TITULO ORIGINAL Mio cognato
AÑO 2002
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACION 90 min.
DIRECCION Alessandro Piva
GUION Alessandro Piva, Salvatore De Mola, Andrea Piva
REPARTO Luigi Lo Cascio, Sergio Rubini, Mariangela Arcieri, Alessandra Sarno, Gigi Angelillo, Carolina Felline, Vito Cassano, Nicola Valenzano, Dino Loiacono, Serena Brancale, Luciano Navarra, Vito Carbonara, Enzo Fraddosio, Antonio Iandolo, Rino Diana, Luca Cirasola
FOTOGRAFIA Gian Enrico Bianchi
MONTAJE Thomas Woschitz
MUSICA Ivan Iusco
PRODUCCION Giovanni Veronesi, Alessandro Piva, Salvatore De Mola para RAI CINEMA, DADA FILM, SEMINAL FILM
GENERO Comedia
TITULO ORIGINAL Mio cognato
AÑO 2002
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglés (Separados)
DURACION 90 min.
DIRECCION Alessandro Piva
GUION Alessandro Piva, Salvatore De Mola, Andrea Piva
REPARTO Luigi Lo Cascio, Sergio Rubini, Mariangela Arcieri, Alessandra Sarno, Gigi Angelillo, Carolina Felline, Vito Cassano, Nicola Valenzano, Dino Loiacono, Serena Brancale, Luciano Navarra, Vito Carbonara, Enzo Fraddosio, Antonio Iandolo, Rino Diana, Luca Cirasola
FOTOGRAFIA Gian Enrico Bianchi
MONTAJE Thomas Woschitz
MUSICA Ivan Iusco
PRODUCCION Giovanni Veronesi, Alessandro Piva, Salvatore De Mola para RAI CINEMA, DADA FILM, SEMINAL FILM
GENERO Comedia
SINOPSIS Quando a Vito, impiegato tranquillo e pignolo, viene rubata la macchina al battesimo del figlio della sorella, tocca al suo poco amato cognato Toni passare la notte a cercarla con lui nei vicoli della Bari vecchia. Toni, infatti, è piuttosto disinvolto e oltre agli amici borghesi ha strane frequentazioni nel sottobosco più malfamato della città. Alla fine della nottata i due cognati avranno imparato a loro spese a conoscersi meglio ma anche a rispettarsi. (ComingSoon)
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Subtítulos (Inglés)
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Note di regia del film Mio Cognato
Il cast del film "Mio Cognato" L’idea di realizzare un film sulla vicenda tragicomica di un uomo cui viene rubata la macchina nuova si deve ad Alessandro Piva e al racconto ricco di pathos fattogli molto tempo fa da Pino, suo vecchio collaboratore ed amico, circa una propria personale esperienza. Dopo anni di risparmi e sacrifici Pino era riuscito, nella seconda metà degli Anni Ottanta, a comprarsi una macchina nuova e fare così il salto di qualità dalla sua vecchia e scassata Cinquecento ad una Fiat Uno, il modello base. Ancora a poche settimane dal faticoso acquisto, lasciata un giorno la vettura davanti alla scuola nella quale insegnava, Pino al suo ritorno non la trovò più. Resosi conto di averne subito il furto, proruppe in un pianto disperato, da bambino. Affacciatosi sul portone, uno dei bidelli della scuola gli chiese cosa fosse successo, e Pino gli spiegò dell’avvenuto furto. L’uomo, senza battere ciglio, gli chiese le chiavi della macchina e si allontanò dalla scuola. Due ore più tardi, senza neanche capire bene come, ma trionfante di gioia, vide rientrare nel cortile dell’edificio la sua utilitaria, immacolata come l’aveva lasciata; alla guida, naturalmente, il generoso bidello.
Alessandro Piva, colpito dal racconto, pensò a quale itinerario potesse avere compiuto il casuale deus ex machina nel tentativo di ridare il sorriso al disperato insegnante. Non ci volle molto per capire che si era davanti ad un’autentica miniera di storie, ambienti e spaccati sociali.
Soggetto e sceneggiatura di "Mio Cognato" portano la firma di Andrea Piva, Alessandro Piva e Salvatore De Mola. Un primo copione era stato elaborato circa dieci anni fa da Alessandro Piva e Salvatore De Mola, ma vari ordini di problemi ne avevano impedito la realizzazione in pellicola. Nel frattempo i fratelli Piva hanno pensato e realizzato "LaCapaGira", fortunata opera prima che, scritta da Andrea e diretta da Alessandro, dopo l’ottimo apprezzamento di critica e pubblico al Festival di Berlino, ha fruttato tra i numerosi premi il David di Donatello, il Nastro d’Argento e il Ciak d’Oro per la migliore regia esordiente nel 2000.
Ripresentatasi concretamente la possibilità di realizzare il film, Andrea Piva (con la collaborazione di Alessandro) ha interamente riscritto il copione, soprattutto nello sforzo di adeguarlo alla mutata realtà sociale di Bari, città che negli ultimi dieci anni è molto cambiata. Raggiunta nei primi mesi del 2002, dopo un anno di lavoro, una versione considerata di riferimento a livello di struttura narrativa, il copione di "Mio Cognato" ha dovuto compiere un ulteriore, sostanzioso sforzo di adeguamento alla realtà, confrontandosi più direttamente con lo studio materiale dei luoghi del racconto, il respiro degli attori scelti e - soprattutto - la città in genere, vista come un organismo composito a più dimensioni, spesso comunicanti a malapena tra loro.
Esistono persone, come il Toni Catapano (Sergio Rubini) di questo racconto, cui è concesso passare in scioltezza da un piano all’altro; ce ne sono altre cui il passaggio, seppure possibile, non risulta indolore. Ed è questo, forse, l’assunto principale del film, sintetizzato esemplarmente nella vicenda di Vito Quaranta (Luigi Lo Cascio): un uomo che, lasciate le proprie certezze e seguito lo smaliziato cognato nel sottosuolo della città alla ricerca della propria auto rubata, scopre la pentola a pressione che bolle senza valvola sotto di sé, sotto ognuno di noi.
