TITULO ORIGINAL Le ragazze di San Frediano
AÑO 1955
AÑO 1955
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Italiano e inglés (Separados)
DURACION 102 min.
DIRECCION Valerio Zurlini
GUION Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi (Novela: Vasco Pratolini)
MUSICA Mario Zafred
FOTOGRAFIA Gianni Di Venanzo (B&W)
REPARTO Antonio Cifariello, Rossana Podestà, Giovanna Ralli, Marcella Mariani, Giulia Rubini, Luciana Liberati, Corinne Calvet, Adriano Micantoni
PRODUCTORA Lux Film
GENERO Comedia
SUBTITULOS Italiano e inglés (Separados)
DURACION 102 min.
DIRECCION Valerio Zurlini
GUION Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi (Novela: Vasco Pratolini)
MUSICA Mario Zafred
FOTOGRAFIA Gianni Di Venanzo (B&W)
REPARTO Antonio Cifariello, Rossana Podestà, Giovanna Ralli, Marcella Mariani, Giulia Rubini, Luciana Liberati, Corinne Calvet, Adriano Micantoni
PRODUCTORA Lux Film
GENERO Comedia
SINOPSIS Antonio Sernesi, alias Bob, es un joven donjuan que corteja a cinco chicas al mismo tiempo. (FILMAFFINITY)
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«È una commedia all’italiana, ma un po’ diversa dai modelli di allora, tipo “Pane, amore e fantasia” (…). “Le ragazze di San Frediano” era un film spiritoso, allegro, ironico, tutto interpretato da attori alle prime armi, e questo gli dava un’aria di freschezza e di vivacità. Del resto era una commedia piena di malinconia: faceva ridere ma fino a un certo punto» (Valerio Zurlini)
Trama
Andrea Sernesi, detto Bob in canzonatorio onore a Robert Ryan, è un ventiduenne meccanico fiorentino che vive nel quartiere di San Frediano. Tra false promesse di matrimonio e millantate prodezze motociclistiche, l’avvenente Bob seduce, non senza un certo successo, cinque donne in contemporanea: Gina, una ragazza ingenua che vive nel suo palazzo, Tosca, una giovane peperina dal padre molto possessivo, Mafalda, una ballerina che sta per partire in tournée, Silvana, un’insegnante serale fidanzata con un suo amico, e Bice, una modista di successo che lo ricopre di regali. Ma tenere i piedi in cinque staffe è impresa assai ardua, sicché al bel Bob le cose finiscono per mettersi male…
Recensione
Targato Lux Film, l’esordio al lungometraggio del ventottenne Valerio Zurlini è né più né meno che un film su commissione: giova specificarlo immediatamente per scongiurare superficiali errori di valutazione. Precettato dall’allora padrone della Lux Riccardo Gualino dopo alcuni apprezzati documentari (tra gli estimatori dei quali figurava anche Pietro Germi), Zurlini tentenna un po’, combattuto tra la lusinga di un debutto prestigioso e lo scetticismo nei confronti del testo pratoliniano (pur ammirando moltissimo l’opera di Pratolini, il giovane cineasta considerava “Le ragazze di San Frediano” un libro non all’altezza del suo autore).
Esposte le sue perplessità allo scrittore e cestinato un primo adattamento approntato a quattro mani da Pratolini stesso e da Suso Cecchi d’Amico, Zurlini si rivolge all’amico Leonardo Benvenuti per avere una sceneggiatura meno seria e drammatica. A sua volta Benvenuti contatta Piero De Bernardi e insieme riscrivono il copione da capo, alleggerendo i toni drammatici e stemperando i risvolti punitivi del romanzo pratoliniano. Pienamente soddisfatto del lavoro compiuto da Benvenuti-De Bernardi (e suscitando così la biliosa reazione del duo Pratolini-Cecchi d’Amico), Zurlini si decide a dare il primo giro di manovella, non senza qualche difficoltà di ordine tecnico (al punto tale che Gualino, constatato l’impaccio del giovane regista sul set, stava per togliergli l’incarico).
Ma, grazie all’aiuto della troupe (col direttore della fotografia Gianni Di Venanzo in prima linea) e ai rapidi progressi nell’addomesticamento della macchina da presa, Zurlini porta a termine l’incarico e la pellicola, nonostante alcune tuonanti stroncature (famigerata quella di Guido Aristarco sulle pagine di “Cinema Nuovo”, che tra l’altro aveva seguito la preparazione del film ospitando una dichiarazione d’intenti corredata da fotografie scattate da Zurlini a Firenze), riceve un’accoglienza moderatamente favorevole (si leggano a riprova le recensioni di Rondi, Kezich e Sacchi contenute negli extra del dvd edito dalla Dolmen).
