TÍTULO ORIGINAL La cieca di Sorrento
AÑO 1934
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACIÓN 68 min.
DIRECTOR Nunzio Malasomma
GUIÓN Tomaso Smith (Novela: Francesco Mastriani)
MÚSICA Umberto Mancini
FOTOGRAFÍA Arturo Gallea (B&W)
REPARTO Dria Paola, Corrado Racca, Dino Di Luca, Anna Magnani, Mario Steni, Giulio Tempesti, Diana Lante, Miranda Bonansea, Adolfo Geri, Vera Dani, Giotto Tempestini, Fernando De Crucciati, Carlo Duse, Giulio Gemmò, Leo Bartoli
PRODUCTORA Manenti Film Sp.A.
GÉNERO Drama | Siglo XIX
SINOPSIS La historia comienza en 1834, cuando tras escuchar el ruido de una ventana rota, vemos los ojos de un bandido que trae cubierta la boca. Tras asesinar a la Marquesa, huye con el botín, sin saber que ha sido visto por la hijita de la difunta, quien ahora llora amargamente a los pies de la cama donde yace el cadáver... El impacto de ver cómo su madre moría en manos de ese asesino deja a la niña en shock y pierde la vista. Un hombre ha sido enjuiciado y ejecutado siendo inocente, pero como él andaba en asuntos que tampoco podía declarar, acepta ese destino. Después de la ejecución, su hijo viaja a Londres a terminar sus estudios de medicina y cuando regresa, tras una temporada de 10 años, la niña es toda una señorita y él, perdidamente enamorado, decide tratar de devolverle la vista... (FILMAFFINITY)
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Subtítulos (Inglés)
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TRAMA
Mentre nel 1848 il Comitato rivoluzionario lotta contro il governo borbonico, il dott. Andrea Pisani, che ne fa parte, si reca un giorno a Sorrento dal marchesi di Rionero per prendere in consegna certi denari. Durante il suo soggiorno alla villa, la marchesa è uccisa da un ladro sorpreso a rubare. Accusato d'assassinio, il dott. Pisani, che non può rivelare la vera ragione della sua presenza, viene condannato a morte. Egli lascia un figlio giovinetto, Oliviero, che avviato agli studi per cura degli amici del padre, potrà laurearsi in medicina e divenire un oculista. La piccola figlia dell'assassinata, Beatrice, ha perduto la vista per un colpo ricevuto dall'assassino. A nulla hanno servito le cure prodigatele dal padre, che la disonestà del suo amministratore, il notaio Basileo, ha condotto alla rovina. Sono passati molti anni: Oliviero Pisani si trasferisce, sotto falso nome, a Sorrento, risoluto a riabilitare la memoria del padre e a fare ogni sforzo per ridare la vista a Beatrice. A questi progetti s'oppone Carlo Basileo, nipote del notaio, che è stato l'assassino della marchesa. Il notaio riesce persino a fargli sposare la marchesina, erede di un ricchissimo zio. Quando Oliviero opera Beatrice, Carlo tenta di farla uccidere per impedire ch'essa riconosca in lui l'assassino, ma ne è impedito da Oliviero. Carlo muore, mentre tenta di sottrarsi al castigo. Beatrice riacquista la vista e sposa Oliviero.
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=24396&film=LA-CIECA-DI-SORRENTO
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CRITICA
"Questa nuova versione del popolare romanzo di Mastriani è stata realizzata da Gentiomo con quella accortezza che la materia richiedeva e con quella sensibilità che il contenuto della trama consentiva. Si può dire perciò che (...) l'opera del regista, anche se non ripiegata da un risultato di un certo valore artistico, merita considerazione per le doti di misura e sobrietà (...)".
(U. Tani, "Intermezzo", 9/10 del maggio/giugno/1953).
(U. Tani, "Intermezzo", 9/10 del maggio/giugno/1953).