Individuare il titolo non è stato facile. La scelta finale si è orientata su un titolo non esattamente accattivante, che anzi mira proprio a mettere in luce di primo acchitto la sotterranea sgradevolezza di questo strano legame di parentela acquisita, ‘legale’, per così dire, come bene evidenzia il suo corrispettivo inglese (Brother-in-law). Si diventa cognati né per scelta né in ultima analisi per sangue, e questa circostanza, come nel caso dei due protagonisti del film, fa spesso sentire il suo peso.
"Mio Cognato" è ambientato nella Bari dei nostri giorni, e le vicende narrate sono, come nello stile dei fratelli Piva, riarrangiamenti e variazioni sul tema di fatti realmente accaduti o dei quali comunque nessun attento osservatore della contemporaneità metterebbe in dubbio la verosimiglianza.
(“Se a volte l’effetto che ne scaturisce è surreale, la responsabilità è da attribuirsi ad un mondo che con sempre maggiore entusiasmo, seppure inconsapevolmente, ciecamente, si fa bretoniano” - Andrea Piva ).
Per di più, lo stile di regia di Alessandro Piva è teso alla reinterpretazione contemporanea di un modo classico di stare dietro la cinepresa, poco incline al movimento di macchina vistoso, o al virtuosismo fine a se stesso, che così soventemente fa passare in secondo piano gli avvenimenti narrati.
Il direttore della fotografia Gian Enrico Bianchi ha concentrato la sua riflessione sulla commistione dei generi propria del film, in bilico tra i toni solari della commedia e quelli ombrosi del dramma. Chiamato a interpretare la notte di una città scura come Bari, con l’uso alterno di neon e luci più brillanti ha reso sapientemente i contrasti che attraversano l’arco del film. Seguendo una precisa richiesta della regia, Bianchi ha costellato gli ambienti di punti di luce, con l’intento di stagliare i personaggi nella profondità dello spazio e di rimarcare un effetto a tratti poco naturalistico e di grande varietà nell’alternarsi dei toni.
La scelta del cast è conseguenza naturale dell’impostazione produttiva del film. Un regista e sceneggiatore, Giovanni Veronesi, la cui fama è legata a numerosi film di grande successo commerciale, sceglie un regista ‘outsider’, Alessandro Piva, per il suo primo film da produttore; quasi un paradosso, al primo sguardo. Ma, forse proprio per questo, sulla strana accoppiata si fonda un tentativo interessante per il nostro cinema bisognoso di novità.
L’individuazione del cast risente di queste influenze incrociate. Da una parte due nomi di richiamo come Rubini e Lo Cascio, dall’altra la varia umanità degli attori del vivaio locale, a dare senso di autenticità all’ambientazione (come Vito Cassano, Dino Loiacono, Vito Carbonara, Enzo Fraddosio). Tra i due mondi mediano alcuni attori pugliesi di consolidata estrazione teatrale, come Gigi Angelillo e Nicola Valenzano, o attrici quali Alessandra Sarno e Carolina Felline, già impegnate tra cinema e televisione, così come Rino Diana, Luca Cirasola e il promettente Antonio Iandolo. Da sottolineare anche il primo ruolo di rilievo per Mariangela Arcieri, nel film la moglie di Lo Cascio, una giovane attrice rivelatasi nel cortometraggio del filmaker Graziano Conversano, “Faiuno”, premiato con un Sacher d’Argento nel 2001. La regia non ha trascurato neanche il serbatoio naturale della città, come nel caso della giovanissima Serena Brancale, rivelatasi un talento naturale, o del pugile Luciano Navarra, quasi costretto a fare il provino dalla moglie (“Tu sei un attore nato, ti prenderanno per forza”) e che si è ritrovato per caso a interpretare brillantemente il ruolo del cocomeraio Tito. Sulla stessa linea anche la scelta nell’uso della lingua, un italiano sincopato di volta in volta da sciabolate di dialetto, che, proprio in quanto alle volte di difficile comprensione, è risultato utile per la regia a sottolineare lo straniamento del protagonista Vito/Lo Cascio nel suo graduale sprofondamento nel sottosuolo della città. Sottosuolo al quale appartiene l’umanità de LaCapaGira, idealmente compresente al mondo di questo film, e dalla quale proviene la citazione della bisca di Sabino e Pinuccio, interpretati, come se nulla fosse cambiato, ancora da Dante Marmone e Mino Barbarese. I due film si incontrano per un attimo, in un ideale passaggio di testimone; Toni e Vito riprendono subito la loro personale avventura notturna.
Uno stilema, quello dell’uso mirato del dialetto, figlio dell’esperienza “forte” del primo film dei fratelli Piva, film che ha dovuto fare ricorso ai sottotitoli per risultare comprensibile al pubblico nazionale, e che è stato seguito da una lunga serie di esperimenti simili negli anni a seguire.
Alessandro Piva
http://www.cinemaitaliano.info/news/00207/note-di-regia-del-film-mio-cognato.html
Alessandro Piva, colpito dal racconto, pensò a quale itinerario potesse avere compiuto il casuale deus ex machina nel tentativo di ridare il sorriso al disperato insegnante. Non ci volle molto per capire che si era davanti ad un’autentica miniera di storie, ambienti e spaccati sociali.
Soggetto e sceneggiatura di "Mio Cognato" portano la firma di Andrea Piva, Alessandro Piva e Salvatore De Mola. Un primo copione era stato elaborato circa dieci anni fa da Alessandro Piva e Salvatore De Mola, ma vari ordini di problemi ne avevano impedito la realizzazione in pellicola. Nel frattempo i fratelli Piva hanno pensato e realizzato "LaCapaGira", fortunata opera prima che, scritta da Andrea e diretta da Alessandro, dopo l’ottimo apprezzamento di critica e pubblico al Festival di Berlino, ha fruttato tra i numerosi premi il David di Donatello, il Nastro d’Argento e il Ciak d’Oro per la migliore regia esordiente nel 2000.
