresse y se enfrentó a mano limpia con un par de zombies en La tierra de los muertos. Son apenas un par de ejemplos. La cuestión es que uno llega a pensar que la actuación representa, para Asia, el desafío de ponerse a sí misma en situaciones límite o al menos lo suficientemente insólitas. Un juego de audacia que se convierte en el problema de su segundo largo como directora (el primero fue Scarlet Diva, año 2000). El corazón es engañoso por sobre todas las cosas (2004) parece una película destinada a transgredir uno por uno los umbrales de lo que se le permite hacer al cine en presencia de un niño. Asia se pone a sí misma como madre adolescente, punk y drogadicta, también practicante de un estilo de libertad absoluta y de altísima virulencia. Encarnan a su hijo el pequeño Jimmy Bennett y los gemelos Cole y Dylan Sprouse, y la película es una suerte de road movie que va surgiendo de las calamidades por las que pasa el niño luego de volver a vivir con su madre tras una crianza con padres adoptivos. Es también un inventario de incorrección permanente y posee uno de los momentos más oscuros que he visto, en que luego de maquillar y vestir al niño de mujer, Asia representa un papel por lo menos enredado: interpreta a su hijo en situación de imitarla a ella mientras seduce a un tipo. Releo la última frase y pienso que hay alguna chance de que no se entienda.

6. La Madre de las Lágrimas es la última de este mini-tour Asia Argento y es la película de 2007 que no formó parte del combo consagratorio de Cannes. Como nueva colaboración entre Asia y su padre Dario, puede considerarse un regreso a las fuentes. Además, es divertidísima. Se trata de un giallo hecho y derecho en una Roma poseída por el mal y el revival gótico. Mientras la dirección sorprende por ir siempre al grano y empujar constantemente la acción hacia el siguiente nivel, Asia colabora apegándose a su rol de “chica inocente y asustada que tiene que salvar el mundo”. Y no está nada mal. El encanto de esta actuación está justamente en la precisión para poner el propio lucimiento en función del lucimiento de la película.

7. Es posible que mis amigos se entusiasmen con este ciclo dedicado a una de las actrices más sexys del mundo. También hay otros motivos para disfrutarlo. Es un ciclo sobre Asia Argento, otro sobre la posibilidad del actor como autor cinematográfico y otro hecho de una mera excusa para reunir tres películas muy distintas. Volviendo a Manny Farber, que al fin y al cabo inspira este programa, él aseguraba que el mejor momento de todo el cine de los ‘40 era uno en que Humphrey Bogart miraba repentinamente al cielo en El sueño eterno de Howard Hawks. Evidentemente, era de los que creía en el potencial autoral de cualquier fragmento de la película. Acaso un demócrata. En otra época y en las pampas, el gran Rodrigo Tarruella se reía de este tipo de ideas y contestaba sardónicamente que el autor bien podría ser el eléctrico. Una sola cosa me queda clara: el cine aparece en lugares misteriosos.
 
 

viernes, 24 de septiembre de 2021

Prigionieri del male - Mario Costa (1955)

TÍTULO ORIGINAL
Prigionieri del male
AÑO
1955
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
No
DURACIÓN
90 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Mario Costa
GUIÓN
Mario Costa, Alberto Albani Barbieri, Aldo De Benedetti, Eduardo Haro . Novela: Guido Milanesi
MÚSICA
Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA
Carlo Carlini (B&W)
REPARTO
May Britt, Francisco Rabal, Bernard Blier, Vera Carmi, Cristina Grado, Nino Manfredi, Julio Peña, Augusto Pennella
PRODUCTORA
Coproducción Italia-España; Athena Cinematografica, Hesperia Films
GÉNERO
Drama

Sinopsis
Una joven comunista rusa sobrevive a un accidente de avión junto con el padre Lorenzo, de cuyas oraciones se burlaba antes de ocurrir la tragedia. Una vez repuesta acude a Nápoles para escribir unos artículos destructivos contra la religión católica, a la que ella considera una superstición. Un hecho insólito afectará drásticamente a sus convicciones. (FILMAFFINITY)
 
