TITULO ORIGINAL Morto Troisi, viva Troisi!
AÑO 1982
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 50 min.
DIRECCION Massimo Troisi
GUION Lello Arena, Anna Pavignano, Massimo Troisi
REPARTO Massimo Troisi, Marco Messeri, Roberto Benigni, Carlo Verdone, Lello Arena, Renzo Arbore, Maurizio Nichetti
PRODUCTORA Rai Tre Radiotelevisione Italiana
GENERO Comedia | Comedia negra. Mediometraje. Telefilm
SINOPSIS El actor y director napolitano Massimo Troisi imagina el día de su muerte anunciada en una falsa edición del telediario. A comentar su muerte son invitados muchos cómicos, compañeros y amigos de Troisi, como Lello Arena, Carlo Verdone, Marco Messeri, Maurizio Nichetti, Renzo Arbore y Roberto Benigni, que hablan de sus virtudes y de sus defectos... (FILMAFFINITY)
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In questo cortometraggio del 1982 è la morte la figura strutturante del discorso filmico, che, però, non è vista né sentita in modo tragico, almeno apparentemente, ma è un pretesto per riflettere su quest'evento naturale e, forse, addirittura per riderne su con gli amici.
In Morto Troisi... ritorna una caratteristica tipica dei film troisiani: la maledizione del corpo. Ancora una volta c'è questo corpo troppo presente, anche se questa volta non si tratta di un corpo vitale e spumeggiante come al solito, ma di un corpo morto, inerme, senza vita che Troisi indaga dal di fuori come se non fosse il suo.
Morto Troisi... è il frutto del distacco di Massimo che mette in discussione sé stesso e la possibilità, data per scontata di poter vivere a lungo, anche in senso artistico ed escogita, perciò, una trovata che gli permette di contemplarsi e di essere spettatore addirittura della propria morte.
Enrico Ghezzi, in "Scena- marzo '82", sottolinea proprio la genialità del comico napoletano. In questo film troviamo ancora una volta quel messaggio, quella ricerca quasi utopistica di un "io" che sia alla fine collettivo oltre che individuale e che sappia fronteggiare i mutamenti sociali ed i fatti normali della vita quotidiana con delle vere e proprie piccole rivoluzioni.
la trama del film è piuttosto inesistente. Dalla prima scena, in cui c'è Troisi morto, adagiato su una bara ed attorniato dagli amici che gli danno l'ultimo saluto, è chiaro l'andazzo di tutto il resto del film. Gli amici che parlano (male) di lui sono quasi tutti altri appartenenti al filone dei "Nuovi Comici". Ci sono Verdone, Nichetti, Lello Arena, tra gli altri, e Roberto Benigni, che interpreta un finto napoletano.
Questo cortometraggio è stato costruito da Massimo Troisi in modo da inscenare la propria morte, per poter poi narrare postuma la sua carriera e la sua vita. Morto Troisi, viva Troisi è rimasto quasi sconosciuto al grande pubblico, me è evidente che dopo il successo di Ricomincio da tre non poteva essere altrimenti. Questo è successo anche perché non si tratta di un vero e proprio film, ma di un corto, una sorta di documentario artistico televisivo, in cui si parla e si indaga sulla vita di Massimo Troisi.
I suoi amici e colleghi, in una girandola di dichiarazioni e spezzoni di film, parlano di lui in maniera molto strana.
Questo esperimento si potrebbe quasi definire un film di montaggio, dal momento che è composto da una serie di apparizioni televisive, di frammenti tratti da interviste, di spezzoni di film e di interpretazioni teatrali del comico.
Nella prima scena è visibile la camera ardente occupata dalla "salma-Troisi" ed i numerosi amici sono lì per testimoniare il proprio cordoglio. C'è un enorme senso, forse un po' latente, di grottesco e provocatorio. Il tono della provocazione è, però, assolutamente distante da ogni forma auto-celebrativa, nonostante il risaputo narcisismo autorappresentativo che pervade un po' tutto quanto il cinema troisiano.