Ripresentatasi concretamente la possibilità di realizzare il film, Andrea Piva (con la collaborazione di Alessandro) ha interamente riscritto il copione, soprattutto nello sforzo di adeguarlo alla mutata realtà sociale di Bari, città che negli ultimi dieci anni è molto cambiata. Raggiunta nei primi mesi del 2002, dopo un anno di lavoro, una versione considerata di riferimento a livello di struttura narrativa, il copione di "Mio Cognato" ha dovuto compiere un ulteriore, sostanzioso sforzo di adeguamento alla realtà, confrontandosi più direttamente con lo studio materiale dei luoghi del racconto, il respiro degli attori scelti e - soprattutto - la città in genere, vista come un organismo composito a più dimensioni, spesso comunicanti a malapena tra loro.
Esistono persone, come il Toni Catapano (Sergio Rubini) di questo racconto, cui è concesso passare in scioltezza da un piano all’altro; ce ne sono altre cui il passaggio, seppure possibile, non risulta indolore. Ed è questo, forse, l’assunto principale del film, sintetizzato esemplarmente nella vicenda di Vito Quaranta (Luigi Lo Cascio): un uomo che, lasciate le proprie certezze e seguito lo smaliziato cognato nel sottosuolo della città alla ricerca della propria auto rubata, scopre la pentola a pressione che bolle senza valvola sotto di sé, sotto ognuno di noi.
Individuare il titolo non è stato facile. La scelta finale si è orientata su un titolo non esattamente accattivante, che anzi mira proprio a mettere in luce di primo acchitto la sotterranea sgradevolezza di questo strano legame di parentela acquisita, ‘legale’, per così dire, come bene evidenzia il suo corrispettivo inglese (Brother-in-law). Si diventa cognati né per scelta né in ultima analisi per sangue, e questa circostanza, come nel caso dei due protagonisti del film, fa spesso sentire il suo peso.
"Mio Cognato" è ambientato nella Bari dei nostri giorni, e le vicende narrate sono, come nello stile dei fratelli Piva, riarrangiamenti e variazioni sul tema di fatti realmente accaduti o dei quali comunque nessun attento osservatore della contemporaneità metterebbe in dubbio la verosimiglianza.
(“Se a volte l’effetto che ne scaturisce è surreale, la responsabilità è da attribuirsi ad un mondo che con sempre maggiore entusiasmo, seppure inconsapevolmente, ciecamente, si fa bretoniano” - Andrea Piva ).
Per di più, lo stile di regia di Alessandro Piva è teso alla reinterpretazione contemporanea di un modo classico di stare dietro la cinepresa, poco incline al movimento di macchina vistoso, o al virtuosismo fine a se stesso, che così soventemente fa passare in secondo piano gli avvenimenti narrati.
Il direttore della fotografia Gian Enrico Bianchi ha concentrato la sua riflessione sulla commistione dei generi propria del film, in bilico tra i toni solari della commedia e quelli ombrosi del dramma. Chiamato a interpretare la notte di una città scura come Bari, con l’uso alterno di neon e luci più brillanti ha reso sapientemente i contrasti che attraversano l’arco del film. Seguendo una precisa richiesta della regia, Bianchi ha costellato gli ambienti di punti di luce, con l’intento di stagliare i personaggi nella profondità dello spazio e di rimarcare un effetto a tratti poco naturalistico e di grande varietà nell’alternarsi dei toni.
La scelta del cast è conseguenza naturale dell’impostazione produttiva del film. Un regista e sceneggiatore, Giovanni Veronesi, la cui fama è legata a numerosi film di grande successo commerciale, sceglie un regista ‘outsider’, Alessandro Piva, per il suo primo film da produttore; quasi un paradosso, al primo sguardo. Ma, forse proprio per questo, sulla strana accoppiata si fonda un tentativo interessante per il nostro cinema bisognoso di novità.
L’individuazione del cast risente di queste influenze incrociate. Da una parte due nomi di richiamo come Rubini e Lo Cascio, dall’altra la varia umanità degli attori del vivaio locale, a dare senso di autenticità all’ambientazione (come Vito Cassano, Dino Loiacono, Vito Carbonara, Enzo Fraddosio). Tra i due mondi mediano alcuni attori pugliesi di consolidata estrazione teatrale, come Gigi Angelillo e Nicola Valenzano, o attrici quali Alessandra Sarno e Carolina Felline, già impegnate tra cinema e televisione, così come Rino Diana, Luca Cirasola e il promettente Antonio Iandolo. Da sottolineare anche il primo ruolo di rilievo per Mariangela Arcieri, nel film la moglie di Lo Cascio, una giovane attrice rivelatasi nel cortometraggio del filmaker Graziano Conversano, “Faiuno”, premiato con un Sacher d’Argento nel 2001. La regia non ha trascurato neanche il serbatoio naturale della città, come nel caso della giovanissima Serena Brancale, rivelatasi un talento naturale, o del pugile Luciano Navarra, quasi costretto a fare il provino dalla moglie (“Tu sei un attore nato, ti prenderanno per forza”) e che si è ritrovato per caso a interpretare brillantemente il ruolo del cocomeraio Tito. Sulla stessa linea anche la scelta nell’uso della lingua, un italiano sincopato di volta in volta da sciabolate di dialetto, che, proprio in quanto alle volte di difficile comprensione, è risultato utile per la regia a sottolineare lo straniamento del protagonista Vito/Lo Cascio nel suo graduale sprofondamento nel sottosuolo della città. Sottosuolo al quale appartiene l’umanità de LaCapaGira, idealmente compresente al mondo di questo film, e dalla quale proviene la citazione della bisca di Sabino e Pinuccio, interpretati, come se nulla fosse cambiato, ancora da Dante Marmone e Mino Barbarese. I due film si incontrano per un attimo, in un ideale passaggio di testimone; Toni e Vito riprendono subito la loro personale avventura notturna.
Uno stilema, quello dell’uso mirato del dialetto, figlio dell’esperienza “forte” del primo film dei fratelli Piva, film che ha dovuto fare ricorso ai sottotitoli per risultare comprensibile al pubblico nazionale, e che è stato seguito da una lunga serie di esperimenti simili negli anni a seguire.
