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jueves, 3 de noviembre de 2011

Parigi è sempre Parigi - Luciano Emmer (1951)


TÍTULO Parigi è sempre Parigi
AÑO 1951 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS En italiano
DURACIÓN 95 min.
DIRECTOR Luciano Emmer
GUIÓN Sergio Amidei, Luciano Emmer
MÚSICA Joseph Kosma, Roman Vlad
FOTOGRAFÍA Henri Aleka
REPARTO Aldo Fabrizi, Henri Guisol, Ave Ninchi, Jeannette Batti, Hélène Rémy, Marcello Mastroianni, Lucía Bosé, Yves Montand
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Omnium International du Film / Fortezza Film
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Un grupo de italianos va a París para asistir a la Copa de Francia-Italia. Forman parte del grupo, entre otros, la familia De Angelis compuesta por padre, madre e hija con su novio, y dos chicos, amigos inseparables. Ellos esperan pasarselo en grande las veinticuatro horas en la "Ciudad de la Luz." Madre e hija van las tiendas de moda y peluquería para damas y el padre, después de la visita ritual a los monumentos, se basa en un viejo amigo, un barón sin un centavo, que debe ser su guía para el galán soñado de París, una de las fáciles aventuras. Las damas, después de un experimento infeliz en una casa de belleza, acabaran haciendo un recorrido sin aliento a través de la pintoresca ciudad. Mientras tanto su padre, a raíz de su amigo el barón, pasa la tarde en la tienda de un comerciante de antigüedades y tiene aventuras desagradables. Sólo el más joven del grupo, que no esperaba nada, encuentra el verdadero amor en un pequeño quiosco. Los dos, después de pasar una noche bailando alegremente en un modesto y se prometen que se escribiran. (Abandomoviez)


Subtítulos (En italiano)
http://www.mediafire.com/?f1l6pu2115hbi5a

"Il film consta di una serie d'episodi, che non si fondono in un tutto armonico; il lavoro manca quindi d'unità, mentre la lentezza del ritmo nuoce all'interesse." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 30, 1951)"Il secondo film di Emmer ci riporta il tono cordiale e la tecnica scaltra di 'Domenica d'agosto'. Là era la scoperta della spiaggia popolare di Ostia: in 'Parigi è sempre Parigi' è la scoperta della 'Ville Lumière' da parte di una comitiva di italiani (...). Emmer segue ora l'uno ora l'altro dei suoi personaggi, ma questa volta non riesce a equilibrare e proporzionare le diverse storie." (Tullio Kezich, 'Rassegna del Film', 1, febbraio 1952)
fonte "RdC - Cinematografo.it"
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=23793&film=Parigi-e-sempre-Parigi


Se con Domenica d’agosto Luciano Emmer ci aveva cordialmente raccontato la storia di una domenicale giornata estiva al Lido di Ostia, con Parigi è sempre Parigi eccolo raccontarci una giornata ben più complessa e impegnativa, una domenica a Parigi amenamente vissuta da una comitiva di italiani partiti alla volta della capitale francese per assistere a una partita di calcio Italia-Francia. Cos’è Parigi per il turista straniero? Per le signore sarà sì qualche negozio e qualche profumiere, per l’intellettuale sarà sì qualche museo, ma per gli uomini di tutti i giorni, per i simpatici uomini della strada che fanno nostalgicamente le valigie pensando alla Ville Lumière, Parigi è e sarà sempre la città delle facili avventure, delle belle donne ad ogni angolo di strada, delle misteriose case ovattate dove si possono avere i più graditi appuntamenti. [...]
Gian Luigi Rondi, Il Tempo 8 Settembre 1951



Incontro il regista nella sua casa di via Paganella, a Molveno.

