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jueves, 18 de octubre de 2012

La notte - Michelangelo Antonioni (1961)


TÍTULO ORIGINAL La notte
AÑO 1961
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No 
DURACIÓN 122 min. 
DIRECTOR Michelangelo Antonioni
GUIÓN Tonino Guerra, Michelangelo Antonioni, Ennio Flaiano
MÚSICA Giovanni Fusco
FOTOGRAFÍA Gianni di Venanzo (B&W)
REPARTO Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau, Monica Vitti, Bernhard Wicki, Maria Pia Luzi, Rossy Mazzacurati
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Nep Films / Silver Films / Sofitedip
PREMIOS
 1961: Festival de Berlín: Oso de Oro
1960: Premios David di Donatello: Mejor director
GÉNERO Drama. Romance | Drama romántico 

SINOPSIS Retrato de la vida cotidiana de un matrimonio burgués que atraviesa una crisis de pareja.(FILMAFFINITY)


Che Flaubert e non Balzac (o Stendhal o Tolstoj) sia per Antonioni il vero culmine del romanzo del secolo XIX, che le sue preferenze vadano, piuttosto che a Mann, ad autori come Gide, Proust, Joyce, alla letteratura moderna e d’avanguardia, non c’è dubbio. Anch’egli sembra non comprendere coloro che continuano la tradizione del realismo critico; rinuncia cioè (o sembra rinunciare) a ogni dichiarata tesi, a ogni indiretto intervento negli avvenimenti, e a ogni diretta interpretazione dei fatti: osserva e con distacco descrive la vita quotidiana di quella borghesia cui gravita intorno come un satellite al suo pianeta. Il suo “romanzo” non è costituito d’una progressione drammatica di fatti in senso tradizionale; ai “fatti” sostituisce i pensieri che tormentano, consumano, annientano, inghiottono i personaggi.
Questo graduale, quasi impercettibile languore che mina silenziosamente la loro vita – la vita – senza neppure uno schianto delle grandi, imponenti catastrofi (Chaplin, Visconti) l’esperienza da cui Antonioni parte per articolare il suo discorso: le “cronache” della crisi, le “nuove forme dell’anima”, quali emergono appunto negli scrittori dell’avanguardia letteraria. I suoi film sono difficili da “leggere”, per cosi dire, nella stessa misura che lo sono I sonnambuli di Broch, a esempio, o L’uomo senza qualità di Musil, o Lo straniero di Camus. Simboli, allegorie, personaggi, i titoli stessi – L’avventura e La notte – vanno interpretati: costringono lo spettatore a pensare, l’obbligano a un lavoro.
Non è intanto un puro caso che in La notte uno dei personaggi più emblematici sia quello di Valentina, e che Valentina sia introdotta intenta a leggere proprio il libro di Broch; questo è un rimando preciso per comprendere la visione di Antonioni, il suo atteggiamento di fronte alla vita e all’arte. Ne La notte, come in L’avventura, vi è appunto una galleria di “sonnambuli”, di figure che non vivono più: sono marionette, automi, morti: esseri senza qualità, e senza qualità il loro esistere nell’accezione di Musil. Alle molte qualità dei protagonisti non corrisponde nessuna concreta capacità di agire. Forse sarebbe più esatto affermare che “l’uomo senza qualità è un insieme di qualità senza un uomo”. Tale è l’architetto Sandro, il romanziere Giovanni, che stanno al centro dei due film.
Non ci troviamo di fronte ad “avventure” in senso comune, al solito “gioco d’amore” più o meno sottile, che pure l’avvio e il titolo stesso dell’opera possono far supporre a chi non conosca la visione del mondo e la coerenza stilistica di Antonioni. Sette persone partono con uno yacht per una crociera tra le isole Eolie, e una di esse, Anna, scompare. L’autore parla di un “giallo alla rovescia”; e già questo è un altro preciso rimando all’ansia, all’insicurezza dell’esistenza: all’angoscia prima, in Claudia, per la scomparsa dell’amica e poi per la paura che essa ritorni, che irrompa a distruggere la nuova esperienza che sta vivendo con Sandro. Ciò significa anzitutto una precarietà dei sentimenti, della loro durata.
“Naturalmente le ambizioni del film – afferma Antonioni – sono più vaste di quelle di un comune giallo. Per esempio vuol significare che i sentimenti, cui viene dato oggi un peso definitivo dalla retorica sentimentale e dalla casistica narrativa, sono in realtà fragili, insidiati, reversibili. Comincia la ricerca da parte dei compagni di Anna, soprattutto di uno, Sandro, l’innamorato. E la ricerca dura per l’intero film”. Tuttavia a metà film Claudia desidera che Anna non sia più trovata. La scomparsa della ragazza ha lasciato un vuoto; il vuoto presto si colma. Tre giorni prima, al pensiero che l’amica fosse morta, Claudia si sentiva morire; ora non piange neppure, ha paura che sia viva. Tutto sta diventando “maledettamente facile, persino privarsi di un dolore”.
Questo sottolineare la fragilità dei sentimenti rientra nel paragrafo, caro ad Antonioni, dell’incomunicabilità, della “noia” in senso moraviano, o meglio che Moravia ha rianalizzato nel suo ultimo romanzo: l’impossibilità di stabilire un rapporto effettivo con l’individuo e la realtà, la mancanza di rapporti autentici, profondi, con le Cose, con se stessi e gli altri. In ogni incontro, dice Camus, incontriamo uno “straniero”, e “straniero” a se stesso è anche ognuno di noi. La ricerca disperata di conoscere se stesso e gli altri ha un diverso e comune approdo negli ultimi due film di Antonioni.
Sandro diventa consapevole che la noia – questa mancanza di contatti diretti con la realtà – porta alla sterilità dell’arte, che il suo fallimento come architetto dipende dalla sua resa al conformismo. Alla presa di coscienza segue il disgusto di se stesso; ma è proprio questo disgusto che lo riporta sui binari consueti; anzi, quanto più la crisi si appalesa in lui, tanto più esplode il suo irrefrenabile bisogno del contatto fisico. Il proposito di sottrarsi alla realtà, di dimenticare quanto avrebbe voluto essere e non è , determina il desiderio carnale per Claudia; per dimenticare la promessa fattale, di non vivere più a quel modo, va con una prostituta. Il ritorno alla “noia” gli serve per velare il mondo intorno a sé, per “distrarsi” dalla coscienza, per renderla nuovamente opaca.