Alessandro Piva
http://www.cinemaitaliano.info/news/00207/note-di-regia-del-film-mio-cognato.html
IL TEMPO
Gian Luigi Rondi
"LACAPAGIRA" di Alessandro Piva, interpretato da non professionisti che si esprimevano in pugliese stretto, ha avuto, senza riserva, gli applausi del pubblico e i consensi della critica, vincendo anche dei premi importanti. Accadrà, immagino, anche con il film di oggi perché l'impresa è più matura e di respiro più ampio. Si pensa (pensando alla commedia all'italiana) al "Sorpasso" di Risi. Anche lì due uomini diversissimi l'uno dall'altro, anche lì un viaggio in auto. Solo che qui i due uomini sono cognati e il "viaggio" è una scorazzata attraverso la notte di Bari perché a uno, Vito, hanno rubato l'auto mentre partecipava a una cerimonia in famiglia, e l'altro, Toni, scopertamente anche se spesso solo allusivamente collegato con ambienti della malavita, gli garantisce, tramite quelli, che riusciranno a recuperarla.
A poco a poco, però, mentre fra i due che non si erano simpatici nasce una sorta di amicizia, risulta evidente che Toni si è macchiato di uno "sgarro". Ma a pagare, come nel "Sorpasso", sarà l'altro.
Personaggi saldissimi, specie i due principali analizzati in ogni sfumatura dei loro caratteri opposti, timido, impacciato, quasi dimesso Vito, esuberante, colorato, in apparenza sempre boriosamente sicuro di sé Toni. Mentre attorno l'ambiente notturno di Bari popolato da figuri quando loschi quando solo folcloristici, suscita nell'azione echi che dall'ironia, con segrete allusioni, evolvono verso il dramma. Grazie a musiche d'effetto e a una fotografia virata in seppia. I due sono Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio (nella foto). Difficile dire chi sia il migliore.
A poco a poco, però, mentre fra i due che non si erano simpatici nasce una sorta di amicizia, risulta evidente che Toni si è macchiato di uno "sgarro". Ma a pagare, come nel "Sorpasso", sarà l'altro.
Personaggi saldissimi, specie i due principali analizzati in ogni sfumatura dei loro caratteri opposti, timido, impacciato, quasi dimesso Vito, esuberante, colorato, in apparenza sempre boriosamente sicuro di sé Toni. Mentre attorno l'ambiente notturno di Bari popolato da figuri quando loschi quando solo folcloristici, suscita nell'azione echi che dall'ironia, con segrete allusioni, evolvono verso il dramma. Grazie a musiche d'effetto e a una fotografia virata in seppia. I due sono Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio (nella foto). Difficile dire chi sia il migliore.
LA REPUBBLICA
Rita Celi
Toni, Vito e un limone. Sono tre i personaggi di Mio cognato, secondo e atteso film di Alessandro Piva, acclamato esordiente con La CapaGira. Tutta la vicenda ruota intorno al furto di una macchina e a una complicata manovra per ritrovarla senza pagare il riscatto richiesto. Toni (Sergio Rubini), piccolo imprenditore un po' imbroglione e in contatto con ambienti malavitosi, si sente in dovere di aiutare il cognato Vito (Luigi Lo Cascio), derubato, troppo ingenuo e ordinario per cavarsela da solo. Nel corso di una notte i due, molto diversi tra loro, impareranno a conoscersi attraversando a bordo di un'auto di grossa cilindrata i più ambigui e loschi ambienti della città.
Vito sempre con la cintura allacciata, Toni detto "Il Professore" perché ha fatto la terza media, nel suo completo giallo, con lo stuzzicadenti in bocca e orologio d'oro bene in vista. Tra una frisella, una birra e un piatto di spaghetti i due entrano in confidenza. Toni parlando in dialetto, Vito, malgrado le sue origini baresi, scambiato sempre per un forestiero e difeso dal cognato.
Come già accaduto nella CapaGira, i volti e le persone che appaiono nel film sembrano assolutamente reali, quasi ripresi da telecamere nascoste. Eppure, afferma Alessandro Piva, di poche parole ma con le idee molto chiare, "come già era successo con il precedente film, tutti pensavano che si trattasse di attori non professionisti. Invece, attorno ai due interpreti ben riconoscibili, Rubini e Lo Cascio, ce ne sono altri presi dal teatro o dalle tv locali, scelti appositamente per costruire una solida base realistica".
La storia del film è ispirata da piccoli fatti realmente accaduti, anche se ricorda in più occasioni Il sorpasso. "Ammetto che ci siano dei rimandi al film di Dino Risi" dice Piva, "ma lo stesso impianto narrativo c'è anche in Ladri di biciclette o in Cane randagio di Kurosawa. Quindi ridimensionerei il paragone, senza però negarlo".
"Molte situazioni del film vengono da racconti di amici o fatti di cronaca" prosegue il regista, "come il riscatto chiesto per riavere l'auto rubata, che non capita solo a Bari. Oppure lo stereo ad alto volume nell'ambulanza, cosa insolita ma con qualcosa di vero. Più che descrivere l'ambiente malavitoso, quello che mi interessa raccontare è il fascino della notte delle piccole e grandi città del sud, spesso popolate da loschi figuri".
Rispetto alla povera e fortunata opera prima, Piva ha lavorato con un budget più sostanzioso (il film è prodotto da RaiCinema e uscirà il 3 ottobre in 90 copie con la 01 Distribution) e soprattutto due attori importanti. "Quello che più mi ha sorpreso" confessa il regista, "è che entrambi volevano un bel copione e bei dialoghi già definiti. A me invece piace il lavoro di improvvisazione sul set, che questa volta è mancato. Ma sono soddisfatto del mio film, consapevole di aver affrontato la sfida di lavorare con più soldi mantenendo la mia originalità. E poi ci tenevo a fare un film che fosse utile al nostro cinema, come è stato con La CapaGira".
E' lo stesso Piva a riconoscere che il suo film d'esordio è diventato un riferimento per la cinematografia italiana, oltre che essere tra i più scaricati da Internet. Lui si diverte in Rete attraverso il sito del film, da tempo frequentato da un nutrito gruppo di persone congregate in una sorta di associazione che va ben oltre il fanclub.