Allora, parliamo di cinema…
Ho detto un sacco di volte che io non ho vissuto per fare cinema, ma ho fatto cinema per vivere. E’ diverso. E’ più umile ed è un mestiere come un altro. Ho cominciato nel ’39. Invece mia moglie, altro che cinema, ha creato questa casa meravigliosa (quella di Molveno, fatta di sassi e con delle pannocchie esposte sul poggiolo di legno), che voglio diventi monumento nazionale. Ho cominciato facendo delle foto in bianco e nero di Giotto e Leonardo Goya e poi subito dopo ho fatto il Paradiso Terrestre (di Bosch) che è al Prado, a Madrid, dove alla fine di questo mese (agosto 2004) andrò a far vedere i miei film, appunto al museo del Prado.

Qual è stata la sua più grande soddisfazione?
E’ stata quella di riuscire a campare, tant’è vero che io, dai pochi film che ho fatto, non ho quasi mai visto una lira. Dal ’57 al ’77 ho fatto i caroselli, ne ho fatti 2500, pensa, che mi hanno permesso di vivere, per comprare il pane e anche il companatico. Il cinema che amavo era una troupe di 4 persone e i film di due minuti, cioè i caroselli. Ne ho fatto, ripeto, 2500, con Dario Fò, Totò, Manfredi, Toni Ucci e tantissimi altri, anzi tutti i personaggi più grandi: Mina, Panelli. L’unica cosa che mi rincresce, è che gran parte di tutti quelli con cui ho cominciato, non ci sono più, cominciando da Mastroianni, che ha iniziato a lavorare con me, anche se non l’ha mai detto nelle sue interviste. Hanno fatto delle mostre con 50 film di Mastroianni in giro per il mondo, ma non hanno mai sentito nominare me, dei miei 5 film che ho fatto con lui, compreso “Domenica d’Agosto” del 1950.

I suoi genitori che futuro sognavano per lei?
Mio padre era ingegnere a Venezia, e ha costruito Marghera, e mia madre, era casalinga, madre di 3 figli. Quando gli ho detto che voglio fare il cinema, lei , in dialetto lombardo m’ha detto: “Cosa vai a fare, il cinema? Cosa sarebbe?”. E io le ho risposto che viene filmato tutto e viene fuori una pellicola che poi viene trasmessa sul teleschermo. “Sei matto – rispose lei – fai l’idraulico, che poi fai i “danè”, i denari! ”. Io non ho fatto l’idraulico ma il cinema e non ho fatto i “danè”.

Il complimento più bello che ha ricevuto?
Forse è quello che ha detto, Marie Trintignant, l’attrice che è morta da poco in seguito alle botte che ha preso dal fidanzato, hai presente?

Si!
Con lei, tre anni fa, ho fatto un film, nel 2000, che era “Una lunga, lunga, lunga notte d’amore”. Io ho chiesto a tutte le attrici che hanno lavorato in questo film, di dirmi una loro opinione su Luciano Emmer, su di me, insomma, c’era anche la Muti. La Marie Trintignant ha detto: “ Ho conosciuto Emmer. Emmer è il più poetico degli stronzi che ho conosciuto! ” (risata). 

E le cose che hanno detto o scritto su di lei?
Mai scritto male di me! Anche se a dire la verità, meno parlano di me e più contento sono! Io sono di queste parti (Molveno) e un giorno desidero trovare un mio parente, sulle montagne, che è l’orso! (risata)

Parlavamo di Mastroianni come avvenne l’incontro?
Lui faceva l’accademia del teatro e io dovevo fare un film: “La Madre”, di Grazia Deledda, in Sardegna. Io ho abitato in Sardegna, perché mio padre, andava per lavoro a fare bonifiche. Quel film, poi, non l’ho più fatto. Per la parte dell’attore, prima ho interpellato Montgomery Clift e poi ho trovato Mastroianni e ho fatto il provino con Lucia Bosè, grande amica mia, che ho conosciuto ancora prima che partecipasse a Miss Italia, e che faceva la commessa in un negozio, a Milano. Ho fatto il provino a Mastroianni vestito da prete e Lucia in costume sardo, e Mastroianni mi diceva sempre: “Fammi fare qualche scena in cui bacio Lucia!” (risata)

Era già un don Giovanni, allora, eh?
No! Non lo è mai stato. Era forse un don Giovanni, nel vero senso di prete, ma invece era pieno di debolezze. Il Casanova era il vero conquistatore di donne, il don Giovanni, invece, era conquistato dalle donne.