“Si può vivere senza alcun rapporto con niente di reale e non soffrirne?” si domanda il protagonista del romanzo moraviano. Questo è il vero problema di Sandro; di qui il significato del suo pianto, alla fine. E il gesto di Claudia, che accarezza la nuca di Sandro, dopo qualche esitazione, non va confuso con un semplice perdono di fronte al “tradimento” (l’incontro con la prostituta), ma significa che ella ha compreso. Ecco un altro elemento nuovo in Antonioni. La comunicabilità che viene a determinarsi nel finale del film, conclude tuttavia l’”avventura”?
La risposta ci viene da La notte. Stilisticamente e strutturalmente, La notte accentua il carattere statico dell’opera precedente: cioè dopo aver rinunciato alla trama, ora l’autore rinuncia ancor più al protagonista, arriva alla diseroicizzazione della sua narrativa. Ci descrive il tessuto e i motivi di un giorno nella vita di due individui, Lidia e Giovanni; questo giorno è il vero eroe del film. Il corso dei loro pensieri sostituisce il susseguirsi dei fatti. Un continuo, lungo monologo interiore, un discorso con se stessa, è l’interminabile passeggiata di Lidia nel caos della vita cittadina prima, e poi nell’apparente tranquillità della periferia.
Qui, come in L’avventura, Antonioni dimostra la sua raggiunta maturità in simili specie di analisi; qui la novità del suo linguaggio, la capacità di raggiungere analoga dignità dello scrittore moderno, di uguagliarne la complessità e le sottigliezze, superando i risultati raggiunti, nel medesimo ambito, da Bresson e dal Bergman migliore.
Continua la descrizione della instabilità, della fragilità dei sentimenti. Anche Giovanni, questo scrittore giunto al successo, è murato vivo dentro la prigione ermetica e soffocante della “noia”: ha perso i contatti con la realtà, non comunica con gli altri. Vede Lidia, la moglie, dopo anni di matrimonio apparentemente tranquillo, attraverso un diaframma. La donna assume, nella concezione del regista, un peso maggiore, una vitalità all’uomo negata. Senza dubbio Lidia è più ricettiva, più “positiva” di Giovanni (e Claudia di Sandro). “Ho scoperto che non ti amo più, e sono disperata”, confessa ed esige una uguale sincerità dal marito. Anche Giovanni ora capisce che per quanto siano ancora insieme, non sono uniti. Tra loro non c’è niente, veramente niente; ed egli ricorre all’amplesso fisico per stordirsi, per estraniarsi da quella realtà cui è richiamato, per “attraversare, varcare, e insomma riempire quel vuoto”.
Estremo tentativo destinato a fallire, già fallito, perché non può realizzare uno stato pieno: il rapporto puramente fisico – come intuisce il pittore ne La noia di Moravia, lo stesso romanziere Giovanni, l’architetto Sandro – è un non possesso, non è vero amore e anche nell’arte porta ed equivale al conformismo.
Lidia e Giovanni, continuazione ideale di Claudia e Sandro, sono trasparenti a se stessi e l’una all’altro. Nondimeno rimangono disperatamente soli, senza via di uscita dalla loro solitudine. Due “albe” suggellano la “notte”. L’”avventura” rimane per i protagonisti conclusa; ma al tempo stesso sospesa, aperta per Antonioni.
Guido Aristarco su Cinema Nuovo, 1960
§
Caro Pasolini, seguo attentamente la sua rubrica e ne condivido l'impostazione. Vorrei chiederle, dato che tante opere letterarie e artistiche in genere sono dettate dalla cosiddetta «solitudine» dell'uomo moderno o, più precisamente, dalla antiumana condizione dell'uomo nell'odierna società, la giustificazione di queste opere, la loro validità e la loro importanza e funzione. E le ragioni culturali di questo atteggiamento. Cordiali saluti.
Giovanni Stefani - via S. Egidio 3, Firenze
II suo biglietto, caro Stefani, è un invito a scrivere un libro. Lei infatti parla di «opere letterarie e artistiche» prodotte in questo ultimo periodo: e se io dovessi rispondere a tono, e con la rabbia analitica che mi è caratteristica, dovrei scrivere un intero capitolo di storia della cultura. Ma io voglio prendere la sua richiesta come una sollecitazione e trattare degli argomenti di attualità: le ultime «opere letterarie e artisti-che» cui lei si riferisce, sono probabilmente i film di Antonioni e La noia di Moravia.
Sia La notte che La noia, esprimono, come lei dice, la «solitudine» dell'uomo moderno, o «più precisamente l'an-tiumana condizione dell'uomo nell'odierna società». Eppure tra le due opere c'è una differenza sostanziale.
Intanto, La notte è scritta dall'autore, Antonioni, direttamente: la Moreau è «lei» e Mastroianni è «lui»: malgrado questa oggettività narrativa, l'opera è estremamente soggettiva e lirica. I due personaggi «ella» ed «egli» non sono che dei «flatus vocis», incaricati a esprimere quel vago, irrazionale e quasi inesprimibile stato di angoscia che è tipico dell'autore, e che nei personaggi diventa quasi un sentimento riflesso o riferito.
Nella Noia succede il contrario: essa è scritta dall'autore indirettamente: Bino, il protagonista, è l'«io» stesso che racconta: eppure, malgrado questa soggettività narrativa, l'opera è estremamente oggettiva, cosciente. Il personaggio «io» non è che un espediente, usato per esprimere uno stato di angoscia ben chiaro, storicizzato, razionale nell'autore, e ridonato alla sua vaghezza, che è poi concretezza poetica, nel personaggio. Tutte e due le opere esprimono l'angoscia del borghese moderno: .ma attraverso due metodologie poetiche, per così dire, ben diverse, le quali rivelano appunto, una sostanziale diversità d'impianto ideologico.
Per Antonioni, il mondo in cui accadono fatti e sentimenti come quelli del suo film è un mondo fisso, un sistema immodificabile, assoluto, con qualcosa, addirittura, di sacro. L'angoscia agisce senza conoscersi: come avviene in tutti i mondi naturali: l'ape non sa di essere ape, la rosa non sa di essere rosa, il selvaggio non sa di essere selvaggio.
Quello dell'ape, della rosa, del selvaggio, sono mondi fuori dalla storia, eterni in se stessi, senza prospettive se non nella profondità sensibile.