"Su miocognato.it si trovano le imprese dei due agenti segreti" spiega, "che hanno iniziato a operare su Internet già ai tempi della CapaGira. E' un modo diverso di coinvolgere il pubblico, soprattutto quello più giovane, cercando nuove strade. A Bari in particolare, dove il film sarà presentato in anteprima domani, c'è un passaparola che va avanti da solo, utilizzando gli adesivi con il logo del film". Un limone, naturalmente.
Mio cognato, diario di bordo della notte barese
Esce in Italia, il 3 ottobre, il nuovo, divertente film di Alessandro Piva. Interpretato da una coppia di straordinari attori nostrani: Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini
Vito sempre con la cintura allacciata, Toni detto "Il Professore" perché ha fatto la terza media, nel suo completo giallo, con lo stuzzicadenti in bocca e orologio d'oro bene in vista. Tra una frisella, una birra e un piatto di spaghetti i due entrano in confidenza. Toni parlando in dialetto, Vito, malgrado le sue origini baresi, scambiato sempre per un forestiero e difeso dal cognato.
Come già accaduto nella CapaGira, i volti e le persone che appaiono nel film sembrano assolutamente reali, quasi ripresi da telecamere nascoste. Eppure, afferma Alessandro Piva, di poche parole ma con le idee molto chiare, "come già era successo con il precedente film, tutti pensavano che si trattasse di attori non professionisti. Invece, attorno ai due interpreti ben riconoscibili, Rubini e Lo Cascio, ce ne sono altri presi dal teatro o dalle tv locali, scelti appositamente per costruire una solida base realistica".
La storia del film è ispirata da piccoli fatti realmente accaduti, anche se ricorda in più occasioni Il sorpasso. "Ammetto che ci siano dei rimandi al film di Dino Risi" dice Piva, "ma lo stesso impianto narrativo c'è anche in Ladri di biciclette o in Cane randagio di Kurosawa. Quindi ridimensionerei il paragone, senza però negarlo".
"Molte situazioni del film vengono da racconti di amici o fatti di cronaca" prosegue il regista, "come il riscatto chiesto per riavere l'auto rubata, che non capita solo a Bari. Oppure lo stereo ad alto volume nell'ambulanza, cosa insolita ma con qualcosa di vero. Più che descrivere l'ambiente malavitoso, quello che mi interessa raccontare è il fascino della notte delle piccole e grandi città del sud, spesso popolate da loschi figuri".
Rispetto alla povera e fortunata opera prima, Piva ha lavorato con un budget più sostanzioso (il film è prodotto da RaiCinema e uscirà il 3 ottobre in 90 copie con la 01 Distribution) e soprattutto due attori importanti. "Quello che più mi ha sorpreso" confessa il regista, "è che entrambi volevano un bel copione e bei dialoghi già definiti. A me invece piace il lavoro di improvvisazione sul set, che questa volta è mancato. Ma sono soddisfatto del mio film, consapevole di aver affrontato la sfida di lavorare con più soldi mantenendo la mia originalità. E poi ci tenevo a fare un film che fosse utile al nostro cinema, come è stato con La CapaGira".
E' lo stesso Piva a riconoscere che il suo film d'esordio è diventato un riferimento per la cinematografia italiana, oltre che essere tra i più scaricati da Internet. Lui si diverte in Rete attraverso il sito del film, da tempo frequentato da un nutrito gruppo di persone congregate in una sorta di associazione che va ben oltre il fanclub.
"Su miocognato.it si trovano le imprese dei due agenti segreti" spiega, "che hanno iniziato a operare su Internet già ai tempi della CapaGira. E' un modo diverso di coinvolgere il pubblico, soprattutto quello più giovane, cercando nuove strade. A Bari in particolare, dove il film sarà presentato in anteprima domani, c'è un passaparola che va avanti da solo, utilizzando gli adesivi con il logo del film". Un limone, naturalmente.
Mio cognato, diario di bordo della notte barese
Esce in Italia, il 3 ottobre, il nuovo, divertente film di Alessandro Piva. Interpretato da una coppia di straordinari attori nostrani: Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini
LIBERAZIONE
Roberta Ronconi
Una macchina rubata durante un battesimo è lo spunto banale che Alessandro Piva (sceneggiatore assieme a De Mola e Andrea Piva) inventa per raccontarci Bari, la sua provincia, il porto gli uomini di malaffare, le mezze tacche, gli arricchiti burini e sbruffoni, un bel pezzo di sud'Italia e non solo. Le nostre guide sono Toni e Vito. Toni (Sergio Rubini) arricchito assicuratore traffichino e suo cognato Toni, un Lo Cascio stralunato e fuor d'acqua tanto che tutti gli chiedono se sia davvero barese oppure forestiero.
Dopo il bell'esordio con "La CapaGira", Piva dimostra piena maturità in questa commedia dolce-amara che, nonostante sia ripresa fedelmente "da un fatto realmente accaduto"- ci tiene a precisare l'autore- in realtà è soprattutto una sfida al rilancio con una delle commedie italiane più significative di un'intera epoca cinematografica_ "Il sorpasso" di Dino Risi. Non si spaventano del gioco i due protagonisti, che confermano definitivamente l'esistenza di una generazione di grandi attori, non si spaventa Piva che copia senza vergogne, ma anzi con il cipiglio di chi ha imparato la lezione e semplicemente la sa a memoria.
Tanto bene, insomma, da poter chiudere il libro e ripetere la lezione della commedia all'italiana a modo suo. Il film è un vero gioiellino, pieno di caratterizzazioni azzeccate e di buone battute, di situazioni forse non originali ma perfettamente rivisitate. Bellissimo anche il gioco con la lingua-dialetto barese, con le continue "traduzioni" che Toni è costretto a fare per il cognato imbranato.
Il finale è quello giusto. Come l'amaro dopo il dolce, alla fine di un gustosissimo pasto mediterraneo. Vale veramente la pena. Con la speranza di vederne ancora tanto e presto, di cinema italiano così.
Dopo il bell'esordio con "La CapaGira", Piva dimostra piena maturità in questa commedia dolce-amara che, nonostante sia ripresa fedelmente "da un fatto realmente accaduto"- ci tiene a precisare l'autore- in realtà è soprattutto una sfida al rilancio con una delle commedie italiane più significative di un'intera epoca cinematografica_ "Il sorpasso" di Dino Risi. Non si spaventano del gioco i due protagonisti, che confermano definitivamente l'esistenza di una generazione di grandi attori, non si spaventa Piva che copia senza vergogne, ma anzi con il cipiglio di chi ha imparato la lezione e semplicemente la sa a memoria.
