TITULO ORIGINAL Maternity Blues
AÑO 2011
IDIOMA Italino
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 95 min.
DIRECCION Fabrizio Cattani
ARGUMENTO de la obra literaria "FROM MEDEA" de Grazia Verasani
GUION Fabrizio Cattani, Grazia Verasani
REPARTO Andrea Osvart, Monica Birladeanu, Chiara Martegiani, Marina Pennafina, Giada Colucci, Daniele Pecci, Elodie Treccani, Pascal Zullino, Giulia Weber, Lia Tanzi, Pierluigi Corallo, Franca Abategiovanni, Amina Syed
FOTOGRAFIA Francesco Carini
MONTAJE Paola Freddi
MUSICA Paolo Vivaldi
PRODUCCION ipotesICinema, Faso Film
GENERO Drama
SINOPSIS La película explora la mente femenina, que se atribuye un instinto natural a la maternidad y trata de comprender cuáles son las razones que llevan a algunas mujeres a asesinar a sus hijos. Cuatro diferentes mujeres, abordando su destino con cinismo o fragilidad, pero todas están unidas por un sentimiento común de culpa que cada una ve en la otra. (FILMAFFINITY)
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Subtítulos (Español)
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Trama
Quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l'infanticidio. All'interno di un ospedale psichiatrico giudiziario, trascorrono il loro tempo espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha vanificato le loro esistenze. Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell'altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti. Clara, combattuta nell'accettare il perdono del marito, che si è ricostruito una vita in Toscana, sconta gli effetti di un’esistenza basata su un'apparente normalità. Eloisa, passionale e diretta, persiste ogni volta nel polemizzare con le altre, un cinismo solo di facciata. Rina, ragazza-madre, ha affogato la figlia nella vasca da bagno in una sorta di eutanasia. Vincenza, nonostante la fede religiosa sarà l'unica a compiere un atto definitivo contro se stessa. Ha ancora due figli, fuori, e per loro riempie pagine di lettere che non spedirà mai.
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=48650&film=Maternity-Blues
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=48650&film=Maternity-Blues
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Quando una mamma uccide un figlio. E’ il tema drammatico che ha spinto Grazia Verasani, autrice dell’opera teatrale da cui è tratto Maternity Blues e co-sceneggiatrice del film con il regista Fabrizio Cattani (qui alla sua seconda fatica co-prodotta con la troupe e il cast artistico), a esplorare il tema dell’infanticidio. La volontà della Verasani, iniziata alla scrittura da Tonino Guerra, era quella di raccontarci queste donne che commettono un reato così grave, inaccettabile, da un punto di vista diverso rispetto a quello a cui siamo abituati, senza né accusare, né giustificare, semplicemente fotografando questa realtà.
Il titolo del film è fuorviante, qui non si ha a che fare con il blues di madri in piena crisi post-parto, ma con il dolore di quattro donne che hanno ucciso i loro figli e di conseguenza loro stesse. Da Medea a oggi più che mai, l’infanticidio è un dato di fatto.
Poco più di tre mesi fa un quotidiano del trevigiano intitolava “Lo zaino si impiglia nel camper, madre travolge e uccide figlio di 10 anni”. Questa disgrazia, apparentemente casuale, è indice della follia in cui sono piombate molte madri oggi, vittime e carnefici in una società che, debole e disperata, rincorre ritmi allucinanti in cui non c’è spazio per prendersi cura dell’altro. Madri spesso sole con lavori precari e compagni assenti, acrobate su un campo minato. Perché i figli sono, usando parole della Verasani, anche dei tiranni, usurpatori del sonno, del tempo e dello spazio vitale.
Questo ci si aspettava da Maternity Blues, una denuncia sociale utile, come solo il cinema può essere, di una realtà che fortunatamente uccide solo madri borderline, donne in bilico, con un passato spesso doloroso e senza appigli stabili nel presente. Un tranquillo menage di follia insomma, dove in un attimo si può oltrepassare, con un raptus omicida, quel limite oltre il quale non c’è più ritorno.
Purtroppo è solo su questo (tentato) ritorno che è incentrato il film.