"Se Malasomma che ha diretto il film e gli altri che lo hanno coadiuvato o hanno messo i quattrini fossero stati più furbi, avrebbero almeno cambiato il titolo. Invece proprio su quello hanno voluto giocare. E secondo noi, hanno avuto torto marcio, per la forma e per la sostanza. (...) Ci sono però delle buone scene, una bella fotografia e Dria di Paola ha dei momenti assai felici (...)".
(A. Petrucci, "Il Tevere", 28/4/1934).
(A. Petrucci, "Il Tevere", 28/4/1934).
"Spettacolo decoroso e interessante. Il suo principale difetto è quello di ricordare assai da vicino i film d'una quindicina d'anni fa, nessuna trovata tecnica, nessuna audacia dell'obiettivo, nessuno scorcio della sceneggiatura".
(Dino FalconI, "Il Popolo d'Italia", 20/9/1934)
(Dino FalconI, "Il Popolo d'Italia", 20/9/1934)
NOTE
DIRETTORE DI PRODUZIONE: GALLEA ARTURO
AIUTO REGISTA: UMBERTO SCARPELLI
AIUTO REGISTA: UMBERTO SCARPELLI
MALASOMMA, Nunzio. - Nacque a Caserta, il 4 febbr. 1894 da Oreste e da Luisa Mastracola. Conseguita la laurea in ingegneria, si dedicò tuttavia al cinema e alla scrittura, sue vere passioni, iniziando presto a dirigere, insieme con L. Doria, giornalista e uomo di cinema, la rivista indipendente di spettacolo Fortunio (1920).
L'interesse per la scrittura non lo abbandonò mai durante tutta la sua carriera, e il M. fu anche autore di gran parte delle sceneggiature dei film che diresse.
L'incontro con il cinema avvenne nel 1921, in veste di sceneggiatore del film Amore rosso, per la regia di G. Righelli. Dopo circa due anni di apprendistato, nel 1923 esordì come regista in una pellicola diretta a quattro mani con Doria dal titolo Un viaggio nell'impossibile.
Il film seguiva un filone di grande successo, direttamente collegato alla sperimentata tradizione dei Maciste e dei Sansone: interpretato dall'atleta circense G. Raicevich, mostra le funamboliche performances di un agile e forzuto eroe, corrispondendo al gusto diffuso, tipico del periodo, per le imprese acrobatiche come espressione di valori legati alla virilità e alla forza fisica.
Nel 1924, a causa della crisi dell'industria cinematografica italiana, il M., come molti suoi colleghi, decise di trasferirsi in Germania. Durante il primo anno all'estero, collaborò ancora con Righelli, ideando per lui alcuni soggetti. Inoltre diresse, insieme con L. Albertini, Mister radio, anche questo basato sulle prodezze atletiche dei protagonisti e interpretato dallo stesso Albertini con C. Aldini; con quest'ultimo primo attore, tra il 1925 e il 1927 il M. diresse altri cinque film dello stesso genere.
Nel 1928 inaugurò una proficua collaborazione artistica con il tirolese L. Trenker, alpinista, ma anche attore e regista. Con questo in qualità di attore, il M., insieme con M. Bonnard, diresse due pellicole di ambientazione montana: Der Kampf ums Matterhorn (1928, La grande conquista) un dramma giudiziario ambientato sul Cervino, e Der Ruf des Nordens - Polarstürme (1929, Legione bianca).
Se ambedue, in qualche modo, sono pellicole collegate alle sue precedenti esperienze di regista e sceneggiatore di imprese atletiche e sportive, Legione bianca, storia di una drammatica impresa fra i ghiacci, fu il primo film nella storia girato al polo Nord, ottenendo in Germania uno straordinario successo di critica e di pubblico.
