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jueves, 21 de julio de 2011

La Marcia su Roma - Dino Risi (1962)


TÍTULO La marcia su Roma
AÑO 1962 
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 90 min.
DIRECTOR Dino Risi
GUIÓN Ghigo De Chiara, Sandro Continenza, Agenore Incrocci, Ruggero Maccari, Furio Scarpelli, Ettore Scola
MÚSICA Marcello Giombini
FOTOGRAFÍA Alfio Contini (B&W)
REPARTO Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Roger Hanin, Mario Brega, Angela Luce, Gérard Landry
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Fair Film / Orsay Films
GÉNERO Comedia

SINOPSIS Tras la I Guerra Mundial, Domenico (Vittorio Gassman) y Umberto (Ugo Tognazzi), dos soldados sin ocupación, se reencuentran en Emilia. Incapaces de encontrar trabajo, deciden integrarse en el movimiento fascista, en busca de una oportunidad de prosperar. Durante una huelga de barrenderos, en la que sustituyen a los trabajadores, golpean accidentalmente a un policía y son encarcelados. Mientras están en prisión, los fascistas toman el poder y liberan a los presos políticos. Nuevamente en la calle, Domenico y Umberto se unen a la "Marcha sobre Roma". (FILMAFFINITY)


Parlando del cinema italiano degli anni Sessanta, Gian Piero Brunetta ha scritto: “Non c’è alcun paese al mondo in cui si registri – sia in senso quantitativo che qualitativo –un’analoga fioritura di talenti in un periodo di tempo così concentrato. Ci si trova di fronte a un tale eccesso di intelligenza cinematografica che per gli stessi contemporanei diventa difficile orientarsi e stabilire rapidamente nuove gerarchie di valori”[1]. In effetti, il 1960 rappresenta per il cinema italiano una “grande annata”: è l’anno della Dolce vita di Fellini, di Rocco e i suoi fratelli di Visconti e dell’Avventura di Antonioni. Se poi si getta uno sguardo ancora più oltre, non si può far a meno di notare come anche le stagioni successive siano foriere di talenti che occuperanno un posto di primissimo piano nella storia del cinema nazionale, e non solo[2]. Nel giro di pochi anni esordiscono più di venti registi; si razionalizzano i processi di fabbricazione dei prodotti che consentono all’autore di presiedere in prima persona alla “confezione dell’intera opera”; si moltiplicano le imprese di produzione e, in un lasso di tempo molto breve, il settore  arriva ad assumere dimensioni ipertrofiche. Sono anni di grande euforia economica e di crescita costante del prodotto cinematografico che trasformano Cinecittà in un vero e proprio “polo alternativo per il cinema mondiale rispetto a Hollywood”[3].
Ma a mutare non sono soltanto gli aspetti formali della produzione: il rinnovamento investe anche le tecniche del racconto e dei procedimenti espressivi. Pur riconoscendo l’eredità del neorealismo, vecchi e nuovi autori iniziano a mostrare una certa dose di sfiducia nei confronti della pretesa di rappresentare il reale in maniera oggettiva, e, a questa sfiducia, corrisponde una sempre più spiccata tendenza a celebrare il punto di vista soggettivo del racconto, assumendo come epicentro della narrazione l’occhio e la sensibilità del cittadino comune. Sul piano tematico, poi, si ritorna, con sempre maggiore frequenza, alla rappresentazione del passato recente “tirando fuori dai cassetti e dalle soffitte una serie di foto di famiglia dell’italiano medio e del suo attraversamento di quarant’anni di vita nazionale”[4], e lo si fa scegliendo non più, o meglio non solo, il veicolo privilegiato del dramma, ma semmai quello della commedia che, proprio in quegli anni, arriva ad affermarsi nelle sale cinematografiche di tutto il paese come il genere popolare per