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miércoles, 27 de febrero de 2013

Solo un padre - Luca Lucini (2008)


TÍTULO ORIGINAL Solo un padre
AÑO 2008 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 94 min. 
DIRECTOR Luca Lucini
GUIÓN Giulia Calenda, Maddalena Ravagli (Novela: Nick Earls)
MÚSICA Fabrizio Campanelli
FOTOGRAFÍA Manfredo Archinto
MONTAJE F. Rossetti
REPARTO Luca Argentero, Diane Fleri, Claudia Pandolfi, Anna Foglietta, Fabio Troiano, Sara D'Amario, Alessandro Sampaoli, Elisabetta De Palo, Fabiana Gatto, Michela Gatto
PRODUCTORA Cattleya / Warner Bros. Pictures
PREMIOS 2008: Premios David di Donatello: 2 nominaciones
GÉNERO Drama. Comedia 

SINOPSIS Carlo (Luca Argentero) tiene treinta años, un buen coche, un trabajo que le gusta y una hija de diez meses, Sofia, a la que adora. El vacío dejado por la pérdida de su mujer en el parto de Sofia, es llenado por el cariño y la atención de sus amigos y sus padres, que le echan una mano con la niña y están siempre con él... tal vez demasiado. Pero la llegada de Camille (Diane Fleri) a su organizada y rutinaria vida lo cambiará todo. (FILMAFFINITY)



Trama:
La vita di Carlo, dermatologo trentenne, ragazzo padre di una di una bambina di dieci mesi, scorre piuttosto serena e tranquilla grazie soprattutto all’aiuto e all’affetto di genitori e amici. Un giorno, però, l’ordinata esistenza di Carlo viene messa a soqquadro dall’incontro con Camille.

Brevissima analisi di eventi, esistenti e linguaggio audiovisivo
Amore e morte a Torino -  cura di Roberto Bernabo’

Introduzione
Ok d’accordo non possiamo snobbare questo film solo perché il regista è lo stesso di “Tre metri sopra il cielo“, una delle pellicole milestone del nuovo filone giovanilistico, che tanto denaro frutta ai produttori di cinema italiano.
Ok d’accordo l’idea del film è buona, è contemporanea, rimette al centro il tema della paternità e non della maternità, un tema poco frequentato dal cinema, anche se “La ricerca della Felicità” di Gabriele Muccino“  ed  “Anche libero va bene” di Kim Rossi Stuart, sono stati dei veri e propri apripista di genere.
Peraltro segnalo che il film è basato sul romanzo “Le avventure semiserie di un ragazzo padre di Nick Earls” e, scherzi a parte, mi sembra che, anche in questa operazione di adattamento, la pellicola sia da segnalare come un buon lavoro.
Ok lo ammetto Luca Argentero è un attore che si sta mettendo in luce in pellicole originali,  meglio di tante altre, vedi “Lezioni di cioccolato” di Claudio Cupellini, e che fa progressi, nelle sue capacità attoriali, ad ogni film.

In questo post:
1.Plot outline di eventi es esistenti
2.Storia e discorso – cenni
3.Limiti (ma anche no)
4.Conclusioni

1. Plot outline di eventi ed esistenti
Il film ci parla del dolore, del lutto, della morte vera e di quella interiore.
Di abbandoni, di elaborazioni difficili, quelle toste da superare, ma che ci consentono di maturare e di crescere.
Ma anche di nascite, di rinascite, di un nuovo amore sotto più accezioni del termine.
Di gioie che nascono dai pianti a da pianti che nascono nelle gioie.

2. Storia e discorso – cenni
Va anche detto che molte riprese dimostrano che il regista ha colto, con capacità innovative, la potenzialità di descrivere lo spazio ed il tempo di una storia sfruttando opzioni di narrazione visiva. Nel film ad esempio leggiamo molto distintamente, nel linguaggio audiovisivo di Lucini, cose che sono nel campo visivo del protagonista, ed, al tempo stesso, altre che rimangono nel suo esclusivo campo uditivo (come ad es. nella bellissima e catartica sequenza del compleanno della figlia).

3. Limiti (ma anche no)
Un difetto? Troppo marketing made in Italy, ma ripensandoci meglio, why not?
Certo, va detto, tutti vorremmo essere un po’ belli, romantici, delusi e fighi, come Argenetero, e, sopratutto, se reduci da lutti  gravi, conoscere una ricercatrice francese psicologa, solare come quella del film,  che accogliesse il nostro dolore e lo trasformasse in amore. Ma si sa nei film funziona così.
Magari un eccesso di sentimentalismo affiora qua e la’, ed in certe sequenze la musica (sopratutto quella dei REM), sovrasta forse un po’ troppo le immagini, ma le letture del regista mi sembrano migliorate direi, più  mature e profonde.