Le quattro protagoniste (Andrea Osvart, Monica Birladeanu, Chiara Marteggiani e Marina Pennafina), descritte come “colpevoli innocenti” vivono rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario, labirinto di espiazione e per qualcuna di loro anche redenzione. Madri assassine che, citando una frase del film, portano sul volto la S di un senso di colpa indelebile, unico comune denominatore di queste donne molto diverse tra loro (ad eccezione della passionale e diretta Eloisa). La denuncia in questo film c’è, ma il background delle protagoniste e soprattutto il perché del loro folle gesto viene approfondito bene solo in un flashback di Vincenza, la veterana del gruppo, che in un momento di stress incontrollabile (casa sottosopra, telefono che squilla, tre figli piccoli, bollitore che sibila e una vita spezzata dal tradimento del marito) infila il bambino che stava allattando nella lavatrice.
In un cast prevalentemente femminile fa eccezione un Daniele Pecci qui nel piccolo ma significativo ruolo di un personaggio muto, una specie di orso focalizzato su un dolore pregresso che bofonchiando rende bene il travaglio di un uomo che si trova ad amare ancora il mostro che ha ucciso i suoi figli (“Io non ho più soldi da mettere da parte per mandarli all’università”).
Nonostante mantenga una linea piuttosto piatta, Cattani riesce a tenere viva la storia offrendoci un film confezionato abbastanza bene (è stato realizzato con appena 400mila euro) e a cui va assegnato il merito di gettare uno sguardo inedito sulla malattia mentale e sulle dinamiche dell’ospedalizzazione. Anche se a tratti sfiora la soap opera, Maternity Blues rimane un’opera coraggiosa e da vedere (armati di fazzoletti per chi è di lacrima facile), soprattutto qui in Italia dove si producono troppe commediole demenziali e non sempre di alto livello.
Barbara Destro
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=13318
Il titolo del film è fuorviante, qui non si ha a che fare con il blues di madri in piena crisi post-parto, ma con il dolore di quattro donne che hanno ucciso i loro figli e di conseguenza loro stesse. Da Medea a oggi più che mai, l’infanticidio è un dato di fatto.
Poco più di tre mesi fa un quotidiano del trevigiano intitolava “Lo zaino si impiglia nel camper, madre travolge e uccide figlio di 10 anni”. Questa disgrazia, apparentemente casuale, è indice della follia in cui sono piombate molte madri oggi, vittime e carnefici in una società che, debole e disperata, rincorre ritmi allucinanti in cui non c’è spazio per prendersi cura dell’altro. Madri spesso sole con lavori precari e compagni assenti, acrobate su un campo minato. Perché i figli sono, usando parole della Verasani, anche dei tiranni, usurpatori del sonno, del tempo e dello spazio vitale.
Questo ci si aspettava da Maternity Blues, una denuncia sociale utile, come solo il cinema può essere, di una realtà che fortunatamente uccide solo madri borderline, donne in bilico, con un passato spesso doloroso e senza appigli stabili nel presente. Un tranquillo menage di follia insomma, dove in un attimo si può oltrepassare, con un raptus omicida, quel limite oltre il quale non c’è più ritorno.
Purtroppo è solo su questo (tentato) ritorno che è incentrato il film.
Le quattro protagoniste (Andrea Osvart, Monica Birladeanu, Chiara Marteggiani e Marina Pennafina), descritte come “colpevoli innocenti” vivono rinchiuse in un ospedale psichiatrico giudiziario, labirinto di espiazione e per qualcuna di loro anche redenzione. Madri assassine che, citando una frase del film, portano sul volto la S di un senso di colpa indelebile, unico comune denominatore di queste donne molto diverse tra loro (ad eccezione della passionale e diretta Eloisa). La denuncia in questo film c’è, ma il background delle protagoniste e soprattutto il perché del loro folle gesto viene approfondito bene solo in un flashback di Vincenza, la veterana del gruppo, che in un momento di stress incontrollabile (casa sottosopra, telefono che squilla, tre figli piccoli, bollitore che sibila e una vita spezzata dal tradimento del marito) infila il bambino che stava allattando nella lavatrice.
In un cast prevalentemente femminile fa eccezione un Daniele Pecci qui nel piccolo ma significativo ruolo di un personaggio muto, una specie di orso focalizzato su un dolore pregresso che bofonchiando rende bene il travaglio di un uomo che si trova ad amare ancora il mostro che ha ucciso i suoi figli (“Io non ho più soldi da mettere da parte per mandarli all’università”).
