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viernes, 22 de julio de 2011

I vinti - Michelangelo Antonioni (1952)


TÍTULO I Vinti
AÑO 1953 
SUBTITULOS Si (Separados)
DURACIÓN 110 min.
DIRECTOR Michelangelo Antonioni
GUIÓN Michelangelo Antonioni, Suso Cecchi d'Amico, Giorgio Bassani, Diego Fabbri, Turi Vasile
MÚSICA Giovanni Fusco
FOTOGRAFÍA Enzo Serafin (B&W)
REPARTO Franco Interlenghi, Anna-Maria Ferrero, Eduardo Ciannelli, Evi Maltagliati, Umberto Spadaro, Peter Reynolds, David Farrar, Patrick Barr, Fay Compton, Etchika Choureau 
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia
GÉNERO Drama

SINOPSIS Narra los asesinatos cometidos por varios jóvenes en diferentes escenarios europeos: un grupo de burgueses en París, un contrabandista en Italia y, finalmente, un peculiar poeta en Inglaterra. (FILMAFFINITY)




"Siete años antes de que la Nouvelle Vague irrumpiera en las pantallas de toda Europa, Antonioni narraba ya, en su segunda película, el inconformismo y el hastío existencial de toda una generación de jóvenes. A medio camino entre el retrato social y el análisis psicológico, la película preludia, a través de tres episodios criminales ambientados en Francia, Italia e Inglaterra, lo que habrán de ser las obras mayores de su autor, tanto en la temática y el tratamiento como en lo referente a su característico estilo visual. Que la película ponía el dedo en la llaga lo demuestra el maltrato al que fue sometida por la censura de los tres países (el segmento francés fue completa y lastimosamente modificado por el propio director, que convirtió en contrabandista a un dinamitero de izquierdas), así como los moralizantes mensajes en off al comienzo y al final del film. Lo mejor, el episodio inglés, casi un esbozo de "Blow Up". (Daniel Andreas: FILMAFFINITY) 