antonomasia. Un posto centrale in questo recupero della memoria del passato recente è sicuramente occupato dalla rappresentazione del ventennio fascista[5]. Una rappresentazione che, a ben vedere, non intende mettere in discussione il paradigma interpretativo del fenomeno, né screditare le celebrazioni o le esaltazioni di alcuni valori positivi, come quello della Resistenza. Il filone della commedia si preoccupa, piuttosto, di apportare alcuni correttivi “per quando riguarda la rappresentazione in negativo del fascismo”: la responsabilità del ventennio viene addossata tutta sulle spalle delle alte gerarchie, alle quali sarà riservata una raffigurazione grottesca ed esecrabile, mentre l’adesione al fascismo della ‘povera gente’, dei ‘poveri diavoli’, insomma della gente comune, sarà trattata con maggiore bonarietà. Si tratta di una scelta che non deve stupire. La gran parte del pubblico che affollava in quegli anni le sale cinematografiche, più che essere interessata ad un processo al fascismo sic et simpliciter o a una demonizzazione della classe media che ad esso aveva accordato il suo consenso, sentiva il bisogno di partecipare a uno spettacolo che fosse in grado di mettere in contatto lo spettatore (soprattutto i giovani) con la storia recente, ma anche di generare fenomeni di identificazione emotiva, risate liberatorie e presentare il fenomeno fascista come qualcosa di irripetibile, superato per sempre[6]. Da questo punto di vista, la commedia è stato un genere cinematografico che ha avuto “la capacità non solo di attrarre un maggior numero di giovani, influenzandone così la mentalità su argomenti di cui avevano scarsa o praticamente nulla cognizione, ma anche di fornire, a chi invece quelle esperienze le aveva vissute, una rappresentazione che, da un lato, non urtava le sensibilità di molti e, dall’altro, non si discostava in maniera evidente dalla percezione che del fascismo e della sua autorità aveva avuto la maggioranza della popolazione, estranea ad approfondite valutazioni politiche del fenomeno”[7].
Tra le pellicole che diedero un’immagine satirica e farsesca del fascismo, un posto d’onore è occupato da La marcia su Roma (1962) di Dino Risi[8], uno dei padri della commedia italiana. L’impostazione comica e satirica del film è facilmente riscontrabile fin dai titoli di testa dove allo scorrere di alcuni video di repertorio risalenti alla fine del primo conflitto mondiale, si affianca il sonoro di alcune canzoni del ventennio come All’armi siam fascisti e una voce di commento che allude alla condizione di precarietà e di miseria in cui versa il cittadino italiano medio. Gli anni fatidici tra il ’19 ed il ’22 sono visti attraverso le esperienze dei reduci Rocchetti Domenico, un perdigiorno maestro nell’arte dell’arrangiarsi, e Gavazza Umberto, un contadino bergamasco ingenuo e sempliciotto[9], entrambi conquistati dalle seducenti promesse del fascismo di porre fine alla loro atavica condizione di povertà. La rappresentazione caricaturale del nascente movimento fascista emerge chiaramente fin dalle prime battute, allorché, durante il primo comizio ( a cui partecipa Rocchetti), l’ex-capitano incaricato di tenere il discorso si rivolge ad una piazza completamente deserta, pronunciando, con tono più cialtronesco che solenne, le parole d’ordine della “vittoria mutilata” e della “giustizia sociale”[10]. Il comizio si conclude in una rissa generale tra gli aspiranti fascisti e i contadini del posto che, nauseati dalla tronfia retorica del capitano e profondamente irritati dalla spavalderia di “Mitraglia” (camicia nera rozza e violenta), costringono le squadracce ad una fuga ingloriosa[11]. (continua)

