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domingo, 15 de mayo de 2011

L'ape regina - Marco Ferreri (1963)


TÍTULO L’ape regina 
AÑO 1963 
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 90 min.
DIRECTOR Marco Ferreri
GUIÓN Goffredo Parise, Rafael Azcona, Marco Ferreri, Diego Fabbri, Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa
MÚSICA Teo Usuelli
FOTOGRAFÍA Ennio Guarnieri
REPARTO Ugo Tognazzi, Marina Vlady, Walter Giller, Linda Sini, Riccardo Fellini, Gian Luigi Polidoro, Nino Vingelli, Achille Majeroni
PRODUCTORA Copoducción Italia-Francia; Sancro Film / Cocinor / Les Films Marceau 
PREMIOS
1962: Festival de Cannes: Mejor actriz (Marina Vlady). Nominada a la Palma de Oro
1963: Globos de Oro: Nominada a la mejor actriz dramática (Marina Vlady)
GÉNERO Comedia. Drama

SINOPSIS Un hombre de 40 años, Alfonso, finalmente accede a casarse con una mujer católica, bella y virgen. Pero pronto ella, Regina, comienza a estresarse porque quiere quedarse en cinta. (FILMAFFINITY)


Curiosa e poco nota, oltre la ristretta cerchia dei cinefili e degli addetti ai lavori, la parabola artistica di Marco Ferreri, soprannominato lo “spagnolo del cinema italiano” per aver realizzato i suoi primi tre lungometraggi (El Pisito, Los Chicos e El cochecito, rispettivamente del 1958, 1959 e 1960) in terra e con lingua iberica, per poi approdare, nei Sessanta e Settanta, a una commedia (girata per lo più in Italia ma non proprio all’italiana) che si è contraddistinta per le atmosfere grottesche, lo humour nero e le forti dosi di pessimismo, fondendo sempre comico e tragico fino a virare nel dramma surreale e simbolico. Alfiere e protagonista del cinema ferreriano fu, in particolare, Ugo Tognazzi, che prestò il suo volto in pellicole come L’ape regina, La donna scimmia, Controsesso, L’uomo dei cinque palloni (episodio di Oggi, domani, dopodomani) Marcia Nuziale, L’udienza, La grande abbuffata e Non toccare la donna bianca, tutte girate nell’arco di un abbondante decennio, tra il 1963 e 1974. Proprio L’ape regina, prima pellicola in cui Ferreri diresse Tognazzi, è l’oggetto di questa analisi, ed è anche l’opera che introduce, sia pure in forma di totale commedia rispetto a più inquietanti e successive derive grottesche, i motivi del cinema ferreriano, che a ben guardare sono già ampiamente enucleabili, sia pur attenuati dal genere. In anticipo sul Sessantotto, il regista milanese comincia a tessere la sua satira feroce contro una famiglia borghese percepita come ipocrita e decadente, in cui il bigottismo cattolico e l’apparenza della rispettabilità sono un pericoloso amalgama contro cui scagliarsi e combattere, un connubio perverso che porta a paradossi palpabili, insoddisfazione, orrori assortiti ben protetti nell’intimità. L’ape regina, in questo senso, è un racconto morale emblematico, una tragicommedia che incontrò le ire dei benpensanti e pesanti tagli della censura, modifiche dei dialoghi e titolo riaggiornato in Una storia moderna: L’ape regina, che è quello con cui ancora attualmente troviamo in circolo la pellicola. L’aggiunta di Una storia moderna potrà oggi sembrare irrilevante, ma se ci pensate bene all’inizio dei Sessanta aveva sicuramente il suo peso, nell’impatto sull’opinione pubblica e sugli spettatori; ad ogni modo, nonostante tagli e modifiche, e a distanza di quasi 50 anni e contestualizzando storicamente la vicenda, nell’accostarsi a L’ape regina possiamo ancora trovare quei motivi d’interesse attraverso i quali apprezzare la pellicola. Vediamone brevemente gli snodi essenziali.
Alfonso è un commerciante quarantenne e benestante, che dirige un autosalone, ha una vita agiata ed è in procinto di contrarre matrimonio con Regina, una ragazza molto più giovane proveniente dalla buona borghesia cattolica. Regina è illibata e devota a una santa divenuta tale proprio per aver protetto con le unghie e coi denti la sua verginità – gli crebbe addirittura la barba per sventare l’oltraggio al suo corpo. Nonostante Alfonso abbia avuto sempre un discreto successo con le donne, ha scelto la ragazza perché proveniente da una famiglia che può dargli la giusta rispettabilità, essendo ella parente di uomini di Chiesa e abitando proprio in zona vaticana. Deve aspettare per consumare, e la ragazza è anche piacente e formosa, ma il fidanzamento sarà breve e il lieto momento non si fa attendere. Certo che Alfonso non avrebbe immaginato che dietro l’apparenza di fanciulla timorata di Dio si nascondesse una donna vogliosa e insaziabile, che lo porta in breve tempo allo sfinimento e al calo del desiderio, fino a che Regina non rimane incinta, con gran sollievo del marito. Una volta rimasta incinta, però, la donna comincia progressivamente a trascurare Alfonso, che peraltro perde sempre più energie e voglia di vivere: lo sfinimento fisico e psicologico si mescolano come un veleno mortale, fino alla prematura dipartita, appena quarantenne e senza nemmeno la gioia di veder nascere il figlio, per consunzione.
Un racconto morale, come evidente e come consuetudine di Marco Ferreri, che compie un’operazione abbastanza ardita per l’epoca: attaccare in simultanea sia le istituzioni sociali (la famiglia borghese fondata sul matrimonio), sia quelle religiose (la chiesa, i suoi precetti, i suoi dogmi), due facce dell' Italia democristiana e opulenta nel pieno del suo sviluppo economico. Non era ancora il Sessantotto, come detto, ma Ferreri aveva voglia di andare controcorrente, sentiva l’urgenza di usare la sua arte come una sorta di martello nietzcheano, quanto meno negli anni Sessanta. Si, perché il risveglio dal Sessantotto sarà avaro di soddisfazioni per Ferreri, ingenuamente convinto che il cinema – il suo cinema – potesse contribuire a cambiare le cose. Ed è già dal 1969 che il pessimismo surreale - li dove il surreale maschera, nemmeno poi tanto, quel  nichilismo e quel materialismo che scaturiscono dalla morte delle illusioni di cui sono pregne le pellicole dei Settanta del cineasta milanese – di Ferreri si fa più manifesto e riconoscibile, con un’opera-monologo inquietante come Dillinger è morto, nella quale le immagini cominciano a prendere il sopravvento sulla forma di narrazione classica. Tornando a L’ape regina, è bene infatti notare come Ferreri si muova ancora all’interno di una forma narrativa abbastanza lineare, nonostante il taglio di importanti scene e la fretta di un finale – anch’esso tagliato, a quanto pare – nel quale non tutto ci è spiegato nel dettaglio. Ciononostante il film è piacevole e divertente, sarcastico al punto giusto, strutturato intorno a due protagonisti davvero convincenti: un Tognazzi che comincia a mostrare le stimmate del grande attore, che dosa le espressioni con misura, ed una sorprendente Marina Vlady, che calza a pennello un personaggio ambiguo e fintamente angelicato, anch’ella mantenendosi su registri di invidiabile equilibrio recitativo. Ambedue giustamente premiati, sia pur in contesti diversi: migliore interpretazione femminile al Festival di Cannes per la Vlady, e Nastro D’Argento per Tognazzi, come attore protagonista. Tognazzi, in particolare, ci lascia di sé un prolungato e apparentemente indecifrabile primo piano, di poco precedente la sua uscita di scena, che al contrario contiene tutti i motivi contraddittori di un personaggio che, suo malgrado, si è fatto sopraffare da un meccanismo da lui stesso creato: il suo sogno di buon borghese lo ha prima consumato e poi ucciso. 