Così i personaggi di Antonioni non sanno di essere personaggi angosciati, non si sono posti, se non attraverso la pura sensibilità, il problema dell'angoscia: soffrono di un male che non sanno cos'è. Soffrono e basta. Lei va in giro scrostando nevroticamente muri, lui va a portare la sua faccia mortificata in giro per strade e salotti, senza né principio né fine. Del resto, Antonioni non ci fa capire, o supporre, o intuire in alcun modo di essere diverso dai suoi personaggi: come i suoi personaggi si limitano a soffrire l'angoscia senza sapere cos'è, così Antonioni si limita a descrivere l'angoscia senza sapere cos'è.
Moravia invece, lo sa benissimo: e lo sa anche il suo personaggio, Dino, il quale vive e opera a un livello culturale inferiore solo di un gradino a quello di Moravia. Per tutto il romanzo, dunque, non si fa altro che discutere, analizzare, definire l'angoscia (nel romanzo chiamata «noia»). Essa deriva da un complesso nato nel ragazzo borghese ricco: il quale complesso comporta una deprimente impossibilità di rapporti normali col mondo: la nevrosi, l'angoscia. L'unico modo per sfuggire è abbandonarsi all'eros: ma anche l'eros si rivela niente altro che meccanismo e ossessione. Questo è quello che sa il personaggio. Moravia, naturalmente, ne sa qualcosa di più. Egli sa che la psicologia non è solo psicologia: ma anche sociologia. Sa che quel «complesso» di cui si diceva se è un fatto strettamente personale, è anche un fatto sociale, derivante da un errato rapporto di classi sociali, da un errato rapporto, cioè, tra ricco e povero, tra intellettuale e operaio, tra raffinato e incolto, tra moralista e semplice. In altre parole, Moravia conosce Marx, il suo protagonista no. Ecco perché il tanto discettare che fa il protagonista sul suo male, gira un po' a vuoto, ed ha un valore puramente mimetico e lirico. Manca alla soluzione quella parola che Moravia conosce e il suo protagonista no. La noia è un romanzo splendido, la cui ultima pagina doveva essere una tragedia, e non una sospensione. Moravia doveva avere la forza di non dare alcuna specie di speranza al suo protagonista: perché quello del protagonista è un male incurabile. Non ci sono terze forze, né ideali di sincretismo umanistico capaci di liberarlo.
Purtroppo il pubblico borghese medio, e anche molti intellettuali (pur ridendo di certe battute goffe del film) si riconoscono più nella Notte che nella Noia: a parte l'ipocrisia, per cui essi non vorrebbero mai sapersi presi dalla follia erotica da cui è preso il protagonista moraviano, essi sentono che i personaggi «pura-angoscia» della Notte rispecchiano meglio il loro sostanziale desiderio a non affrontare problemi razionali, il loro rifiuto a ogni forma di critica, e l'intimo compiacimento di vivere in un mondo angoscioso, sì, ma salvato, ai loro occhi, dalla raffinatezza dell'angoscia.
Pier Paolo Pasolini su Vie Nuove, 16 marzo 1961
http://ilritornante.blogspot.com.ar/2011/01/la-notte.html
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Pareja en crisis
Séptimo largometraje de Michelangelo Antonioni (1912-2007) y segunda entrega de su trilogía de la incomunicación. El guión es de Antonioni, Ennio Flaiano y Tonino Guerra. Se rueda en escenarios reales de Milán y alrededores durante el verano/otoño de 1960. Gana el Oso de oro (Berlín), un David di Donatello (director) y 3 Silver Ribbon (director, banda sonora y actriz de reparto). Producido por Emanuele Cassuto para Nepi Film (Roma), Silver Film (Roma) y Sofitedip (Paris), se estrena el 24-I-1961 (Milán).
La acción dramática tiene lugar en Milán, a lo largo de una jornada de 24 horas del verano de 1960. El novelista de éxito Giovanni Pontano (Mastroianni) y su mujer, Lidia (Moreau), forman una pareja sin amor, sin ilusiones en común y en crisis. Él es un novelista joven de fama, pero la escasez de sus ingresos le hace depender económicamente de su mujer. Él, de unos 35 años, es culto, simpático, indolente, voluble y débil de carácter. Ella, de unos 30 años, es lúcida, resistente, voluntariosa, rica y bastante más estable que las personas de su entorno.
El film explora el drama de apatía, aburrimiento, desamor y cansancio, que vive la pareja. Las ideas centrales que informan el relato giran en torno de la utopía del amor, la inviabilidad de la amistad duradera, la felicidad inalcanzable de modo continuado, el inevitable aislamiento personal derivado de la incapacidad de comunicarse con los demás, en la doble vertiente de dar y recibir. La sociedad burguesa actual integra personas vacías, confusas, superficiales, neuróticas, fracasadas sentimentalmente, sin emociones ni sentimientos y en crisis. La mujer es más consciente, sensible y estable que el hombre. Giovanni y Lidia, tras varios años de matrimonio, se encuentran en un punto álgido de desafecto, indiferencia y desencuentro. No tienen hijos, no tienen temas de interés común, no se conocen mutuamente y el amor de antaño se ha disipado. No se aman ni se odian, no se profesan afecto ni animadversión, no se necesitan ni se echan en falta, no simpatizan ni se pelean. A lo sumo, lo único que les une ocasionalmente es el deseo insatisfecho tras una larga noche de frustraciones y de vacío existencial.
La narración a penas se basa en palabras. Los diálogos son escasos, lacónicos, insignificantes e intrascendentes. A veces sobresalen por su frivolidad y superficialidad. Las personas cuando hablan ocultan con palabras lo que piensan, sienten o desean. Sus actitudes y sentimientos se ponen de manifiesto a través de la expresión corporal (rostro y gestualidad). Por lo demás, el espectador es invitado a deducir lo que piensan y sienten los protagonistas a través de símbolos, alegorías, metáforas, sugerencias y signos.