Collocato l’esordio zurliniano nel contesto appropriato, è possibile, pinzette alla mano, affrontarlo dal punto di vista squisitamente cinematografico. Se si rilegge la dichiarazione di Zurlini posta in esergo, risulta subito chiaro che il film può essere facoltativamente letto “a dritto e a rovescio”, nel senso che si può valutare sia nei suoi aspetti esplicitamente solari e scanzonati (la storia di un gallo di quartiere che corre dietro a tutte le gonnelle) sia nelle sue meno appariscenti sfumature umbratili e malinconiche (il ritratto di un giovane incapace di tenere a bada la propria incontinenza sentimentale).
Già, perché Le ragazze di San Frediano, forte di una sceneggiatura dai tempi ben funzionanti e vivacizzato da dialoghi ironicamente pungenti, si mantiene in sicuro equilibrio tra moduli del Neorealismo rosa (esemplare in questo senso la rassicurante voce over che alla fine del film tira le somme morali della vicenda) e descrizione d’ambiente non priva di punzecchiature satiriche e mordaci (non solo il bisticcio continuo tra le comari del palazzo, ma anche le furbizie di Tosca e il ricatto di Gina). Quasi del tutto assente, è vero, la componente marcatamente introspettiva che sarà tra i tratti distintivi della futura poetica zurliniana, ma tale mancanza da una parte risponde al preciso scopo di non appesantire la narrazione con inutili ambage e dall’altra è parzialmente colmata da brevi intermezzi pensosi in cui ad emergere è la psicologia dei personaggi (emblematica l’inquadratura notturna di Bob solitario che sputa dal ponte prima di risolversi ad andare al “Grand Hotel” dove alloggia Bice).
Insomma, se paragonato ai lavori successivi di Zurlini, Le ragazze di San Frediano, contraddistinto com’è da un tono prevalentemente spensierato e da un ritmo allegramente scoppiettante, risulta davvero un oggetto anomalo nella filmografia del cineasta bolognese, ma se inserito nel quadro adeguato (film su commissione dalla lavorazione piuttosto travagliata e adesione ai canoni del Neorealismo rosa) lascia invece trapelare un’inconfondibile impronta zurliniana. Dove? Nello stile, ovviamente.
Innanzitutto il regista, pur non padroneggiando ancora compiutamente la misura del lungometraggio (si avverte una certa episodicità nella concatenazione delle sequenze), concepisce la scena in termini di unità spaziale e non di frammentazione drammatica (lascito più che probabile della sua formazione teatrale): questo approccio al set quale dimensione viva e unitaria in cui dirigere gli attori lo porta spontaneamente ad allungare la durata delle inquadrature e a muovere la macchina da presa in funzione costruttiva (numerose le carrellate laterali e le panoramiche esplorative ed altrettanto frequenti le riprese lunghe, tendenti al piano sequenza, per non spezzare l’unità spazio-temporale).
In secondo luogo, denotando una già spiccata sensibilità per la raffigurazione degli stati d’animo più impalpabili, Zurlini apre spesso le sequenze prima che l’azione vera e propria abbia inizio, soffermandosi su un gesto apparentemente insignificante (Bob che si annoda la cravatta davanti allo specchio), sulla notazione d’insieme (la noia provata dagli spettatori che assistono alle prove di una recita teatrale) o sulla descrizione nuda e cruda dello spazio (la lunga panoramica orizzontale in riva al mare che scivola sulle onde per terminare su due cuori disegnati sulla sabbia). Così facendo, l’esordiente cineasta immerge le sequenze in un’atmosfera che va oltre la semplice funzionalità narrativa: quello che interessa a Zurlini è precisamente il tono del racconto, il suo registro emotivo, la sua coloritura sentimentale.
In terzo ed ultimo luogo la direzione degli attori (anch’essa appresa sulle assi del palcoscenico): pur non disponendo di un cast di primo piano, il giovane regista riesce ad ottenere dai suoi interpreti una rimarchevole scioltezza di recitazione. Su tutti (anche per ragioni quantitative) Antonio Cifariello, che dà vita a un Bob tanto guascone quanto codardo, le cui precipitose ritirate strappano il sorriso ancora oggi. Il parco attrici non è da meno: Rossana Podestà veste con disinvoltura i panni della battagliera Tosca, Corinne Calvet è perfettamente a suo agio nel ruolo di Bice, modista snob e capricciosa, e Giovanna Ralli non sfigura affatto nella parte di Mafalda, ex fidanzata di Bob in procinto di partire in tournée come ballerina in una compagnia di giro. Non altrettanto spigliate, invece, la Miss Italia del 1953 reduce dal set viscontiano di Senso Marcella Mariani, piuttosto legnosa nel personaggio di Gina (la vicina di casa di Bob con mire ingenuamente coniugali), e l’impacciata Giulia Rubini nella parte di Silvana, l’insegnante che si lascia abbindolare dal sedicente centauro per poi vendicarsi con l’aiuto del temibile fidanzato Gianfranco (Sergio Raimondi).
