TITULO ORIGINAL Beatrice Cenci
(Il film è noto anche coi titoli Le chateau des amants maudits e Castle of Banned Lovers)
AÑO 1956
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Inglés (Separados)
DURACION 90 min.
DIRECCION Riccardo Freda
ARGUMENTO Riccardo Freda, Attilio Riccio
GUION Riccardo Freda, Attilio Riccio, Filippo Sanjust, Remy Sanjust
REPARTO Gino Cervi, Mireille Granelli, Fausto Tozzi, Frank Villard, Micheline Presle, Guido Barbarisi, Claudine Dupuis, Carlo Mazzoni, Emilio Petacci, Isabella Raffi, Vittorio Vaser, Franck Villard, Antonio de Teffé.
FOTOGRAFIA Gábor Pogány
MONTAJE Riccardo Freda, Giuliana Taucer
MUSICA Franco Mannino
ESCENOGRAFIA Arrigo Equini
VESTUARIO Maurizio Serra Chiari
PRODUCCION Electra Compagnia Cinematografica, F.L.F.
GENERO Drama
SINOPSIS Nel 1598 sull'inchiesta sulla morte di Francesco Cenci, patrizio violento e dissoluto, è coinvolto il figlio Giacomo, amante della matrigna Lucrezia. Per difenderlo Lucrezia accusa Olimpio Calvetti, intendente di Francesco, che aveva aiutato Beatrice Cenci. Messa sotto tortura anche Beatrice accusa Olimpio, ma viene condannata a morte e decapitata a Castel Sant'Angelo. Alla fine il giudice fa rinchiudere anche Giacomo e Lucrezia. (Wikipedia)
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Il capolavoro di Riccardo Freda, da inserire di diritto fra i migliori film italiani di sempre, non a caso la critica e i cinefili d’oltralpe (almeno all’epoca abbastanza avanti rispetto agli altri paesi) lo hanno celebrato da subito. Ricavato da un fatto di cronaca nera notissimo durante il rinascimento, che già aveva colpito molti (fra i quali Alexandre Dumas padre che gli dedicò uno dei suoi crimes celebres). La giovane Beatrice, rampolla di una nobile casata con notevoli problemi finanziari, è accusata di parricidio. In realtà è l’unica innocente in una famiglia dove regnano corruzione, rancore e passioni indicibili. L’atroce destino della ragazza si compirà e a nulla varranno gli sforzi del giovane innamorato di lei.
Superbo melodramma in costume che Freda dirige con sicura maestria, dipingendo un ambiente gotico in cui lussuria e incesto dominano sui buoni sentimenti (incarnati dalla protagonista), rinunciando (anche se non del tutto) alle sue celebrate sequenze d’azione. Il film comunque è tutt’altro che inerte; la scansione degli eventi segue un ritmo inesorabile e i movimenti di macchina suggeriscono l’idea di una partitura musicale. Inoltre Beatrice Cenci nonostante la vicenda tetra che racconta è un film di notevole eleganza (fotografia di Pogany), quasi che il regista volesse creare una schizofrenia fra le immagini e la storia, o, meglio ancora, un’identificazione fra il film e la sua eroina, che resta incontaminata rispetto al male che la circonda, pur essendone una vittima. In questo la pellicola di Freda è ben diversa, ad esempio, dall’omaggio di Tavernier degli anni ’80, Quarto Comandamento (La Passion Béatrice in originale), che riambienta la vicenda in un medioevo grigio che sembra invece prevedibilmente far da specchio alla tragica storia.
Mirko Salvini
http://www.caniarrabbiati.it/recensioni.php?film_id=252
Superbo melodramma in costume che Freda dirige con sicura maestria, dipingendo un ambiente gotico in cui lussuria e incesto dominano sui buoni sentimenti (incarnati dalla protagonista), rinunciando (anche se non del tutto) alle sue celebrate sequenze d’azione. Il film comunque è tutt’altro che inerte; la scansione degli eventi segue un ritmo inesorabile e i movimenti di macchina suggeriscono l’idea di una partitura musicale. Inoltre Beatrice Cenci nonostante la vicenda tetra che racconta è un film di notevole eleganza (fotografia di Pogany), quasi che il regista volesse creare una schizofrenia fra le immagini e la storia, o, meglio ancora, un’identificazione fra il film e la sua eroina, che resta incontaminata rispetto al male che la circonda, pur essendone una vittima. In questo la pellicola di Freda è ben diversa, ad esempio, dall’omaggio di Tavernier degli anni ’80, Quarto Comandamento (La Passion Béatrice in originale), che riambienta la vicenda in un medioevo grigio che sembra invece prevedibilmente far da specchio alla tragica storia.
