ESPACIO DE HOMENAJE Y DIFUSION DEL CINE ITALIANO DE TODOS LOS TIEMPOS



Si alguién piensa o cree que algún material vulnera los derechos de autor y es el propietario o el gestor de esos derechos, póngase en contacto a través del correo electrónico y procederé a su retiro.




domingo, 11 de agosto de 2013

Il treno di Lenin - Damiano Damiani (1988)


TITULO ORIGINAL Il treno di Lenin 
AÑO 1988
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 203 min.
DIRECCION Damiano Damiani
ARGUMENTO Damiano Damiani, Enzo Bettiza, con la colaboración de Dario Staffa y Jean Marie Drot; asesoramiento de Michael Pearson (autor de "Il vagone piombato") 
GUION Damiano Damiani, Enzo Bettiza (Libro: Michael Pearson)
MUSICA Nicola Piovani
FOTOGRAFIA Nino Celeste
ESCENOGRAFIA Thomas Riccabona
VESTUARIO Monica Bauert
REPARTO Ben Kingsley, Leslie Caron, Dominique Sanda, Timothy West, Peter Whitman, Xabier Elorriaga, Jason Connery
PRODUCTORA Coproducción Italia-Alemania del Oeste-Francia-Austria-España; Rai Due / Taurus Film
GENERO Drama | Telefilm. Histórico. Política. Años 1910-1919

SINOPSIS En 1917, dos años después del comienzo de la I Guerra Mundial, un hombre de negocios judío propone a Alemania un plan para poner fin a las hostilidades en el frente oriental: permitir el regreso a San Petersburgo de Vladimir Lenin, al que había conocido en su exilio suizo. Durante el trayecto, Lenin, en compañía de algunos fieles colaboradores, de su mujer Nadia y de su amante Inessa -una revolucionaria francesa-, atraviesa una Europa conmocionada por la guerra. (FILMAFFINITY)

Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
CD 1

CD 2

QUEL TRENO DI LENIN
IL Treno di Lenin che la tivù ha offerto alla visione degli italiani non poteva non colpire. E per il momento scelto e per il tono del racconto. La svolta gorbacioviana, in atto nell' Unione Sovietica, fa sembrare ancora più lontani, quasi irreali, quei mesi decisivi del 1917, quando la follia della prima guerra mondiale produsse nell' impero degli Zar la rottura violenta degli equilibri europei, che praticamente si richiamavano all' assetto stabilito dal Congresso di Vienna, dopo la chiusura del ciclo napoleonico. Nella rivoluzione democratico-borghese del Febbraio 1917, poi seguita da quella bolscevica dell' Ottobre, la Russia anticipa, in forme autonome, la dissoluzione di un mondo che, pur mutando, aveva mantenuto in vita altri imperi secolari come quelli austro-ungarico e ottomano, dando il via, nel contempo, ad una mutazione epocale, con l' ingresso massiccio delle masse nella vita politica che, in forme diverse, da destra e da sinistra, avrebbe poi generato i tre grandi fenomeni del secolo: lo stalinismo, il fascismo, il nazismo. Il regista Damiano Damiani e i suoi collaboratori, presentandoci quel gruppo di rivoluzionari russi che, avvalendosi senza molti scrupoli dell' aiuto tedesco, vogliono a tutti i costi raggiungere la culla della rivoluzione, Pietrogrado, hanno avuto l' indubbio merito di riportarci a quei giorni disperati e drammatici, non tanto con l' occhio professionale dello storico, quanto con la partecipazione di chi, calandosi nella realtà, sa che la storia è fatta dagli uomini, con le loro illusioni, le loro utopie, le loro ambizioni, le loro miserie. QUEL Treno di Lenin ricorda la zattera di un naufragio: a bordo vi sono uomini e donne provati da lunghi anni di miserevole esilio, da cocenti sconfitte politiche, isolati in un' Europa che a tutto pensava tranne che a nobili ideali, intenta, com' era, a scannarsi nel dedalo delle fangose e sanguinanti trincee. Come le sorelle di Cechov, sognavano, anziché Mosca, il ritorno a Pietrogrado, ad una città che, improvvisamente liberatasi dall' oppressione dello Zar, sembrava loro restituire uno scopo di vita, ripagandoli delle amarezze e delle frustrazioni sin lì patite. Il telespettatore sarà rimasto sorpreso di fronte a Lenin e ai suoi compagni di viaggio: non già giganti politici dalle idee nette e chiare, padroni di un lucido disegno teorico da tradurre in pratica, ma uomini condizionati dal loro passato, pubblico e privato, incerti del loro domani, giocatori disperati che puntavano tutto sull' unica carta loro rimasta. E ancor di più sarà rimasto perplesso di fronte a un Lenin assediato dalle sue donne, combattuto fra le esigenze spietate della politica totalizzante, cui tutto si deve sacrificare, e gli stimoli sentimentali che consiglierebbero l' abbandono, il rifugio nelle gioie del privato. Lenin fu anche quello. Certo in lui la priorità della sua vita, il marxismo, cioè la sconfitta mondiale della borghesia capitalistica, avrebbe sempre vinto, scacciando tutte le altre aspirazioni. Ma chi vide Lenin quasi svenire ai funerali di Inessa Armand poté cogliere quanto l' affetto e l' amore per quella donna, pur a lungo compressi e interiorizzati, fossero intensi, strazianti. Una perdita incolmabile per il leader, un dolore profondo ed invincibile che, unito allo stress delle battaglie politiche seguite all' Ottobre, ne avrebbero leso definitivamente il fisico. Su quel treno affiancavano Lenin altri eminenti bolscevichi, primi fra tutti Zinoviev e Radek. Merito di Damiani di non averceli presentati già con l' aureola del martirio, cui di lì a pochi anni li avrebbe condannati Stalin. Zinoviev, sia pur personaggio di sfondo in quelle carrozze ferroviarie, già lascia intravedere la sua enorme presunzione, quel sentirsi investito dal ruolo di numero due del partito, il naturale erede di Lenin, un ruolo da lui assegnatosi e che lo avrebbe portato negli anni Venti a contrapporsi duramente con Trozki e poi con Stalin. E così Radek, forse troppo bozzettistico nel racconto di Damiani, che già si presenta come un intellettuale cinico ed astuto, attratto dal verbalismo rivoluzionario, incapace di adeguarsi alla spietata routine della politica e che, pur di sopravvivere, finirà per ricoprirsi di ignominia, prestandosi al ruolo di delatore nei tenebrosi processi staliniani della seconda metà degli anni Trenta. TRARRE da quei giorni di viaggio ulteriori premonizioni poteva essere un tranello la storia vista con gli occhi del poi che Damiani ha saputo evitare. Certo il Lenin di quei giorni non poteva minimamente presagire quel che sarebbe accaduto. E fedele all' armonia del racconto intimistico il regista ha evitato tutti quei passaggi politici che avrebbero potuto, in qualche modo, confliggere con i prefissati intenti. Ma che a ben pensarci avrebbero, invece, ulteriormente allargato lo spettro delle intenzioni coltivate dal leader bolscevico, alla vigilia del suo rientro a Pietrogrado. E' durante il viaggio, difatti, che Lenin mette a punto le esplosive e incendiarie tesi di aprile che segnavano per il leader bolscevico la irreversibile condanna della rivoluzione democratico-borghese di Febbraio. Né certo avrebbe nociuto alla tensione narrativa l' incontro, avvenuto a poche stazioni dalla capitale, fra Lenin e la delegazione bolscevica, salita sul treno per portare il primo saluto ufficiale del partito. In quell' occasione il leader manifestò subito la sua profonda avversione per l' atteggiamento pacifista e collaborazionista assunto nei confronti del governo provvisorio proprio dai capi bolscevichi di Pietrogrado, Kamenev e Stalin. Né, all' arrivo alla stazione di Pietrogrado, sarebbe apparsa come una forzatura una descrizione più realistica di quel che veramente accadde: un Lenin furente di fronte ai saluti ufficiali del governo provvisorio, che egli fin da quel momento chiaramente mostra di non voler riconoscere, perché traditore degli interessi del proletariato, cui risponde con l' appello incendiario rivolto, dall' alto di un' autoblinda, agli operai e ai marinai, in cui non fa mistero delle sue intenzioni: trasformare subito la rivoluzione in una guerra spietata alla borghesia e al capitalismo. Rilievi che nulla tolgono, comunque, alla sostanza del film di Damiani. In un periodo in cui tutto ciò che è frutto dell' Ottobre viene demonizzato e presentato come opera di pazzi invasati, l' aver restituito a Lenin sembianze umane già è impresa culturalmente meritoria.
GIANNI ROCCA (03-12-1988)