Tanto bene, insomma, da poter chiudere il libro e ripetere la lezione della commedia all'italiana a modo suo. Il film è un vero gioiellino, pieno di caratterizzazioni azzeccate e di buone battute, di situazioni forse non originali ma perfettamente rivisitate. Bellissimo anche il gioco con la lingua-dialetto barese, con le continue "traduzioni" che Toni è costretto a fare per il cognato imbranato.
Il finale è quello giusto. Come l'amaro dopo il dolce, alla fine di un gustosissimo pasto mediterraneo. Vale veramente la pena. Con la speranza di vederne ancora tanto e presto, di cinema italiano così.
L'UNITÀ (03.10.2003)
Dario Zonta
Qualche anno fa scoppiò un fenomeno, partito dal basso e dal passa parola,La Capagira. Era un film pugliese, caustico ed estremo (tutto in dialetto strettissimo), firmato e autoprodotto da due sconosciuti: Alessandro Piva, regista e Andrea Piva, sceneggiatore. Apriva una finestra su di una realtà nuova per il cinema di allora, quella barese. Piacque a molti e aveva molti meriti.
Oggi i Piva tornano al cinema, nella stessa formazione, con una commedia acida e cupa ancora incentrata su Bari: Mio Cognato. Ma qualcosa è cambiato. Il film è un viaggio denso in una Bari notturna a bordo di una decappottabile e al seguito di due personaggi, molto caratterizzati; il "professore" e suo cognato. Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio. Il pretesto, per quest'affondo barese, è il furto della macchina del cognato, agente di provincia, non avvezzo alla lussuria, al disincanto, alla raffazzoneria della città. Entrambi, il mattatore e il timido, entrano in contatto con giri illeciti e faranno esperienza, dolorosa, dello stato delle cose e di un disincanto, che forse è anche quello dei Piva.
Mio cognato è la seconda prova pugliese arrivata nelle sale nel giro di poche settimane, dopo Il miracolo di Edoardo Winspeare. Del derby "Bari-Taranto", cognati contro miracolati, possiamo dire soltanto questo: fino a qualche anno fa, con i film dei Piva, La
Capagira, e di Winspeare, Pizzica e Sangue vivo, si era parlato di un fenomeno pugliese emergente, di un cinema "regionale" e autoctono (con tutto il positivo che questi termini
contengono) interessante e diverso, perché lontano dalle logiche della produzione nazionale, troppo spesso romana. Grandi speranze, insomma. Oggi, possiamo dire che queste punte si sono ammorbidite e, pur ergendosi dalla terra d'originario, guardano a un cinema medio. Certo con molte differenze, ma una simile ambizione: essere riconosciuti e riconoscibili. Ma può questa mediazione essere felice? Sì, ma ci vuole talento, e molto. I generi vengono in aiuto, e là il melodramma, qui la commedia (amara e acida) fanno da scudo, da passe-partout per film che, molto onestamente, vogliono parlar d'altro con la lingua di tutti. Ecco, allora, che arrivano gli attori, Lo Cascio e Rubini (che non funzionano come duo), ecco che arrivano sceneggiature più scritte e più "finte" (anche se riconosciamo l'indubbio talento di Andrea Piva, che sparge qua e là connotazioni specifiche, come l'accenno all'ormai defunto mercato delle sigarette di contrabbando), ecco che fanno capolino i generi. Niente di male, ma cosa si è perso per strada? Lo chiediamo alle punte che spesso respirano un'aria più pura.
Oggi i Piva tornano al cinema, nella stessa formazione, con una commedia acida e cupa ancora incentrata su Bari: Mio Cognato. Ma qualcosa è cambiato. Il film è un viaggio denso in una Bari notturna a bordo di una decappottabile e al seguito di due personaggi, molto caratterizzati; il "professore" e suo cognato. Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio. Il pretesto, per quest'affondo barese, è il furto della macchina del cognato, agente di provincia, non avvezzo alla lussuria, al disincanto, alla raffazzoneria della città. Entrambi, il mattatore e il timido, entrano in contatto con giri illeciti e faranno esperienza, dolorosa, dello stato delle cose e di un disincanto, che forse è anche quello dei Piva.
Mio cognato è la seconda prova pugliese arrivata nelle sale nel giro di poche settimane, dopo Il miracolo di Edoardo Winspeare. Del derby "Bari-Taranto", cognati contro miracolati, possiamo dire soltanto questo: fino a qualche anno fa, con i film dei Piva, La
Capagira, e di Winspeare, Pizzica e Sangue vivo, si era parlato di un fenomeno pugliese emergente, di un cinema "regionale" e autoctono (con tutto il positivo che questi termini
contengono) interessante e diverso, perché lontano dalle logiche della produzione nazionale, troppo spesso romana. Grandi speranze, insomma. Oggi, possiamo dire che queste punte si sono ammorbidite e, pur ergendosi dalla terra d'originario, guardano a un cinema medio. Certo con molte differenze, ma una simile ambizione: essere riconosciuti e riconoscibili. Ma può questa mediazione essere felice? Sì, ma ci vuole talento, e molto. I generi vengono in aiuto, e là il melodramma, qui la commedia (amara e acida) fanno da scudo, da passe-partout per film che, molto onestamente, vogliono parlar d'altro con la lingua di tutti. Ecco, allora, che arrivano gli attori, Lo Cascio e Rubini (che non funzionano come duo), ecco che arrivano sceneggiature più scritte e più "finte" (anche se riconosciamo l'indubbio talento di Andrea Piva, che sparge qua e là connotazioni specifiche, come l'accenno all'ormai defunto mercato delle sigarette di contrabbando), ecco che fanno capolino i generi. Niente di male, ma cosa si è perso per strada? Lo chiediamo alle punte che spesso respirano un'aria più pura.
CINECLICK.IT
Luca Fagiani
Del perché il titolo italiano di un film italiano porti in dote l'appendice anglofona my brother-in-law è presto detto: lungi dall'essere pronto per l'esportazione (troppa grazia), l'accezione rappresenta una originale sottolineatura di contenuto.