Massimo Troisi, parlando di se e della propria morte, sovverte un certo tipo di narrazione filmica ed introduce elementi ironici, grotteschi, perturbanti e perturbatori dell'insieme,nonostante la loro necessità di esserci per creare una struttura organica. Questi elementi possono essere identificati nel Lello Arena finto angelo custode o nel Benigni che parla male ed in maniera piuttosto irriverente del morto.
Il progetto di Morto Troisi... risale ai primi anni '80, immediatamente dopo il successo di Ricomincio da tre, quando in Italia esplode il boom dei Nuovi Comici. Infatti, in quel periodo, oltre a Troisi, ci saranno Verdone, Moretti, Abatantuono, Nuti e molti altri a realizzare film divertenti, a volte un po' di cassetta, ma che comunque stravolgeranno le classifiche degli incassi.
Massimo Troisi all'inizio non si mostrò molto interessato a fare questa sorta di documentario autobiografico, soprattutto perché, avendo fatto un solo film, la cosa gli appariva esagerata. Avendo, però, ricevuto campo libero sulla realizzazione del progetto, allora pensò di mettere in piedi un'idea che lo tentava da un po' di tempo: quella di fingersi morto e di raccontare la propria vicenda a posteriori. Racconta così questa grottesca situazione con un corto fatto dal montaggio ad incastro di vari spezzoni di repertorio, di film e di interviste.
La scena di apertura è commentata da una voce "da documentario", che la descrive asetticamente inserendo uno alla volta tutta una serie di flashback: premi, apparizioni TV, interviste e spezzoni di film. C'è una piccola diavoleria operata dal regista: Troisi ha mescolato, per la realizzazione del corto, materiale autentico con materiale costruito, assemblando il tutto in una forma di fiction, di irrealtà nella realtà.
Un esempio simpatico di quest'operazione è dato dalla rivisitazione in flashback delle premiazioni di Taormina e Sorrento mischiati ad opere di pura finzione, come quando Massimo, pur di stare tranquillo in un maneggio, si finge la principessa Anna d'Inghilterra.
La cosa più interessante del corto, comunque, rimane la particolarità del concetto di morte, che viene vista come "luogo" dove si può fare di tutto. I personaggi che parlano di Troisi sono alla fine Troisi stesso, la sua coscienza critica ed ironica che smussa e rovescia il pietismo dei programmi rievocatori.
Troisi, come autore è, in genere, molto autorappresentativo, ma in questo corto non si celebra, al contrario crea tutta una serie di situazioni con personaggi che parlano male di lui. Il cineasta ha saputo mettere in discussione sé stesso e tutta la generazione di Nuovi Comici, mettendo soprattutto in evidenza quanto il futuro della comicità sia indirizzato verso una situazione di decadenza ed un processo di demitizzazione.
Infine, cosa ha espresso Troisi con questo cortometraggio? Tutti i registi hanno sempre iniziato con dei cortometraggi, visti come palestra per la regia vera e propria, ma Troisi aveva già fatto un film e quindi ha usato quest'opportunità non per farsi conoscere, ma per parlare di un argomento per lui molto importante.
Si è limitato ad usare la morte come stratagemma, la TV come mezzo, a far parlare gli altri male di sé a mescolare verità e bugie e, non ultima cosa, a prendere in giro la critica e gli attori.
Tutto sommato possiamo dire che è riuscito a fare una volta tanto, osa estremamente rara negli ultimi anni, un buon prodotto destinato alla televisione.
Claudia Verardi
Morto Troisi, Viva Troisi: ciao Massimo...
Il 4 giugno di nove anni fa ci lasciava Massimo Troisi. Vogliamo ricordarlo ora, in anticipo sui tempi della celebrazione massmediale del decennale, perché noi preferiamo un saluto e un ricordo più intimo, più nostro, quasi "silenzioso", in punta di piedi. Come piacerebbe a lui... e ai suoi amici più cari come Anna, Gaetano, Cristiana e gli altri...
