TÍTULO Kapò
AÑO 1961
IDIOMA Italiano o Alemán (Dual, en pistas separadas)
SUBTITULOS Español, Inglés y Portugués (Separados)
DURACIÓN 120 min.
DIRECTOR Gillo Pontecorvo
GUIÓN Franco Solinas & Gillo Pontecorvo
MÚSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA Goffredo Bellisario (B&W)
REPARTO Susan Strasberg, Laurent Terzieff, Emmanuelle Riva, Didi Perego, Gianni Garko
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia
PREMIOS
1960: Nominada al Oscar: Mejor película de habla no inglesa
GÉNERO Drama | Holocausto. II Guerra Mundial
SINOPSIS Edith es una joven judía deportada a un campo de exterminio, donde pierde a su familia. Ella se salva porque acepta desempeñar la función de Kapo, prisionero privilegiado cuya misión consiste en vigilar a los demás presos. Edith se adaptará a las formas brutales y despiadadas de sus carceleros hasta que se enamora de un prisionero soviético. (FILMAFFINITY)
Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
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Subtítulos (Español)
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Subtítulos (Inglés)
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Subtítulos (Portugués)
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Perché gli altri dimenticano, e perché non dimentichino: questo è e rimane il punto di partenza e di arrivo di Kapò. Gillo Pontecorvo ha attinto alle rievocazioni, ai diari che sull’argomento sono usciti abbastanza copiosi anche in Italia: da quelli di Anna Frank o di Bruno Piazza a Se questo è un uomo di Primo Levi e Chi ti ama così di Edith Bruck. Il film ha anzi non poche analogie con la prima parte dell’“autobiografia” di questa "Anna Frank sopravvissuta”; e forse non è casuale che anche la protagonista di Kapò si chiami Edith. Pontecorvo ha tuttavia attinto ad altri testi, a documenti e indagini storiche quali Il nazismo e lo sterminio degli ebrei di Poliakov e il flagello della svastica di Russell. La ricostruzione,la “cronaca” che ci offre, è fedele e attendibile: la retata, la colonna di ebrei – donne, uomini, bambini – spinta verso la camera a gas, la deportazione nei campi di lavoro, la vita in quei campi, la degradazione morale oltre che fisica delle prigioniere, la lotta per la sopravvivenza (“si fa presto a dire fame”). La degradazione morale raggiunge in Edith punte e sviluppi estremi: educata ai sentimenti, alla semplicità e al candore, questa quattordicenne ebrea a poco a poco, posta d’improvviso di fronte a una tragica realtà, perde ogni suo carattere originario, ogni dignità, sino a impugnare il bastone delle “Kapò”, a collaborare con i tedeschi nel mantenimento dell’”ordine” nei campi di lavoro. La progressiva e inesorabile involuzione di Edith è scandita nei suoi momenti decisivi (l’esame di controllo, la selezione delle inabili destinate alla soppressione, le calze che essa sfila dal cadavere di una compagna morta, l’offerta della sua verginità per un pezzo di pane, e cosi via). Pontecorvo non ha tuttavia come unica finalità quella di offrire una documentazione sui campi nazisti, e in essa descrivere un caso di così estrema degradazione morale. Le sue ambizioni sono anche altre, e maggiori. Egli ripropone un’alternativa che rimanda al paragrafo “il cuore e la mente”, enigma pressante nella circostanza descritta e in altre. A questa alternativa Sascia, il prigioniero sovietico che ama riamato Edith, si oppone. Il suo “cuore” respinge un orribile calcolo, la necessità di sacrificare il singolo –Edith appunto– per la salvezza degli altri. “Certo è mostruoso costringere gli uomini a compiere un calcolo simile, – gli dice il più anziano dei prigionieri, la “mente” che guida il piano dell’evasione, e nel quale è facile ravvisare un commissario politico. “Ma quando questo accade, diventa necessario e anche giusto. Non siamo noi a uccidere; no, non è nostra la colpa”. La seconda parte del film è in funzione di questa tematica, che per la prima volta entra nel cinema italiano in maniera così esplicita; o meglio vuole giustificare al di là del solito e consueto romanzetto, frequente anche in film del genere, la storia d’amore, conciliare lo spettacolo, nel senso comune del termine, con un’idea che lo nobiliti, che gli dia un significato e un respiro più ampio.
Le “ragioni del cuore” spingono Sascia ad avvertire Edith della sicura monte cui va incontro, aiutando l’evasione. Ha tradito? E in ogni caso chi ha tradito? Egli rimane, alla fine, nel campo ormai divenuto un cimitero, non tenta la fuga insieme agli altri. Edith muore accanto a Karl, il tedesco per il quale contava solo la sua terra e che ora, dinanzi alla incalzante disfatta, non sa cosa fare. “Ci hanno fregato, Karl, tutti e due. Non è poi così necessario vivere”; e dopo aver confessato la sua vera identità, prega in ebraico: “Signore, mio Signore, tu che spezzi le catene degli schiavi...” Nel momento stesso in cui Pontecorvo inserisce l’alternativa accennata, quando cioè passa dalla “documentazione” alla costruzione narrativa, il film cede, fino ad arrivare alla sciattezza della scena d’amore nel lavatoio comune; e anche sul piano psicologico siamo lontani dall’accurata descrizione iniziale: Edidi che si avvia spensierata verso casa, il suo arresto, l’arrivo nel campo di sterminio, i primi contatti con un mondo così terribile, i capelli che le vengono tagliati, il camice della morta che indossa con riluttanza, l’assistere impotente, dalla finestra, al macabro spettacolo dei genitori e degli altri ebrei che vengono sospinti verso la camera a gas. È mancata a Pontecorvo la forza, la personalità artistica per una profonda dipendenza tra la storia d’amore e l’alternativa in essa introdotta. Il film finisce con lo svilupparsi, così, sulla falsariga di quel genere cinematografico da cui si voleva allontanare. La recitazione di Susan Strasberg dimostra come la scuola alla quale appartiene (il sopravvalutato “Actor’s Studio”) sia, almeno in questo caso, estranea anzi elemento di disturbo per una resa sul piano dell’autenticità: il suo viso rimane “troppo bello”, richiama l’Anna Frank edulcorata di George Stevens; così come il volto di Laurent Tenzieff rimanda a certi “clichés” sovietici. E che dire della musica nella sequenza finale? Essa è senza dubbio suggestiva, ma nella misura e nel gusto della regressione dei valori accennati. Né del resto il regista è riuscito a dare rilievo a altri personaggi: a Sofia, l’anziana deportata; a Thérèse, che proviene dalla borghesia e dalle file partigiane: non articolate, queste risultano figure poco chiare nei loro diversi caratteri, origini, rapporti con la protagonista.
Guido Aristarco, ‘Cinema Novo’ 1960
Por si acaso, hay subtítulos en inglés, castellano e italiano para esta pela en http://www.opensubtitles.org/en/search/sublanguageid-all/idmovie-23622
ResponderEliminarLo que seguramente habrá que hacer es adaptarlos, pues son en 1 y 2 CDs, ambas versiones aparentemente con pesos distintos a la que se ha subido aquí.
Gracias Amatcord!
Gracias por la colaboración.
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