Lenin hacia la estación de Finlandia
La pequeña historia del tren "precintado" que los alemanes pusieron al servicio de Lenin y de un pequeño grupo de revolucionarios se inicia cuando la revolución de febrero (marzo) hace vibrar el jefe bolchevique hasta entonces un exiliado anodino para sus vecinos y un teórico pesimista (en enero había vaticinado en un forum de estudiantes suizos que, posiblemente, su generación no alcanzara a ver las revoluciones venideras), y culmina con su legendaria arribada a la estación de llegada de los ferrocarriles de Finlandia, en Petrogrado, cuando proclama las ideas y consignas que había elaborado en sus Cartas desde lejos. Este viaje resulta ciertamente de uno de esos “momentos estelares de la historia de la humanidad” que tanto sedujeron a Stefan Zweig [1].
Un momento sobre el que se han escrito ríos de tinta, y que cuenta con una lejana serie televisiva, algo en nada corriente tratándose de un personaje y una revolución sobre los la historia oficial dominante ha tratado de ofrecer con cierta ferocidad un enfoque denigratorio.
Este capítulo de la revolución rusa que los historiadores destacan como un giro copernicano en el siglo XX ha ejercido una gran atracción sobre diferentes artistas y escritores. ¿Quién no se acuerda de aquella formidable imagen de "Octubre", el filme de Serguei M. Eisenstein, en el instante en el que la figura imponente del Lenin emerge como el líder sobre una inmensa marea humana enfebrecida? Un obrero ruso que fue testigo del evento dijo del discurso de Lenin: "Las palabras de Illich trazaron un Rubicón entre la táctica de ayer y la de hoy". Era el comienzo de la "lucha final" .
entro de la extensísima bibliografía sobre 1917, ninguna obra ha enfocado este capítulo del tren que llega a la estación de Finlandia con tanta fuerza y singularidad como el ensayista y crítico literario norteamericano Edmund Wilson en Hacia la estación de Finlandia [2], escrita por en 1940. En ella "el tren" es como una metáfora, un punto que simboliza el final de un accidentado camino que la humanidad necesitó recorrer para llegar a la conclusión de que la historia no está escrita de antemano -por los dioses o por la lógica del mercado-, y que era posible la transformación consciente del orden social en un proyecto de sociedad verdaderamente humana.
El famoso crítico y autor norteamericano traza un largo tiralíneas que le retrotrae a la primera mitad del siglo XVIII, concretamente hasta Giambattista Vico, el primer teórico que bajo la vigilancia de la lnquisición española, intuyó que las instituciones sociales son obras del hombre. Vico es el primer eslabón de una tradición racionalista que se ensancha con la llustración y alcanza su cenit en el gran historiador de la revolución francesa Jules Michelet, para decaer a continuación con Ernest Renan, Hippolyte Taine y Anatole France (sobre el que -afortunadamente- matiza su juicio en el prólogo de 1971), y rehacerse con una nueva perspectiva con la tradición socialista inaugurada por Gracchus Babeuf y que, tras correr torrencialmente con los socialistas premarxistas, entra con un nuevo vigor y madurez con Marx y Engels para hacerse viviente con la teoría y la práctica de los líderes de Octubre, Lenin y Trotsky, con los que cubre los cuatros capítulos finales.
Con numerosas variantes -la más importante de las cuales es la actitud hacia el ascenso del estalinismo que lo quiebra todo por cuanto reproduce los esquemas bolcheviques desde pautas que preceden a las de la Ilustración-, este esquema es compartido por el conjunto de la intelligentzia radical y antiestalinista de los años treinta. Wilson describe una línea de descenso y declive para el capitalismo, y una línea recta sin vacilaciones para el socialismo. La revolución de Octubre aparece como el final de una época y el comienzo de otra, y su imagen de Lenin es deudora heredera directa de la pluma de Trotsky, una imagen que también había seducido -entre otros- a un pensamiento tan crítico y exigente como el de Breton y la de los surrealistas, y que se imponía con fuerza sobre otras hechas más pasivamente o en blanco como las de Máximo Gorki o las de los británicos H. G. Wells y de Bertrand Russell, contra los que Trotsky había polemizado tan brillantemente en su obras ¿A dónde va Inglaterra?, que suscitó el elogio de G. B. Shaw que lo llamó "el príncipe de los polemistas", porque cortaba con su pluma las cabezas, y no tanto por el afán de decapitarlas como para demostrar lo poco que llevaban dentro. Aquí lo "poco" tiene que ver exclusivamente con los problemas del socialismo y la revolución (y en el caso de Russell no considera -claro está- épocas ulteriores. Esta es, con otros matices, la imagen que proyectan Eisenstein en "Octubre" y Dziga Vértov en "Tres cantos sobre Lenin".