Ci manca Massimo Troisi. Ci manca la sua dolcezza ed ironia, la capacità tutta napoletana di saper ridere delle proprie debolezze, non di quelle altrui. Ci manca la sua capacità ed umiltà, che gli ha permesso di migliorare sempre, fino a diventare un vero e proprio regista (autodidatta). E ci manca soprattutto quel suo sguardo malinconico sulla realtà, quel suo occhio che leggeva dritto nel cuore delle persone, quella sua innata capacità di raccontare i punti deboli degli esseri umani, ma scavandone così a fondo il senso da riabilitarli e trasformarli in punti forti, fondanti. Ci manca il suo sguardo tenero sul mondo, il suo saperci far divertire su quelli che sono i nostri sensi più 'vulnerabili'.
Era un uomo che ha provato per tutta la sua splendida e brevissima vita a parlarci dei sentimenti. Ma non lo ascoltavamo. Tutti ridevamo e basta. Perché Massimo aveva questa virtù incredibile di saperci far ridere. E chi ci riesce più. Ma purtroppo chi fa ridere raramente viene preso sul serio. E' un comico, una marionetta, non qualcuno che può raccontarci le nostre debolezze, le nostre paure, le nostre insicurezze. Eppure avevamo tutti gli occhi per vedere e le orecchie per sentire. Già Ricomincio da tre raccontava la difficoltà di essere teneri, di stare insieme, di vivere appieno senza vergogne e senza chiusure mentali i propri sentimenti. Parlava di noi, della nostra voglia di stare insieme a qualcuno ma anche della nostra paura di perdersi, o di farsi/farci prigionieri. Della libertà del sentire. Della paura di amare. E invece si è letto solo il ritratto generazionale del meridionale che non vuole essere più lo stesso di sempre.
Vabbè era anche questo, ma se è per questo anche David Cronenberg apparentemente ci mostra degli orrori terribili, dei corpi in frantumi, che esplodono fuori e dentro. Così la critica li vede e li definisce 'horror', e invece sono dei bellissimi romanzi (pardon, film) d'amore, i più inquietanti e belli della nostra epoca. Massimo come Cronenberg (e qui i cinefili lo so rideranno) usava i suoi attrezzi del mestiere, il suo talento incredibile, appunto il comico, per narrarci storie di amori impossibili, amori disperati, storie banali e quotidiane eppure uniche, vere, sincere e profonde. Ma Scusate il ritardo è stato per tutti una delusione: già, non faceva ridere come il primo. E ci tagliava dentro, come un coltello affilatissimo. Massimo, era evidente, la sofferenza se la portava dentro da ragazzo, ma non per cose tipo fame povertà ecc... su cui ha sempre giocato, ironizzando su se stesso. Ma per quella 'malattia' che ce lo ha portato via per sempre. Già, il cuore. Non un muscolo qualsiasi. No, proprio quello dei sentimenti. Di cui Massimo è stato il più grande cantore proprio nell'Italia degli Anni Ottanta, che si rappresentava come ricca cinica e rampante. E lui ricco lo era, ma soprattutto in quel muscolo che la natura gli avrebbe fermato così presto. Ma certo né cinico né rampante. Mica ci andava in TV lui. Solo con gli amici, per gli amici. Quando con Demetrio Salvi scrivemmo il libro su di lui, non gli chiedemmo niente per pubblicizzarlo in giro. Non ci importava più di tanto. Ci piaceva che lui lo apprezzasse, che scegliesse con noi la copertina (e con Stefano Sorbini gliene presentammo tre e che piacere nello scoprire che aveva scelto proprio quella che preferivamo anche a noi, che lo rappresentava come un novello, malinconico Pulcinella), che ne cogliesse lo spirito diverso dagli altri libri che circolavano. Non ci interessava farne un operazione commerciale (infatti altri li aveva rifiutati) ma forse, ma lo comprendo solo ora, solamente una dichiarazione d'amore nei suoi confronti. Quando ne parlò con Gianni Minà e Pino Daniele in televisione rimanemmo totalmente sorpresi: era il suo modo di ringraziarci di quello che avevamo scritto di lui. Così, con gli strumenti che aveva lui, le gentilezza, semplicità e il talento comico insuperabile ("tutte queste cose si possono scrivere su di me?", ci disse tra il sorpreso e - sotto sotto- l'orgoglioso, alla lettura del 'suo' libro).