Nel 1931, con l'avvento del sonoro, il M. tornò in Italia per girare con la Cines il poliziesco L'uomo dall'artiglio, dal romanzo di G.E. Eis e R. Katscher, interpretato da Paola Dria ed E. Steiner; l'anno successivo, esordì nel genere che doveva dimostrarsi forse a lui più congeniale, il comico-sentimentale, realizzando La telefonista, una garbata commedia degli equivoci che ottenne un buon successo, anche grazie ai protagonisti Isa Pola e S. Tofano. Sulla medesima linea, ma di scarso risultato, furono anche La cantante dell'opera (1932), La signorina dell'autobus (1932) e Sette giorni cento lire (1933). Nel 1934, spostandosi sul versante del melodramma che pure frequentò spesso, il M. diresse La cieca di Sorrento, prima versione cinematografica (ne seguiranno altre due) del romanzo omonimo di F. Mastriani.
Nel film, fece il suo esordio una giovane Anna Magnani: "Malasomma l'aveva chiamata per una piccola parte in un filmone strappalacrime con Dria Paola e Corrado Racca, offrendole 4000 lire di paga" (Carrano).
Nel 1936, portò sullo schermo due commedie di A. De Benedetti: Non ti conosco più e Lohengrin.
Entrambe interpretate da V. De Sica, nel "suo" ruolo classico d'anteguerra, quello del bel giovanotto, affabile seduttore ma fondamentalmente bravo ragazzo, ottennero un discreto riscontro al botteghino: "Il film [Lohengrin] è modesto, non ha altre pretese se non quella d'intrattenere piacevolmente [(] ma ha un grandissimo merito: quello di riuscirvi" (Gromo, in Dizionario dei film).
Dal 1936 al 1938, tornò in Germania per dirigere ben cinque pellicole tra le quali Die Nacht der Entscheidung (Tormento, 1938) e Rote Orchideen (L'Orchidea rossa, 1938). Nel 1939 fu di nuovo in Italia per girare la commedia Cose dell'altro mondo, parodia del genere "carcerario" statunitense con A. Nazzari protagonista. Comunque, pur spaziando fra i generi più diversi, il M. fu eminentemente regista di "telefoni bianchi", commedie d'argomento vivace ambientate in patinati interni borghesi.
In questo ambito i suoi maggiori successi furono Dopo divorzieremo (1940), con Nazzari, da una commedia di A. De Stefani, e Scampolo (1941), da una commedia di D. Niccodemi.
Tra il 1942 e il 1943 girò altri sette film, tra cui Giungla (1942), Gioco pericoloso (1942), Acque di primavera (1942) e La signora in nero (1943).
Dopo la guerra, il M. rientrò in attività tornando a cimentarsi, al solito da buon artigiano, nei generi più vari, sulla scorta di quel che potevano essere, via via, le esigenze del mercato.
Riprese nel 1947 con un'ottima pellicola d'avventura dal titolo Il diavolo bianco, ispirata al racconto di L. Tolstoj Hadži-Murat: girata con larghi mezzi, ottenne un esteso consenso di pubblico. Nel 1950, diresse il più celebre attore del teatro genovese, G. Govi, nella commedia Il diavolo in convento, tratto da Il miracolo di M. Amendola. L'anno successivo fu la volta del dramma passionale Quattro rose rosse; poi, ridotta notevolmente l'attività, a sette anni di distanza, nel 1958, girò Adorabili e bugiarde, dove appariva, in un piccolo ruolo, il giovane N. Manfredi. Nel 1961, all'epoca della transitoria riproposta del genere "peplum", diresse La rivolta degli schiavi, liberamente ispirato al romanzo Fabiola di N. Wiseman, che, interpretato tra gli altri da G. Cervi, fu destinato prevalentemente al mercato spagnolo. Nel 1967 per la sua ultima opera, il M. si produsse in un nuovo filone di grande richiamo, il western all'italiana, con Quindici forche per l'assassino.
Il M. morì a Roma il 12 genn. 1974.