En 1971 un Wilson todavía sólidamente progresista, problematiza esta línea quebrada que, finalmente, conduce a la Estación de Finlandia e introduce elementos de distancia e inquietud cuando escribe: "La verdad es que fuimos bastante ingenuos. No previmos que la nueva Rusia habría de conservar muchas características de la antigua Rusia: la censura, la policía secreta, el desorden originado por una burocracia incompetente y una autocracia poderosa y brutal".
En esta nota de distanciamiento, Wilson incorpora nuevos puntos de vistas, sobre todo sobre Lenin, aunque también sobre Trotsky, con el que estaba profundamente identificado en 1940 junto con su compañera, la escritora Mary McCarthy, la famosa autora de El grupo y Memorias de una joven católica. Sin embargo, estas objeciones ulteriores -ceñidas sobre todo a algunas observaciones sobre el carácter obsesivo de Lenin, o en torno a la terrible ejecución de la familia Romanov al completo-, no contradicen el valor general de la obra por más, ciertamente, que sea perceptible un optimismo revolucionario que sufriría una prueba muy difícil con el conocimiento de las atrocidades perpetradas por el estalinismo, y con todas sus secuelas ulteriores. El propio Wilson que había permanecido "aletargado" durante los años cuarenta y cincuenta, retomó su complexión militante en las campañas contra la guerra del Vietnam...
La revolución estalló en Rusia el 27 de febrero (12 de marzo de 1917). La iniciaron las mujeres con una imponente manifestación, y la siguieron los obreros, en primer lugar los de Petrogrado (centro industrial del Imperio que cuenta con 600.000 proletarios), y le siguen los soldados, "los campesinos en uniforme", según la famosa expresión de Tolstói. El pueblo recobra una forma organizativa puesta en pie en el "ensayo general" de 1905: los Soviets. En su seno, la mayoría se sitúan al lado de mencheviques y eseristas (socialistas revolucionarios). Ambas formaciones creen que esta revolución tiene un límite histórico: la República parlamentaria.
De esta combinación surge lo que Trotsky llamará "la paradoja" de febrero: una revolución desde abajo que dará lugar a un gobierno provisional de derecha con el apoyo de la izquierda. Los bolcheviques en el interior (Kámenev, Stalin) dan su "apoyo crítico" a este gobierno. Todo esto hace que Lenin sienta como insoportable su lejanía. Tenía una inquietud que, como escribirá Solzhenitsyn en su obra Lenin en Zürich, hoy completamente olvidada: "no podía contener en el fondo de su pecho". Podía recordar que llegó tarde en 1905, y sentía como una tortura el comprobar como tanto sus amigos como sus adversarios podían regresar. En su estado de impaciencia, ideó numerosas vías de regreso, algunas de ellas descabelladas como la de hacerse pasar, junto con Zinóviev, por un par de sordomudos suecos. Nadia Krupskaya le tiró por tierra el proyecto diciéndole que lo más seguro fuera que tuviera pesadillas y que acabará descubriéndose gritando contra los mencheviques puestos ahora al servicio de la burguesía. El 19 de marzo tuvo conocimiento de un plan pensado por Yuli Mártov, su antiguo amigo y compañero de Iskra, con el que mantenía convergencias y divergencias.
En aquel momento, tenía lugar la Gran Guerra -la más devastadora y cruel de todas las guerras-, se hallaba en un momento particularmente decisivo ante el inminente anuncio de la incorporación de los Estados Unidos en el conflicto al lado de Inglaterra y Francia. El Estado Mayor alemán trata de adelantarse a los acontecimientos, y piensa que hay un medio posible para obligar a los rusos a firmar una paz por separado. Ese medio es la revolución, otra revolución.
Naturalmente, el Estado Mayor alemán, como el de los Aliados, odia la revolución y persiguen a los "internacionalistas" que hacen la "guerra a la guerra". Sin embargo, ningún Estado beligerante considera ilegítima esta subversión si ha de servir a sus propios planes de hegemonía. Lo mismo sucedió con el gobierno norteamericano de Wilson cuando se trató de dar visado para el regreso a Trotsky y a otros líderes revolucionarios exiliados en los Estados Unidos.