L’ultima osservazione va necessariamente riservata alla sequenza del ballo nel locale notturno: sulle note di “Grazie dei fior” Bob fissa la donna desiderata ballare tra le braccia di un altro. Si tratta della prima occorrenza di una situazione che si ripresenterà altre volte nella filmografia zurliniana (ne La ragazza con la valigia e ne La prima notte di quiete, giusto per fare due titoli) e che testimonia un gusto per l’esasperazione emotiva che utilizza la musica diegetica e il colloquio di sguardi in soggettiva per creare un’intimità offesa tra il soggetto desiderante e quello desiderato. Se qui la dialettica visivo-musicale è appena accennata (ma comunque incisiva: Mafalda abbandona precipitosamente cavaliere e locale lestamente seguita da Bob), negli altri due titoli raggiungerà picchi di straziante parossismo sentimentale, tanto più lancinante quanto più sfuggente e idealizzata sarà la donna contemplata. Alla luce di quanto osservato, Le ragazze di San Frediano si configura in definitiva come un banco di prova dai limiti prestabiliti e un esordio che lascia intravedere in filigrana lo stile dello Zurlini futuro, quello che a partire da Estate violenta farà del linguaggio filmico il luogo privilegiato per l’espressione dei sentimenti ferocemente contrastati.
Alessandro Baratti
http://www.spietati.it/archivio/recensioni/dvd/2009/ragazze_san_frediano.htm
Esposte le sue perplessità allo scrittore e cestinato un primo adattamento approntato a quattro mani da Pratolini stesso e da Suso Cecchi d’Amico, Zurlini si rivolge all’amico Leonardo Benvenuti per avere una sceneggiatura meno seria e drammatica. A sua volta Benvenuti contatta Piero De Bernardi e insieme riscrivono il copione da capo, alleggerendo i toni drammatici e stemperando i risvolti punitivi del romanzo pratoliniano. Pienamente soddisfatto del lavoro compiuto da Benvenuti-De Bernardi (e suscitando così la biliosa reazione del duo Pratolini-Cecchi d’Amico), Zurlini si decide a dare il primo giro di manovella, non senza qualche difficoltà di ordine tecnico (al punto tale che Gualino, constatato l’impaccio del giovane regista sul set, stava per togliergli l’incarico).
Ma, grazie all’aiuto della troupe (col direttore della fotografia Gianni Di Venanzo in prima linea) e ai rapidi progressi nell’addomesticamento della macchina da presa, Zurlini porta a termine l’incarico e la pellicola, nonostante alcune tuonanti stroncature (famigerata quella di Guido Aristarco sulle pagine di “Cinema Nuovo”, che tra l’altro aveva seguito la preparazione del film ospitando una dichiarazione d’intenti corredata da fotografie scattate da Zurlini a Firenze), riceve un’accoglienza moderatamente favorevole (si leggano a riprova le recensioni di Rondi, Kezich e Sacchi contenute negli extra del dvd edito dalla Dolmen).
Collocato l’esordio zurliniano nel contesto appropriato, è possibile, pinzette alla mano, affrontarlo dal punto di vista squisitamente cinematografico. Se si rilegge la dichiarazione di Zurlini posta in esergo, risulta subito chiaro che il film può essere facoltativamente letto “a dritto e a rovescio”, nel senso che si può valutare sia nei suoi aspetti esplicitamente solari e scanzonati (la storia di un gallo di quartiere che corre dietro a tutte le gonnelle) sia nelle sue meno appariscenti sfumature umbratili e malinconiche (il ritratto di un giovane incapace di tenere a bada la propria incontinenza sentimentale).
Già, perché Le ragazze di San Frediano, forte di una sceneggiatura dai tempi ben funzionanti e vivacizzato da dialoghi ironicamente pungenti, si mantiene in sicuro equilibrio tra moduli del Neorealismo rosa (esemplare in questo senso la rassicurante voce over che alla fine del film tira le somme morali della vicenda) e descrizione d’ambiente non priva di punzecchiature satiriche e mordaci (non solo il bisticcio continuo tra le comari del palazzo, ma anche le furbizie di Tosca e il ricatto di Gina). Quasi del tutto assente, è vero, la componente marcatamente introspettiva che sarà tra i tratti distintivi della futura poetica zurliniana, ma tale mancanza da una parte risponde al preciso scopo di non appesantire la narrazione con inutili ambage e dall’altra è parzialmente colmata da brevi intermezzi pensosi in cui ad emergere è la psicologia dei personaggi (emblematica l’inquadratura notturna di Bob solitario che sputa dal ponte prima di risolversi ad andare al “Grand Hotel” dove alloggia Bice).