Lei ha lavorato con tantissimi personaggi, come ricorda De Sica?
Vittorio De Sica. La cosa più bella era quando ha lavorato con me e faceva l’avvocato in tribunale e diceva la famosa battuta, appena arrivava con l’attore;”Dove siamo alla difesa o all’accusa?” Non lo sapeva manca lui. Quando finivano le riprese a mezzogiorno, aveva fatto fare per lui una specie di box, come facevano nel ‘700, in Francia, a Versailles, dove i più ricchi, invece di defecare sulle scale, avevano un box. Vittorio, siccome sudava molto lavorando, entrava in questo box e si buttava su un bel po’ di borotalco!” (risata) E tra una ripresa e l’altra, si metteva su una seggiola  e dormiva e mi diceva: “Luciano, quando tocca a me, svegliami dandomi una pacca sulla spalla!”. Lui ha detto una cosa, che per me è stata importante, ha detto: “Per fare il regista, bisogna essere attore!”

Aldo Fabrizi come lo ricorda?
Aldo era un “lazaron” (risata). Io ho fatto la “Domenica d’agosto” e lui per rabbia ha fatto “La famiglia passaguai”, perché aveva rabbia verso di me, uno del Nord che veniva a fare il romano a Ostia, e quando sono andato a Parigi a fare: “Parigi è sempre Parigi” con una troupe di romani che andavano a vedere la partita di calcio Francia - Italia, lui ha fatto subito dopo: “Parigi - Roma”, conduttori di vagone letto per fregarmi. Ma alla fine, era un carissimo amico, che sosteneva di essere un bravissimo cuoco e invece cucinava da bestia. Si! Una volta m’ha fatto invitare a casa un amica, una vedette del “Mouline Rouge”, e ha fatto degli spaghetti alla carbonara. Erano freddi, scotti da buttare via. Quando lavoravo in Francia con lui, voleva sempre dormire nella stanza mia. Diceva: “A Lucià, io non so perché i francesi, quando me vedono, se sturbano, perché sò brutto e per telefono non posso fare niente, perché non parlo francese” (risata).

Totò?
Era meraviglioso. Ogni mattina, quando andavamo a girare, l’operatore direttore della fotografia, un certo Peppino Caracciolo, era un suo parente perché era un principe pure lui, come Totò. I Caracciolo di Turchi a Roma, era un ramo di una famiglia in cui era stato adottato Totò, e tutte le mattine c’era la cerimonia. Peppino Caracciolo e Totò, tiravano fuori dalla tasca 3 - 4 corni, cornetti (risata) per scaramanzia.

Paolo Panelli?
Panelli è stato l’amore della mia vita. Ho fatto circa 50 caroselli con lui e quando ho fatto ‘sti 50 caroselli, lui mi ha detto: “Luciano, io voglio fare un film sulla storia di Ercolino!” Io gli ho scritto la storia e lui voleva fare il regista. Ha fatto il film e mi ha detto: “C’è un produttore che vuole prendere il film! Ti rincresce?” .“Per carità - gli ho detto - fai come vuoi!”. Ha girato il film e per primo ha voluto che lo vedessi io. Finito di vederlo mi disse: “Cosa ne pensi (parlando forte perché era molto sordo) ?” . “Guarda, Paolo –gli dissi - la pellicola, oramai non è più infiammabile, ti consiglio di stare per un mese vicino al gabinetto e fotogramma per fotogramma tagliarlo con le forbici e buttarcelo (risata)”. Sto sciocco aveva voluto fare del personaggio di Ercolino, una specie di Mastroianni, un don Giovanni. Io ho visto Paolo Panelli, un anno prima che morisse, sono andato a trovarlo a casa sua e gli ho detto: “Ma sta copia di Ercolino?”. E lui: “ Non me ne parlà, non me ne parlà!”, urlando. Non so se esiste.