Las tropas rusas se encontraban en la avanzada del combate, sus pérdidas estaban siendo incomparablemente mayores que las del resto de las naciones beligerantes. Aunque la abdicación del Zar había abierto las puertas a una revolución política. el gobierno provisional seguía empeñado en la guerra. Es más, la República parlamentaria servía ahora como un nuevo acicate. Entre los bastidores el Estado Mayor alemán tenía un servidor excepcional, un antiguo revolucionario que conoce la situación rusa y los medios socialistas como pocos. Se trata de Alexander Helphand, más conocido como Parvus, eminente miembro de la extrema izquierda socialista alemana de entre siglos, un verdadero látigo contra Bernstein y compañía, así como teórico de la huelga general, y amigo de Trotsky en 1905, al que ayudó a desarrollar la famosa teoría de la revolución permanente en los meses ulteriores. Parvus es ahora un rico "comerciante" dedicado a vender sus conocimientos al mejor postor.
Lenin no quiere ni oír hablar de Parvus, en sus negociaciones con los alemanes trata de impedir que el doble juego pueda ser manipulado en contra suya, lo que ciertamente ocurrirá meses después. durante las "jornadas de julio", cuando tiene que afeitarse la barba y refugiarse en Finlandia. Tiene sus propios "diplomáticos", entre ellos se cuentan el socialista polaco Karl Radek y sobre todo Fritz Platten, un socialista suizo "zimmerwaldiano" que negociará con los alemanes el siguiente acuerdo: "1º Yo, Fritz Platten, bajo mi entera responsabilidad y por mi cuenta conduzco a través de Alemania un vagón de ferrocarril con emigrantes poIíticos y legales que desean volver a Rusia; 2º A ese vagón se le concede el derecho de la extraterritorialidad; 3º Ni a la entrada ni a la salida de Alemania podrá ejercerse un control de pasaportes ni de personas...".
En previsión de una posible campaña contra él y sus amigos, Lenin pide que el Soviet de Petrogrado de su anuencia al viaje, y lo consigue. También cuenta a su favor con un manifiesto suscrito por varios "internacionalistas" (Paul Levi, Henri Guilbeaux, Fritz Platten, Pierre Loriot, todos ellos líderes comunistas de primera hora más tarde) que aprueban el tránsito por Alemania ya que Lenin y sus amigos "no sólo tienen el derecho, sino también el deber de aprovechar la oportunidad que se les brinde para regresar a Rusia". Trotsky comentará este hecho diciendo: "Había algo de notario en este revolucionario".
El 19 de abril la comitiva de exiliados sale de Suiza. En el grupo, un total de 32, se encuentran Nadezhda Krúpskaya, Zinóviev y su compañera, Radek, Fritz Platten que asume las responsabilidades administrativas del viaje y Inés Armand, a la que a la serie de Damiani le daba un protagonismo central, sugiriendo un entendimiento con Lenin -que la prensa ha dado por hecho con su rigor habitual-, no exento de problemas. por un lado, Inés aparece come más persona, más abierta que el resto de los bolcheviques, que el fanático Lenin -únicamente preocupado por la causa y por el poder- y que los mezquinos Zinóviev y Radek, ya bastante maltratados injustamente en la película "Reds", de Warren Beatty. De otro se ofrece la sugerencia sentimental como parte privilegiada sobre todo en relación a la parte política, limitada a unas cuantas frases de Lenin sin ningún esfuerzo de contextualización.
Mas allá de cualquier factor sentimental -cuya existencia ha preocupado muy especialmente a los sovietólogos-, la relación entre Lenin e Inés es la de dos revolucionarios. Inés fue bolchevique desde 1904. Abandonó a sus hijos y su familia burguesa para vivir los avatares de la lucha clandestina. En 1909 huye de Rusia. Su historia, sus cualidades personales, son elementos más que suficientes para que Lenin la considere como muy necesaria para la revolución. Es uno de los cuadros del partido en el exterior, y es natural que vaya también en el "tren precintado". Inés Armand hará todo el proceso revolucionario en primera fila y morirá de tifus en 1920. Lenin se mostró terriblemente afectado; también lo estuvo cuando, por la misma época, falleció Yuli Mártov. Y es que es muy difícil admitir la actual moda denigratoria y mucho menos el calificativo de "malvado" que le aplicara el torvo Solzhenitsyn. Algo de todo esto, aunque con cierta ambigüedad, se ofrece en la ambiciosa miniserie televisada "El tren sellado" (1987), una coproducción europea dirigida por el en otro tiempo inquieto Damiano Damiani, y afiliado al partido socialista italiano de Bettino Craxi [3].