Mirko Salvini
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Trama
Francesco Cenci è odiato e temuto per la crudeltà, di cui dà prova anche verso i membri della sua famiglia: si dice ch'egli abbia fatto uccidere il figlio Cristoforo. Il Suo furore non ha limiti quando scopre che sua figlia Beatrice si è innamorata di Olimpio Calvetti, l'intendente del castello. Il figlio Giacomo ha una tresca con la matrigna, Lucrezia, e quando Francesco tenta di farlo uccidere, Giacomo s'accorda con la matrigna per sopprimere il padre. Lucrezia dovrebbe avvelenare il marito, ma non ne ha il coraggio: allora Giacomo fugge. Prima di allontanarsi però ha segato alcune assi che sostengono il balcone della camera paterna. Intanto Olimpo che ha osato tener testa al padrone, viene cacciato e minacciato di morte se ritorna. Quando si ripresenta al castello, Francesco si accinge a sparargli, ma salito sul balcone, precipita e muore. Lucrezia, Giacomo e Beatrice stanno per lasciare il castello per recarsi a Roma, quando giunge un giudice, Marcantonio Ranieri, che, venuto a compiere delle indagini, riesce a raccogliere soltanto degli indizi. A Roma Beatrice rivede Olimpio: ella sospetta ch'egli sia responsabile della morte di suo padre, ma Olimpio riesce a convincerla della propria innocenza. Intanto il giudice accusa apertamente Giacomo di parricidio. Lucrezia lo difende, accusando Olimpio, che viene difeso da Beatrice. Le due donne vengono torturate e mentre Lucrezia resiste per amore di Giacomo, Beatrice confessa tutto quello che vuole il tribunale e viene accusata di aver procurato la fine del padre. Condannata a morte, viene giustiziata: troppo tardi giunge nelle mani del giudice la confessione scritta della sua innocenza. Ma anche i veri colpevoli, Lucrezia e Giacomo, vengono alla fine raggiunti dalla giustizia.
Critica
"Presentata dignitosamente, questa nuova versione cinematografica della storia della famiglia Cenci, ha avuto in Riccardo Freda un regista attento e coscienzioso, sì che questo film può essere ritenuto la sua cosa migliore". (U. Tani, 'Intermezzo', 20-21,15 novembre 1956).
http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.redirect?sch=8523
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1598, tra Roma e il castello di Petrella Salto (Abruzzo). Nell'inchiesta sulla morte di Francesco Cenci (G. Cervi), patrizio romano dissoluto e violento, il principale indiziato è suo figlio Giacomo (A. De Teffé), amante della matrigna Lucrezia (M. Presle). Per difenderlo Lucrezia accusa Olimpio Calvetti (F. Tozzi), intendente di Francesco, che aveva aiutato Beatrice Cenci (M. Granelli), perseguitata dalla gelosia del padre. Messa sotto tortura, come Lucrezia, durante il processo, anche Beatrice accusa Olimpio. Poi ritratta, ma è condannata a morte. Inutilmente Olimpio raccoglie le prove della colpevolezza di Giacomo: Beatrice è decapitata nel castello di Santangelo. Al giudice non rimane che arrestare Giacomo e Lucrezia. Autore anche della sceneggiatura (con Filippo Sanjust e Jacques Rémy) un R. Freda in gran forma “celebra in immagini sontuose le nozze del melodramma e della Storia” (J. Lourcelles). Tradisce la Storia, mettendola al servizio di un fosco melodramma rinascimentale, ribollente di passioni, con un ritmo di trascinante dinamismo plastico. 1° Cinemascope (fotografia: Gabor Pogany) di Freda, appoggiato alle turgide musiche di Franco Mannino con brani di Beethoven. Titolo francese: Le Chateau des amants maudits.