Fellini?
Fellini, grande amico. L frase più bella che mi ha detto è stato quando alla mia domanda: “Ma come cavolo fai a lavorare con 200 persone della troupe?” Mi ha detto: “Perché sono solo, tu hai 3 figli!”. Mi ha commosso. Poi un’altra volta che ci siamo rivisti, mi disse: “Lucianino (lui mi chiamava Lucianino), sei convinto anche tu che il cinema è morto?”.

Allora il cinema italiano era quasi moribondo.
Si! E’ morto con il bianco e nero.

Perché ha scelto la Ferilli per il suo ultimo film “L’acqua, il fuoco …”?
Perché non trovavo nessuna per quella parte. Sono andato in Francia e le ho viste tutte e non c’era un’attrice che corrispondeva a quel personaggio, con quel temperamento, con quel fisico. Una brava donna, una popolana, sincera e alla buona. Ha fatto un film con me, con una simpatia reciproca enorme.
La Ferilli ha preso un riconoscimento alla mostra di Venezia, per quel film,vero?
Ma si! Però, come al solito, non mi hanno detto che Ciampi gli dava il premio come miglior attrice per il mio film. Non ne sapevo niente.

Lei sa che nessuno è eroe in patria?
Non sono un eroe. Faccio ‘sto mestiere e sono felice solo quando sto a casa mia.
Nella sua lunga carriera c’è un progetto che avrebbe voluto realizzare, ma per vari motivi non s’è fatto nulla?
Io ne ho uno, che vorrei realizzare adesso. Sto parlando con le APT locali del Trentino e desidero che tutta la Val di Non intera, mi aiuti a realizzare un film che si chiamerà “ Le fiamme del Paradiso”. Io nel 1988 ho fatto un film che si chiamava “La bellezza del diavolo – viaggio nei castelli trentini”, ma con i fantasmi del castelli trentini e adesso invece voglio fare una storia impegnata, intorno ad un libro bellissimo che ho gia comperato 10 volte e che si intitola:” Il processo ad una strega”, che a come sfondo il paesino di Coredo, in Val di Non. In questo piccolo paese, c’è una casa, dove si entra liberamente perché non c’è un custode e in questa grande sala c’è “Il trionfo della morte” e dove ci sarebbe da metterci un tavola e delle sedie e con dei figuranti e si potrebbe fare il cinema oggi, con tre lire. E quindi voglio trovare l’aiuto economico di tutta la regione, dagli alberghi, alla Melinda ( quella delle mele del Trentino ), al Teroldego ( cantine ), ecc… Solo facendolo in questo modo, come si faceva all’epoca, che non costava niente e si potevano fare i film che si amavano, si possono produrre tanti film, altrimenti se ci vogliono i miliardi e meglio  lasciarli fare agli americani. Ho letto una notizia oggi, su “Alias”, il supplemento del Manifesto, che adesso arrivano addirittura con il digitale, il computer a prendere i film e modificarli. Per me quelle sono porcate, non realtà ma porcate belle e buone. Io, facendoli con quattro soldi, dico quattro, voglio realizzare questo mio sogno, altrimenti restituisco le chiavi al comune di Molveno.

Lei prima ha affermato che il cinema è morto quando è finito il bianco e nero, cioè con l’avvento del colore, giusto?
Certo!  Perché il colore era, senza volerlo, l’antesignano della televisione. Non c’era la fantasia straordinaria della realtà, vista attraverso il mezzo nuovo, a colori. Vuoi mettere l’essenza che il bianco e nero dava, la forza della recitazione, la crudezza degli ambienti? Il bianco e nero era il prolungamento del romanzo, dell’800. Ora sono morti tutti e due.