1 
2 
3 

Una giovane giornalista russa, Nadia Ulianova, viene inviata in Italia per compiere un'inchiesta sul cattolicesimo, considerato naturalmente dal punto di vista comunista. A Vienna Nadia prende l'aereo che deve portarla a Roma. Tra i suoi compagni di viaggio c'è un sacerdote cattolico, Padre Lorenzo. Durante il viaggio, l'aereo, investito da un ciclone, precipita in mare; tra i superstiti vi sono Padre Lorenzo e Nadia. Il nome di quest'ultima, pubblicato dai giornali, attira l'attenzione di Elena, una signora di origine russa, sposata con un ingegnere italiano che pensa che Nadia possa essere la sua sorella minore, rimasta in Russia tanti anni prima. Cedendo ai pressanti inviti della sorella, Nadia, lasciata la clinica nella quale era ricoverata, si trasferisce a Napoli, in casa di Elena. Quando Elena, che non può avere figli, si reca col marito a Pompei per adottare un bambino, Nadia li accompagna. Poiché è atea, deride la gente che crede nella Madonna. Recatasi agli scavi, Nadia fa la conoscenza di Sergio, giovane archeologo polacco, che ha dovuto lasciare la patria in seguito alle persecuzioni comuniste. I due giovani si sentono vicendevolmente attratti da un sentimento di simpatia, che si trasforma ben presto in amore. Ma quando viene a sapere chi è Nadia e qual'è la missione che adempie in Italia, Sergio s'allontana da lei. Nadia ne è disperata ed accusa ingiustamente Padre Lorenzo, vecchio amico di Sergio, di averlo allontanato da lei; mentre il sacerdote si dà invece da fare per riconciliarli. Egli scopre però che Sergio è affetto da una terribile malattia: la lebbra. Nadia dichiara di voler star vicino all'uomo amato e quando gli incaricati dell'ufficio sanitario vengono a visitare Sergio, ella invoca in cuor suo la Madonna. L'invocato miracolo si compie: sul corpo di Sergio non c'è più alcuna traccia del terribile male. Nadia e Sergio andranno insieme a Pompei a ringraziare la Madonna.
https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/prigionieri-del-male/7817/

Si atendemos al título italiano de esta nueva adapatación de la novela de Guido Milanesi -que ya había filmado Edgar Neville en Italia con el título de La muchacha de Moscú / Sancta Maria (1942)-, veremos que la prisión que procura el mal golpea doblemente a los amantes.
Nadia (May Britt), periodista soviética que ha sobrevivido a un accidente aéreo, porque ha sido educada en el ateísmo. Su mal es espiritual, no como el del arquéologo polaco Sergio (Paco Rabal), que ha contraído la peste durante la guerra. Este mal físico, aleja irremediablemente a un hombre y una mujer que habían conseguido superar los obstáculos que en su amor habían puesto la ideología, la religión y la enemistad de sus pueblos. El padre Lorenzo (Bernard Blier), capellán de la iglesia de Santa María de Pompeya, la salvó a ella de morir ahogada e intercede cuando su relación está a punto de romperse.

Nadia y Sergio se han conocido en las excavaciones de las ruinas de Pompeya y han encontrado el amor en la celebración pagana de las fiestas de Piedigrotta. Pero su encuentro definitivo tendrá lugar sólo tras un milagro obrado por intercesión de la Virgen gracias a la conversión de Nadia.
https://www.dequevalapeli.com/peliculas/ver_blog/MzY0NQ==


Mario Costa, cineasta italiano

El cineasta italiano Mario Costa, descubridor de Gina Lollobrigida y de Silvana Mangano, falleció el domingo a la edad de 91 anos en su casa de Roma, según informaron sus familiares.Conocido como "el director de las taquillas", Costa fue un artesano que hacía películas de bajo coste que gustaban a los espectadores, aunque la crítica le olvidó. Costa fue el primero que realizó una película ópera con El barbero de Sevilla y el que inventó en Italia los filmes canción, llevando a las pantallas a Claudio Villa, Giacomo Rondinella y Luciano Tajoli.


Costa, nacido en Roma el 1 de junio de 1904, dirigió películas como Te he amado siempre, Llegan los dólares, El conquistador de Corinto, Los reyes de Francia y La Venus de los piratas. "Eran películas que agradaban al público porque había una mezcla de todo: música de Puccini, corridas de toros, flamenco y Gino Cervi (el alcalde de Don Camilo) o porque simplemente la gente salía del cine diciendo: "Me he divertido mucho y he llorado inucho", decía Costa.

Gina Lollobrigida, tercera en el concurso de Miss Italia de 1947, ganado por Lucía Bosé, debutó con Costa en la película ópera titulada El elixir de amor en ese mismo año. Además de Gina Lollobrigida y Silvana Mangano, Costa, que se quedó ciego a comienzo de la década de los ochenta, también hizo debutar en el cine a Delia Scala, Antonella Lualdi y Liana Orfei.

El productor Angelo Rizzoli le ofreció rodar tres películas con Miriam Bru, su amante, como protagonista, pero Costa se negó. El cineasta se arrepintió porque en los años sesenta se quedó sin trabajo y se vio obligado a llamar a la puerta de Rizzoli, quien le reprochó que por su culpa Miriam Bru, que se fue a rodar a Alemania y allí se enamoró de un actor, le había dejado "con un palmo de narices".

Pese a descubrir talentos y a obtener buenos éxitos de taquilla, Costa fue tan olvidado por la crítica que ni si quiera es mencionado en el Diccionario universal del cine de Editori Riuniti, el más consultado en Italia sobre el séptimo arte.
https://elpais.com/diario/1995/10/25/agenda/814575606_850215.html