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lunes, 18 de febrero de 2013

L'ultimo Crodino - Umberto Spinazzola (2009)


TITULO ORIGINAL L'ultimo crodino
AÑO 2009
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 100 min.
DIRECCION Umberto Spinazzola
GUION Federico Mazzei, Francesco Cenni, Michele Pellegrini
MUSICA Giuseppe Fulcheri
FOTOGRAFIA Luciano Federici
MONTAJE Osvaldo Bargero
VESTUARIO Francesca Arcangeli
REPARTO Ricky Tognazzi, Serena Autieri, Enzo Iacchetti, Dario Vergassola, Giobbe Covatta, Marcello Prayer, Marco Messeri
PRODUCCION Luna Rossa Cinematografica, On My Own
GENERO Comedia

SINOPSIS In bassa Val di Susa gli inverni sono lunghi e a volte non passano mai. In un piccolo bar due onesti lavoratori, benvoluti da tutto il paese ma assillati dai debiti e dal futuro, decidono di dare una svolta alla loro vita: decidono di organizzare un rapimento. Ma siccome non se la sentono di rapire "un vivo" e visto che la violenza non è proprio nelle loro corde decidono di rapire "un morto". Ma non uno qualsiasi bensì "uno di quelli importanti". E così un operaio delle acciaierie (soprannominato Pes) e un autista di furgoni (soprannominato Crodino) partono per la loro mission impossibile: trafugare la salma di Enrico Cuccia e chiedere il riscatto alla famiglia del potente finanziere. (TrovaCinema)



Il film non assomiglia tanto all’immagine pop del prodotto quanto a possibili luoghi del suo consumo: sperduti bar di una provincia dove la vita si consuma ripetitiva, e dove può covare un disagio e una frustrazione capaci di esplodere in un episodio criminale ridicolo. Ne risulta una non-commedia rispettosa dei suoi sfortunati protagonisti ma incerta nello stile.

Acqua, zucchero, infusi di erbe aromatiche ed aromi (incluso chinino), anidride carbonica, acidificante, acido citrico, cloruro di sodio, coloranti: E150b, E110. Questi gli ingredienti del famoso aperitivo analcolico che ha l’onore di comparire sul titolo dell’opera seconda (ma a più di dieci anni dall’esordio) di Umberto Spinazzola, primo caso italiano di naming placement, pratica pubblicitaria che prevede appunto la presenza del marchio all’interno del titolo del film, come ne Il Diavolo Veste Prada. In questo caso il legame col prodotto è tenue ma trova giustificazione nella cronaca: la storia infatti è quella vera del sequestro a scopo di riscatto della  bara dell’eminenza grigia della finanza Enrico Cuccia ad opera di due disperati della Val di Susa, uno dei quali viene chiamato dagli amici, appunto, Crodino. E poi c’è la coincidenza geografica: il luogo d’origine della nota bevanda non è distante dai luoghi della storia, ambientata in una provincia isolata e insospettabilmente depressa, sulla quale incombe lo spettro della diossina e la minaccia dell’alta velocità. E in effetti il film L’Ultimo crodino non assomiglia tanto all’immagine pop del prodotto (con il suo colore brillante e le campagne pubblicitarie con gorilla e Cabello) quanto a possibili luoghi del suo consumo: sperduti bar di una provincia dove la vita si consuma ripetitiva, e dove può covare un disagio e una frustrazione capaci di esplodere in un episodio criminale ridicolo, quasi innocente nella sua folle ingenuità.
Non stupisce quindi che il tono del film sia piuttosto dimesso, nonostante il fatto di cronaca fornisse spunti esilaranti, pienamente nel genere “criminali da strapazzo” con i due amici e complici che sbagliano clamorosamente tutte le mosse. La sensazione è che si sia dissipato un ingente potenziale di comicità. Probabilmente Spinazzola non ha mai desiderato rendere il suo soggetto in forma di commedia, quanto piuttosto mettersi al servizio di una storia vera dotata di varie sfumature per raccontarla con fedeltà quasi assoluta ai fatti. Dietro c’è senz’altro una forte convinzione che la storia “parli da sola” senza stilizzazioni o forzature, ma questa scelta “fattuale” si ritorce contro ogni possibile intento. Nessuna possibilità viene sfruttata fino in fondo: il grottesco, il black humor, la malinconia della provincia, la denuncia sociale. Se la tradizione della commedia all’italiana fornisce un grandioso vademecum di come fare detonare tutte queste componenti (mai gratis, ma al prezzo di una degradazione del personaggio e di una losca complicità con lo spettatore) Spinazzola sceglie uno sguardo più corretto, rispettoso ma anodino nello stile. I suoi personaggi, il leader Crodino (Ricky Tognazzi) e il pessimista Pes (Enzo Iacchetti, meno "attore" e più convincente di Ricky con cui pure crea una buona intesa) non sono abbastanza stupidi e cattivi per essere eredi della commedia all’italiana. E il peso del loro essere solo umani, troppo umani ricade soprattutto sull'interpretazione sofferente di Iacchetti, comico dimesso e malinconico come pochi.
http://www.sentieriselvaggi.it/articolo.asp?sez0=2&sez1=215&art=31332