Nonostante mantenga una linea piuttosto piatta, Cattani riesce a tenere viva la storia offrendoci un film confezionato abbastanza bene (è stato realizzato con appena 400mila euro) e a cui va assegnato il merito di gettare uno sguardo inedito sulla malattia mentale e sulle dinamiche dell’ospedalizzazione. Anche se a tratti sfiora la soap opera, Maternity Blues rimane un’opera coraggiosa e da vedere (armati di fazzoletti per chi è di lacrima facile), soprattutto qui in Italia dove si producono troppe commediole demenziali e non sempre di alto livello.
Barbara Destro
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=13318
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"Maternity Blues", ha il nome dolce di una musica lontana invece è una sindrome assassina, una depressione post partum che porta una madre ad uccidere il proprio figlio.
La depressione post partum è un disturbo dell’umore sempre più preoccupante che colpisce fino al 30% delle donne immediatamente dopo il parto e si può manifestare in varie entità.
Secondo il Rapporto Eurispes Italia 2011, nel 2010 è stato compiuto un infanticidio ogni 20 giorni. Un anno prima la cadenza era di uno ogni 33 giorni e, nel 2008, di uno ogni 91. In numeri assoluti, i casi sono stati 4 nel 2008, 11 nel 2009 e 20 nel 2010.
Gli psichiatri parlano spesso di "depressione post partum" ma questa diagnosi rivela non solo il sintomo di una vera e propria malattia ma anche le condizioni della maternità, di ogni maternità, dove l'amore per il figlio non è mai disgiunto dall'odio per il figlio, perché vive e si nutre del sacrificio della madre: sacrificio del suo corpo, spazio, tempo, sonno, relazioni, lavoro, affetti e anche amori, altri dall'amore per il figlio. La nostra società si ritrova incapace di accettare una verità che la psicologia e l'antropologia moderna hanno da tempo verificato: il cosiddetto istinto materno non esiste. L'idea per la quale esista una sorta di vincolo naturale fra madre e figli che trae origine dal parto, vincolo che alcuni finiscono per estendere a tutte le donne e a tutti i bambini indipendentemente dal legame di sangue, vincolo che al contrario molti negano sussista anche nel genere maschile persino tra padri e figli, è a tutti gli effetti un mito. Spesso conoscere la storia pregressa delle infanticide, aiuta a capire come l'istinto materno non sia affatto un istinto innato, come la maternità sia qualcosa di estremamente complesso e come la depressione maggiore o post partum, se non compresa, possa sfociare anche nell'assassinio del proprio figlio, che, poi, altro non è che un suicidio. I sintomi della depressione post-partum sono spesso tenuti nascosti sia dalla stessa madre, per motivi di disistima, ma anche dai famigliari che la circondano, per motivi di imbarazzante vergogna. La solitudine è la prima barriera che una madre dovrebbe infrangere.
Il testo teatrale “From Medea” di Grazia Verasani, da cui è tratta la sceneggiatura, nasce non solo come riflessione sull’istinto materno ma anche come accusa contro una società che ha sempre bisogno di creare mostri e giudicare un malessere che non andrebbe liquidato con leggerezza.
Nel film non c'è traccia di giudizio nei confronti delle protagoniste, ma neppure di giustificazione e, tanto meno, di assoluzione. C'è semplicemente la fotografia delle loro vite, raccontate dal luogo dove stanno scontando la loro pena, Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e contemporaneamente cercando di «curarsi» con il supporto di psichiatri. Ci è sembrato anche estremamente interessante sottolineare come Rina, Vincenza, Eloisa e Clara vivano come “sospese” in un limbo dalle pareti sottili che le separa, ma al tempo stesso le protegge dal mondo reale. Un limbo difficile da varcare anche per via di quei pregiudizi e quella superficialità a cui i media ci hanno abituato.
I medici a Castiglione delle Stiviere, rinomato O.P.G. dove queste donne vengono spesso ricoverate, parlano anche di concorso di colpa: "molte arrivano a questo gesto contro natura, anche per colpa di mariti assenti o violenti, per infanzie difficili, a volte brutali”.
Calandosi con attenzione nelle vite dolorose o estremamente grigie delle protagoniste non si può non provare per loro PIETAS, quel sentimento che si prova nel momento in cui si smette di giudicare e si inizia a cercare di comprendere.
Fabrizio Cattani
http://www.cinemaitaliano.info/news/08741/note-di-regia-del-film-maternity-blues.html
La depressione post partum è un disturbo dell’umore sempre più preoccupante che colpisce fino al 30% delle donne immediatamente dopo il parto e si può manifestare in varie entità.
