TÍTULO ORIGINAL Senza pelle
AÑO 1994
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACIÓN 90 min.
DIRECTOR Alessandro D'Alatri
GUIÓN Alessandro D'Alatri
MÚSICA Alfredo Lacosegliaz, Moni Ovadia
FOTOGRAFÍA Claudio Collepiccolo
REPARTO Anna Galiena, Massimo Ghini, Kim Rossi Stuart, Maria Grazia Grassini, Lucio Allocca, Paola Tiziana Cruciani, Leila Durante, Pier Giorgio Menichini, Patrizia Piccinini, Emanuela Pistone, Renzo Stacchi, Marina Tagliaferri
PRODUCTORA Istituto Luce / Radiotelevisione Italiana / Rodeo Drive
PREMIOS 1994: Premios David di Donatello: Mejor guión. 5 nominaciones
GÉNERO Drama
SINOPSIS Gina, una guapa empleada de correos, y Ricardo, un conductor de autobús llevan cinco años juntos. Su vida en común transcurre sin sobresaltos hasta que un día Gina recibe una apasionada carta de un admirador. El hombre que se esconde tras ella es Saverio, un joven vulnerable que sufre un desarreglo nervioso. (FILMAFFINITY)
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Subtítulos (Inglés)
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Trama
Gina, avvenente impiegata alle poste di Roma, convive con Riccardo, autista dell'ATAC, dal quale ha avuto un bimbo di 4 anni, Enrico. Improvvisamente la donna riceve una lettera d'amore da un certo Saverio, un giovane bellissimo e sensibile, ma con disturbi della personalità, che inizia anche a farle diverse telefonate insistenti. Gina nasconde il fatto al marito, ma questi scopre le lettere e lei fatica a rassicurarlo sulla sua fedeltà. Dopo che Saverio arriva addirittura a infilare le lettere sotto la porta di casa, lasciando il proprio numero telefonico, Riccardo risale al misterioso spasimante e lo affronta, rendendosi conto che è uno psicopatico, ma la madre di Saverio chiama la polizia, che diffida Riccardo. Gina, dopo un incontro con la madre del giovane, inizia con non poco imbarazzo a parlargli, e anche Riccardo stesso prova ad aiutarlo: superati i primi impulsi di gelosia aggressiva, cerca infatti di capire l'intruso e la sua diversità, sentendosi "un po' santo e un po' fesso"...
Gina convince Urbano, proprietario di una serra, a farsi aiutare dal giovane, e inizia a trattarlo con sentimenti di materna comprensione sempre più simili all'amore. Un giorno, infatti, la donna passa dalla serra e Saverio le chiede un bacio: in un momento di debolezza e di pietà, la donna cede e si lascia andare, influenzata anche dalla dolce bellezza delle splendide poesie che il giovane le dedica, per pentirsi subito poi di fronte allo choc emotivo manifestato da Saverio.
Per sottrarla a questa situazione ormai divenuta insostenibile, Riccardo la porta al mare, allontanandola da Saverio. A questo punto, disperato per la perdita della sua amata, Saverio ha una crisi e distrugge la serra. Arrestato, viene ricoverato in ospedale e ospitato in una comunità terapeutica, dove un bigliettino gli cade accanto: è una ragazza del centro che gli lancia un messaggio di affetto e di speranza...
Gina convince Urbano, proprietario di una serra, a farsi aiutare dal giovane, e inizia a trattarlo con sentimenti di materna comprensione sempre più simili all'amore. Un giorno, infatti, la donna passa dalla serra e Saverio le chiede un bacio: in un momento di debolezza e di pietà, la donna cede e si lascia andare, influenzata anche dalla dolce bellezza delle splendide poesie che il giovane le dedica, per pentirsi subito poi di fronte allo choc emotivo manifestato da Saverio.
Per sottrarla a questa situazione ormai divenuta insostenibile, Riccardo la porta al mare, allontanandola da Saverio. A questo punto, disperato per la perdita della sua amata, Saverio ha una crisi e distrugge la serra. Arrestato, viene ricoverato in ospedale e ospitato in una comunità terapeutica, dove un bigliettino gli cade accanto: è una ragazza del centro che gli lancia un messaggio di affetto e di speranza...
Critica
* Un'idea forte di partenza, sviluppata senza divagazioni né demagogia sentimentale con una conclusione che apre uno spiraglio di speranza per il giovane Saverio. Un bel trio d'interpreti, un solido impianto drammaturgico, una suggestiva e funzionale colonna musicale di sonorità klezmer (ebraico-balcaniche), curata da Moni Ovadia e Alfredo La Cosegliaz. Due Grolle d'oro ad Aanna Galiena e Kim Rossi Stuart.