La serie, al escamotear deliberadamente todo el trasfondo político del viaje a la estación de Finlandia, centra su trama argumental con datos más o menos novelescos, en general muy poco rigurosos. Por ejemplo, todos los testigos indican que -en contra de lo que se indica- los pasajeros no pasaron hambre, ya que los alemanes, en una treta un tanto pueril, trataron de convencerlos de que en Alemania había abundancia y le prepararon un buen avituallamiento. Tampoco hay un conflicto sordo por el "poder" -la herencia de Lenin como plantea la mujer de Zinóviev a éste- entre los lugartenientes de Lenin, ni éste se mostró terriblemente despótico. Lenin fue muy acerbo en sus críticas políticas, pero jamás resultó tiránico con sus colaboradores y amigos, más bien lo contrario. Tampoco existió una serie amenaza de ruptura del acuerdo, es más, los conflictos fueron muy peculiares. Lenin echó a cajas destempladas a unos parlamentarios socialpatriotas alemanes, pero no tuvo problemas en discutir con la tropa sobre la guerra y la paz...
También están ausentes las masas en la pequeña pantalla como también lo estuvieron en una superproducción como "Reds". No se reproduce -más que a una escala de producción B- la atmósfera del final del viaje, las expectativas grandiosas del recibimiento. Lenin había temido que el gobierno provisional lo detuviera, pero el Soviet de Petrogrado organizó un recibimiento multitudinario, y un delegado del gobierno, Cheidze, tuvo que recitar la bienvenida. Lenin asistió a todo aquello "como un transeúnte que espera impaciente que acabe un chaparrón" Trotsky.
Cuando acabó el "chaparrón", Lenin habló durante dos horas. Un testigo privilegiado, Nikolai Sujanov, escribirá: "La voz de Lenin, que salía del vagón, era la 'voz del exterior'. En medio de nosotros, en el seno de la revolución, estalló la verdad, en modo alguno disonante, en modo alguno violando su contexto; era una nota nueva y brusca, un tanto aturdidora [...]. Lenin tenía indiscutiblemente razón, no sólo en anunciarnos que la revolución mundial socialista había comenzado, no sólo en señalarnos la vinculación indisoluble entre la guerra europea y el derrumbamiento del sistema imperialista, sino en subrayar y en traer a primer plano la 'revolución mundial' en sí, en insistir en que ésta debería orientar nuestro camino y que deberíamos valorar a su luz todos los acontecimientos de la historia contemporánea".
A la mañana siguiente, después de visitar la tumba de su madre y de su hermana OIga, entra de lleno en su tarea de adecuar el partido bolchevique: había que cambiar el programa, había que tirar la "camisa vieja" y ponerse una nueva. La democracia revolucionaria, las masas, se expresan a través de sus Soviets. La revolución burguesa ya había terminado, comenzaba el momento de la revolución socialista, una revolución que Rusia "tenía el privilegio de comenzar" pero que no podía culminar ya que se trataba de un país de campesinos. Son las Tesis de abril...
Nadia Krupskaya dirá de la jornada del día 16: "Aquellos que no habían vivido la revolución, no podían imaginar su belleza solemne y magnífica: banderas rojas, la guardia de honor de los marineros de Kronstadt, los focos de la fortaleza de Pedro y Pablo iluminando el camino desde la estación de Finlandia hasta la Mansión Khensinsky -antigua residencia de una querida del Zar, convertida en sede de los bolcheviques-, coches blindados, la cadena de hombres y mujeres, trabajadores a ambos lados del camino".
Fue ciertamente una situación irrepetible, excepcional. Wilson escribe que si bien Lenin no estaba "tan seguro de los controles de la sociedad como el maquinista que lo estaba de la locomotora que le estaba llevando a Petrogrado, pero sí en condiciones de calcular las posibilidades con un precisión mayor que las de ciento a uno, estaba en vísperas del momento en que por primera vez en la epopeya humana la llave de la filosofía de la historia iba a encajar en una cerradura histórica".
Lenin va a introducir una dinámica vertiginosa en la política bolchevique, comprende que las masas van por delante del partido en algunas cuestiones fundamentales, que la realidad ha multiplicado sus elementos y que, por lo tanto, "sería verdaderamente un gran error, dice, que tratáramos en estos momentos de adaptar las tareas complejas, urgentes, y en rápido desarrollo de la revolución al lecho de Procusto de una 'teoría' estrechamente concebida, en lugar de considerar la teoría, antes que nada y sobre todo, como una guía para la acción".
Y gustaba de repetir una hermosa cita de Goethe: "Mientras que el campo de la vida es verde, el campo de la teoría es gris".
Pepe Gutiérrez-Álvarez
Pintxo Gorria // 14 de enero de 2007