Secondo il Rapporto Eurispes Italia 2011, nel 2010 è stato compiuto un infanticidio ogni 20 giorni. Un anno prima la cadenza era di uno ogni 33 giorni e, nel 2008, di uno ogni 91. In numeri assoluti, i casi sono stati 4 nel 2008, 11 nel 2009 e 20 nel 2010.
Gli psichiatri parlano spesso di "depressione post partum" ma questa diagnosi rivela non solo il sintomo di una vera e propria malattia ma anche le condizioni della maternità, di ogni maternità, dove l'amore per il figlio non è mai disgiunto dall'odio per il figlio, perché vive e si nutre del sacrificio della madre: sacrificio del suo corpo, spazio, tempo, sonno, relazioni, lavoro, affetti e anche amori, altri dall'amore per il figlio. La nostra società si ritrova incapace di accettare una verità che la psicologia e l'antropologia moderna hanno da tempo verificato: il cosiddetto istinto materno non esiste. L'idea per la quale esista una sorta di vincolo naturale fra madre e figli che trae origine dal parto, vincolo che alcuni finiscono per estendere a tutte le donne e a tutti i bambini indipendentemente dal legame di sangue, vincolo che al contrario molti negano sussista anche nel genere maschile persino tra padri e figli, è a tutti gli effetti un mito. Spesso conoscere la storia pregressa delle infanticide, aiuta a capire come l'istinto materno non sia affatto un istinto innato, come la maternità sia qualcosa di estremamente complesso e come la depressione maggiore o post partum, se non compresa, possa sfociare anche nell'assassinio del proprio figlio, che, poi, altro non è che un suicidio. I sintomi della depressione post-partum sono spesso tenuti nascosti sia dalla stessa madre, per motivi di disistima, ma anche dai famigliari che la circondano, per motivi di imbarazzante vergogna. La solitudine è la prima barriera che una madre dovrebbe infrangere.
Il testo teatrale “From Medea” di Grazia Verasani, da cui è tratta la sceneggiatura, nasce non solo come riflessione sull’istinto materno ma anche come accusa contro una società che ha sempre bisogno di creare mostri e giudicare un malessere che non andrebbe liquidato con leggerezza.
Nel film non c'è traccia di giudizio nei confronti delle protagoniste, ma neppure di giustificazione e, tanto meno, di assoluzione. C'è semplicemente la fotografia delle loro vite, raccontate dal luogo dove stanno scontando la loro pena, Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e contemporaneamente cercando di «curarsi» con il supporto di psichiatri. Ci è sembrato anche estremamente interessante sottolineare come Rina, Vincenza, Eloisa e Clara vivano come “sospese” in un limbo dalle pareti sottili che le separa, ma al tempo stesso le protegge dal mondo reale. Un limbo difficile da varcare anche per via di quei pregiudizi e quella superficialità a cui i media ci hanno abituato.
I medici a Castiglione delle Stiviere, rinomato O.P.G. dove queste donne vengono spesso ricoverate, parlano anche di concorso di colpa: "molte arrivano a questo gesto contro natura, anche per colpa di mariti assenti o violenti, per infanzie difficili, a volte brutali”.
Calandosi con attenzione nelle vite dolorose o estremamente grigie delle protagoniste non si può non provare per loro PIETAS, quel sentimento che si prova nel momento in cui si smette di giudicare e si inizia a cercare di comprendere.
Fabrizio Cattani
http://www.cinemaitaliano.info/news/08741/note-di-regia-del-film-maternity-blues.html
Così scrivono gli autori di "Maternity Blues", film di Fabrizio Cattani, applauditissimo alla Mostra del Cinema di Venezia, dal 27 aprile nelle sale italiane.
Ecco la trama:
Quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l'infanticidio. All'interno di un ospedale psichiatrico giudiziario, trascorrono il loro tempo espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha vanificato le loro esistenze.
Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell'altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti.
Clara, combattuta nell'accettare il perdono del marito, che si è ricostruito una vita in Toscana, sconta gli effetti di un'esistenza basata su un'apparente normalità. Eloisa, passionale e diretta, persiste ogni volta nel polemizzare con le altre, un cinismo solo di facciata. Rina, ragazza-madre, ha affogato la figlia nella vasca da bagno in una sorta di eutanasia. Vincenza, nonostante la fede religiosa sarà l'unica a compiere un atto definitivo contro se stessa. Ha ancora due figli, fuori, e per loro riempie pagine di lettere che non spedirà mai.