http://www.uniurb.it/Filosofia/bibliografie/Bocchetti%20Erica/Bocchetti%20Erica/cinema.html
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Riccardo Freda
Altri nomi: Robert Davidson / Richard Freda / Robert HamptonDick Jordan / George Lincoln / Willy Pareta / Riccardo Santelmi / Robert Hill
Data nascita: 24 Febbraio 1909 (Pesci), Alessandria d'Egitto (Egitto)
Data morte: 20 Dicembre 1999 (90 anni), Roma (Italia)
Data nascita: 24 Febbraio 1909 (Pesci), Alessandria d'Egitto (Egitto)
Data morte: 20 Dicembre 1999 (90 anni), Roma (Italia)
Popolare è bello
La prima caratteristica di questo regista è senza dubbio la passione per l'avventura e per tutti quei generi snobbati e ancora oggi considerati "di intrattenimento". Dalla filmografia di questo cineasta italiano emerge la sua voglia, quasi da ragazzino, di rivivere avvenimenti e vicende di grandi eroi, di sfuggire da un mondo, da un'Italia che si faceva più cupa, più triste (erano gli anni della Seconda Guerra Mondiale e del Dopoguerra) per fare dei film per tutti, che trasmettessero valori semplici, ma essenziali. Il popolo degli adolescenti l'ha amato per aver saputo mescolare spericolatamente letteratura e cinema, miscuglio che ha portato anche notevoli e decantate folgorazioni cinematografiche d'oltralpe. La trasposizione dei mondi letterari che lo avevano affascinato da giovane, l'ha portato, con grande tecnica, a essere rivalutato dalla controcultura marginale del Duemila. Lui che, per evitare predicozzi della critica italiana, si era rifugiato in Francia, dove aveva continuato, con il giusto tocco, a girare film non impegnati, ma per certi versi splendidi.
Di famiglia napoletana, dopo aver frequentato l'Università di Milano e studiato scultura, si iscrive, nel 1933, al Centro Sperimentale di Cinematografia. Contemporaneamente trova lavoro come critico d'arte nel giornale "Il Popolo di Lombardia", occupandosi anche di produzioni cinematografiche per la Tirrenia e l'Elica Film. dal 1937, si dedica all'attività di sceneggiatore firmando le trame dei film di Gennaro Righelli, Eduardo De Filippo, Giacomo Gentilomo, Raffaele Matarazzo e Goffredo Alessandrini.
Si prestò anche come attore per Henry Hathaway nella parte di un pilota ne Inferno nel deserto (1941), e dopo questa esperienza, decise di passare dietro la macchina da presa, esordendo alla regia con il lungometraggio Don Cesare di Bazan (1942) con Paolo Stoppa, dimostrando fin dal principio una notevole predilezione per le storie d'avventura e per le scene spettacolari, incontrando, fra l'altro un grande successo di pubblico. Replicherà con il musicale Tutta la città canta (1943), con Vivi Gioi e Nino Taranto, girato a Cinecittà. Ed è proprio su quei set che consocerà sua moglie, l'attrice Gianna Maria Canale che imporrà in molti dei suoi film.
Dopo aver firmato la sceneggiatura de L'abito nero da sposa (1945) per Luigi Zampa, prosegue la carriera di regista, trasportando classici letterari di stampo storico-avventuroso sul grande schermo. Da un racconto di Puskin nasce Aquila nera (1946) con Gino Cervi e da Victor Hugo I miserabili (1948) sempre con Cervi, ma anche con un giovanissimo Marcello Mastroianni. Il Conte Ugolino (1949) è da tutti visto come il suo capolavoro, grazie al finale di grande effetto e alla sceneggiatura che cita Dante Alighieri, nonché alla presenza di un Carlo Ninchi in stato di grazia. È di questi anni la sua polemica al neorealismo, movimento che secondo lui altro non era che un grande bluff, colpevole di aver assegnato a registi incapaci e privi di talento una sorta di "patentino ideologico buono per tutte le stagioni" che li metteva in buon occhio di fronte a pubblico e critica e li incasellava nella categoria "Grandi Autori". Giudicò aspramente Vittorio De Sica, smontando pezzo per pezzo la sua opera: «Gira sempre lo stesso film, prende un fatto storico, epico e terribile sul cui sfondo ambienta la storia di qualche poveraccio con il cuore in mano e con la mamma che lo aspetta piangendo di giorno e pregando di sera», inimicandosi così tutta la critica italiana che affondò o si mostrò indifferente di fronte alle sue riletture cinematografici e al suo cinema popolare e di genere. Scorbutico e menefreghista a riguardo, continuò a dirigere pellicole su pellicole dal drammatico Beatrice Cenci (1956), tratto da un romanzo di Guerrazzi e con l'immancabile Cervi, al primo horror italiano, I vampiri (1957) con la consorte. Quest'ultima pellicola, realizzata in pochissimi giorni e con non pochi problemi con la produzione (fu necessaria la sostituzione con Mario Bava, perché Freda lasciò il set per delle divergenze), inaugurò il filone horror italiano, che mischiava situazioni horror ad atmosfere e temi melo
Fabio Secchi Frau
http://www.mymovies.it/biografia/?r=419
Di famiglia napoletana, dopo aver frequentato l'Università di Milano e studiato scultura, si iscrive, nel 1933, al Centro Sperimentale di Cinematografia. Contemporaneamente trova lavoro come critico d'arte nel giornale "Il Popolo di Lombardia", occupandosi anche di produzioni cinematografiche per la Tirrenia e l'Elica Film. dal 1937, si dedica all'attività di sceneggiatore firmando le trame dei film di Gennaro Righelli, Eduardo De Filippo, Giacomo Gentilomo, Raffaele Matarazzo e Goffredo Alessandrini.