El paseo de Lidia por la ciudad entre edificios impersonales, fríos y desproporcionados, concentra todo su sentido y significado en las imágenes. A lo largo del metraje abundan las rejas, los muros de separación, los desniveles, los obstáculos que cierran el paso (jardineras, biombos...). Son elocuentes las presencias de la lluvia, las paredes desnudas, los ejercicios contorsionistas de la bailarina del night club, los candelabros con velas encendidas, las sombras, etc. Es notable la cantidad y diversidad de elementos significativos que contiene el film: arquitectónicos, escultóricos, literarios, pictóricos, musicales y anecdóticos. Añade citas cultas, referidas a Hemingway, Gabriele D’Annunzio, Arthur Koestler (“Los sonámbulos”, 1959), etc. Los temas de algunas pinturas de la casa del rico industrial que ofrece la fiesta, y otros elementos, evocan el pasado y hablan de la mentalidad anacrónica y retrógrada del anfitrión y de los invitados.
Las interpretaciones de los dos grandes actores protagonistas, Mastroianni y Moreau, dan al film un relieve que no tenían los precedentes. Monica Vitti, en su segunda colaboración con Antonioni, es digna merecedora del Nastro d’Argento (Silver Ribbon) que le otorga el Sindicato de Periodistas Cinematográficos Italianos. El estreno se da acompañado de un considerable éxito de público y crítica. El paso del tiempo la convierte en una de las obras más populares del autor.
La banda sonora, compuesta y dirigida por Giorgio Gaslini, ofrece una partitura de melodías jazzísticas acertadamente pausadas y sensuales, que interpreta el “Giorgio Gaslini Quartet” (saxo, piano, contrabajo y batería). Las melodías a cargo del saxo son sugerentes y cautivadoras. Gana un merecido Nastro d’Argento. La fotografía, de Gianni di Venanzo (“El eclipse”, 1961), aporta una excelente visualidad, de planos largos, frecuentes encuadres generales, composiciones de luces fuertemente contrastadas y un cromatismo que combina negros sólidos y blancos intensos. El tenebrismo de las escenas nocturnas refleja el estado de ánimo de los protagonistas y envuelve el relato en una ambientación visual opresiva. Abundan las iluminaciones horizontales que alargan y deforman las sombras que proyectan.
Miquel
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/253181.html
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La primera vez que leí sobre La Notte (1961) fue buscando información sobre Stanley Kubrick. Encontré que en una entrevista que tuvo en 1963 le preguntaron cuáles eran sus diez películas favoritas. Entre filmes de Fellini, Bergman, Orson Welles, John Huston y demás; mencionó La Notte de Michelangelo Antonioni. Evidentemente, lo primero que hice tras leer esa valiosa lista, fue buscar todas las películas que la formaban para verlas.
La Notte es un filme que requiere verse en un estado de ánimo totalmente tranquilo y si es posible reflexivo. Es importante esta consideración, porque es una historia sutil, donde los mensajes relevantes no están en lo evidente, sino en los detalles. Los personajes nos hablan no con sus diálogos, sino con sus silencios. Como bien nos lo subraya Antonioni en la parte donde Lidia (Jeanne Moreau) le dice a su marido Giovanni (Marcello Mastroianni)  que tiene sólo un pensamiento en su cabeza, pero se niega a revelárselo. El gran protagonista de este drama es la incomunicación. La búsqueda de la comprensión y la frustración al ver que la persona con la que se comparte la vida no te la puede aportar.
Este tema ya lo trata Fellini con La Dolce Vita (1960), o el mismo D. H. Lawrence en su novela The Rainbow (1915). A mi juicio, es uno de los argumentos más terribles que uno puede encontrar en una obra. Personas que supuestamente se aman, que se han casado porque consideran que se necesitan, y que después de todo sólo son dos extraños que están juntos. Antonioni expresa este desasosiego con una especial fineza.
Es muy acertada la idea de que la profesión de Giovanni sea la de escritor, una persona que supuestamente tiene facilidad para la elocuencia. Es bastante irónico este personaje, se trata de un hombre educado, correcto,  elegante y con gran sensibilidad. Sin embargo, sus facultades lo convierten en desdichado, es una persona que no se permite insistir,  que pregunta pero tras una evasiva no vuelve a retomar el tema. Una escena significativa del principio de la película es cuando Giovanni se deja llevar con una loca que encuentra en la clínica y acaba besándola. En el coche se siente culpable y se lo cuenta a su esposa, pero lejos de sentirse afectada le responde con total indiferencia: “Con eso puedes hacer un buen cuento titulado: Los Vivos y los Muertos.” “¿Es todo lo que tienes que decir?” Le pregunta escandalizado Giovanni. “¿Qué quieres que te diga?” Evidentemente, un individuo  que se desconcierta ante esa actitud lo que nos expresa es que no siente el afecto y preocupación que esperaba en esa persona.
El personaje de Lidia es frío, serio, distante, confuso, una persona que está pensando en lo que le ocurre interiormente constantemente. Se da cuenta de que Giovanni no encuentra comprensión en ella y que buscará fuera otras posibilidades. La culpabilidad la deja enajenada. Hay un instante formidable, que muestra la precisión tan inteligente de Antonioni. Lidia pasea sola viendo el ambiente de la fiesta, ella aparece en plano medio corto y de fondo podemos ver que un señor calvo le dice a una moza: “Sí, bueno, pero para mí, ésta no es respuesta suficiente...” Con este detalle, este momento casi imperceptible, vemos proyectado todo el problema de la relación del matrimonio protagonista. Ninguna de las respuestas que se dan son suficientes. Responden a su pareja con un “Nada” o con un “No lo sé”, el otro simula que lo deja pasar, pero vemos perfectamente que tras esto giran la cara y fruncen el ceño de forma introspectiva. Todos estarán de acuerdo de que un guión tan sutil no sería posible sin dos actores tan portentosos como Mastroianni y Moreau, donde cada gesto contiene la esencia del estado de ánimo requerido. Así mismo, el resultado del filme no sería tan elegante sin el excelente trabajo del operador Gianni Di Venanzo, que trabajó también en otros clásicos como: Otto e mezzo (1963), I soliti Ignoti (1958) o L’eclisse (1962); ni tampoco sin la música suave de Giorgio Gaslini.
Puntuación personal: 8/10
http://thechurchofhorrors.com/critica-la-notte-de-michelangelo-antonioni-1961/