4. Conclusioni
Ma la verità è che questo film segna un po’ una svolta nel suo specifico filmico, che ci sembra importante sottolineare. Il racconto si nutre, ora, di risvolti non banali in termini di eventi ed esistenti che lo compongono, e certi peccati veniali si lasciano, pertanto, assolutamente perdonare.
Ok lo ammetto forse dovrei dare meno di quattro stars, ma il film l’ho visto in sala, è mi è piaciuto assai. Ma proprio assai. Anche la colonna sonora (Giorgia a parte) merita.
Lei: “Guarda che la mia vita è un casino” Lui: “Anche la mia”.
E la mia allora?” ;)

Annotazioni a margine (certo dovrei parlarvi …)
Certo dovrei parlarvi del tema dello sviluppo del conflitto agito, prevalentemente, un po’ in tutti gli esistenti, in una prospettiva inter-personale (cioè tra l’esistente e se stesso ed i suoi limiti), un prospettiva che esigerà che gli esistenti protagonisti, e Carlo in particolare, dovranno affrontare i propri mostri, e risolvere le loro questioni irrisolte, per arrivare alla catarsi finale.
Certo dovrei parlarvi, anche, degli esistenti secondari, alcuni caratterizzati bene, altri forse un po’ troppo stereotipati, ma è che la storia è quasi tutta incentrata su Carlo e Camille, ed in un post così sintetico non avrebbe senso una simile apertura.
E certo dovrei parlarvi, infine, di come abbiamo visto quasi superfluo il ruolo di Caludia Pandolfi, completivo certo, necessario, arriverei a dire, per comprendere a fondo le motivazioni all’agire di Carlo, ma non sempre convincente, né in fase di screenplay, né in fase di resa attoriale, risultando alla fine poco più di un cameo, ma non sarebbe corretto aprire questa parentesi, aspettando che, prima o poi, questa brava e promettente attrice sbocci, invece di rimanere, ahimè, quantomeno in sala, sempre, la promessa mancata del cinema italiano.
http://www.cinemavistodame.com/2008/11/30/solo-un-padre-di-luca-lucini-2008/
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Bello, giovane, professionalmente affermato nel suo lavoro di dermatologo, Carlo è anche un vedovo con una bimba di dieci mesi, la dolce Sofia. La moglie Melissa è morta nel dare alla luce la loro figlia, e questo fatto – insieme a un segreto che si porta dentro – procura in Carlo un senso di colpa che è più forte del dolore stesso. Genitori, amici e colleghi si fanno in quattro per consolarlo, aiutarlo nel badare alla bambina (ci sono tutti gli inconvenienti classici: insonnia notturna, difficoltà di alimentazione, paure del genitore inesperto per la salute del pupo…), trovargli una nuova compagnia femminile. Ma gli esiti sono infelici (e disastrosi nell’approccio con l’ansiosa Caterina; che lo tormenta nella speranza di accalappiarlo), finché non si palesa nella sua vita la giovanissima e dolce Camille, che lo fa sorridere e lo intenerisce nella sua semplicità. Ricercatrice francese trasferitasi a Torino – dove si svolge la storia – per seguire uno studio sulla mappatura del cervello, Camille si adatta a fare da baby sitter saltuaria alla piccola Sofia. Farà centro nel cuore di Carlo, che troverà il coraggio di rivelare a se stesso e agli altri il segreto che l’affligge (che ovviamente non riveliamo) e riaprirsi alla vita.
Tratto dal romanzo Avventure semiserie di un ragazzo padre dell’australiano Nick Earls, Solo un padre è una commedia romantica di cui si sente l’origine anglosassone: in tanti hanno immaginato un film simile con Hugh Grant nei panni del protagonista. E in effetti ricorda a tratti le commedie con l’attore inglese, virando però spesso con brusche sterzate verso quelle hollywoodiane meno raffinate con Ben Stiller (c’è un gatto che ricorda quello di Ti presento i miei). E in questo non saper scegliere tra registro tra commedia e dramma, tra toni sospesi che tendono alla commozione e scivolate nel comico e nel grottesco, ne risente l’equilibrio narrativo. Come anche l’inserimento di personaggi un po’ sopra le righe, come l’amico superficiale che non trova la ragazza giusta (la troverà, ovviamente), la donna stressante da sempre innamorata di lui e che gli dà il tormento, il gay sempre allegro (oltre tutto interpretato dal dipendente “sfigato” della sitcom Camera cafè…).
Quarto film di Luca Lucini (che dopo aver lanciato Riccardo Scamarcio in Tre metri sopra il cielo e aver fatto di meglio con lo spigliato L’uomo perfetto e il notevole e sottovalutato Amore, bugie e calcetto ), Solo un padre genera dunque all’inizio aspettative che poi strada facendo delude. Perché i temi del dolore e del senso di colpa sono affidati a dialoghi serrati che spiegano troppo, a situazioni svelate con meccanismi facili (i flashback, la moglie morta che appare e parla al protagonista) che non fanno scattare il giusto coinvolgimento: così, il film rischia di non riuscire credibile né quando vuol far ridere né quando cerca di commuovere (anche se in alcuni momenti ovviamente, visto il tema, fa risuonare corde sensibili negli spettatori). Il che, visto il tema, è davvero sorprendente.
Soprattutto Lucini, ottimo narratore e tra i pochi giovani registi che preferisce affidarsi a sceneggiature altrui (qui quella di Fabio Bonifacci, altrove più ispirato), stavolta eccede qua e là in inquadrature “artistiche” e sequenze a effetto, invece di puntare sulla storia e sulla sceneggiatura; quasi a non fidarsi (non a torto, considerati i difetti) di entrambe. Lo stesso “colpo di scena”, quando arriva più che un colpo al cuore – come vorrebbe essere – è un colpo definitivo alla credibilità della storia. Non tanto in sé (non c’è niente di impossibile a questo mondo), ma per come viene raccontato.
Di positivo ci sono i due protagonisti: se Luca Argentero, ex concorrente del Grande Fratello tv, dopo Saturno contro e Lezioni di cioccolato, cresce a ogni film, la minuta e graziosa Diane Fleri (già apprezzata in Mio fratello è figlio unico) si impone a pieno titolo come uno dei volti più interessanti dell’attuale cinema italiano.
Antonio Autieri
http://www.sentieridelcinema.it/recensione.asp?ID=906


