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jueves, 27 de septiembre de 2012

Uomini sul fondo - Francesco De Robertis (1941)


TÍTULO ORIGINAL Uomini sul fondo
AÑO 1941
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglès (Separados)
DURACIÓN 99 min.
DIRECTOR Francesco De Robertis
GUIÓN Francesco De Robertis (Historia: Francesco De Robertis)
MÚSICA Edgardo Carducci
FOTOGRAFÍA Giuseppe Caracciolo (B&W)
REPARTO Felga Lauri, Diego Pozzetto, Marichetta Stoppa
PRODUCTORA Scalera Film S.p.a.
GÉNERO Drama

SINOPSIS Película rodada con actores no profesionales en la que, durante una maniobra, un submarino italiano choca contra un buque. Será necesario que un miembro de la tripulación salga y se enfrente a una muerte casi segura... (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
http://www47.zippyshare.com/v/61216126/file.html


UOMNI SUL FONDO
Durante un'esercitazione, in seguito alla collisione con una nave di scorta, un sommergibile affonda. Grazie al comportamento dell'equipaggio e ai servizi di salvataggio, tutti gli uomini a bordo sono salvati dopo settantadue drammatiche ore. Secondo un'opinione critica che condividiamo, merita un posto d'onore tra i predecessori del cinema neorealistico per la sobrietà del suo approccio semidocumentaristico, la rinuncia alla retorica militare, il sagace impiego degli attori non professionisti - tutti marinai della Marina Militare - l'uso espressivo del montaggio cui probabilmente non fu estranea la lezione del cinema sovietico muto e del documentarismo britannico degli anni '30. Prodotto dalla Scalera con la collaborazione del Centro Cinematografico della Marina, è il primo lungometraggio di De Robertis (1902-59) che dopo la guerra diresse diversi film di guerra o di ambiente marinaro senza ritrovare la vena genuina degli inizi.
Strutture linguistiche a confronto.
C'è un curioso equilibrio nei film di guerra prodotti nel periodo 1940-43, perché, a parte la Francia, sono documentate vicende su tutti i fronti (l'Africa con "Bengasi" e "Giarabub", la Grecia con "Un pilota ritorna", "I trecento della settima" e "Quelli della montagna", la Russia con "L'uomo della croce") e si dà un risalto pressoché simile anche al ruolo delle varie armi (la marina con "Alfa Tau" e "Uomini sul fondo", l'aeronautica con "Un pilota ritorna" e "I tre aquilotti", l'esercito con "Bengasi", "Giarabub", "L'uomo dalla croce", gli alpini con "I trecento della settima" e "Quelli della montagna"). Se con questo gioco di alchimia si salva l'equilibrio, non si può tuttavia dire che i film di guerra facciano la parte del leone nella cinematografia degli anni di guerra; al contrario ne costituiscono una piccolissima parcella, il 2/3-% circa; in più, come abbiamo visto, ogni riferimento alla guerra, sia pur minimo o di sfuggita, viene accuratamente evitato in tutti gli altri film. E per contro anche i film di guerra scelgono una strada in cui scarsissimi sono gli intrecci con i problemi della popolazione civile: l'unico, si può dire, in questo senso è il film di Genina, "Bengasi", mentre per gli altri film si preferisce documentare una situazione di guerra in qualche modo asettica, in cui i combattenti sono isolati in una specie di camera stagna e vivono solo con i problemi della guerra guerreggiata. Così è in particolare con i film di De Robertis, "Uomini sul fondo" e "Alfa Tau", ma anche con quelli di Rossellini, "Un pilota ritorna" e "L'uomo dalla croce", e persino con i film storici che pure potrebbero adombrare situazioni di guerra, sia pure della storia passata, che preferiscono scegliere tutt'altri momenti e tutt'altre situazioni.
"Bengasi" (sulla falsariga del riuscito "Assedio dell'Alcazar" vedi scheda ). Esemplare è "Un pilota ritorna", di Rossellini, che, dopo un inizio ambientato all'Accademia aeronautica che non si scosta dai più vieti toni di rimpatriata e di discorsi da naia (vedi anche un film come "I tre aquilotti"), propone un percorso psicologico da parte del protagonista in cui questi, dopo la cattura e la prigionia nel campo inglese, vede tutti gli orrori della guerra, distaccandosene e approdando a una sorta di pacifismo, sia pure, per evidenti motivi, non esplicitato in modo palese. Questo senso della sconfitta è molto evidente in un film come "I trecento della settima", in cui i protagonisti, pur irrigiditi in una sorta di eroismo di maniera (e il modello militare è ancora quello della prima guerra mondiale, con le sue trincee, la difesa ad oltranza delle posizioni, o la conquista di quote che non si sa perché debbano essere conquistate e tenute, il sacrificio degli uomini fino all'ultimo), subiscono una dopo l'altra senza reazione ogni decisione, ogni imposizione, sempre fermi in un'obbedienza rassegnata e passiva.
Questa lontananza e rifiuto della guerra, e proprio nel genere di guerra, trovano il loro culmine nei due film del 1943, "L'uomo dalla croce", di Rossellini, e "Uomini e cieli", di De Robertis. Nel primo il cattolicesimo di Rossellini, sempre più evidenziato, gli permette di approdare al rifiuto della guerra e della violenza da cui nasce e che comporta; per il secondo il discorso è più complesso, anche data la storia particolare del film: la lavorazione viene infatti interrotta all'8 settembre mentre è in fase di montaggio. Viene ripreso, ultimato e presentato in pubblico, senza più nessun successo, dato che la guerra è ormai lontana, nel 1947. Certamente molte battute nel dialogo sono del dopoguerra, ma la struttura del film, che è del '43, rispecchia invece già un profondo allontanarsi dalla guerra. La guerra sembra una condizione eterna: per i quattro amici piloti protagonisti della storia, che si ritrovano tutti gli anni a cena insieme in una trattoria, gli anni passano, ma la guerra c'è sempre; e anche alla fine del film l'ultimo pilota rimasto in carriera accenna ad un continuare a combattere, che forse adombra la prosecuzione nella Repubblica di Salò. Per i quattro personaggi, amici per la pelle, la guerra porta a una divaricazione dei destini: solo il più scettico compie poi la scelta più romantica, vale a dire quella di restare nell'aeronautica, mentre uno, ritiratosi, diventa un pescecane di guerra mettendosi a produrre latte in polvere e scatolette per forniture militari; per gli altri due la mutilazione (uno a un braccio, l'altro a una gamba) è un'occasione per recuperare una dimensione della vita civile e di inserimento nel mondo degli altri anche attraverso la famiglia. 
http://digilander.libero.it/freetime1836/cinema/cinemaguerra.htm