La trilogía de la incomunicación: La Noche
"La Notte es una de las obras maesttras del cine, que marcó una evolución estilística en Antonioni, discípulo de Rosellini, y considerado uno de los mejores directores del cine italiano"
Junto con El eclipse y La aventura, filmadas entre 1959 y 1961, formó una saga que fue denominada por los críticos como Trilogía de la incomunicación. Tras renunciar a las influencias del neorrealismo de Rosellini, del que fue colaborador, se internó por el camino de " la indagación sobre los motivos morales y psicológicos que impulsaban a sus personajes". Los argumentos de Antonioni eran mínimos, casi inexistentes. Por contra, los tiempos muertos y los silencios mujy largos..."(Juan Zavala y otros. Cine contado con sencillez)
En consonancia con otros autores de la época (Bergman, Fellini...), pero desde una perspectiva cultural mediterránea, plantea los temas de la muerte, el amor, la incomunicación, la pérdida de la juiventud, el triunfo social y su contrapartida: la crisis del artista, la búsqueda del tiempo perdido, que para Lidia (Jeanne Moreau) era el comienzo del amor en el modesto barrio de San Giovani y para Valentina (Monica Vitti) el sometimiento a una educación castrante, sin cuentos ni fantasías, limpia de malas hierbas' en el seno de una rica familia...
A lo largo del film y como conector de las cuestiones que plantea, está siempre presente la reflexión del autor. Reflexión sobre el proceso creativo, presente en los autores del momento, ya fueran músicos, escritores, pintores o cineastas, en un momento en que nuestro mundo occidental se revuelve inestable y amaga una revolución del pensamiento. Ésto aleja, desde mi modesto punto de vista, a los cineastas de su medio de expresión, de hablar con la imagen, de sentirse obligados a pronunciar grandes manifiestos ante la cámara con excesiva explicitud. En los últimos momentos de su vida maestros como Bergman o Rhomer, entre otros, experimentaron la posibilidad de crear con las nuevas tecnologías digitales y de usar los nuevos soportes sin abandonar por ello su compromiso con la sociedad de remover las conciencias e involucrarla en la modificación de las condiciones que rigen las relaciones sociales.
Ahora los ataques a Giovanni (Marcelo Mastroiani) le vienen, no de la crítica, que al fin y al cabo es otra expresión intelectual, sino del muy prosaico mundo de los negocios. El primer choque se produce en la presentación de su libro, cuando un pretencioso le pide un autográfo y él lo estampa en la página izquierda, por lo que debe escuchar una impertinencia: "Con ello sale ganando el libro, porque da valor a una página en blanco"; después en diversas conversaciones con el empresario Gherardini, que se considera mucho a sí mismo y se permite aconsejar al escritor que no se preocupe del dinero, que haga algo útil ( le propone dirigir un departamento de relaciones públicas para romper la incomunicación con sus empleados). Este problema se lo plantea Truffaut en "Besos robados". A la pregunta ¿ qué haría si no escribiese? Giovanni contesta "...Cuántas veces se pregunta hoy un escritor si la escritura no será un instinto irreprimible pero anticuado; este trabajo tan solitario, artesanal, ese ir poniendo una palabra tras otra, este trabajo imposible de mecanizar...Tal vez los industriales son capaces de construir sus sueños con personas de verdad, cosas de verdad; el ritmo de la vida y del tiempo está en sus manos, quizás el futuro."
Giovanni va contando a todos los que le quieren escuchar su crisis creativa. A su mujer, en el cabaret, tras ver el espectáculo de una bailarina, le dice: "La vida sería soportable si no existieran los placeres" Lidia le pregunta: ¿Es tuyo éso? , a lo que responde : " No, yo ya no tengo ideas, sólo recuerdos". A Valentine: " no creo que sea capaz de volver a escribir; no qué escribir sino cómo. Se llama crisis, hoy la tenemos muchos..."
Pero, lo que le rebela definitivamente es el acoso de un grupo de empresarios, uno de los cuales , más joven, ha intentado acostarse con su mujer; es terrible cuando le reprochan que Hemingway ha sabido ganar dinero, lo que no es despreciable, ni siquiera para un intelectual. Cuando el empresario joven afirma que su tiempo es antifilosófico y vil y que la democracia, en términos vulgares, significa hacer lo que veas. Su reacción es violenta: "Conozco esa frase, es de un escritor a quien admiro, pero dicha así me causa horror, porque Usted la ha pronunciado con cierta complacencia y en cambio quien la escribió lo hizo con desesperación". El señor Gherardini apostilla: Lo que importa es lo que se dice, no la intención" Algo estaba pasando desapercibido para todos: pocos años después se produjo la revolución del 68, que aún hoy día intenta combatir el Presidente Sarkozy.
Si he citado tanto diálogo es porque la película es practicamente una sucesión de éstos. Como afirma Jacques Aumont " el cineasta, a diferencia del escritor, opera en el nivel estilístico y no en el lingüístico".
En medio de este debate ciego sobre un mundo desorientado, como lo está el nuestro, Antonioni nos va haciendo un retrato psicológico de las mujeres de la alta burguesía, de sus crisis vitales, su aburrimiento, incapacidad para comunicarse, que refleja una visión pesimista del mundo, que interpretan magistralmente ambas actrices. Es quizás la parte más interesante del film, ya que todo ésto se explicita con imágenes, lenguaje propio del cine, y no se explica con palabras.