Un consiglio ai giovani registi italiani?
Di fare gli idraulici, che fanno più soldi. Sai qual’è il difetto, Gianfranco? Questi giovani registi sono quelli che vivono per fare il cinema e invece bisogna fare cinema per vivere, come ti dicevo all’inizio dell’intervista. Allora è più giusto. Se io ho imparato a fare il falegname, faccio la mia vita e sono soddisfatto di aver fatto il falegname. Io sono uno che fa cinema e lo fa per vivere e sono molto soddisfatto di questo mestiere che, fra l’altro, è un mestiere come un altro.

Lei è stato nominato “decano” dei registi. Le fa piacere?
Beh! Decano… Sono vecchio, si, ho 85 ani ( risata ). Si! Mi fa piacere.

Chi è il suo erede cinematografico?
Non lo so, perché ce ne sono tanti di registi bravi.

Ha mai scritto una sua biografia?
Si! Adesso fanno una “monada” durante il festival di Torino, cioè fanno una retrospettiva con tutti i miei film, i mie documentari e i miei Caroselli e pubblicheranno un libro, bello grosso, con testimonianze di tutti quelli che mi hanno conosciuto, attori, Vip, ecc…

Magari ci sarà anche qualche aneddoto, eh?
Quelli privati non li ho raccontati a nessuno, magari qualche aneddoto sui vari set, che fra l’altro, il set è un posto come un altro, dove si lavora sodo e con passione.

Parliamo di Roma, Lei ci è arrivato nel ’39, giusto?
Si! E m’è sembrata subito la città più bella del mondo. Forse ancora oggi lo è, se non guardo troppo in giro. Io abito in una zona abbastanza tranquilla, in via Monte Maloia. Ricordo che quando arrivai a Roma, si mangiava la piazza con 50 centesimi e una cosa che mi ha colpito subito di Roma e lo spirito dei romani. Dopo la guerra, quando ho comperato la mia prima macchina usata, un giorno, alle 10 del mattino, passavo per porta Pinciana e via Veneto e all’incrocio con via Lazio mi sono scontrato con un’altra macchina, perché in quel momento passava un “tocco” di ragazza favolosa. Mi sono guardato con questo romano, ci siamo guardati e ci siamo detti:” Quando ce vo’, ce vo’!” ( risata ). Al giorno d’oggi ci sarebbe stata una rissa, con tanto di coltelli.  Era una Roma più tranquilla, caciarona e come dicevo prima, con uno spirito diverso, fatta di trattorie, cinema e scampagnate. C’era una generosità cinica dei romani, che erano unici e generosi. Adesso ce ne sono ancora così, ma sono molto pochi. Tatiana, mia moglie, è fortunata perché ha un giro di 7 – 8 artigiani, quei pochi rimasti, che non lavorano in una bottega, ma in casa, tipo quello che vende ferramenta, il falegname, le stoffe, i vetri, ecc…

Le piace il dialetto romanesco ?
Il romanesco è molto efficace, basta pensare a Sordi, a Verdone. E’ una lingua molto cinematografica. Allora non si poteva fare il cinema dialettale. Adesso si parla di cinema Europeo, l’Europa è una realtà meravigliosa, a una condizione, che ciascuno faccia parte della propria identità. Il difetto dell’Italia è che è un paese fatto di 1000 comuni, ognuno dei quali ha espresso alcune delle opere d’arte più straordinarie del mondo, in letteratura, in pittura, in scultura, ecc... C’era il signor Montaigne, quando ha scritto il viaggio in Italia, ha scritto: “Mi hanno detto che vogliono farne una nazione di questo meraviglioso Paese, che Dio lo preservi!” E questo non è questione di secessione, ma è questione che se perdi l’identità individuale, anche nella lingua, spariscono le tradizioni popolari. Cosa sarebbe il Friuli senza il suo dialetto. L’identità di tutti i Comuni, delle Regioni, è la forza dell’Italia, che se si disperde l’Italia perde moltissimo identità. Infatti su questo, voglio farne un film.

