TÍTULO ORIGINAL
L'allegro fantasma
AÑO
1941
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español e Inglés (Opcionales)
DURACIÓN
85 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Amleto Palermi
GUIÓN
Carlo Ludovico Bragaglia, Pier Luigi Faraldo, Ettore M. Margadonna, Amleto Palermi. Historia: Carlo Ludovico Bragaglia, Ettore M. Margadonna, Pietro Solari
MÚSICA
Dan Caslar
FOTOGRAFÍA
Vincenzo Seratrice (B&W)
REPARTO
Totò, Luigi Pavese, Franco Coop, Isa Bellini, Wilma Mangini, Thea Prandi, Paolo Stoppa, Amelia Chellini, Dina Perbellini
PRODUCTORA
Fono Film, Produzione Capitani Film
GÉNERO
Comedia
Soggetto
Pantaleo in gioventù ha avuto da una cavallerizza del circo due figli gemelli,Nicolino e Gelsomino,stabilisce quindi che il testamento venga aperto alla loro presenza.Nicolino viene scambiato per un autore di canzoni e viene accolto dalle sue tre cugine nonostante l'avversità del padre di queste che mira all'eredità.Viene quindi aiutato dalle cugine a ritrovare Gelsomino che e' il vero autore delle canzoni.Intanto dal circo scappa un leone: si tratta del terzo gemello che per vivere lavora nel circo travestito da leone.I tre gemelli si dividono l'eredità.
Critica e curiosità
Anche in questo film Totò si sdoppia ,si triplica,il film viene girato in fretta da Palermi sia perche' nel frattempo sta preparando un altro suo film ( Elisir d'amore ) ma anche perche' di lì ad un paio di mesi Totò sara' in teatro con Anna Magnani in "Quanto meno te l'aspetti" e quindi non potra' dedicare molto tempo alle riprese.
In realtà sembra anche che gran parte delle riprese fatte a Cinecittà tra novembre e dicembre del 1940 furono girate da Pier Luigi Faraldo, aiuto regista di Palermi.
Totò / Gelsomino canta " Margherita " , canzoncina d'avanspettacolo.
Nel dopoguerra il film prenderà il titolo di "Totò allegro fantasma".
Scriveva Osvaldo Scaccia, Film, IV, 42, Roma, 18 ottobre 1941:
«[...] Né registi né scrittori sono ancora riusciti a dar vita, quando si tratta di Macario e di Totò, a qualcosa che non sia la solita scena comica alla Ridolini o la solita trasposizione sullo schermo della comicità d'avanspettacolo. Ne L'allegro fantasma si ride solo per Totò, per un Totò più da rivista che da cinema, per un Totò un po' meno dialettale del solito, ma alla fine, nella sua comicità, sempre piuttosto regionale. [.. .]Nessuno, malgrado i passati esperimenti, si è provato seriamente ad adattare allo schermo questa comicità, cercando di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che non fosse un'ennesima ripetizione di quella comicità che ha fatto la fortuna teatrale del titolato macchiettista napoletano. Totò continua anche sullo schermo ad essere Totò e i canovacci dei suoi film ad essere le copie carbone di quelle scene comiche che da bambini abbiamo apprezzato attraverso l'interpretazione veloce e saltellante di Ridolini, Fatty, Buster Keaton. L'allegro fantasma non fa, in questo senso, eccezione alla regola: è una vecchia scena comica, basata essenzialmente sulle smorfie di Totò e su qualche trovatina non davvero nuova di zecca. [.. .]».
E ancora def. [Sandra de Feo], Il Messaggero, Roma, 9 ottobre 1941:
«[...] È una farsa di ordinaria fattura. Ma Totò ha l'istinto e il gusto dell'obiettivo cinematografico; e il suo mirabolante repertorio di dislocazioni facciali e vertebrali, le sue velocissime sequenze comiche, la sua incisiva nevrastenia farsesca sono assorbiti dallo schermo in modo sorprendente. Il povero Palermi, che diresse il film, sfruttò con maggiore pertinenza che nel San Giovanni decollato la tecnica dell'attore».