Lidia (Jeanne Moreau) es una mujer burguesa que se aburre, que no quiere estar en casa y pasea por el modesto barrio de San Giovani , donde vivió su amor con su marido, observándolo todo, tanto las casas arruinadas como los niños medio abandonados, los restos de objetos destrozados, e interviniendo en peleas entre jóvenes. Pero no puede enfrentarse a la muerte de su mejor amigo Garranti, sentimiento muy bien expresado por un salto de eje que la muestra de espaldas, enfrentada a los dos amigos, Tommaso Garranti y Giovanni Ponto, cuando está a punto de abandonar una habitación de hospital que la ahoga; Tommaso ha sido la persona que más la ha querido, sin esperar nada, y que ha luchado por su formación intelectual, como confesará al final, cuando ya haya muerto. Mientras, la madre, asiste a la agonía de su hijo, reprimiendo todo dolor e impidiendo su explosión exterior que pueda afectar al hijo; incluso toma champagne con él y su amigo.
Valentina, niña rica de veinte años, e hija del empresario Gherardini confiesa a Giovanni, utilizando el código lingüístico lúdico, que una vez jugó y le salió mal; el amor limita a las personas y hay algo en él que crea el vacío: "Cuantas veces he intentado comunicarme con alguien lo he perdido todo" Se define como una superficial a la que le gusta más hacer que leer, intentando deshacer el equívoco del escritor que la ha visto leyendo una novela, "Sonánbulos". Pero lo más confuso es que, cuando se queda a solas con Lidia, se produce un ambiguo juego de miradas y algo similar a una caricia al secarle el pelo. Tras hablar con los dos, cuya expresión va siendo captada con la cámara, les reprocha: " Entre los dos me habéis dejado destrozada esta noche"
Creo que este tratamiento de la psique de las mujeres es la parte mejor realizada de la película; las vemos ninguneadas en las conversaciones que los hombres consideran importantes, bellísimos objetos que decoran fiestas y nigth clubes, y que tienen una vida sin objetivos, como simples comparsas de los hombres.
Tan importantes como los personajes son las imágenes de edificios y paisajes, en planos largos, que enmarcan sus historias. Milán se nos muestra como lo que es, un desastre urbanístico, producto de la especulación inmobiliaria, con un tráfico aberrante y desordenado, en la que conviven edificios emblemáticos antiguos con modernos edificios, cuya imagen inmaculada y cristalina se ve empañada con algún pobre viejo que come restos de basura. El hombre frente al edificio, reflejado en el mismo como en un espejo.
Al final Lidia hace una pregunta retórica ¿Qué esperan esos músicos que siguen tocando? ¿Qué amanecerá un día mejor? A continuación le confiesa a Giovanni su desamor, que no ha podido resistir a la rutina. Le lee un escrito de amor que el escritor no reconoce como propio, y que le escribió cuando estaba enamorado. El no acepta este fin y le hace el amor en la hierba.
Brevemente voy a contraponer este film a otro diametralmente opuesto del mismo autor, Blow-up, en la que un fotógrafo ( David Hemmings) capta con su cámara lo qaue le parece un crimen. En su estudio va haciendo ampliaciones para encontrar indicios (blow-up), que le son robadas. Cuando acude al escenario no lleva la cámara y ve el cadáver. Más tarde, cuando vuelve, el cuerpo ha desaparecido, lo mismo que la película y las fotos. No existe la realidad no filmada. El ambiente es distinto, casas aparentemente modestas de Londres que esconden decorados minimalistas de gusto pop, muy elegantes y espaciosas, en un paisaje urbano artificialmente estilizado y con colores saturados y coches de lujo tradicionales , nada horteras. Sorprenden las mujeres jóvenes que soportan las mayores humillaciones del fotógrafo a cambio de que les haga un buch o catálogo fotográfico y que se desinhiben y desmadran en conciertos rock y hippie.
http://www.cinelodeon.com/2010/12/la-notte-michelangelo-antonioni.html
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En La noche, Antonioni disecciona a la clase burguesa, encarnada por el matrimonio de Giovanni Pontano y Lidia principalmente. La pareja, escritor de éxito él y aburrida de tanto laurel ella, lleva una vida repleta de eventos sociales donde se codean con gentes de altas esferas, artistas, intelectuales, ricos empresarios, etc. Y no parece extraordinario, como así les ocurre, terminar perdiéndose en ese mundo de artificiosidad donde todo está al alcance de la mano y por tanto, donde se impone el capricho. Así, en lugar de diálogo entre ambos cónyuges, percibimos innumerables ruidos; ruidos de la ciudad que sustituyen a las palabras: coches en atascos tocando el claxon, sirenas, aviones, helicópteros que cruzan el cielo porque sí Antonioni es el más visible de los directores italianos clásicos. Fellini es barroco, extravagante y el mejor de ellos. De Sica tiene una visión más popular y sufre “subidas y bajadas”, alternando Los Ladrones de Bicicletas con películas de Sofía Loren. Visconti presenta siempre a la nobleza y es más clásico. Passolini es original y provocador, con cierto parecido a Lorca. Nanni Moretti ya es un clásico y es el mejor de los modernos. El más conocido, Roberto Benigni, es un payasete con un éxito mundial.
Mastroiani es un gran actor que trabajó con todos los directores clásicos. Y Jeanne Moreau es una francesa en tierras del Lazio.
Estos dos actores son un matrimonio con problemas de aburrimiento. vâl, que es escritor, tiene un encuentro sexual furtivo con una desequilibrada en un hospital. También, los dos juntos asisten a un cabaret donde una gimnástica negra baila con una copa de vino. El escritor se fija en la chica (su mujer es bella y rica pero él…).
Una “noche” acuden a una fiesta nocturna en una mansión milanesa. El lúbrico Marcello se aproxima a Valentina, la aguanosa hija del anfitrión, pero no hay sexo (un simple beso se descuelga por sus bocas). En la fiesta se celebran juegos de ricos: llueve y las más descocadas se lanzan a la piscina.
La pareja matrimonial se deshilacha rápidamente con el tirón de los días, de las horas. Aunque los finales son aburridos, un último acto sexual queda recogido por la cámara que hace un travelling a modo de mutis.