Ha mai letto poesie romanesche, tipo il Belli e Trilussa?
Tra il Belli e il Trilussa c’è una bella differenza. Anche Petrolini. Io cito una sola frase che è l’inizio di una poesia del Belli, che va dicendo: “La morte sta anniscosta nell’orologi”. Questa poesia del Belli è a livello di Dante Alighieri. Trilussa era un grande, a Roma abitava dietro Piazza del Popolo, dove, in quel palazzo, poi c’era la Fono Roma, in via Maria Adelaide, dove c’era conservata la sua stanza, ancora intatta con tutti i suoi libri, i suoi effetti, il ballatoio, ecc… Io ci andavo spesso lì, adesso ci sono solo negozi, e basta.

Lei ha sempre abitato a Montesacro?
All’inizio vivevo in un albergo, che stava all’angolo di Palazzo Chigi, Adesso non c’è più. Poi abbiamo abitato in una casa, all’inizio di viale Mazzini, dove c’era davanti una pompa di benzina, e noi stavamo in questa piccola casa, ad un piano, e lì ci siamo stati in affitto per due anni. Poi abbiamo comperato una casa, col mutuo, che è quella dove abito tuttora. Pensa che allora per il mutuo si pagava l’uno per cento di interessi. Com’è cambiato il mondo.

C’è un angolino di Roma che lei ama particolarmente?
Montesacro. Perché è rimasto ancora abbastanza intatto. E’ ancora pieno di piccole ville liberty, bellissime. Lì vicino ci passa l’Aniene, che viene da fuori Roma e adesso il vecchio ponte romano l’hanno chiuso e così le macchine non passano più davanti a casa mia. Quindi è ancora più bello ‘sto posto. E’ ad una dimensione alla pari di un paese, c’è anche un bel parco, con delle panchine. Lì ci passo dei pomeriggi interi.

I romani pregi e difetti?
Te l’ho detto i romani sono bonari e generosi, ma c’è stata una tale invasione di barbari, da Porta Pia in poi che è tutto sfasato anche questo popolo. Il famoso romano delle sette generazioni, non c’è più, o meglio ce ne sono molto pochi. Ogni tanto trovo qualcuno di questi.

Cosa le da fastidio di Roma?
Quelli che sono venuti da fuori, a cominciare dai piemontesi, dai bergamaschi, ecc... Che se ne stiano a casa loro e non a “rompere i coglioni” agli altri, con la scusa del governo.

Cosa le manca di Roma quando è via?
Niente! Mi manca Molveno e la mia bella casetta, quando sono a Roma. Però ripeto sempre, mi manca casa mia, che è bella come questa, bella nel senso “dentro” senza confort, senza computer, video, ecc… Una casa semplicissima, ma confortevole. Ho il mio angolino dove ho tavolo e una sedia, in cui amo scrivere, e sul muro tanti disegni fatti da mia figlia piccola, da mia nipote, ecc… Tanti ricordi. E poi tante foto di orsi, perché l’orso è della nostra famiglia. Quando abitavamo a Marino, piccola cittadina dei castelli romani, che abbiamo dovuto lasciare dopo 4 volte che ci sono venuti a “visitare” i ladri, lì avevamo una cagnolina che abbiamo battezzato l’Orsa. Uno di questi giorni vado al Genzianella ( località di Molveno, ndr ) , mi metto in mezzo al prato e aspetto che passi l’orso (risata). Una volta l’orso andava sempre a Spormaggiore, perché c’era la discarica. Hanno eliminato la discarica e il povero orso non sa più dove andare a mangiare.

Roma è o era la città più bella del mondo?
Io non ricordo la Roma di una volta, che era la città più bella del mondo. Quella odierna non la frequento. Amo frequentare l’angolo di casa mia!