(Tratto da "Il Morandini - Dizionario dei film")
(Tratto da "Il Morandini - Dizionario dei film")
* Saverio è un "senza pelle", come lo definisce la psicologa che lo ha in cura: e cioè trasparente, subisce senza mediazioni gli stimoli dall'esterno, la grazia di Gina, che lo spinge a scrivere poesie bellissime e a mandare meravigliosi cesti di fiori, e la sensualità delle modelle di biancheria intima su una rivista, che stimolano invece la sua sensualita negata dalla situazione psicologica e familiare. La madre cerca di aiutare questo figlio come può, ma confida soprattutto sul trattamento farmacologico, mentre il giovane avrebbe bisogno di ben altro. Gina e Riccardo riescono a far vivere Saverio, per un magico intervallo di tempo - in cui il farmaco chimico sembra soppiantato felicemente dal calore umano -, circondato dall'affetto, dalla comprensione, e la magia sembra avere il sopravvento sui fantasmi di una mente in bilico. Ma basta un errore della donna, una involontaria spinta emotiva per precipitare di nuovo il giovane nel vortice di sofferenza che riesce ad esprimere solo con animaleschi mugolii. Il regista sembra suggerire, dopo aver fatto intravvedere un clima familiare favorevole come aiuto valido, la comunità terapeutica come soluzione tutto sommato più equilibrata. Ma resta il dubbio: avrebbe potuto Saverio liberarsi dalla fase acuta dell'innamoramento per instaurare con Gina e Riccardo un rapporto di amicizia, o la situazione sarebbe comunque evoluta verso una crisi? Il film lancia questo, e tanti altri interrogativi, sui quali una situazione sociale molto più diffusa di quanto si creda è chiamata ogni giorno a rispondere.
(Tratto da "Segnalazioni cinematografiche", vol. 117, 1994)
(Tratto da "Segnalazioni cinematografiche", vol. 117, 1994)
* Ad essere “senza pelle” secondo D’Alatri – arrivato qui alla sua opera seconda dopo l’esordio felice con "Americano Rosso" – sono gli psicotici, perché la loro sensibilità e i loro nervi non hanno nessun confine a separarli dal resto del mondo. Così ne soffrono e, con quei loro comportamenti tanto “aperti”, possono far soffrire anche quelli in cui si imbattono, gente normale, difesa e protetta idealmente, invece, dalla propria pelle. Accade a Gina e Riccardo, una coppia con un bambino ancora in attesa, però, di sposarsi; gente semplice e modesta, lei impiegata alle poste, lui conducente d’autobus; nessun ideale, il quieto vivere e basta. Ma arriva Saverio, di famiglia agiata, psicotico, insofferente alle cure e ad una madre: si innamora di Gina, prima a distanza, con lettere e fiori, dopo, nonostante l’immediata e furente gelosia di Riccardo, avvicinandola prima timido poi un po’ più audace. All’inizio è male accolto, in seguito perfino Riccardo si sforza di comprendere e di accettare, ma Gina rischia di essere travolta da quella passione senza sbocchi e preferisce la fuga. Saverio, accolto in una comunità terapeutica, troverà forse una sua misura. Tutto sul filo del rasoio. Raccontato e rappresentato, però, con mano sempre leggera e fine. All’inizio quel corteggiamento misterioso che porta lo scompiglio in quella coppia piccolo-borghese e totalmente normale (nei modi, nei pensieri, nelle abitudini, espressi sempre con nitido realismo), poi i turbamenti della donna di fronte a un “diverso” in cui scopre mondi nuovi, ora temibili ora travolgenti, quindi la repentina e sofferta decisione del distacco perché quel “piccolo mondo” non può assolutamente convivere con l’altro, troppo distante, troppo estraneo. C’è cronaca, dimessa fino alla quotidianità più minuta (il quartiere periferico, la casa povera, i mestieri quasi umili dei due), ma c’è anche un’analisi psicologica che, dando rilievo soprattutto al ritratto dello psicotico, ne trae effetti quasi lirici, nelle cifre di un tormento ora silenzioso e disperato ora lacerato dalle furie. Lo sostiene, con una maschera metà ferita metà stravolta e con una gestualità abilmente trepida e inceppata, l’interpretazione di Kim Rossi Stuart, forse una delle più sentite della sua carriera. Di fronte Anna Galiena e Massimo Ghini disegnano, con tutta la normalità più scoperta, la brava coppia borghese minacciata da quell’uragano che diventa tanto più pericoloso quanto più credono, in buona fede e con onesti sentimenti, di comprenderlo. Un terzetto insolito, un’indagine in una difficile condizione umana e uno sguardo su certi strappi di oggi che non potevano essere meglio manifestati e narrati. D’Alatri mantiene le promesse del suo esordio.