Ferreri dissemina la pellicola di personaggi emblematici, visivamente anche disturbanti: preti, suore, vecchie zie e qualche "scherzo della natura", niente che sia gradevole all’occhio dello spettatore, a parte la bella protagonista. I dialoghi sono ben costruiti, e la fotografia in bianco e nero non penalizza la pellicola, in quanto gli ambienti sono abbastanza grigi ed essenziali (tutto girato tra casa chiesa e autosalone, più una discesa nella cripta di famiglia). L’opera chiude beffarda, consumandosi lentamente, seguendo idealmente il progressivo spegnersi alla vita del protagonista, in un’atmosfera quasi distratta. L’angoscia non resta a caldo, perché Ferreri è bravo a dissimulare attraverso la commedia, ma arriva a freddo, rileggendo l’opera per quello che voleva essere ed in effetti è stata: una parabola sulla decadenza dei valori, secondo Ferreri; di più, un’inversione dei veri valori, sempre secondo l’ottica ferreriana. Logico che in molti, ancora oggi che certe convenzioni obsolete non sono più così diffuse come un tempo (sembrano superate, a volte anche in peggio, ahimé), non saranno d’accordo con lui. Il Ferreri totalmente disincantato e disilluso, come detto, è ancora a venire, ma le tracce del suo cinema coraggioso, dissacrante e anticonvenzionale – per alcuni anche noioso e avvitato su se stesso – sono qui già determinate e visibili, e proseguiranno sempre in forma di commedia, ancor più allegorica e grottesca, con La donna scimmia, in cui è protagonista una donna pelosa, esibita in un baraccone, che sposa il suo imbonitore e muore di parto. Con Tognazzi nuovamente protagonista. Un cinema da riscoprire, quello di Ferreri, ed il consiglio che posso darvi è proprio di partire da L’ape regina, una storia che forse tanto moderna non è più. A 46 anni di distanza, almeno il titolo originale potrebbero pure restituirglielo. Non vi pare?
http://www.lankelot.eu/cinema/ferreri-marco-una-storia-moderna-l-ape-regina.html

6 comentarios:

  1. Muchas gracias por esta cinta, la estaba buscando desde hace mucho tiempo. Un abrazo.

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  2. Mil gracias por traerla Amarcord y ojalá aparezcan
    los sub en castellano porque esta joyita se lo merece.

    Un cordial saludo

    Eddelon

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  3. En subdivx estan los subtitilos en español
    http://www.subdivx.com/X6XMjQ0OTI0

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  4. Están caídos los links ¿podrías resubirlos? ¡Gracias!
    Prosyon

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