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[1] G.P. Brunetta, Il cinema italiano contemporaneo. Da “La dolce vita” a “Cento chiodi”, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 174-175.
[2] Tra il 1960 e il 1963 si possono citare i seguenti nomi: Elio Petri, Pier Paolo Pasolini, Marco Ferreri, Ermanno Olmi, Florestano Vancini, Ettore Scola, Bernardo Bertolucci. Ma la lista potrebbe essere assai più lunga. Cfr. Brunetta, Il cinema italiano contemporaneo,op cit., p. 174.
[3] Id, Il cinema italiano contemporaneo, op cit., p.165.
[4] Ivi, p. 167. Scrive Brunetta: “Come un fiume carsico, rispunta, dopo aver subito un giusto processo di trasformazione, distillazione e decantazione, un’esigenza collettiva di raccontare direttamente l’Italia […] L’inchiesta filmata, il film di montaggio, l’antropologia e la sociologia cinematografica ricevono una spinta poderosa. Documentaristi e registi si rimettono in cammino: l’Italia e gli italiani appaiono ancora tutti da scoprire e da esplorare”.
http://www.dillinger.it/la-marcia-su-roma-di-dino-risi-parte-i-55753.html


A seguito della sconfitta elettorale del 1919, il capitano, che inizialmente aveva sostenuto la necessità di una presa del potere attraverso elezioni libere e democratiche, dichiara che “il fascismo se ne frega delle elezioni!”, venendo così meno a uno dei punti propugnati dal Programma di San Sepolcro e suscitando le perplessità di Gavazza, che proprio sulla base della “lettura” di quel programma aveva sancito la sua frettolosa “conversione” al fascismo. Dopo una breve permanenza in carcere – dovuta allo scontro con la polizia regia durante uno sciopero degli spazzini a Milano -  i due malcapitati vengono caricati su un camion carico di squadristi diretto verso la capitale. Nel lungo viaggio che li porterà verso Roma, la vera natura e gli esecrabili propositi del movimento fascista si disveleranno progressivamente, e, a questo disvlelarsi, corrisponderà una lenta presa di coscienza che, dopo una serie di peripezie, porterà i due personaggi a prendere definitivamente le distanze dal movimento[12]. Tra le sequenze più incisive, in tal senso, va sicuramente annoverata la spedizione punitiva contro il giudice che li aveva fatti incarcerare: i due, incaricati di recarsi a casa del nemico per comminargli una purga a base di olio di ricino, ne usciranno moralmente sconfitti e umiliati. Il vecchio giudice, infatti, dopo aver tracannato con grande dignità il disgustoso bibitone, li caccerà sdegnosamente facendoli mettere alla porta dalla cameriera[13].
Dopo una notte di bagordi, la sventurata coppia, rimasta indietro nel tragitto verso Roma, ferma la macchina di un nobile possidente per costringerlo a dargli un passaggio. Allo sdegnoso rifiuto del marchese, i due requisiscono l’autovettura appellandosi, quasi fosse un versetto biblico da citare ex authoritate, ad uno dei punti del Programma di San Sepolcro: “I titoli nobiliari sono tutti aboliti!”. Convinti della bontà del loro comportamento e galvanizzati dal trofeo appena recuperato, la coppia raggiunge il capocolonna in una sfarzosa villa, dove si sta tenendo un ricevimento, per fargli dono del bottino, ma lì scoprono che il proprietario della villa è proprio il marchese da loro derubato. Il nobile, completamente fuori di sé, si rivolge al comandante affinché punisca i due mascalzoni, con parole che “testimoniano lo stretto legame fra i ricchi proprietari terrieri e il partito fascista: «Un affronto così a me, vostro sostenitore; dopo tutti i soldi che ho devoluto alla causa. Questo sarebbe il ringraziamento? Questi i primi benefici?»[14]. Inutile dire che il premio riservato ai camerati consisterà in una ripetuta serie di frustate. Una volta giunti alle porte di Roma, il processo di “rigenerazione morale” dei due commilitoni giunge a compimento: durante una sosta nei pressi della stazione, il fascista soprannominato “Mitraglia” uccide a colpi di pistola un addetto ferroviario che aveva minacciato di denunciarli. Questo evento segna la definitiva maturazione dei protagonisti, nonché la loro decisione di abbandonare, una volta per tutte, la causa fascista. Come ha giustamente sottolineato Maurizio Zinni “con questa breve scena Risi fa balenare la natura ferale che si cela dietro le smargiassate e la retorica d’accatto del fascismo descritto nella pellicola”. Se infatti gran parte del film è giocato sulla rappresentazione di scene per lo più comiche e farsesche, con quest’ultima sequenza il regista proietta verso lo spettatore la sua “carica morale”[15], inchiodando severamente tutta “l’epopea” del ventennio.