Notas

[1] Zweig dedicó uno de los capítulos al tren en uno de sus Nuevos momentos estelares en la historia de la humanidad (ed. Juventud, Barcelona, 1967), basándose en el libro de Fritz Platten, como la mayoría de los estudios que tratan de esta historia.
[2] Existe una traducción castellana en Alianza Editorial.
[3] La serie fue coproducida por compañías de Alemania, Italia, Austria, Francia, España (que aportó a Xavier Elorriaga, evidentemente perdido en su papel de Platten, un admirador de Lenin que asiste impávido a los actos autoritarios de éste), y cuenta con un plantel de actores conocidos, en particular, uno tan notable Ben Kingsley (que hace hablar a Lenin como una estatua andante), Leslie Caron (una Krupskaya dulce e impersonal), Dominique Sanda (una Inés Armand que parece una gran dama perdida en una historia que le resulta un tanto lejana) y Timothy West (un Parvus ambivalente, con una ambición secreta por ser reconocido por la revolución que ha abandonado).



3 comentarios:

  1. y del CD 1 casi que tampoco

    ResponderEliminar
  2. Estimado amigo, esta película tiene muy buena pinta, pero casi todos los enlaces están caídos, tanto del CD1 como del CD2.
    cordialmente y agradecido de antemano por la labor tan excelente que realizas,
    Jean Valjean

    ResponderEliminar
    Respuestas
    1. Los links estan OK. Usen un download manager como JDownloader, o bien copien cada link individualmente y peguenlos en la barra de direcciones.

      Eliminar