Pat. [Ercole Patti], Il Popolo di Roma, Roma, 9 ottobre 1941:
«Film gaio e concitato nel quale si aspettano al varco le irresistibili corsette di Totò, i suoi frenetici giri d'occhio, i suoi muti e fervidi discorsetti fatti muovendo soltanto le labbra, gli scatti della sua silenziosa e aerea follia. [...] Certe sequenze, come quella della colluttazione tra Totò e il falso cacciatore di leoni anche lui pretendente all'eredità, sono veramente felici e divertenti. Le risorse cinematografiche di Totò sono molte. Nei pochi film che egli ha fatto finora si è visto come certe sue espressioni colgano nel segno e siano di effetto immediato sul pubblico. Ma ancora il vero film di Totò, quello che sfrutti in pieno tutte le possibilità di questo attore, non è venuto fuori».
http://www.antoniodecurtis.com/fantasm.htm
Preso atto del buon esito commerciale della pellicola Palermi e Totò ci riprovano con L’allegro fantasma (marzo 1941; 85 min.), un musical comico su soggetto e sceneggiatura di Carlo Ludovico Bragaglia e Ettore Margadonna cui contribuisce lo stesso regista siciliano. I numeri musicali sono affidati al trio Primavera composto dalle giovanissime Isa Bellini, Wilma Mangini e Thea Prandi (età compresa tra i quattordici e i diciotto anni), già attivo presso l’EIAR. La storia verte intorno all’eredità del defunto Pantaleo e di tre gemelli (il vagabondo Nicolino, il compositore Gelsomino e il mimo Antonino) figli illegittimi di quest’ultimo i quali si ritrovano per la prima volta nella elegante dimora paterna e si spartiscono il piccolo tesoro con grande rabbia di buona parte degli altri parenti. Lo stile farsesco e inconsistente è il medesimo che animava San Giovanni decollato con la differenza che ai frastornanti numeri musicali, messi in atto dal portiere-ciabattino nel cortile di casa generando grande indignazione negli inquilini, si sostituiscono gradevoli canzoni a tre voci, ad una delle quali partecipa pure il comico, dando vita a uno spiritoso quartetto vocale.
Il punto di forza della pellicola consiste ovviamente nel virtuosismo interpretativo di Totò, ora alle prese con il classico espediente del triplice ruolo: così le maschere del comico si moltiplicano, proponendo nella stessa immagine la mimica furba ed estroversa del vagabondo, quella timida ed impacciata del musicista e quella sorniona del mimo (quest’ultimo peraltro “giunto in scena” solo nel finale della pellicola). Di contro la trama risulta il consueto risibile canovaccio e i personaggi di contorno sono poco più che “tappezzeria”.
Il cinema comico di Totò soffre, come si è detto, delle intermittenze tipiche di quei generi cinematografici le cui pellicole appaiono pensate per essere il mero veicolo per un mattatore o per eventi forti ed estremi (si pensi a tanto cinema orrorifico nonchè all’intera produzione hardcore). Più avanti il cinema nazionale troverà invece, nella magnifica stagione della cosiddetta commedia all’italiana degli anni sessanta e settanta, il perfetto equilibrio tra sceneggiatura e cast, racconto e performance dell’attore, realismo narrativo e fantasia degli interpreti.
Amleto Palermi muore a Roma nell’aprile 1941, a soli cinquantuno anni. L’elisir d’amore (maggio 1941), versione cinematografica della popolare opera di Donizetti (1832), esce postuma.
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http://www.giusepperausa.it/san_giovanni_decollato_e_l_all.html
Totò: una maschera
Totò interpretò dal 1898, anno della sua nascita, fino al 1967, anno della sua morte, ben 97 film, ma fino al 1945 interpretò solo sei di questi film.
Pertanto divideremo i 97 film di Totò in periodi cronologici: una parte darà il resoconto dei film fino al 1945, ovvero degli anni ‘30 e della prima metà degli anni ‘40, fino al 1945, anno in cui la Seconda guerra mondiale finì; un’altra parte darà il resoconto dei film dal 1945 fino alla fine degli anni ‘50, ovvero dei film del dopoguerra; ed una terza parte darà il resoconto degli ultimi film di Totò, ovvero dei film degli anni ‘60, fino al 1967, anno in cui Totò morì, esattamente il 15 aprile del 1967.