Da notare l’ottima fotografia di Alfio Contini, un bianco e nero che “stringe i fatti in una morsa documentaristica e si sposa mirabilmente con gli spezzoni d’epoca, raggiungendo il massimo nello spiritoso montaggio finale”[16]. Ormai in abiti civili, Rocchetti e Gavazza, assistono, confusi tra la folla, all’ingresso delle squadre fasciste nella capitale. Parte a questo punto una sequenza del re e dell’ammiraglio Thaon de Revel intenti a godersi la sfilata dal balcone di Piazza Venezia: le immagini sono originali ma il doppiaggio, abilmente sincronizzato, gli mette in bocca un botta e risposta esilarante: « Ammiraglio, spassionatamente, cosa ne pensa di questi fascisti? Crede che mettiamo il paese in buone mani? Mi dica fuori dai denti qual è il suo parere, perché siamo ancora in tempo a sbatterli fuori» – «Spassionatamente, Maestà, mi sembra gente seria» – « Ma sì, proviamoli per qualche mese»[17].
Come è già stato accennato, il film di Dino risi, ma più in generale tutti i film comici che intesero affrontare la tematica fascista negli anni Sessanta, non godettero di grande accredito presso la critica, specialmente di sinistra. La posizione di quest’ultima potrebbe essere riassunta dalle parole di Cesare De Michelis: «Siamo profondamente convinti che la ricomparsa dell’antifascismo sui nostri schermi non sia quella gran vittoria democratica che, a prima vista, può sembrare, perché se è vero che si parla della Resistenza, altrettanto vero è che nei film degli anni Sessanta […] essa ha dovuto essere svuotata e svisata per rientrare nel “sistema”, per non essere più pericolosa all’ordine costituito. […] Si tratta, com’è facile capire, di opere incolori, di un qualunquismo assoluto, monotone e profondamente inutili. A furia di riderci sopra, anche i fascisti in fondo, non sembrano più così cattivi come credevamo»[18]. Solo in anni più recenti si è pervenuti ad una parziale rivalutazione del rapporto commedia-fascismo, che ha trovato in Gian Piero Brunetta uno dei maggiori teorici. È dunque proprio con le sue parole che vogliamo terminare questo breve articolo: «Lavorando sugli aspetti più superficiali in realtà non pochi film comici, a partire dagli anni Sessanta, hanno avuto il merito di suscitare interrogativi, offrire una rappresentazione forse più articolata e sfumata di quanto fosse quella dei film di programmata volontà antifascista. Senza che fosse subito riconosciuto, questi film contribuivano a determinare le immagini del fascismo, a fissare nelle nuove generazioni che si sentivano totalmente estranee alla storia del ventennio e ai problemi delle sue conseguenze sulla storia del dopoguerra, cognizioni e idee sul fascismo»[19].

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[12] Emblematico, da questo punto di vista, l’atteggiamento di Gavazza che, di volta in volta, depenna dalla lista le false promesse scritte sul programma del partito.
[13] Cfr. V. Caprara, Dino Risi. Maestro per caso, Gremese 1993, p. 37. Si veda anche I. Mazzetti, I flim di Dino Risi, op cit., p. 61.

6 comentarios:

  1. Agradecería si renovaran los enlaces de esta películas. Saludos.

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  2. Estimado amarcord, será posible resubir los links de este increíble film? Desde ya muy agradecido por tu buena predisposición.

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  3. GENIO!!!! GIGANTE!!! MAESTRO!!! CAPO!!!

    No te das una idea de lo que busqué esta pelicula...SOS UN CRACK!!!!!

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