Si prestò anche come attore per Henry Hathaway nella parte di un pilota ne Inferno nel deserto (1941), e dopo questa esperienza, decise di passare dietro la macchina da presa, esordendo alla regia con il lungometraggio Don Cesare di Bazan (1942) con Paolo Stoppa, dimostrando fin dal principio una notevole predilezione per le storie d'avventura e per le scene spettacolari, incontrando, fra l'altro un grande successo di pubblico. Replicherà con il musicale Tutta la città canta (1943), con Vivi Gioi e Nino Taranto, girato a Cinecittà. Ed è proprio su quei set che consocerà sua moglie, l'attrice Gianna Maria Canale che imporrà in molti dei suoi film.
Dopo aver firmato la sceneggiatura de L'abito nero da sposa (1945) per Luigi Zampa, prosegue la carriera di regista, trasportando classici letterari di stampo storico-avventuroso sul grande schermo. Da un racconto di Puskin nasce Aquila nera (1946) con Gino Cervi e da Victor Hugo I miserabili (1948) sempre con Cervi, ma anche con un giovanissimo Marcello Mastroianni. Il Conte Ugolino (1949) è da tutti visto come il suo capolavoro, grazie al finale di grande effetto e alla sceneggiatura che cita Dante Alighieri, nonché alla presenza di un Carlo Ninchi in stato di grazia. È di questi anni la sua polemica al neorealismo, movimento che secondo lui altro non era che un grande bluff, colpevole di aver assegnato a registi incapaci e privi di talento una sorta di "patentino ideologico buono per tutte le stagioni" che li metteva in buon occhio di fronte a pubblico e critica e li incasellava nella categoria "Grandi Autori". Giudicò aspramente Vittorio De Sica, smontando pezzo per pezzo la sua opera: «Gira sempre lo stesso film, prende un fatto storico, epico e terribile sul cui sfondo ambienta la storia di qualche poveraccio con il cuore in mano e con la mamma che lo aspetta piangendo di giorno e pregando di sera», inimicandosi così tutta la critica italiana che affondò o si mostrò indifferente di fronte alle sue riletture cinematografici e al suo cinema popolare e di genere. Scorbutico e menefreghista a riguardo, continuò a dirigere pellicole su pellicole dal drammatico Beatrice Cenci (1956), tratto da un romanzo di Guerrazzi e con l'immancabile Cervi, al primo horror italiano, I vampiri (1957) con la consorte. Quest'ultima pellicola, realizzata in pochissimi giorni e con non pochi problemi con la produzione (fu necessaria la sostituzione con Mario Bava, perché Freda lasciò il set per delle divergenze), inaugurò il filone horror italiano, che mischiava situazioni horror ad atmosfere e temi melo
Fabio Secchi Frau
http://www.mymovies.it/biografia/?r=419
Benvenuti.
ResponderEliminarHo messo subs in inglese per questa versione su OpenSubtitles:
http://www.opensubtitles.org/pl/subtitles/4744678/beatrice-cenci-en
Saluto.
Grazie per l'aiuto.
EliminarEstimado: le envié hace unos dias un subtitulo en castellano...lo recibió? Cordialmente
ResponderEliminarGracias por colaborar.
EliminarEs mi primera visita a este blog y pude descargar satisfactoriamente la pelicula, espero ahro poder verla ya que este mecanismo no lo conozco.
ResponderEliminarDe todos modos mil gracias por tantos tìtulos bellos y lo saludo desde Còrdoba