Diciamo subito che i film interpretati da Totò fino alla fine del 1945 risentono dell’attività teatrale del protagonista. Perciò sono film teatrali, ovvero teatro cinematografato.
Il primo dei film interpretati da Antonio De Curtis, realizzato nell’anteguerra, è Fermo con le mani, del 1937, un film che trae il titolo da una frase pronunciata la prima volta da Totò a Franco Coop, la sua “spalla” di allora, che interpretava la parte di Vincenzino, vecchio amico di Totò, la seconda e la terza volta sempre da Totò nel corso dell’incontro con il ricco signore (che è l’attore Oreste Bilancia) per accordarsi sulla parte che Totò avrebbe dovuto sostenere nel night club, e la quarta volta da Eva Flastorny (che è l’attrice Erszi Paal) al direttore d’orchestra, suo maestro di canto e innamorato di lei (che è l’attore Erminio D’Oliva).
Fermo con le mani è un film fatto di sketch autonomi, che non ha avuto grande successo di pubblico proprio per questo, perché non è dotato di una storia. E’ tratto da una commedia di Guglielmo Giannini, che fu, oltre che fondatore dell’Uomo qualunque, autore di opere letterarie, di canzoni e di opere teatrali, a carattere antiamericano e a soggetto giallo fatte per Dino Alfieri, cioè per quell’Alfieri che fu ministro della Cultura popolare. Il film fu realizzato da Gero Zambuto. Nel cast figura, nella parte della donna di servizio di Eva, una giovane Tina Pica.
Totò fa le sue gags: come quella dello snodato, o quella del direttore della banda che lo ha reso famoso. Ma non raggiunse il successo di pubblico che si aspettava.
Il secondo film di Totò è Animali pazzi, del 1939, di Carlo Ludovico Bragaglia, fratello di Anton Giulio Bragaglia, autore teatrale e proprietario del Teatro degli Indifferenti, e autore dell’unico film futurista che conserviamo, dal titolo Thaïs, ma che fu escluso dal novero dei futuristi. Anche per questo film fu scomodato un grande uomo della cultura italiana, Achille Campanile, autore di romanzi, di barzellette e di opere teatrali. Ma neanche questo film conseguì un rilevante successo di pubblico. Totò continua a fare le sue gags, come quella dello snodato, pronuncia l’espressione “quisquiglie e pinzillacchere”, che ha già pronunciato durante il primo film, fa cioè tutto ciò che l’ha reso famoso come interprete teatrale.
L’insuccesso di pubblico si spiega col fatto che tra la prima parte del film, in cui viene presentata la clinica degli animali pazzi, e il resto non c’è quasi alcun rapporto. L’unico rapporto è dato dal cavallo pazzo che Totò si trova a cavalcare tenuto stretto alla sella da una pennellata di colla e con il quale salva la bella Ninetta, caduta in un burrone, della quale s’è innamorato. Ninetta è la cugina e la promessa sposa del barone Tolomeo de’ Tolomei, celebre cavallerizzo, che però ama Maria Luisa (l’attrice Luisa Ferida, compagna dell’attore Osvaldo Valenti). Il barone è d’accordo con Totò, al quale somiglia incredibilmente, perché quest’ultimo prenda il suo posto e sposi Ninetta ed entrare così in possesso della clinica degli animali pazzi.
Va tenuto presente che sono film fatti nella seconda metà degli anni ‘30 e dopo Scipione l’Africano di Carmine Gallone e Condottieri di Luis Trenker, che furono realizzati nella seconda metà del 1937 (per la verità, Fermo con le mani fu realizzato prima di Scipione l’Africano), quando Luigi Freddi era direttore generale per la Cinematografia del Ministero per la Cultura popolare, e soprattutto che furono realizzati per presentare la cinematografia italiana sul piano internazionale con questo “fiore all’occhiello” (come diremmo oggi).