In bassa Val di Susa gli inverni sono lunghi e a volte non passano mai. Paesini piccoli, incorniciati dalle montagne e dalle fabbriche. E tanti piccoli bar, ultima spiaggia per fuggire dalla noia e dalla monotonia di un quotidiano sempre uguale a se stesso. La nostra storia è ispirata a un fatto di cronaca nera realmente accaduto in questa valle e che al tempo riempì le cronache dei giornali e della televisione. La scintilla iniziale nasce in un piccolo bar quando due onesti lavoratori, benvoluti da tutto il paese ma assillati dai debiti e dal futuro, decidono di dare una svolta alla loro vita. E di tentare una fuga da quella valle che non sopportano più.
Decidono di organizzare un rapimento. Ma siccome non se la sentono di rapire "un vivo" e visto che la violenza non è proprio nelle loro corde decidono di rapire "un morto". Ma non uno qualsiasi bensì "uno di quelli importanti".
E così da un piccolo bar di provincia un operaio delle acciaierie (soprannominato Pes) e un autista di furgoni (soprannominato Crodino) partono per la loro mission impossible: trafugare la salma di Enrico Cuccia e chiedere il riscatto alla famiglia del potente finanziere.
Crodino si improvvisa la mente e Pes il braccio. E in questa folle avventura ne combinano di tutti i colori. Rubano la salma lasciando impronte dappertutto. Trasportano disinvolti la bara su e giù per la valle, su una jeep troppo piccola per contenerla. E così qualcuno vede la cassa sbucare dal pick up, ricoperta da una sgualcita bandiera della juve. Scrivono lettere anonime ritagliando l’alfabeto da giornali e riviste. Chiedono il riscatto cercando il telefono della famiglia Cuccia sulle Pagine Gialle. E via di questo passo. Per farla breve due ingenui, a modo loro molto naif, che riescono per qualche giorno, senza rendersene conto, a tenere in scacco carabinieri, polizia, guardia di finanza e servizi segreti. Facendo impazzire tutto e tutti.
Ma il delitto perfetto non esiste e il passo falso, come nelle migliori tradizioni, è sempre in agguato. Il cerchio delle indagini si stringe e la speranza di agguantare finalmente "la bella vita" sfuma miseramente per i nostri due folli eroi.
Pes viene catturato in flagrante, proprio dentro ad una cabina telefonica mentre sta chiedendo il riscatto. E il giorno dopo le forze dell’ordine mettono le mani su Crodino e finalmente sulla salma del potente finanziere.
E la vita di tutti i giorni ricomincia nei paesini della valle. Con la noia e la monotonia degli inverni che non passano mai.
La bassa Val di Susa è sempre stata un luogo molto particolare e forse unico nel panorama delle piccole valli italiane. La sua storia è molto semplice. Negli anni ’70 la valle è stata deturpata della sua bellezza e del suo fascino da una serie di piccoli e medi insediamenti industriali che lentamente hanno sradicato le origini contadine dei valligiani. Sono sbucate acciaierie, fabbriche e plastifici proprio dove pascolavano vacche e dove si coltivava la frutta. L’impatto ambientale è stato tremendo e come sempre accade in Italia è stato sopratutto sottovalutato.
Poi hanno deciso di spedire in valle, al confino, molti pericolosi mafiosi. Dimenticandoli. E in breve tempo la mafia si è impadronita di località turistiche come Bardonecchia facendo il bello e il cattivo tempo e murando personaggi scomodi nelle infinite speculazioni edilizie delle seconde case. Poi hanno costruito un grande autoporto per dare la mazzata finale all’ambiente. Centinaia di TIR transitano ogni giorno inondando la valle di scarichi e scorie. E a proposito di scorie si dice da sempre che sotto terra si nasconda un mare di amianto, fatto abusivamente sparire. Il tutto in una piccola e stretta valle con le montagne schiacciate sui paesini che la incorniciano. Una valle dai lunghi inverni che non passano mai e dai tanti piccoli bar sorti come funghi per offrire un antidoto alla noia di una provincia dimenticata. La scintilla iniziale della nostra storia nasce proprio in un bar quando due onesti e anonimi lavoratori decidono di fare il salto e organizzare un rapimento per dare una svolta alla loro vita e per fuggire da quella valle. Due persone benvolute da tutto il paese e assolutamente insospettabili. Due persone che per anni hanno sognato la "bella vita" e che un giorno hanno deciso di provare a prenderla. Ma siccome sono due onesti lavoratori non se la sentono di rapire una persona viva. La violenza non è nelle loro corde. Allora decidono di rapire un morto ma..."uno di quelli importanti".