La noche.
Antonioni y la incapacidad de comunicar
La II Guerra Mundial impone un cambio en la perspectiva que el hombre de aquel momento tiene sobre el mundo en el que vive. En el arte, y por ello también en el cine, las consecuencias de esta bofetada vital no se hacen esperar, surgiendo nuevas miradas aún con el decorado de fondo de los escombros y la devastación. Es el surgimiento de lo que se denomina “cine moderno”. No es casualidad que el neorrealismo sea el primer movimiento que ponga de relieve dicho cambio de actitud frente al mundo; la crudeza y fealdad de la vida son protagonistas ahora en la gran pantalla. El cine se llena de verdad.
Una de las personalidades relevantes en este movimiento marcadamente italiano es Roberto Rossellini (1906-1977). Para muchos su filme Roma, ciudad abierta (1945) constituye el momento seminal de la modernidad en el séptimo arte, aunque puedan constituir antecedentes Obsesión (1943, Luchino Visconti) o Los niños nos miran (1943, Vittorio De Sica). Posteriormente, el filme de Rossellini Stromboli (1950) abre aún más la brecha en la narrativa del cine con una historia que se aleja, entre otras cosas, de los núcleos de la acción para centrarse en las catálisis, o esos momentos en los que nada ocurre. Otra cinta certera en esta línea y del mismo autor será Te querré siempre, de 1953 y traducida aquí con este (aterrador) título.
Discípulo de Rossellini es Michelangelo Antonioni (Ferrara, Italia, 1912-2007). Tras dirigir una veintena de películas, Antonioni inaugura con La aventura (1959) una trilogía de historias sobre la incomunicación, con una centralidad del sexo femenino en los argumentos y en las que recoge ese interés por representar el tiempo muerto, por detenerse en el instante de la espera. En 1961 aparece la segunda, La noche, y cierra en 1963 la serie con El eclipse.
En La noche, el autor estensi (gentilicio de Ferrara) disecciona a la clase burguesa, encarnada por el matrimonio de Giovanni Pontano (contenido y convincente Marcello Mastroianni) y Lidia (una Jeanne Moreau a la altura) principalmente. La pareja, escritor de éxito él y aburrida de tanto laurel ella, lleva una vida repleta de eventos sociales donde se codean con gentes de altas esferas, artistas, intelectuales, ricos empresarios, etc. Y no parece extraordinario, como así les ocurre, terminar perdiéndose en ese mundo de artificiosidad donde todo está al alcance de la mano y por tanto, donde se impone el capricho. Así, en lugar de diálogo entre ambos cónyuges, percibimos innumerables ruidos; ruidos de la ciudad que sustituyen a las palabras: coches en atascos tocando el claxon, sirenas, aviones, helicópteros que cruzan el cielo porque sí Es esta incapacidad de comunicarse lo que parece conducir a la pareja al desamor, más expresado por Lidia (se lo confiesa literalmente a su marido, mientras éste afirma quererla aún). El desafecto se va tejiendo entre paseos, esperas, conversaciones banales, fiestas de postín y escarceos extramaritales. Pero es un desamor de la vida real, sin grandes certezas, calado de dudas y de confidencias, un desamor, en definitiva, veteado de amor. Es, sin duda, la verdadera ambigvºedad de las relaciones humanas, dada la complejidad de sus protagonistas.
Todo ello está contado por Antonioni con solvencia, en secuencias por lo general de larga duración que, sin embargo, trenzan bien la narración sin dar lugar a que el espectador se pierda en ningún instante.
Se ha acusado en ocasiones al cine de Antonioni de contar historias aburridas de forma aburrida. Es verdad que La noche, como tantas otras películas del director italiano, no está en la línea de cierto cine “fast food” (o lo que viene a ser exactamente lo mismo, comida rápida), ejemplificado superlativamente por el sello made in Hollywood de productos en serie, al que tan acostumbrados estamos. Ante tanto consumo perezoso y tanta producción vacua, el espectador medio se ve afectado por unos bajos niveles de paciencia y voluntad crítica, que lo alejan, como mal demoníaco, de toda opción que requiera algo más de actividad cerebral.
Así las cosas, no olvidemos que La noche, centrada en una clase social concreta, bucea por la sinuosa complejidad de la naturaleza humana, exponiendo verdades de forma sincera. Esto, claro está, carece de toda espectacularidad. Pero es que nuestras vidas, aunque ahora nos sorprenda recordarlo, está más llena de silencios, de tiempos muertos y de búsqueda, que de tórridos idilios imposibles, de frases perfectas para cada momento, de explosiones en cadena, de persecuciones por la ciudad y de ir a tiros por las esquinas. ¿O no?
En 1960, año en que se rodó esta película, Michelangelo Antonioni gozaba de cierto prestigio, todavía, entre la crítica y el público más exigente europeo. No era Fellini, al que todo el mundo adoraba desde La strada, pero no se trataba de un muchacho cualquiera que hacía películillas. Gracias a esta popularidad ganada a pulso ese mismo año en el festival de Cannes con su anterior película La aventura, abucheada y vitoreada a partes iguales, y después respaldada mayoritariamente por los cineastas e intelectuales incluso con una carta abierta promovida por su maestro Roberto Rosellini que le sirvió para acabar llevándose el Premio Especial del Jurado y el prestigio suficiente para poder trabajar con las dos estrellas emergentes del cine europeo y a la postre, desde mi punto de vista siempre muy subjetivo y afectuoso, del cine mundial. Hablo de los protagonistas del filme La noche, Marcello Mastroianni y Jeanne Moreau. Dos grandes mitos y actores superlativos, Marcello venía de protagonizar la obra maestra de Fellini La dolce vita y la Moreau acababa de ser la amante despechada en dos de las mejores obras de Louis Malle, Ascensor para el cadalso y Los amantes.