Tema molto difficile e più che mai attuale, sulla cui trattazione gli autori, Fabrizio Cattani e Grazia Verasani (autrice del testo teatrale "From Medea"da cui il film è tratto") hanno voluto dare qualche linea interpretativa:
"Il testo teatrale "From Medea" di Grazia Verasani, da cui è tratta la sceneggiatura, nasce non solo come riflessione sull'istinto materno ma anche come accusa contro una società che ha sempre bisogno di creare mostri e giudicare un malessere che non andrebbe liquidato con leggerezza.
Nel film non c'è traccia di giudizio nei confronti delle protagoniste, ma neppure di giustificazione e, tanto meno, di assoluzione.
C'è semplicemente la fotografia delle loro vite, raccontate dal luogo dove stanno scontando la loro pena, Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e contemporaneamente cercando di «curarsi» con il supporto di psichiatri.
Ci è sembrato anche estremamente interessante sottolineare come Rina, Vincenza, Eloisa e Clara vivano come "sospese" in un limbo dalle pareti sottili che le separa, ma al tempo stesso le protegge dal mondo reale. Un limbo difficile da varcare anche per via di quei pregiudizi e quella superficialità a cui i media ci hanno abituato. I medici a Castiglione delle Stiviere, rinomato O.P.G. dove queste donne vengono spesso ricoverate, parlano anche di concorso di colpa: "molte arrivano a questo gesto contro natura, anche per colpa di mariti assenti o violenti , per infanzie difficili, a volte brutali".
Calandosi con attenzione nelle vite dolorose o estremamente grigie delle protagoniste non si può non provare per loro PIETAS, quel sentimento che si prova nel momento in cui si smette di giudicare e si inizia a cercare di comprendere".
http://spettacoli.blogosfere.it/2012/04/maternity-blues-trama-e-trailer-del-film-di-cattani-in-programmazione-nelle-sale-italiane.html
Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell'altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti.
Clara, combattuta nell'accettare il perdono del marito, che si è ricostruito una vita in Toscana, sconta gli effetti di un'esistenza basata su un'apparente normalità. Eloisa, passionale e diretta, persiste ogni volta nel polemizzare con le altre, un cinismo solo di facciata. Rina, ragazza-madre, ha affogato la figlia nella vasca da bagno in una sorta di eutanasia. Vincenza, nonostante la fede religiosa sarà l'unica a compiere un atto definitivo contro se stessa. Ha ancora due figli, fuori, e per loro riempie pagine di lettere che non spedirà mai.
Tema molto difficile e più che mai attuale, sulla cui trattazione gli autori, Fabrizio Cattani e Grazia Verasani (autrice del testo teatrale "From Medea"da cui il film è tratto") hanno voluto dare qualche linea interpretativa:
"Il testo teatrale "From Medea" di Grazia Verasani, da cui è tratta la sceneggiatura, nasce non solo come riflessione sull'istinto materno ma anche come accusa contro una società che ha sempre bisogno di creare mostri e giudicare un malessere che non andrebbe liquidato con leggerezza.
Nel film non c'è traccia di giudizio nei confronti delle protagoniste, ma neppure di giustificazione e, tanto meno, di assoluzione.
C'è semplicemente la fotografia delle loro vite, raccontate dal luogo dove stanno scontando la loro pena, Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e contemporaneamente cercando di «curarsi» con il supporto di psichiatri.
Ci è sembrato anche estremamente interessante sottolineare come Rina, Vincenza, Eloisa e Clara vivano come "sospese" in un limbo dalle pareti sottili che le separa, ma al tempo stesso le protegge dal mondo reale. Un limbo difficile da varcare anche per via di quei pregiudizi e quella superficialità a cui i media ci hanno abituato. I medici a Castiglione delle Stiviere, rinomato O.P.G. dove queste donne vengono spesso ricoverate, parlano anche di concorso di colpa: "molte arrivano a questo gesto contro natura, anche per colpa di mariti assenti o violenti , per infanzie difficili, a volte brutali".