(Tratto da Gian Luigi Rondi - Il Tempo, 11 maggio 1994)
(Tratto da Gian Luigi Rondi - Il Tempo, 11 maggio 1994)
* C’è sempre qualcuno che tenta di volare sul nido del cuculo. In questo caso è Saverio, giovane psicotico gentile e ipersensibile, iperprotetto dalla madre vedova, abbiente e poetico, innamorato a prima vista della bella Gina, un’impiegata alle poste con compagno e figlio a carico, molestata giorno e notte da lettere d’amore appassionate, rose rosse, telefonate. Riuscirà ad avere l’amicizia della donna, e anche l’attimo fuggente di un amplesso. Ma poi resterà di nuovo solo e impotente, "senza pelle", perché manca del rapporto terminale di fronte al mondo. Internato in una comunità terapeutica, forse incontrerà una sua pari cui offrire un po’ d’affetto. Così è se vi pare. Ma la isoscele storia d’amore di "Senza pelle" può essere anche raccontata dagli altri due lati dello strano triangolo, perché il regista Alessandro D’Alatri riesce a rendere il racconto molto dialettico e insinuante. Per Gina questa può essere l’avventura misteriosa di una vita, che sconvolge il suo tran tran impiegatizio con pizza al sabato sera e ragazzine battezzate televisivamente Jessica. Turbata dal bel giovane "schizzato", Gina riuscirà a proporlo come un amico da aiutare, sostenere, non emarginare. Per Riccardo, autofilotranviario, piccolo borghese, forse ex progressista, la presenza di Saverio, ignoto persecutore, è l’occasione di una bella scenata maschilista, di gelosia prima e di violenza poi. Finché anch’egli viene in qualche modo conquistato dalla pacifica ansia del ragazzo. Ma arriva il momento in cui bisogna scegliere quale psiche distruggere e la famiglia va salvata, anche con la fuga, forse col ménage già crepato per sempre. "Senza pelle" è un bellissimo film che va sotto pelle grazie anche allo struggente, disperato violino che accompagna la splendida colonna sonora yiddish di Moni Ovadia. D’Alatri, che da bambino entrò nel "Giardino dei ciliegi" con Visconti, riesce a "tenere" il tema del tranquillo disordine quotidiano e del diverso che vi si insinua, disegnando una verosimile cornice demi proletaria, un interno di famiglia che ricorda quelli dei ferrovieri e degli uomini di paglia del grande Germi. Rispetto all’opera prima, il gradevole "Americano rosso", l’autore sceglie questa volta non la scenografia d’epoca ma quella più sgradevole dei sentimenti, entrando nel vivo delle belle confusioni, in merito alle quali ciascuno ha sempre ragione e torto allo stesso tempo. L’idea vincente è quella di fare uno psicotico edipico dal cuore tenero, tipo il vecchio David e Lisa, che si permette di andar fuori di testa una volta sola. Kim Rossi Stuart tiene il personaggio con una bella misura di mezza follia, confinante con la solitudine, l’impotenza, la disperazione, fino al mezzo happy end finale, un po’ di maniera. Il film, scritto dallo stesso regista, prenotato alla "Quinzaine" di Cannes, indaga con uno stile senza fronzoli sul quotidiano e insegue la gente comune, dimostrando che l’angoscia esistenziale è la malattia più contagiosa che ci sia, perché interclassista. Muovendosi in un universo "mediocre", descritto con esattezza psicosomatica da entomologo, Massimo Ghini e Anna Galiena "soffrono" benissimo la falsa tranquillità di questa coppia banale che prima s’indigna, poi vuole "spaccare la faccia", infine s’intenerisce e scopre con paura una dimensione altra dell’esistenza: ciascuno è diverso per l’altro, ma i meccanismi degli affetti rispondono alle stesse regole. Considerando il curriculum del regista, che vanta fortunati spot, ci piace notare che "Senza pelle" non è affatto un film "promozionale", ma mette un po’ di disagio con il conforto di una coerenza espressiva e morale che sono garanzie importanti per quel cinema che anche nel Duemila voglia raccontare com’è complicato volersi bene e accettare gli altri.