I britannici, di solito confortati da un lessico essenziale ed eclettico, qui trionfano in sottigliezza: "fratelli secondo la legge" per indicare i cognati e Alessandro Piva, regista di buon talento, ci tiene a farci sapere che sono proprio così i suoi protagonisti, parenti né per scelta né tantomeno per sangue, macroscopicamente differenti e in buona sostanza reciprocamente ostili.
Mio cognato, presentato al 56° Festival Internazionale del Film di Locarno, racconta la storia di Toni Catapano (Sergio Rubini) e Vito Quaranta (Luigi Lo Cascio), alle prese con il furto di un'auto e con una successiva notte di ricerche, per le strade buie di una Bari poco conosciuta: quartieri insidiosi popolati da una umanità folkloristica ma allo stesso tempo pericolosa, un sottobosco di individui e complicità regolati da leggi che difficilmente ammettono deroghe.
Lo spunto di partenza è una festa di famiglia, il battesimo del figlio di Toni, detto il Professore; marito della sorella, Vito partecipa tuttavia visibilmente contrariato per non essere stato scelto come padrino. La giornata è definitivamente rovinata quando Vitino va a prendere il regalo in auto e scopre che questa gli è stata rubata: in cambio, appoggiato sull'asfalto, soltanto un limone.
Fortuna per tante pellicole, anche qui viene riproposta la formula collaudata (e divertente) della "strana coppia": Toni è un uomo decisamente sopra le righe, un eccentrico assicuratore dalla retorica facile e dalla dubbia morale; ostentare una sicura capacità di stare al mondo è il vestito che indossa meglio, al pari del completo giallo che lo accompagna per tutto il film.
Rubini è il personaggio e non ce ne voglia: il dialetto è il suo, il camminare malcelando nervosismo pure, la battuta sempre pronta nonostante la situazione sia quasi sfuggita di mano; insomma, l'attore pacato e misurato delle interviste è quasi un tradimento, vogliamo credere che siano quest'ultime le occasioni in cui recita davvero.
Lo Cascio, anch'egli meravigliosamente in parte, è un Vito pacifico e pignolo, che del sottomondo cittadino conosce poco o nulla: trattato da straniero in patria, obbligato dalle circostanze ad affidarsi al colorito cognato, riuscirà comunque a superare le diffidenze e sottoscrivere con lui compromessi prima inaccettabili. Quanto poi ciò si riveli giusto e utile, è cosa tutta da scoprire.
Evidentemente buona per le interpretazioni, l'opera paga dazio ad altre latitudini: se la fotografia riesce nell'intento di traghettare il viaggio in auto dal giorno alla notte senza creare due zone cromatiche troppo diverse, il ritmo è forse lievemente rallentato; una voluta indolenza che accarezza ironicamente la storia, impedisce che quest'ultima decolli verso una vivacità che in fondo manca.
Tant'è che il soggetto non riesce a brillare, a fare il salto di qualità nelle battute finali. La pressione che s'imprime per quasi novanta minuti trova sfogo fin troppo ovvio, come un gol al novantesimo di una partita registrata: deve finire così e così finisce, sprecando però quanto di buono fatto in precedenza.
Pellicola di indubbio stile alternativo, vale il biglietto per gli attori e la simpatia; primo film da produttore per Giovanni Veronesi, secondo lungometraggio per Alessandro Piva: per lasciare il segno, probabilmente, si sarebbe dovuto osare di più.
I britannici, di solito confortati da un lessico essenziale ed eclettico, qui trionfano in sottigliezza: "fratelli secondo la legge" per indicare i cognati e Alessandro Piva, regista di buon talento, ci tiene a farci sapere che sono proprio così i suoi protagonisti, parenti né per scelta né tantomeno per sangue, macroscopicamente differenti e in buona sostanza reciprocamente ostili.
Mio cognato, presentato al 56° Festival Internazionale del Film di Locarno, racconta la storia di Toni Catapano (Sergio Rubini) e Vito Quaranta (Luigi Lo Cascio), alle prese con il furto di un'auto e con una successiva notte di ricerche, per le strade buie di una Bari poco conosciuta: quartieri insidiosi popolati da una umanità folkloristica ma allo stesso tempo pericolosa, un sottobosco di individui e complicità regolati da leggi che difficilmente ammettono deroghe.
Lo spunto di partenza è una festa di famiglia, il battesimo del figlio di Toni, detto il Professore; marito della sorella, Vito partecipa tuttavia visibilmente contrariato per non essere stato scelto come padrino. La giornata è definitivamente rovinata quando Vitino va a prendere il regalo in auto e scopre che questa gli è stata rubata: in cambio, appoggiato sull'asfalto, soltanto un limone.
Fortuna per tante pellicole, anche qui viene riproposta la formula collaudata (e divertente) della "strana coppia": Toni è un uomo decisamente sopra le righe, un eccentrico assicuratore dalla retorica facile e dalla dubbia morale; ostentare una sicura capacità di stare al mondo è il vestito che indossa meglio, al pari del completo giallo che lo accompagna per tutto il film.
Rubini è il personaggio e non ce ne voglia: il dialetto è il suo, il camminare malcelando nervosismo pure, la battuta sempre pronta nonostante la situazione sia quasi sfuggita di mano; insomma, l'attore pacato e misurato delle interviste è quasi un tradimento, vogliamo credere che siano quest'ultime le occasioni in cui recita davvero.
Lo Cascio, anch'egli meravigliosamente in parte, è un Vito pacifico e pignolo, che del sottomondo cittadino conosce poco o nulla: trattato da straniero in patria, obbligato dalle circostanze ad affidarsi al colorito cognato, riuscirà comunque a superare le diffidenze e sottoscrivere con lui compromessi prima inaccettabili. Quanto poi ciò si riveli giusto e utile, è cosa tutta da scoprire.
Evidentemente buona per le interpretazioni, l'opera paga dazio ad altre latitudini: se la fotografia riesce nell'intento di traghettare il viaggio in auto dal giorno alla notte senza creare due zone cromatiche troppo diverse, il ritmo è forse lievemente rallentato; una voluta indolenza che accarezza ironicamente la storia, impedisce che quest'ultima decolli verso una vivacità che in fondo manca.