Calandosi con attenzione nelle vite dolorose o estremamente grigie delle protagoniste non si può non provare per loro PIETAS, quel sentimento che si prova nel momento in cui si smette di giudicare e si inizia a cercare di comprendere".
http://spettacoli.blogosfere.it/2012/04/maternity-blues-trama-e-trailer-del-film-di-cattani-in-programmazione-nelle-sale-italiane.html
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La pellicola fotografa la quotidianità, tra fantasmi e sensi di colpa, di quattro donne rinchiuse nell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. Clara (Andrea Oswart) è combattuta nell'accettare il perdono del marito (Daniele Pecci), che comunque non ha saputo cogliere il suo malessere dietro l'apparente normalità. Eloisa (Monica Birladeanu), passionale e diretta, sembra non volere sentirsi colpe addosso col suo cinismo di facciata. Rina (Chiara Martegiani), ragazza-madre dolce e indifesa, ha affogato la figlia nella vasca da bagno. Vincenza (Marina Pennafina) ha ancora due figli fuori a cui scrive lettere senza mai spedirle. Tutte diverse, sono accomunate dalla colpa di avere ucciso la propria prole.
Ma Cattani, che si ispira per Maternity Blues al testo teatrale From Medea di Grazia Verasani, non emette giudizi verso queste donne. Per lui sono "colpevoli innocenti". La camera cerca di capire, non di condannare.
Secondo il Rapporto Eurispes Italia 2011, nel 2010 è stato compiuto un infanticidio ogni 20 giorni. Un anno prima la cadenza era di uno ogni 33 giorni e, nel 2008, di uno ogni 91. In numeri assoluti, i casi sono stati 4 nel 2008, 11 nel 2009 e 20 nel 2010.
Sono dati che fanno riflettere su come le madri non debbano essere lasciate sole dopo il parto, tra pannolini, notti in bianco, sacrifici fisici e dei propri spazi e tempi.
Sotto il nome dolce Maternity Blues si cela infatti una sindrome assassina, la "Sindrome Blues", la depressione post partum.
Per parlare di questo tema scomodo e troppo spesso taciuto e soprattutto per spezzare la gabbia di solitudine che intrappola tante neo-mamme dopo il parto, in occasione dell'uscita del film è stato organizzato un ciclo di incontri dal titolo "Quando una madre uccide", con il regista al seguito ma anche il dottor Antonino Calogero, direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, che segue diversi casi di madri che hanno commesso infanticidio e che ha dato la propria consulenza per la realizzazione del film, l'autrice del libro Grazia Verasani e Daniela Bernacchi, direttore generale di Intervita Onlus , associazione che opera nel Sud del Mondo e da anni è al fianco delle donne e dei loro diritti.
Simona Santoni
http://cultura.panorama.it/cinema/Maternity-Blues-il-film-sulle-madri-assassine-Video-in-anteprima
Ma Cattani, che si ispira per Maternity Blues al testo teatrale From Medea di Grazia Verasani, non emette giudizi verso queste donne. Per lui sono "colpevoli innocenti". La camera cerca di capire, non di condannare.
Secondo il Rapporto Eurispes Italia 2011, nel 2010 è stato compiuto un infanticidio ogni 20 giorni. Un anno prima la cadenza era di uno ogni 33 giorni e, nel 2008, di uno ogni 91. In numeri assoluti, i casi sono stati 4 nel 2008, 11 nel 2009 e 20 nel 2010.
Sono dati che fanno riflettere su come le madri non debbano essere lasciate sole dopo il parto, tra pannolini, notti in bianco, sacrifici fisici e dei propri spazi e tempi.
Sotto il nome dolce Maternity Blues si cela infatti una sindrome assassina, la "Sindrome Blues", la depressione post partum.
Per parlare di questo tema scomodo e troppo spesso taciuto e soprattutto per spezzare la gabbia di solitudine che intrappola tante neo-mamme dopo il parto, in occasione dell'uscita del film è stato organizzato un ciclo di incontri dal titolo "Quando una madre uccide", con il regista al seguito ma anche il dottor Antonino Calogero, direttore dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, che segue diversi casi di madri che hanno commesso infanticidio e che ha dato la propria consulenza per la realizzazione del film, l'autrice del libro Grazia Verasani e Daniela Bernacchi, direttore generale di Intervita Onlus , associazione che opera nel Sud del Mondo e da anni è al fianco delle donne e dei loro diritti.
Simona Santoni
http://cultura.panorama.it/cinema/Maternity-Blues-il-film-sulle-madri-assassine-Video-in-anteprima
Gracias Amarcord, saludos
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