Questo è il primo aspetto che mi ha profondamente colpito e che mi ha convinto che questa è una storia che merita di essere raccontata. Da un piccolo bar di provincia, incastonato sotto le montagne, un operaio delle acciaierie e un autista di furgoni decidono di rubare la bara di Enrico Cuccia, uno degli uomini più importanti e potenti nella storia dell’alta finanza italiana. L’autista di furgoni si improvvisa "la mente" e l’operaio si trasforma nel "braccio", in perfetta sintonia con gli schemi più classici di una certa commedia all’italiana. E come da copione ne combinano di tutti i colori perché i due amici per delinquere non ci sono proprio nati. La loro ingenuità e la loro goffaggine nel gestire questo folle rapimento è assolutamente unica e irresistibile tanto da sembrare, in certi momenti, una sceneggiatura già scritta, pronta per essere girata.
E, come se non bastasse, il contesto in cui la vicenda si svolge è la bassa Val di Susa. Una valle che, negli ultimi tempi, è diventata un contenitore di grosse tensioni sociali. Il movimento NO TAV, che da anni si oppone in tutti i modi al progetto dell’alta velocità. Gruppi di anarchici insurrezionalisti che agiscono in valle. Sette misteriose di satanisti che continuano imperterriti le loro particolari pratiche notturne nei cimiteri. La famigerata diossina che secondo molte persone è presente in valle in dosi massicce.
Tutti elementi che hanno rischiato di depistare totalmente le indagini sul rapimento ma che ci permettono di scattare una sorta di precisa polaroid su questa piccola e inquieta valle. E sui bizzarri personaggi che da sempre la popolano.
Proprio come i nostri due protagonisti che si sono improvvisati rapitori per poi finire sbranati da tutti i mass media e subito etichettati come due poveri imbecilli. Ma dopo averli conosciuti e dopo aver chiacchierato un po’ con "la mente" posso dire che imbecilli non erano. Semmai due grandi ingenui, convinti che rapire la bara di un intoccabile della finanza fosse una semplice passeggiata. Raccontare la loro disarmante ingenuità, le loro mosse, le loro paure è senza dubbio "cinematograficamente" forte. Una storia così folle, così unica nel suo genere, da poter essere trasformata in un film ripercorrendo passo passo la realtà. È bastato attenersi ai fatti per costruire la sceneggiatura e non abbiamo mai dovuto forzare personaggi e situazioni, rischiando la caricatura o la macchietta.
In molti mi hanno domandato se "è tutto vero" quello che i due combinano durante il furto. Ebbene sì. Prima e dopo il furto ne hanno combinate di tutti i colori, dimostrando un’assoluta incapacità a delinquere. E questo, per chi racconta, è un aspetto decisamente forte. Ho cercato uno stile asciutto, senza fronzoli e nel rispetto assoluto del "fatto di cronaca". La macchina da presa ha pedinato la storia in silenzio, senza avventurarsi in voli pindarici e facili ammiccamenti. E ho voluto a tutti i costi la coppia Tognazzi-Iacchetti. L’ho inventata e sono felicissimo del risultato perché tutti e due sembrano usciti da quella valle, da quella storia. Il loro dramma si riassume in una frase di Pes: "chi nasce povero muove povero". Come a dire che non si possono sconfiggere l’ineluttabilità e la disperazione.
Mi piace definire L’Ultimo Crodino un piccolo film che fa sorridere ma che ci fa anche riflettere su come talvolta la vita possa essere amara, molto amara.
http://umbertospinazzola.com/video_ultimo_crodino.html

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