Tant'è che il soggetto non riesce a brillare, a fare il salto di qualità nelle battute finali. La pressione che s'imprime per quasi novanta minuti trova sfogo fin troppo ovvio, come un gol al novantesimo di una partita registrata: deve finire così e così finisce, sprecando però quanto di buono fatto in precedenza.
Pellicola di indubbio stile alternativo, vale il biglietto per gli attori e la simpatia; primo film da produttore per Giovanni Veronesi, secondo lungometraggio per Alessandro Piva: per lasciare il segno, probabilmente, si sarebbe dovuto osare di più.
CINEMAVVENIRE.IT
Carlo Prevosti
Un altro mondo possibile: Bari
Dopo La capa gira, Alessandro Piva alza il bersaglio affrontando un film high budget, con due attori di spicco, Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini, proiettandosi verso il grande pubblico ma dimostrando nuovamente il suo profondo legame con Bari e la Puglia. Questa volta però Piva sceglie di confrontarsi con i temi classici della commedia all'italiana, ponendosi il difficile compito di avere come modello uno dei capolavori assoluti di questo genere, Il sorpasso di Dino Risi. Come Gassman e Trintignant, la strana coppia Rubini e Lo Cascio vive delle sue dinamiche basate sugli opposti, uno sbruffone e sicuro di sé, l'altro schivo, riservato e all'apparenza più meschino. L'automobile torna ad essere uno status symbol, un oggetto di valore capace di scatenare una sete di ricerca dopo il suo furto. Così Rubini e Lo Cascio passeranno una notte nella periferia di Bari degna di Fuori Orario di Martin Scorsese, durante la quale le strade illuminate a giorno dai lampioni si rivelano essere abitate da personaggi strani e ambigui che vivono secondo regole non scritte valide solo a Bari.
Vito-Lo Cascio, proiezione dell'uomo onesto che si comporta come dovrebbe, si sente chiedere spesso "Ma tu sei di Bari? " quando la sua ingenuità si scontra con situazioni in cui l'abilità manipolatoria malavitosa sembra essere la soluzione più ovvia ad ogni problema. Il tono di fondo, come vuole la commedia all'italiana, è molto amaro, soprattuto se si riesce a leggere il fatto che Vito diventa con la sua normalità l'elemento comico del film, mentre i maneggi di Toni (Rubini) e degli altri piccoli e grandi delinquenti incontrati durante la lunga notte barese risultano di una inconcepibile normalità, quasi a voler sottolineare che a Bari (metonimia del Sud Italia? O dell'Italia intera?) la quotidianeità risiede in consuetudini di origine piccolo mofiosa e che l'uomo comune, l'impiegatino che paga le tasse, non è che una mosca bianca che concede giusto un sorriso ogni tanto.
Il destino è inesorabile e il finale tragico è percepito per tutto lo scorrere del film, ma anche suggerito dalla memoria cinematografica de Il sorpasso, anche se è indicativo che a pagare in realtà non è chi se lo meriterebbe ma chi si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Se nella commedia all'italiana si rideva dei difetti degli italiani che venivano resi eccessivi fino al parossismo, in Mio Cognato accade paradossalmente il contrario, quasi diventasse una proiezione al negativo di quello che dovrebbe essere. La considerazione preoccupante è che potrebbe essere veramente così.
http://www.miocognato.it/stampa.htm#6
Dopo La capa gira, Alessandro Piva alza il bersaglio affrontando un film high budget, con due attori di spicco, Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini, proiettandosi verso il grande pubblico ma dimostrando nuovamente il suo profondo legame con Bari e la Puglia. Questa volta però Piva sceglie di confrontarsi con i temi classici della commedia all'italiana, ponendosi il difficile compito di avere come modello uno dei capolavori assoluti di questo genere, Il sorpasso di Dino Risi. Come Gassman e Trintignant, la strana coppia Rubini e Lo Cascio vive delle sue dinamiche basate sugli opposti, uno sbruffone e sicuro di sé, l'altro schivo, riservato e all'apparenza più meschino. L'automobile torna ad essere uno status symbol, un oggetto di valore capace di scatenare una sete di ricerca dopo il suo furto. Così Rubini e Lo Cascio passeranno una notte nella periferia di Bari degna di Fuori Orario di Martin Scorsese, durante la quale le strade illuminate a giorno dai lampioni si rivelano essere abitate da personaggi strani e ambigui che vivono secondo regole non scritte valide solo a Bari.
Vito-Lo Cascio, proiezione dell'uomo onesto che si comporta come dovrebbe, si sente chiedere spesso "Ma tu sei di Bari? " quando la sua ingenuità si scontra con situazioni in cui l'abilità manipolatoria malavitosa sembra essere la soluzione più ovvia ad ogni problema. Il tono di fondo, come vuole la commedia all'italiana, è molto amaro, soprattuto se si riesce a leggere il fatto che Vito diventa con la sua normalità l'elemento comico del film, mentre i maneggi di Toni (Rubini) e degli altri piccoli e grandi delinquenti incontrati durante la lunga notte barese risultano di una inconcepibile normalità, quasi a voler sottolineare che a Bari (metonimia del Sud Italia? O dell'Italia intera?) la quotidianeità risiede in consuetudini di origine piccolo mofiosa e che l'uomo comune, l'impiegatino che paga le tasse, non è che una mosca bianca che concede giusto un sorriso ogni tanto.
Il destino è inesorabile e il finale tragico è percepito per tutto lo scorrere del film, ma anche suggerito dalla memoria cinematografica de Il sorpasso, anche se è indicativo che a pagare in realtà non è chi se lo meriterebbe ma chi si trova al posto sbagliato nel momento sbagliato.
Se nella commedia all'italiana si rideva dei difetti degli italiani che venivano resi eccessivi fino al parossismo, in Mio Cognato accade paradossalmente il contrario, quasi diventasse una proiezione al negativo di quello che dovrebbe essere. La considerazione preoccupante è che potrebbe essere veramente così.
http://www.miocognato.it/stampa.htm#6
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