E ora tutti lo rimpiangono, anche quelli che non lo hanno mai capito e lo hanno maltrattato da Scusate il ritardo in poi. Ignoranti e presuntuosi. Che non avevano visto quel meraviglioso film-tv, dal titolo premonitore che ora ci fa accapponare la pelle, Morto Troisi, Viva Troisi. Massimo si era già fatto il suo funerale, gli elogi funebri e tutto il resto. Almeno come uomo di spettacolo. Aveva la morte dentro e la raccontava a noi per farci ridere. Quanto dovremmo essergli grati. Mai abbastanza. E quando scelse di fare Non ci resta che piangere esclusivamente per l'idea di passare del tempo insieme al suo amico Roberto Benigni? Questo il bello del fare le cose che ci piacciono, come atti d'amore verso i nostri simili, per stare con loro. Ma i critici guardano solo i grandi discorsi, e il comico non li fa, ma ti fa smuovere le viscere dal ridere. E la comicità di Massimo era finalmente una di cui non doversi vergognare. E' però forse quasi per assecondare inconsciamente una richiesta d'impegno, che Troisi realizza l'"antifascista" Le vie del signore sono finite. Eppure anche lì erano i sentimenti a dominare. L'amicizia e l'amore. In mezzo, sempre, la malattia. Psicosomatica ma "sempre una malattia". Per nascondere la malattia d'amore, vera ossessione di Troisi.
E Pensavo fosse amore invece era un calesse è l'ulteriore tassello della sua ricerca sui sentimenti. Ma Troisi non è Rohmer o Fellini o chissà chi altro. E la sua ricerca seria lui la realizza facendo ridere gli altri. Ma in Pensavo fosse amore..., l'amarezza, la sofferenza escono in primo piano, Massimo ha smesso di nascondersi dietro il suo grande talento. Infatti, come diranno in molti, "fa meno ridere". Certo, ci racconta le nostre ansie! I nostri amori perduti, i desideri che cambiano, gli sguardi che si perdono, i sensi che si trasformano, insomma ci racconta di come è difficile vivere amare e capirsi oggi, in una società dove l'amore e i sentimenti sono diventati programmi d'intrattenimento televisivo, dove si mettono in mostra gli amori tra uno spot e l'altro. Invece Troisi se ne usciva in pieno Natale con un manifesto in cui lui, il comico per eccellenza del cinema italiano, aveva l'aria afflitta e triste (e ci litigò con la produzione che preferiva un'immagine più distensiva per le famiglie in festa). Tanto hanno fatto i critici che lo stesso Massimo non pareva rendersi conto della politicità dei suoi film ("sento che potrei fare di più, prendere posizione, indignarmi di più, ma pubblicamente", diceva). Eppure, come mi è capitato già di scrivere: "Come ci parliamo oggi, come ci raccontiamo stancamente, i nostri amori insoddisfatti, la centralità (e l'afasia) dei sentimenti, la famiglia come volano di trasmissione del consenso e della stabilità sociale, l'"impossibilità" (e insieme la necessità) odierna della coppia, e tanto altro ancora: cosa c'è di più politico di questo?".
Da "Suq", supplemento settimanale de il manifesto del 20 agosto 1994
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