 Michelangelo Antonioni con questo suo ultimo film I vinti ha voluto affrontare il cosiddetto problema (che, secondo noi, non esiste, almeno come problema a sé) della gioventù traviata e criminale. Il film che è composto di tre episodi, uno per l'Italia, uno per la Francia e uno per l'Inghilterra, è preceduto da un'introduzione di titoli e fotografie di giornali dedicati appunto a recenti casi di delinquenza giovanile e accompagnata da un «narratage» esplicativo. Si tratterebbe, secondo Antonioni, di una generazione rovinata dalla guerra di cui, tra i tanti motivi, essa non avrebbe trattenuto e accettato che quello della violenza. Accanto alla violenza, poi, starebbe la vanità ossia il «desiderio di compiere gesti eccezionali». Violenza e desiderio di far cose straordinarie porterebbero, appunto, al delitto. Non staremo a discutere con Antonioni su questa sua diagnosi tra moraleggiante e psicologistica. Ci limiteremo ad osservare che egli forse scambia gli effetti per cause. In realtà non ci sono «generazioni bruciate» se non dentro i limiti di particolari contingenze non troppo significative. E il «bruciamento» delle generazioni è ormai un fatto di cultura e storico vecchio almeno quanto iI secolo, se non di più; e i padri e i nonni non sono meno «bruciati» dei figli e nipoti, da settant'anni in qua. Anche Raskolnikov in Delitto e castigo crede nella violenza e nel diritto di compiere gesti eccezionali. E allora? I tre episodi, come abbiamo detto, illustrano tre situazioni simili in tre paesi diversi. Quello italiano racconta il caso di un giovane di buona famiglia che per bisogno di danaro e per desiderio di avventura si dà al contrabbando delle sigarette. Scoperto e inseguito, spara e uccide un uomo e quindi, feritosi in seguito ad una caduta, va a morire in casa sua, sotto gli occhi dei genitori incomprensivi e desolati. L'episodio francese ricalca il fatto degli studenti di Parigi che qualche anno fa uccisero in circostanze particolarmente terribili e pietose un loro compagno fanfarone e mitomane, parte per invidia e parte per interesse. Finalmente l'episodio inglese è tratto dal fatto, anch'esso realmente avvenuto, del giovane che senza motivo, forse per suggestione dei libri gialli, strangolò una donna e poi volle sfruttare il delitto scrivendone il resoconto per i giornali.
Diciamo subito che Antonioni con questo film si è impigliato nella stessa contraddizione che viziava le sue opere precedenti. La sua ambizione formale lo porta ad un linguaggio elegante, asciutto, rapido, ad un modo di narrazione, insomma, tutto risolto nell'immagine e nel movimento, senza concessioni alla psicologia, all'intreccio e ai caratteri. Si pensi, per fare un esempio, alla maniera secca e apparentemente superficiale di un Mérimée. D'altra parte, però, Antonioni vorrebbe essere un moralista. E non un moralista volterriano, bensì un moralista moderno, attento alla cronaca e al fatto del giorno, umanitario o, almeno, umano. Ora ci sembra che tra l'eleganza di superficie e il moralismo ammonitore ci sia una contraddizione invalicabile. Il moralismo richiederebbe un approfondimento e anche, se vogliamo, una commozione che l'eleganza esclude. Ne segue una curiosa mescolanza di esercizi di stile e di giudizio morale, una disparità tra il fine e i mezzi che producono il senso di freddezza e di aridità propri a tutti i film di Antonioni. D'altra parte, come è noto, moralismo e preoccupazione formale sono ambedue posizioni denotanti una certa immaturità. Antonioni nei tre episodi dei Vinti fornisce ancora una volta una dimostrazione della sua grande bravura, fino a sfiorare il «pastiche» rispettivamente del cinema inglese, del cinema francese e del neorealismo italiano; ma sotto questa bravura si avverte non di rado una gracilità e una mancanza di partecipazione sconcertanti. Talvolta Antonioni sembra guardare con simpatia e pietà ad un personaggio, come per esempio al giovane assassinato dell'episodio francese, e allora il film si rialza, in un calore imprevisto. Dei tre episodi l'inglese, più semplice, è il migliore; quello francese ha momenti assai felici ma la sua complessità avrebbe meritato un approfondimento e uno sviluppo maggiori; quello italiano, rifatto tre volte (e l'ultimo rifacimento è certo il migliore), è il meno convincente.
Rispetto agli altri film di Antonioni, I vinti segna senza dubbio un progresso notevole. Nei Vinti ci sono una finezza e una sicurezza che mancavano, per esempio, nella Signora senza camelie. Basterà ricordare, tra le tante cose buone, l'incontro tra il giovane inglese e la sua vittima, la gita in campagna degli sciagurati studenti francesi. Ma vorremmo che Antonioni, ormai padrone dei suoi mezzi, facesse un film in cui ci dicesse qualche cosa che lo riguarda direttamente, e che non fosse soltanto un pretesto per la sua bravura.
Alberto Moravia (sta in Moravia al/nel cinema, fondo A. Moravia, 1993) - L'Europeo (1/11/1953)

1 comentario:

  1. Si se eliminan los horrendos off inicial y final, incluido el collage de imágenes documentales del principio, tenemos tres excelentes mediometrajes que juntos configuran una muy estimable crónica negra, sorprendentemente elegante y rica en matices —sociológicos, más que psicológicos—, de la Europa de la postguerra. Y la película hay que imaginarla así, porque el efecto de esos añadidos es demoledor. Resulta cuanto menos inquietante imaginar que Antonioni pudiera estar mínimamente de acuerdo con el burdo moralismo y el reduccionismo de los que allí se hace gala. Y cuesta sustraerse a esa sospecha, por mucho que se aluda a la censura. En cualquier caso el texto de Moravia es magnífico y enormemente clarificador, y tras él y queda poco que añadir.
    Si acaso, que la crítica tomada de Filmaffinity contiene un error: el episodio del contrabandista es el italiano, no el francés.
    Gracias una vez más. (JD)

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