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jueves, 17 de marzo de 2011

Giordano Bruno - Giuliano Montaldo (1973)


TÍTULO Giordano Bruno
AÑO 1973
IDIOMA Italiano 
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 114 min.
DIRECTOR Giuliano Montaldo
GUIÓN Giuliano Montaldo, Lucio De Caro
MÚSICA Ennio Morricone
FOTOGRAFÍA Vittorio Storaro
REPARTO Gian Maria Volontè, Hans Christian Blech, Mathieu Carrière, Renato Scarpa, Giuseppe Maffioli, Charlotte Rampling
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Compagnia Cinematografica Champion / Les Films Concordia
GÉNERO Drama | Biográfico. Siglo XVI

SINOPSIS El film narra los últimos años de la vida del filósofo Giordano Bruno (1548-1600), de 1592 a 1600. (FILMAFFINITY)

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Non importano le armi: la battaglia per la libertà d pensiero è il passo obbligato di ogni uomo civile, e più oggi che nuovi potentati minacciano di infeudarne le coscienze al mito del benessere, dell’ordine, della tecnologia. Luogo storico per eccellenza di questa battaglia è stato per secoli la chiesa cattolica, elettasi custode dell’unica verità e bersaglio d’ogni polemica intesa ad affrancare l’individuo dalla paura. Oggi la  situazione sta mutando, grazie al recupero da parte d’una zona della chiesa del valore d’ogni esperienza religiosa che non sia compromessa col potere, ma il passato è troppo ricco di delitti e di errori perché la coscienza laica non continui a trarne moniti severi, e a vedervi simbolizzato il rischio cui va incontro ogni società che identifichi la dissidenza con l’eresia. Il film che Giuliano Montaldo dedica ora Giordano Bruno è da leggere in questa prospettiva. Il suo autore per primo rinunzia infatti ai modi del vecchio anticlericalismo. I riferimenti all’attualità sono frequenti, m l’orizzonte è molto più largo: bruciato ieri dai preti, Giordano Bruno è oggi anche una vittima dello stalinismo, il su rogo è acceso anche dai militari greci e cileni. Il suo dramma è quello dei suoi giudici, venuto a noi dal Seicento, proietta un’ombra cupa su tutta l’epoca nostra e sull’incerto futuro. Nessuna ambizione monografica in Montaldo. La figura di Bruno è troppo complessa, nutrita   di religione, filosofia, scienza, magia e letteratura, e la sua vita troppo folta per sperare che il cinema,  questa sorta di nuova università popolare, riesca a esprimerla compiutamente. Il film perciò limita a descriverne gli ultimi anni, fra il 1592 e il 1600 e a brevi flash-backs, lampi della memoria, che ci fanno rivivere momenti salienti delle vicende trascorse.                                                      
Reduce da sperienze tumultuose nelle corti europee, Bruno è a Venezia, ospite di un Mocenigo che sperando d’apprendere sue presunte arti magiche lo introduce nei fastosi salotti della Serenissima. Bizzarro e sprezzante, Bruno non disdegna le sbornie e i favori delle cortigiane, ma non cessa di diffondere la sua concezione panteistica dell’universo e la sua idea d’un uomo nuovo, libero dai pregiudizi e in armonia con la natura. È chiaramente fuori della Chiesa, che ha buon gioco nel tornare ad accusarlo di miscredenza. Quando Mocenigo, impaurito e deluso, lo denunzia all’Inquisizione, Bruno finisce in carcere. Gelosa delle proprie prerogative, Venezia vorrebbe evitare le interferenze vaticane, ma la ragion di Stato prevale: benché Bruno abbia abiurato (per poter essere ancora libero di pensare e di agire), il processo si trasferisce a Roma. Qui il Papa, Clemente VIII, è pieno di dubbi, anche perché nonostante sia stato sottoposto a tortura Bruno è tornato a riaffermare le proprie idee, e il Sant’Uffizio è diviso, gli uni vedendo in lui un’erbaccia da estirpare, gli altri temendo che una condanna rechi nuovi danni alla cattolicità, già dilaniata da scismi e guerre. Quado certi suoi compagni di glera, denunciandone le teorie rivoluzionarie, vengono in  soccorso dell’ala più rigida dell’Inquisizione,   per Bruno non c’è scampo. Nonostante l’intervento del cardinale Bellarmino, il più furbo, perdurando gli amletismi del Papa, e Bruno stesso limitandosi  a confessarsi colpevole d’ingenuità, la sentenza è irreparabile. Consegnato al governatore di Roma, nel febbraio 1600 il domenicano ribelle sale sul rogo: una morsa gli chiude la bocca, mentre arde la carne nel silenzio degli astanti. Preceduto da una seria documentazione, il film continua il discorso di Montaldo sui misfatti del potere (Gottmit uns, Sacco e Vanzetti) con salda coscienza morale, soddisfacenti accenni alla situazione storica, una ricca messinscena e un sincero sforzo di penetrare il nodo tragico dei fatti. Il tentativo di fare di Bruno un precursore dei rivoluzionari socialisti, di quanti contestano la chiesa dall’interno o semplicemente degli ultimi campioni dell’antiautoritarismo, è qua e là un po’ forzato, e conduce a schematizzazioni ingrate a chi conosce bene la vita e l’opera del filosofo nolano, ma nei   limiti consentiti dal cinema di consumo la sostanza umana e ideologica del dramma è espressa con stile vigoroso.  Regista di polso, Montaldo rievoca i fasti e i nefasti dell’epoca con corposo gusto delle atmosfere, e si adopera in vario modo per intrecciare al tessuto realistico dell’opera i fili fantastici lungo i quali trascorre la vera natura del frate utopista. Il suo Bruno ha forse un po’ troppo i connotati dello spiritato, ma non altrimenti il film avrebbe potuto evitare le secche del didascalico e l’uggia del libello. Al repertorio dei luoghi comuni  appartengono invece le figure d’una cortigiana di lusso, affascinata dalla personalità di Bruno (il pretesto è buono per offrirci un nudo femminile, scotto plateale cui nemmeno i registi più seri ormai sanno sottrarsi), e d’un giovane conquistato dal suo esempio.

Queste mende non mettono tuttavia in forse la struttura e l’eloquenza del film. Come già accadde col Galileo  della Cavani, per riesumare un momento fatale della storia, e proporre le analogie col presente, l’opera raggiunge un buon equilibrio fra spettacolo e cultura. Gian Maria Volontè, costretto a parlare con inflessione napoletana, cede a qualche tentazione istrionica, ma è come sempre un interprete prezioso, che dà risonanza a ogni scena. Notevole la fotografia di Vittorio Storaro, che spesso cerca di rendere il clima del tempo mediante   un colore in cui le magnificenze dei saloni e le tenebre delle galere si fondono in un pulviscolo d’oro. La   buona scenografia è di Sergio Canevari. Fra gli interpreti Charlotte Rampling in costume di Eva, il colorito Maffioli, Hans Christian Blech (il Papa), Mathieu Carrière, Massimo Foschi e molti altri, principi della chiesa, soldati, cortigiane, studenti della Sorbona e sovrani...
Giovanni Grazzini, 'Il Corriere della Sera’,30 novembre 1973

3 comentarios:

  1. AMARCORD: LAMENTABLEMENTE LOS LINK ESTAN FUERA DE LINEA. TAL VEZ EN ALGÚN MOMENTO LOS PUEDAS RESUBIR.
    GRACIAS
    MARIA

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