L'esordio di De Robertis (San Marco in Lamis, [Foggia], 1902), un ufficiale di marina "prestato" al cinema, avviene con una pellicola di carattere semidocumentaristico, Uomini sul fondo (98 min.), promossa dal ministero della Marina. Essa non tratta direttamente della guerra ma ne parla implicitamente. La vicenda del sommergibile A103, bloccato sul fondo dopo un banale incidente e salvato con una spettacolare azione di soccorso che coinvolge navi ed aerei, nonche' con il concorso eroico del suo stesso equipaggio, pronto ad ogni sacrificio nel tentativo di recuperare anche il prezioso mezzo navale, racconta (e auspica) soprattutto un'atmosfera, quella della serena collaborazione di tutti, marinai, ufficiale e perfino famiglie a casa, sostenuta dall'orgoglio di una marina tecnologicamente agguerrita e sicura. Uomini sul fondo anziche' fomentare nel popolo atteggiamenti bellicosi, preferisce rassicurarlo: nulla di grave puo' accadere all'Italia, poiche' il suo esercito e' preparato ad ogni evenienza. Il ministero conosce bene l'atteggiamento italiano sostanzialmente scettico e pacifista, attento al proprio "particolare" e alla propria autoconservazione piu' che alle conquiste imperiali, e dunque esso punta a minimizzare: la guerra (poiche' di questo si parla tra le righe, pur raccontando una semplice esercitazione) e' un'avventura necessaria alla quale siamo ampiamente preparati. Anche la necessita' del sacrificio (la morte di un marinaio nel finale) e' appena accennata, posta quasi tra parentesi, esorcizzata; tuttavia ad essa si fa riferimento nella didascalia finale: essa e' il prezzo di sangue da pagare per assicurarsi il "Mare Nostrum".
Questa propaganda tranquillizzante svolge un ruolo non secondario, tanto piu' in quei primi mesi del 1941, dopo i disastri di Taranto (affondamento delle navi nel porto, novembre '40), la fallimentare campagna di Grecia (iniziata precipitosamente il 28-10-40, con un esercito ancora impreparato), la perdita della Cirenaica (dicembre '40) e di Mogadiscio (febbraio '41), il bombardamento dal mare di Genova (febbraio '41) e soprattutto la tragedia navale di Matapan (marzo '41). Il paese e' smarrito: non solo in Libia l'esercito italiano perde posizioni nel confronto con gli inglesi, ma addirittura la piccola Grecia mette in ginocchio l'Italia, potenza europea e coloniale. Inizia da questi eventi il fatale e incontrovertibile distacco degli italiani dal regime fascista.
La pellicola utilizza attori non professionisti (marinai e ufficiali "autentici") ed e' una narrazione corale e semidocumentaristica. Rispetto alla produzione prevalente negli anni trenta, estremamente artificiosa sia nelle commedie popolari (autore principale Camerini), sia nei polpettoni storico-patriottici (autore principale Blasetti), si affaccia un nuovo realismo, piu' sobrio e verosimile. L'ideologia, ovvialmente, attraversa ogni immagine del film di De Robertis, ma lo fa con piu' discrezione, senza troppa, fastidiosa enfasi. Questo modesto film segna una svolta epocale nel cinema italiano (il celebrato "neorealismo" postbellico in realta' incomincia qui per cio' che riguarda il tipo di scrittura), quasi che la societa',  resasi conto di essere a un momento decisivo della sua storia, decidesse anche nel racconto filmico di accantonare le sciocchezze favolistiche per passare ad occuparsi della realta' in corso. Il nuovo, maturo realismo invita tutti a un maggiore impegno, a un porre in atto quel senso di comunione nazionale tanto propagandata dal regime e che ora affronta, per la prima volta, la dura prova dei fatti.