Nel corso di una carriera durata quasi mezzo secolo, divisa tra Italia e Germania, il M. era riuscito ad affrontare con maestria il cinema di genere in tutte le sue espressioni, e fu senz'altro, all'epoca dei "telefoni bianchi", uno fra i migliori registi della commedia di matrice teatrale. Pur avendo inseguito costantemente il gusto del pubblico, rimpiangeva, tuttavia, di non essere mai stato messo in condizione, almeno in Italia, di girare film che non fossero di pura cassetta.
Jacopo Mosca
L'interesse per la scrittura non lo abbandonò mai durante tutta la sua carriera, e il M. fu anche autore di gran parte delle sceneggiature dei film che diresse.
L'incontro con il cinema avvenne nel 1921, in veste di sceneggiatore del film Amore rosso, per la regia di G. Righelli. Dopo circa due anni di apprendistato, nel 1923 esordì come regista in una pellicola diretta a quattro mani con Doria dal titolo Un viaggio nell'impossibile.
Il film seguiva un filone di grande successo, direttamente collegato alla sperimentata tradizione dei Maciste e dei Sansone: interpretato dall'atleta circense G. Raicevich, mostra le funamboliche performances di un agile e forzuto eroe, corrispondendo al gusto diffuso, tipico del periodo, per le imprese acrobatiche come espressione di valori legati alla virilità e alla forza fisica.
Nel 1924, a causa della crisi dell'industria cinematografica italiana, il M., come molti suoi colleghi, decise di trasferirsi in Germania. Durante il primo anno all'estero, collaborò ancora con Righelli, ideando per lui alcuni soggetti. Inoltre diresse, insieme con L. Albertini, Mister radio, anche questo basato sulle prodezze atletiche dei protagonisti e interpretato dallo stesso Albertini con C. Aldini; con quest'ultimo primo attore, tra il 1925 e il 1927 il M. diresse altri cinque film dello stesso genere.
Nel 1928 inaugurò una proficua collaborazione artistica con il tirolese L. Trenker, alpinista, ma anche attore e regista. Con questo in qualità di attore, il M., insieme con M. Bonnard, diresse due pellicole di ambientazione montana: Der Kampf ums Matterhorn (1928, La grande conquista) un dramma giudiziario ambientato sul Cervino, e Der Ruf des Nordens - Polarstürme (1929, Legione bianca).
Se ambedue, in qualche modo, sono pellicole collegate alle sue precedenti esperienze di regista e sceneggiatore di imprese atletiche e sportive, Legione bianca, storia di una drammatica impresa fra i ghiacci, fu il primo film nella storia girato al polo Nord, ottenendo in Germania uno straordinario successo di critica e di pubblico.
Nel 1931, con l'avvento del sonoro, il M. tornò in Italia per girare con la Cines il poliziesco L'uomo dall'artiglio, dal romanzo di G.E. Eis e R. Katscher, interpretato da Paola Dria ed E. Steiner; l'anno successivo, esordì nel genere che doveva dimostrarsi forse a lui più congeniale, il comico-sentimentale, realizzando La telefonista, una garbata commedia degli equivoci che ottenne un buon successo, anche grazie ai protagonisti Isa Pola e S. Tofano. Sulla medesima linea, ma di scarso risultato, furono anche La cantante dell'opera (1932), La signorina dell'autobus (1932) e Sette giorni cento lire (1933). Nel 1934, spostandosi sul versante del melodramma che pure frequentò spesso, il M. diresse La cieca di Sorrento, prima versione cinematografica (ne seguiranno altre due) del romanzo omonimo di F. Mastriani.
Nel film, fece il suo esordio una giovane Anna Magnani: "Malasomma l'aveva chiamata per una piccola parte in un filmone strappalacrime con Dria Paola e Corrado Racca, offrendole 4000 lire di paga" (Carrano).
Nel 1936, portò sullo schermo due commedie di A. De Benedetti: Non ti conosco più e Lohengrin.