Il terzo film interpretato da Totò entro il 1945 fu San Giovanni decollato, di Amleto Palermi, del 1940. Il film fu tratto da una commedia di Nino Martoglio, che l’aveva scritta per Angelo Musco. Specie nella seconda parte, che si svolge in Sicilia, il film, sceneggiato da Cesare Zavattini, che aveva tentato nello stesso 1940 di portare a compimento Totò il buono, che poi realizzerà con De Sica nel dopoguerra sceneggiando Miracolo a Milano, che però non fu interpretato da Antonio De Curtis, risente delle sue origini teatrali. Forse per questo, anche se ottenne un successo maggiore dei precedenti film di Antonio De Curtis, divenuto noto come Totò, non segnò la svolta che ci si sarebbe aspettata. Forse Totò si sofferma troppo sulle singole parti del film che recuperano il suo teatro, come la ripetuta espressione “quisquiglie e pinzillacchere”, che in questo film compare di nuovo, oppure l’amore di Totò (che in questo film interpreta la parte di Mastr’Agostino Miciacio) per la musica, che gli fece comporre delle canzoni e che gli ha fatto fare la gag del direttore di banda. Questo film si conclude infatti con Totò che dirige la banda locale facendo esplodere dei fuochi d’artificio.
In questo film ricompare, come spalla di Totò, Franco Coop, che ha la parte di Don Raffaele il barbiere, mentre la parte di donna Concetta, moglie del portinaio-ciabattino Mastr’Agostino Miciacio, è sostenuta nientemeno che dalla sorella di Eduardo De Filippo, Titina, che era un’attrice in primo luogo teatrale.
Il quarto film interpretato da Totò fino al 1945 è L’allegro fantasma, ancora di Amleto Palermi, su un soggetto di Carlo Ludovico Bragaglia, che vedremo regista di molti film interpretati da Totò, di Ettore M. Margadonna e di Pietro Solari. Il film è del 1941. Osvaldo Scaccia scrisse su Film che «né registi né scrittori sono riusciti a dar vita, quando si tratta di Macario e di Totò, a qualcosa che non sia la solita scena comica alla Ridolini o la solita trasposizione sullo schermo della comicità d’avanspettacolo. Ne L’allegro fantasma si ride solo per Totò, per un Totò più da rivista che da cinema, per un Totò un po’ meno dialettale del solito, ma alla fine, nella sua comicità, sempre piuttosto regionale [...]. Totò continua anche sullo schermo ad essere Totò e i canovacci dei suoi film ad essere la copia carbone di quelle scene comiche che da bambini abbiamo apprezzato attraverso l’interpretazione veloce e saltellante di Ridolini, Fatty, Buster Keaton».
Questa critica conferma che Totò trasferisce nel cinema la sua arte teatrale. Infatti sebbene mantenesse, aiutato dal soggetto, la storia narrata nel film, era riuscito ad introdurre le sue gags, come quella della “gallina/snodato”, che trova posto nel film insieme all’amore di Totò per la musica, tanto che una delle parti sostenute da Totò è quella del maestro di musica Gelsomino, maestro delle tre figlie di Temistocle, parti che sono affidate al Trio Primavera, e quella, che darà luogo al miglior Totò, delle parole storpiate (Pantaleo, l’allegro fantasma, diventa Pantanelli o Pantanello).
Il film peraltro conta tra i suoi interpreti i più noti attori e caratteristi del tempo: c’è, oltre a Totò che sostiene ben tre parti, Paolo Stoppa, che sarà uno degli attori preferiti da Luigi Zampa, con il quale farà molti film negli anni ‘50, e che allora era uno degli attori teatrali più rinomati; ci sono Franco Coop, la consueta spalla di Totò, Elli Parvo e Augusto Di Giovanni, che sostiene la parte di Asdrubale, che è cugino di Temistocle e si vanta d’essere un cacciatore di leoni, il quale ha già lavorato con Totò e per il regista Amleto Palermi in San Giovanni decollato, nella parte di don Peppino; ci sono Emilio Petacci, che ha già lavorato con Totò e per Amleto Palermi in San Giovanni decollato e Luigi Pavese, uno dei caratteristi maggiormente ricercati da Totò, con il quale interpreta due dei suoi esilaranti duetti fondati sull’equivoco tra io e tu. Duetti che però renderanno famoso Mario Castellani, che prenderà, come “spalla” di Totò, il posto di Coop.