Ogni pulsione ha una sua particolare fisiognomica. E la pulsione del dolore, quando la memoria si aggancia alle esperienze più lancinanti rimanendo incagliata tra presente e passato, è capace d’imprimere il proprio marchio nell’espressione più di qualsiasi sentimento. Accade quando si diventa prigionieri di sé stessi, segnati da traumi trascorsi, e i sorrisi tirati fungono da maschera del disagio quotidiano: il dolore ama nascondersi, come testimonia qualunque cul de sac esistenziale e ritrovare la strada del dialogo, con la propria coscienza e con quella del mondo, è un tragitto assai difficile da percorrere.
Qui si racconta la storia di un padre. Di un trentenne rimasto vedovo con una figlia di dieci mesi a carico. Una storia apparentemente semplice, ma difficile da rappresentare con la dovuta acutezza e sensibilità. Trovarsi di fronte al peso di una responsabilità biologica (l’aver messo al mondo una creatura) può essere viatico di un rigenerante apprendistato. Ed è questo il tragitto di Carlo, il dermatologo protagonista di Solo un Padre, film con cui il regista Luca Lucini compie un passo avanti scrollandosi di dosso l’esperienza didascalica e sorniona di Tre Metri Sopra il Cielo e L’Uomo Perfetto (entrambi con Riccardo Scamarcio) e la nervosa enfasi del precedente Amore, Bugie & Calcetto. Il Carlo di Luca Argentero (che scopriamo attore in fase di crescita) ha una carriera ben avviata, amici solidali in grado di confortarlo, genitori premurosi ed affettuosi (interpretati da Gianni Bisacca e Elisabetta De Palo), un fisico atletico mantenuto dallo jogging quotidiano, un auto sportiva e una bella casa. Suo principale sostegno emotivo è la splendida e dolcissima Sofia, detta Fagiolino (in scena le sorelline Michela e Fabiana Gatto), vibrante ed incerta, capace di risucchiare energie fisiche e mentali come sanno esserlo le neonate. La piccola è nata mentre Melissa (Claudia Pandolfi) moriva sul tavolo operatorio nel metterla al mondo. Carlo, elaborando a fatica il suo lutto, si è legato ad amici che condividono il suo stesso lavoro: l’estroso e spiritoso Giorgio (Fabio Troiano) e l’omosessuale Oscar (Alessandro Sampaoli) entrambi capaci di riempire i vuoti delle sue serate. Ed ecco che davanti lo specchio convesso, nel quale Carlo si riflette confondendosi coi tratti vispi ed intelligenti della figlioletta, appare la single Caterina (interpretata dalla promettente Anna Foglietta di cui abbiamo notato la presenza nell’interessante esordio della regista siracusana Lisa Romano, Se Chiudi gli Occhi, film che, come questo di Lucini, sa mescolare dramma ed ironia). E’ una donna incredibilmente generosa, che ama il suo gatto e corteggia il nostro ragazzo padre inviandogli spesso delle e-mail eloquenti. Fino a quando una mattina, durante una corsa lungo il fiume Po, Carlo incontra casualmente Camille (la dolce Diane Fleri), una ricercatrice francese trasferitasi a Torino per ragioni di studio. L’afflato, destinato a trasformarsi in solidarietà, provoca un effetto catartico e una metamorfosi fisiognomica che apre la rigenerante prospettiva di un’autoanalisi sincera in Carlo. Quando Camille entra con decisione nella sua vita, i toni da commedia della prima parte del film si stemperano in quelli sentimentali della seconda. Facendo luce sull’esperienza passata, il protagonista ora può rileggere ed interpretare la qualità del suo ménage con la moglie Melissa scoprendo che esso si era già consumato prima della nascita della piccola.