In quale Roma del passato le sarebbe piaciuto vivere e in quali vesti?
In quella odierna e nelle vesti del regista Luciano Emmer. (risata)

In quale zona va a passeggiare?
Nel parco dell’Aniene che è a 150 metri da casa mia. Lì mi trovo benissimo. Come mi trovo bene a Molveno. L’altro giorno ero in piscina, ho portato mia figlia. Mi sono seduto e guardavo su i “Sfulmini”, una delle montagne del Brenta, c’erano alcune nubi e tra una cosa e l’altra formavano un disegno meraviglioso, poetico. L’unica cosa che mi fa rabbia, è che siamo andati tanto tempo fa, d’estate, al Grand Hotel, e tutte le mattine facevo il bagno e attraversavo il lago di Molveno. Adesso non si può più perché è troppo freddo. Hanno fatto venire il fiume Sarca ed è stata la sua rovina.

Parlando di Roma, lei ha conosciuto anche Pasolini?
Certo. Con Pasolini, ho scritto assieme, la sua prima sceneggiatura: “Ragazzi di vita!” Un produttore gli aveva proposto di fare un suo copione che si chiamava: “Amici per la pelle”; che poi ci feci un film. Per due mesi, io e lui, abbiamo girato tutte le segreterie di Roma, tirando su storie, personaggi e fatto 2000 fotografie. Chissà dove è andato a finire quel lavoro. Quando abbiamo finito di fare il film, abbiamo portato dal produttore una copia e una al presidente. Siamo tornati dopo una settimana e il produttore ci disse: “Questa è la sceneggiatura che avete scritto voi?” “Si” abbiamo detto. E lui ce la tirò in faccia (il copione). Se non tenevo fermo Pier Paolo Pasolini, l’amazzava.

Come ha conosciuto Pasolini?
A quei tempi Roma non era così grande ed eravamo in pochi a fare questo mestiere. C’era un certo giro e ci incontravamo spesso, perché andavamo a mangiare nelle stesse trattorie. C’era un posto strano, in via Veneto, che si chiamava Bar Rosati e c’era una saletta dove anche se non consumavano niente, ci lasciava in pace ugualmente e non ci cacciavano. Lì era il nostro ritrovo. C’era Amedei, Flaiano, Brancati, Blasetti, il grande Steno, papà di Enrico e Carlo Vanzina, ecc… Enrico, tra l’altro, mi scrisse una lettera che mi fece venire le lacrime, perché sapeva che ero un grande amico di suo padre.  Un uomo straordinario. Se vai a Roma a trovarlo Gianfranco, salutamelo tanto.

Con piacere. Posso mandargli anche una e-mail, se le fa piacere.
Uffà ! Ste cose moderne. Io non ho ne computer, ne tecnologie moderne. No go’ un “caz…” e vivo benone. Io scrivo solamente a penna, esattamente come facevo una volta. Lo so che il mondo va avanti e non si può fermare, ma io mi sono fermato qui e sto bene così. Non uso nemmeno la macchina da scrivere, perché fa rumore. Però, sai che ti dico, che non mi sento affatto indietro, rispetto agli altri  che usano queste diavolerie moderne, anzi, mi sento più avanti.

Ha ragione. Mio nonno diceva che se va via la luce si blocca tutto, ma la penna puoi usarla ugualmente.
( risata )

3 comentarios:

  1. Qué buena la entrevista!
    Luciano Emmer es un cineasta injustamente olvidado. Su onda costumbrista ni en los peores momentos dejaba de tener encanto
    Recuerdo haber visto una película suya hace muchos años, décadas, en una copia muy mala ¨Las muchachas de la Piazza Spagna¨, con Lucía Bosé, hoy inhallable. Pero tiene muchas más cosas valiosas
    Una obra a recuperar
    Gracias Amarcord!

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  2. Otra con subtítulos en español:

    http://www.subdivx.com/X6XMzExNzc1

    Tampoco te la pido porque la tengo.

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  3. Gracias KinoGlaz, inmediatamente procedo a pegar los subtítulos
    ¡Con lo difíciles que son los subtítulos de las pelas de Emmer (aparte de las que ha conseguido Amarcord)!
    Saludos

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