Insomma, se paragonato ai lavori successivi di Zurlini, Le ragazze di San Frediano, contraddistinto com’è da un tono prevalentemente spensierato e da un ritmo allegramente scoppiettante, risulta davvero un oggetto anomalo nella filmografia del cineasta bolognese, ma se inserito nel quadro adeguato (film su commissione dalla lavorazione piuttosto travagliata e adesione ai canoni del Neorealismo rosa) lascia invece trapelare un’inconfondibile impronta zurliniana. Dove? Nello stile, ovviamente.
Innanzitutto il regista, pur non padroneggiando ancora compiutamente la misura del lungometraggio (si avverte una certa episodicità nella concatenazione delle sequenze), concepisce la scena in termini di unità spaziale e non di frammentazione drammatica (lascito più che probabile della sua formazione teatrale): questo approccio al set quale dimensione viva e unitaria in cui dirigere gli attori lo porta spontaneamente ad allungare la durata delle inquadrature e a muovere la macchina da presa in funzione costruttiva (numerose le carrellate laterali e le panoramiche esplorative ed altrettanto frequenti le riprese lunghe, tendenti al piano sequenza, per non spezzare l’unità spazio-temporale).
In secondo luogo, denotando una già spiccata sensibilità per la raffigurazione degli stati d’animo più impalpabili, Zurlini apre spesso le sequenze prima che l’azione vera e propria abbia inizio, soffermandosi su un gesto apparentemente insignificante (Bob che si annoda la cravatta davanti allo specchio), sulla notazione d’insieme (la noia provata dagli spettatori che assistono alle prove di una recita teatrale) o sulla descrizione nuda e cruda dello spazio (la lunga panoramica orizzontale in riva al mare che scivola sulle onde per terminare su due cuori disegnati sulla sabbia). Così facendo, l’esordiente cineasta immerge le sequenze in un’atmosfera che va oltre la semplice funzionalità narrativa: quello che interessa a Zurlini è precisamente il tono del racconto, il suo registro emotivo, la sua coloritura sentimentale.
In terzo ed ultimo luogo la direzione degli attori (anch’essa appresa sulle assi del palcoscenico): pur non disponendo di un cast di primo piano, il giovane regista riesce ad ottenere dai suoi interpreti una rimarchevole scioltezza di recitazione. Su tutti (anche per ragioni quantitative) Antonio Cifariello, che dà vita a un Bob tanto guascone quanto codardo, le cui precipitose ritirate strappano il sorriso ancora oggi. Il parco attrici non è da meno: Rossana Podestà veste con disinvoltura i panni della battagliera Tosca, Corinne Calvet è perfettamente a suo agio nel ruolo di Bice, modista snob e capricciosa, e Giovanna Ralli non sfigura affatto nella parte di Mafalda, ex fidanzata di Bob in procinto di partire in tournée come ballerina in una compagnia di giro. Non altrettanto spigliate, invece, la Miss Italia del 1953 reduce dal set viscontiano di Senso Marcella Mariani, piuttosto legnosa nel personaggio di Gina (la vicina di casa di Bob con mire ingenuamente coniugali), e l’impacciata Giulia Rubini nella parte di Silvana, l’insegnante che si lascia abbindolare dal sedicente centauro per poi vendicarsi con l’aiuto del temibile fidanzato Gianfranco (Sergio Raimondi).
L’ultima osservazione va necessariamente riservata alla sequenza del ballo nel locale notturno: sulle note di “Grazie dei fior” Bob fissa la donna desiderata ballare tra le braccia di un altro. Si tratta della prima occorrenza di una situazione che si ripresenterà altre volte nella filmografia zurliniana (ne La ragazza con la valigia e ne La prima notte di quiete, giusto per fare due titoli) e che testimonia un gusto per l’esasperazione emotiva che utilizza la musica diegetica e il colloquio di sguardi in soggettiva per creare un’intimità offesa tra il soggetto desiderante e quello desiderato. Se qui la dialettica visivo-musicale è appena accennata (ma comunque incisiva: Mafalda abbandona precipitosamente cavaliere e locale lestamente seguita da Bob), negli altri due titoli raggiungerà picchi di straziante parossismo sentimentale, tanto più lancinante quanto più sfuggente e idealizzata sarà la donna contemplata. Alla luce di quanto osservato, Le ragazze di San Frediano si configura in definitiva come un banco di prova dai limiti prestabiliti e un esordio che lascia intravedere in filigrana lo stile dello Zurlini futuro, quello che a partire da Estate violenta farà del linguaggio filmico il luogo privilegiato per l’espressione dei sentimenti ferocemente contrastati.
Alessandro Baratti
http://www.spietati.it/archivio/recensioni/dvd/2009/ragazze_san_frediano.htm
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