Derivato da un romanzo di un brillante scrittore australiano di nome Nick Earls intitolato "Le disavventure semiserie di un ragazzo padre", sceneggiato con mano sensibile da Giulia Calenda e Maddalena Ravagli, Solo un Padre è una parabola morale lavorata con tocchi delicati ed un buon equilibrio drammaturgico anche se lo script sacrifica alcuni personaggi secondari, come il gruppo di amici di Carlo, come l’esuberante figura di Caterina al centro di una cena casalinga (dove l’impacciato protagonista combina guai nel bagno) e come la segretaria dello studio Eleonora (Sara D’Amario). Con questa sua equilibrata prova Lucini si mostra assai abile a fotografare con la dovuta espressività Torino (con l’ausilio del direttore Manfredo Archinto) rendendone la dimensione di capitale europea ed accentuandone le tonalità malinconiche in linea con lo spirito del racconto. Anche gli ambienti interni assumono una loro dimensione narrativa: l’elegante abitazione di Carlo in relazione con l’habitat precario di Camille, con problemi di ristrutturazione e di corrente elettrica. Il personaggio del libro di Earls è uno di quelli che sarebbero piaciuti a Hugh Grant (anche se i padri e i mariti incarnati dall’attore inglese risultano più cinici). Con questo climax sospeso tra Woody Allen e Nick Hornby, Solo un Padre evoca atmosfere apparentabili a quei drammi romantici americani dove il paesaggio si fonde alle identità più segrete dei personaggi.
Una sequenza come quella della voce di Melissa, ormai morta, che echeggia nella segreteria telefonica messa in moto dalla vivace Fagiolino è una sfumatura mélo che rimanda all’incipit commovente di Grace is Gone dove John Cusack si trascina malinconico mentre risuona l’ultima incisione vocale della moglie che morirà in Iraq. Ed è curiosa l’analogia tra il personaggio di Argentero e quello di Richard Gere, chirurgo plastico nell’imminente Come un Uragano, folgorato dal dolore che lo attanaglia (la morte sul tavolo operatorio di una paziente affetta da un tumore alla pelle) durante una corsa sulla spiaggia di Rodanthe. Anche Carlo è sedotto epifanicamente mentre si ritrova a contatto con la natura, nel paesaggio di un mare in tempesta. E’ quello l’istante in cui il dolore si trasforma in consapevole adesione alla necessità del vivere, in coscienziosa presa d’atto del proprio, importante ruolo di genitore.
Ad incorniciare con il dovuto vigore questo film attento a calibrare lacrime e sorrisi, troviamo le musiche originali di Fabrizio Campanelli e una celebre canzone dei R.E.M., "Everybody Hurts", che evoca, sottolineandolo emblematicamente, il frastagliato percorso di resurrezione di Carlo, giovane padre di oggi.
http://www.revisioncinema.com/ci_solounpadre.htm

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