Per "Senza pelle" D'Alatri ha scelto le sonorità yiddish di Moni Ovadia e Alfredo Lacosegliaz "perché le scale spezzate della musica 'klez' nascono dalle preghiere, qualcosa che va dritto all’anima". Si dice orgoglioso d’aver realizzato un film "povero" per mezzi ma "ricchissimo" per coraggio. Per rendersi conto sulla sua pelle del problema dell’alienazione mentale, da un anno frequenta due comunità terapeutiche romane, "Maieusis" e "Réverie". "Collaboro a un laboratorio di scrittura e video. Ma ho imparato più io da loro che loro da me. Ho verificato una frase dettami all’inizio dai terapeuti: qui sono consentiti tutti gli errori di testa ma non quelli di cuore. Con queste persone il filo è diretto, non si può barare, nascondere i sentimenti. La loro diversità è proprio in questo essere senza difese, senza pelle, appunto. Questo è stato l’insegnamento più grande: non c’è cura senza quel pizzico d’amore necessario. Nella vita quotidiana noi 'sani' usiamo spesso, verso tutto ciò che ci sorprende, l’espressione: 'roba da matti'. La differenza là dentro è che, se ti scappa un: "Ma sei matto?", quello che hai davanti ti guarda negli occhi e ti risponde: "Sì ". E allora si scoppia a ridere insieme".
(Tratto da Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 7 maggio 1994)
http://forum.tntvillage.scambioetico.org/tntforum/index.php?showtopic=212826
Per "Senza pelle" D'Alatri ha scelto le sonorità yiddish di Moni Ovadia e Alfredo Lacosegliaz "perché le scale spezzate della musica 'klez' nascono dalle preghiere, qualcosa che va dritto all’anima". Si dice orgoglioso d’aver realizzato un film "povero" per mezzi ma "ricchissimo" per coraggio. Per rendersi conto sulla sua pelle del problema dell’alienazione mentale, da un anno frequenta due comunità terapeutiche romane, "Maieusis" e "Réverie". "Collaboro a un laboratorio di scrittura e video. Ma ho imparato più io da loro che loro da me. Ho verificato una frase dettami all’inizio dai terapeuti: qui sono consentiti tutti gli errori di testa ma non quelli di cuore. Con queste persone il filo è diretto, non si può barare, nascondere i sentimenti. La loro diversità è proprio in questo essere senza difese, senza pelle, appunto. Questo è stato l’insegnamento più grande: non c’è cura senza quel pizzico d’amore necessario. Nella vita quotidiana noi 'sani' usiamo spesso, verso tutto ciò che ci sorprende, l’espressione: 'roba da matti'. La differenza là dentro è che, se ti scappa un: "Ma sei matto?", quello che hai davanti ti guarda negli occhi e ti risponde: "Sì ". E allora si scoppia a ridere insieme".
(Tratto da Maurizio Porro - Il Corriere della Sera, 7 maggio 1994)
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Dopo Francesca Archibugi con Il Grande Cocomero, anche D’Alatri propone uno sguardo diverso sulla patologia psichica. È interessante il discorso sfaccettato del regista su questi due universi non comunicanti che, in virtù della solidarietà, possono trovare un punto d’incontro, ma l’opera non riesce o non vuole del tutto evitare certi ammiccamenti patetici, si fa didascalica (politically correct) e si schiera talmente da esagerare i connotati romantici del suo outsider protagonista, intessendo un canovaccio spesso incredibile nelle dinamiche psicologiche (vedi Anna Galiena che concede un bacio appassionato): è lodevole l’intento del messaggio, passi che tutto è possibile, ma va presentato con molta più sobrietà e sfumature. Al di là della professionalità tecnica che gli deriva dalla lunga esperienza in campo pubblicitario, D’Alatri maneggia un film che è essenzialmente d’attori, forte di una sceneggiatura “senza pelle” come il suo protagonista, cioè capace di esporre coraggiosamente le proprie emozioni e al contempo di “soffrire” di più proprio per questo. Si inizia con un po’ di commedia (l’ironia sulla gelosia di coppia, le schermaglie amorose, i sospetti sull’identità del molestatore) e si chiude, purtroppo, con uno sgraziato finale consolatorio per compensare la tristezza fin lì profusa. La colonna sonora è l’ingrediente più originale fra percussioni e musiche folkloristiche. La grande rivelazione è Kim Rossi Stuart: un’interpretazione davvero toccante.
Niccolò Rangoni Machiavelli
http://www.spietati.it/z_scheda_dett_film.asp?idFilm=4075
Niccolò Rangoni Machiavelli
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