In ogni caso, sobrio realismo a parte, la pellicola e' intrisa di ideali nazionalisti e conservatori. Gli uomini affrontano la guerra come un rito gioioso, uniti e determinati, consci del loro dovere di fronte alla nazione; le donne, angeli del focolare, attendono ansiose ai cancelli o ascoltano apprensive le notizie alla radio mentre si prendono cura di simpatici marmocchi. Appena saputo dell'incidente al sommergibile 103, la mobilitazione e' totale: un imponente spiegamento aeronavale si precipita in aiuto, mentre gli equipaggi danno prova di abnegazione e generosita'. Questo quadro idilliaco e irreale (si pensi solamente alle tragiche inadeguatezze, per non dir peggio, che segnano il disastro di Matapan) tocca il proprio acme nell'improbabile telefonata della madre al figlio imprigionato nella nave sul fondo. Il clima di fattiva collaborazione e' uno dei due grandi protagonisti del film: esso svolge la funzione di incitare all'operosita' come di rassicurare il popolo intorno alla competenza della sua marina e in fondo alla sostanziale sicurezza delle sue navi. Tutto cio' culmina nella solenne sequenza finale: il sommergibile alla fine riemerge tra l'acclamazione generale dei marinai, acclamazione appena smorzata dalla bandiera a mezz'asta che commemora il giovane morto. In questo finale, degno del teatro lirico (si vedra' che la componente melodrammatica e' un elemento essenziale del cinema italiano), De Robertis celebra la religione laica della comunione nazionale, ideale di mazziniana memoria esaltato dalla propaganda fascista fin dagli anni venti. Ne' puo' mancare in esso l'immagine di una didascalia mussoliniana ("Sono fiero di voi"), richiamo al padre buono di quella comunione di sangue lanciata alla meritata conquista del "Mare Nostrum".
Il secondo grande tema del film e' la tecnica. Sommergibili, navi e aerei vengono descritti con palese compiacimento per il livello di avanzamento tecnico che esprimono. "Ascensori" cilindrici che collegano le navi con il sommergibile sul fondo, telefonate da un canotto alla base operativa, palombari che riparano in tempi record lo squarcio della nave e le "ridanno vita": l'ammirazione per la tecnica, vera protagonista di un film costruito (e faticosamente dilatato) su un unico evento, e' il secondo motivo propagandistico, volto a rassicurare un'opinione pubblica impaurita dagli eventi e ora titubante intorno a un regime per lungo tempo accettato anche con entusiasmo. Ma anche intorno al progresso tecnico molte sono le obiezioni, a cominciare dai miopi ostacoli (ancora per non dir peggio, addentrandoci nella sinistra polemica intorno a una marina che sembrava non voler combattere e che sara' accusata di segreti accordi di natura massonica con il nemico inglese) opposti al lavoro di ricerca dell'ingegner Tiberio che in quei mesi cerco' inutilmente di concretizzare il radar, la cui presenza avrebbe salvato migliaia di vite a Matapan. In definitiva De Robertis dipinge una comunione di popolo, tecnicamente agguerrita, pronta alle sfide piu' alte; e lo fa con accenti sobri, mostrando il volto di gente comune, felice di essere coinvolta in una "sacra" missione. L'ambiguita' del cinema e' qui tutta presente: esso mente, sotto le spoglie del rigoroso documentario. In tal senso Uomini sul fondo anticipa tutta la poetica neorealista, nella quale l'accurata verosiglianza nasconde l'ideologia.
http://www.giusepperausa.it/uomini_sul_fondo_e_la_nave_bia.html

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