El argumento de La noche
se sustenta sobre una serie de temas fundamentales en el cine de Antonioni, la incomunicación de los seres humanos, el dominio de lo urbano, la fidelidad en la pareja, la deshumanización de los entornos, …
A través de dos figuras contrapuestas, Lidia y Giovanni, la pareja casada pero sin hijos que se siente insatisfecha tanto en su matrimonio como en su vida laboral, aunque tanto ella como él, aparentemente, no lo demuestren y su vida transcurra de manera relajada, fluida e incluso plena de éxito. Así, la película comienza con el reconocimiento de Giovanni como escritor superventas. Un hombre de carácter débil, proclive a la tentación de la infidelidad e insconciente de la situación de crisis que asola su matrimonio. Un personaje interpretado por Mastroianni en un registro algo alejado de su habitual en otras películas italianas, pero sí con un punto muy importante de seducción, aunque con total ausencia de malicia, pero no por ello menos culpable de lo que le ocurre a su vida.
Antonioni en su atracción hacia el género femenino y su total identificación con ese sexo, dota a la mayoría de personajes masculinos de sus películas un carácter de secundarios en su paso por la vida, de ignorantes en manos del azar y de ciegos frente a las realidades y cuestiones básicas de la existencia. En un juego de contraposición a las mujeres, superconscientes, ultrasensibles a todos los avatares de la existencia hasta llegar al tema fundamental de la incomunicación. Incapacidad de comunicación. Dos personas, dos mundos, dos visiones. El hombre que sólo ve lo superficial y para el que una casa es una casa. Y la mujer omnisciente que observa todo, que ve como una casa se puede convertir en una opresión gigante.
Lidia, genialmente interpretada por Jeanne Moreau, es el prototipo de heroína del mundo de Antonioni. Una mujer fuerte, consciente desde el primer momento de la situación que atraviesa y profundamente dolida por el desarrollo de los acontecimientos. El director nos la muestra, ya al principio, en un plano agobiante casi aéreo, diminuta entre rascacielos, encerrada en un laberinto de cemento que son los edificios de una urbanización moderna, metáfora clara de su aislamiento y agobio existencial, en su vida tranquila de mujer casada sin hijos ni preocupaciones aparentes, pero también sin el apoyo de un marido casi siempre ausente y que por su trabajo, posición social o lo que sea, no es el marido que a ella le gustaría o soñara.
Pero, ¿qué es lo que hace importante a esta película? La noche pertenece a una trilogía formada por la anterior La aventura y cerrada por la siguiente El eclipse, llamada trilogía de la incomunicación, que con la posterior El desierto rojo conforman el núcleo fuerte de la filmografía de Michelangelo Antonioni
y están dedicadas sin discusión a la MUJER. Ya que ella, sus personajes femeninos tan bien interpretados por Jeanne Moreau o, casi siempre, por su musa Monica Vitti, son las observadoras de la realidad que interesa a Antonioni, son los ojos y la voz del propio director, y reflejan sus inquietudes y sus inclinaciones. Revelándose como personajes que contemplan el entorno, que la mayoría de las veces les es hostil. Fábricas, rascacielos, maquinas, la idea de deshumanización y de avance de la civilización que tanto atraía a Antonioni y que tanto rechazaba y le asustaba.
Así, Marcello puede caminar distraído por las calles laberínticas repletas de rascacielos e incluso comunicarse con ellos y los que allí habitan, ignorante como quien camina por un decorado. Y Jeanne, en el personaje de su mujer, no puede dejar de sentirse minimizada y casi pisoteada por ese entorno, que no puede dejar de contemplar. Incluso el director muchas veces nos muestra su visión del mundo desde las espaldas de Lidia, sin la expresión de su cara, sin ver claramente sus emociones, sólo los objetos que ella observa; que desde ese momento adquirirán los sentimientos que el director quiere expresarnos. En unos planos que ya, para algunos, se han hecho famosos y que se contraponen a los más míticos todavía planos de Ingmar Bergman de los rostros de sus actrices formando ángulos y ocupando en primer plano toda la pantalla. Algún crítico, en su momento, comentó a raíz de este tipo de planos de las espaldas de la protagonista algo así como: “¿Cómo vamos a entender lo que le ocurre al personaje de Lidia si en ningún momento podemos ver su rostro?”. Esto es, claramente, una exageración, pero sí es cierto que lo que interesaba reflejar a Antonioni o lo que buscaba era que las emociones, el aburrimiento o la ambigvºedad fuesen lo único expresable físicamente por sus personajes o actores, a través de la expresión facial y sus gestos corporales. Y que chocase con la puesta en escena, usando los diálogos para ocultar los verdaderos pensamientos, que nunca serían plenamente revelados, y que cada espectador tendría que rebuscar en sí mismo y decidir cuáles serían. Quitando su propia conclusión de los acontecimientos vistos en la película. Sumado todo esto al hecho de que estos acontecimientos son expuestos en un orden aleatorio y con saltos temporales indefinidos entre ellos. Rasgo definitorio del estilo Antonioni. Toda la película se compone de escenas separadas temporalmente, y aunque transcurre todo en un sólo día y toda su noche, no tenemos constancia intencionadamente por parte del director, del tiempo transcurrido entre escena y escena. Además de carecer de aparentes nexos de unión entre ellas, a no ser de la presencia de los actores protagonistas. Vemos así, al principio de la película, al autor firmando libros en un acontecimiento social, luego una escena en una visita a un amigo enfermo a un hospital, a continuación un paseo largo y pesado de la mujer que transcurre de lo nuevo y urbano, a lo viejo y añorado del pasado. Para después entrar en una fiesta nocturna que actuará de catalizador de muchos de los sentimientos ocultos en los personajes y que nos llevará a un desenlace al amanecer de esa noche que nos conmoverá o nos dejará indiferentes, dependiendo de nuestro grado de implicación en las imágenes que Antonioni nos propone.
http://www.claqueta.es/1961/la-noche-la-notte.html

3 comentarios:

  1. Estimado, los enlaces 1 y 2 solo bajan unos cuantos Kb, no los 144 mb que deberían

    Gracias igual por esfuerzo. Si se recuperan esos dos enlaces, habrá que echarse a buscar los subtítulos

    Saludos y suerte

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  2. Se arreglaron los enlaces caídos, quizás era problema de Zs

    Saludos

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  3. Alguien sabe el título de una película en la que un padre abogado o juez ,en el camino a los juzgados se encuentra con su hijo drogadicto ,que es atendido por varias personas.Decide encerrarse con él los dos juntos y solos ,o se salvan o no salen de allí.
    Gracias,la vi en Canal + hará mas de 10 años y me gustó.

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