E’ vero che siamo al compimento della scommessa fatta con Hollywood (le cinque majors nel 1938, anno in cui fu varata l’istituzione del controllo dello Stato sull’importazione di pellicole dall’estero, decisero di tenere i loro film lontani dal mercato italiano, e ciò non solo darà luogo al fenomeno dei “telefoni bianchi”, ma il cinema italiano, grazie ai film dei telefoni bianchi, sta per raggiungere, nel 1942, la quota 120). Amleto Palermi, ad esempio, odiava Hollywood tanto che chiamò la cavallerizza madre dei tre gemelli Mary Astor, cioè come la diva americana. Alberto Anile, che ricorda questo particolare, avanza l’ipotesi che la Astor sia l’attrice preferita di Palermi, ma anche che «dare il suo nome ad un’artista circense serva anche a ridicolizzare Hollywood, che da qualche tempo tiene i suoi film a debita distanza dal mercato italiano». Quanto ad Antonio De Curtis, anche in questo film introduce il suo amore per la musica, per cui il Trio Primavera, allora molto popolare, che sostiene la parte di Rosa, Lilli e Titti, figlie di Temistocle, alle quali Gelsomino è molto legato, esegue diverse canzoni e lo stesso Totò esegue, nei panni di Gelsomino, la canzone “Margherita”, una canzone tipica dell’avanspettacolo.
Il quinto dei film interpretati da Totò prima della fine della guerra è Due cuori fra le belve, che è del 1943 ed è di Giorgio C. Simonelli. Il film fu interpretato, oltre che da Antonio De Curtis, anche da Vera Carmi, apprezzata attrice di quegli anni, nonché, nella parte di Agatino, da Claudio Ermelli, che aveva già avuto parti nei film precedenti interpretati da Totò. Il film ha tra i suoi interpreti anche Primo Carnera, nella parte del re dei cannibali.
E’ un passo indietro rispetto al precedente, perché non c’è rapporto tra la prima parte (quella che si svolge sulla nave) e la seconda.
Il film è tratto dalla novella di Goffredo D’Andrea Ventimila leghe sopra i mari, ma più che della sua origine letteraria, che dà ampio spazio alla storia, risente del suo interprete principale, che è Totò ed è un attore che si è formato a teatro. Risente del teatro di Totò a tal punto che ripropone alcune delle battute che hanno reso famoso il suo interprete, tra le quali c’è anche “quisquiglie” e, aggiungiamo noi, “pinzillacchere”.
Il sesto film interpretato da Totò è uscito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, vale a dire all’inizio di dicembre del 1945: è Il ratto delle Sabine (noto anche come Il professor Tromboni) di Mario Bonnard, che in quegli anni girava Avanti c’è posto (1942), con l’esordiente per il cinema Aldo Fabrizi, e Campo de’ fiori, sempre con Aldo Fabrizi, anch’egli divenuto, come Totò, attore comico, destinato a interpretare con Totò altri film, tra i quali Guardie e ladri (1951) e I tartassati (1959).
Il film Campo de’ fiori vede la partecipazione di Anna Magnani, la quale fu attrice teatrale con Totò, e con Totò interpreterà Risate di gioia (1961). Il ratto delle Sabine è interpretato, oltre che da Totò, da Carlo Campanini, che sostiene la parte di Ernesto Molmenti, autore del dramma in versi “Il ratto delle Sabine”, che la compagnia diretta da Aristide Tromboni (Totò) si appresta a mettere in scena. Carlo Campanini girò con Totò anche I due orfanelli, del 1947, e I pompieri di Viggiù, del 1949.
Anche Il ratto delle Sabine è un film che presenta un’impostazione teatrale, nonostante i numerosi attori prettamente cinematografici o affermatisi col cinema, come Aldo Silvani (Tancredi), Olga Solbelli (Matilde), Clelia Matania (Rosina) e lo stesso Carlo Campanini. E’ teatrale a tal punto che i protagonisti recitano in versi fingendo di leggere o ripetere il dramma in versi di Ernesto Molmenti, “Il ratto delle Sabine”. E’ vero che alla fine del 1945 si è ormai ripresa l’attività cinematografica, e che i produttori americani si sono pronunciati a favore del pubblico italiano, ma è anche vero che l’attività di Totò era preminentemente teatrale e non ebbe successo di pubblico. D’altra parte, molti registi, e Mario Bonnard era tra questi, non erano consapevoli della superiorità del cinema rispetto al teatro e del radioso futuro del cinema.
Giuseppe Gubitosi
https://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/2001/III/art/R01III029.html