Entrambe interpretate da V. De Sica, nel "suo" ruolo classico d'anteguerra, quello del bel giovanotto, affabile seduttore ma fondamentalmente bravo ragazzo, ottennero un discreto riscontro al botteghino: "Il film [Lohengrin] è modesto, non ha altre pretese se non quella d'intrattenere piacevolmente [(] ma ha un grandissimo merito: quello di riuscirvi" (Gromo, in Dizionario dei film).
Dal 1936 al 1938, tornò in Germania per dirigere ben cinque pellicole tra le quali Die Nacht der Entscheidung (Tormento, 1938) e Rote Orchideen (L'Orchidea rossa, 1938). Nel 1939 fu di nuovo in Italia per girare la commedia Cose dell'altro mondo, parodia del genere "carcerario" statunitense con A. Nazzari protagonista. Comunque, pur spaziando fra i generi più diversi, il M. fu eminentemente regista di "telefoni bianchi", commedie d'argomento vivace ambientate in patinati interni borghesi.
In questo ambito i suoi maggiori successi furono Dopo divorzieremo (1940), con Nazzari, da una commedia di A. De Stefani, e Scampolo (1941), da una commedia di D. Niccodemi.
Tra il 1942 e il 1943 girò altri sette film, tra cui Giungla (1942), Gioco pericoloso (1942), Acque di primavera (1942) e La signora in nero (1943).
Dopo la guerra, il M. rientrò in attività tornando a cimentarsi, al solito da buon artigiano, nei generi più vari, sulla scorta di quel che potevano essere, via via, le esigenze del mercato.
Riprese nel 1947 con un'ottima pellicola d'avventura dal titolo Il diavolo bianco, ispirata al racconto di L. Tolstoj Hadži-Murat: girata con larghi mezzi, ottenne un esteso consenso di pubblico. Nel 1950, diresse il più celebre attore del teatro genovese, G. Govi, nella commedia Il diavolo in convento, tratto da Il miracolo di M. Amendola. L'anno successivo fu la volta del dramma passionale Quattro rose rosse; poi, ridotta notevolmente l'attività, a sette anni di distanza, nel 1958, girò Adorabili e bugiarde, dove appariva, in un piccolo ruolo, il giovane N. Manfredi. Nel 1961, all'epoca della transitoria riproposta del genere "peplum", diresse La rivolta degli schiavi, liberamente ispirato al romanzo Fabiola di N. Wiseman, che, interpretato tra gli altri da G. Cervi, fu destinato prevalentemente al mercato spagnolo. Nel 1967 per la sua ultima opera, il M. si produsse in un nuovo filone di grande richiamo, il western all'italiana, con Quindici forche per l'assassino.
Il M. morì a Roma il 12 genn. 1974.
Nel corso di una carriera durata quasi mezzo secolo, divisa tra Italia e Germania, il M. era riuscito ad affrontare con maestria il cinema di genere in tutte le sue espressioni, e fu senz'altro, all'epoca dei "telefoni bianchi", uno fra i migliori registi della commedia di matrice teatrale. Pur avendo inseguito costantemente il gusto del pubblico, rimpiangeva, tuttavia, di non essere mai stato messo in condizione, almeno in Italia, di girare film che non fossero di pura cassetta.
Jacopo Mosca
Fonti e Bibl.: Necr., in Il Messaggero e Il Tempo, 13 genn. 1974. Vedi ancora: G. Sadoul, Storia generale del cinema, Torino 1967, ad ind.; P. Carrano, La Magnani, Milano 1982, p. 35; Filmlexicon degli autori e delle opere, Roma 1974, s.v.; F. Di Giammatteo, Diz. universale del cinema, II, Roma 1984, s.v.; Dizionario dei film, a cura di M. Morandini, Bologna 1999, p. 715; Archivio del cinema italiano. Il cinema muto 1905-1931, a cura di A. Bernardini, Roma 1991, ad indicem. J. Moscahttp://www.treccani.it/enciclopedia/nunzio-malasomma_(Dizionario_Biografico)/
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