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miércoles, 12 de junio de 2013

Detenuto in attesa di giudizio - Nanni Loy (1971)


TITULO ORIGINAL Detenuto in attesa di giudizio
AÑO 1971
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACION 100 min.
DIRECCION Nanni Loy
GUION Sergio Amidei, Emilio Sanna
MUSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFIA Sergio D'Offizi
REPARTO Alberto Sordi, Elga Andersen, Lino Banfi, Andrea Aureli, Antonio Casagrande
PREMIOS
1972: Festival de Berlín: Oso de Plata - Mejor Actor (Alberto Sordi)
1971: Premios David di Donatello: Mejor actor (Alberto Sordi)
PRODUCTORA Documento Film
GENERO Drama | Comedia dramática

SINOPSIS Giuseppe Di Noi, un aparejador italiano, emigrado hace 8 años a Suecia donde se ha casado y tiene dos hijos, por fin tiene la oportunidad de tomarse un descanso vacacional y donde mejor que en su añorada patria. Pero al llegar a la frontera es invitado a pasar a las dependencias policiales. Aturdido y confundido por la situación, y más aún porque no le comunican el motivo de su detención, comienza un largo calvario por diferentes comisarías y tribunales. (FILMAFFINITY)



Trama
Un geometra emigrato in Svezia (Alberto Sordi) torna in Italia per trascorrere le vacanze insieme alla famiglia, ma alla dogana viene arrestato senza un perchè. L’uomo viene trasferito in vari penitenziari fino a quello di Segunto, dove il degrado, i soprusi e la privazione della propria identità lo segneranno profondamente.

Recensione
Con la sua innata capacità di radiografare da molteplici punti di vista la società italiana, Nanni Loy firma una pellicola d’autore puntando il dito sui meccanismi ingolfati del sistema detentivo e sui burocrati privi di zelo e disciplina. Il suo film si può considerare il capostipite illustre di molti drammi carcerari emersi dal malcontento di molti registi d’oltreoceano, facendo dunque da esempio a un filone di successo del cinema hollywoodiano. “Detenuto in attesa di giudizio” non sconvolge né per la violenza né per situazioni particolari, bensì per l’azione profondamente depauperante che l’errore umano conduce verso l’innocente di turno, uno straordinario Alberto Sordi nella parte di Giuseppe Di Noi. L’incubo vissuto dal geometra inizia senza spiegazioni, in un clima sereno, e degenera facendo sprofondare l’individuo negli abissi dell’inaspettato, all’ombra della verità e del chiarimento. Intorno al protagonista si edificano muri e sbarre che lo emarginano dalla massa sociale e lo relegano in un mondo criminale al quale egli risulta da subito estraneo. L’ambiente si chiude in una sorta di sepoltura claustrofobica determinata da celle strette, rimproveri verbali e minacce gratuite, in un pieno senso di smarrimento continuo che non fa che accanirsi sul povero malcapitato. Persino la cinepresa sembra far fatica a muoversi fra gli angusti pertugi in cui l’eroe comune annaspa e implora, gridando la sua innocenza nell’indifferenza più assoluta. Sradigato dalla famiglia, Giuseppe entra in un vortice senza apparente uscita, rifuggendo però alla rassegnazione dell’isolamento perenne. Loy traccia le linee di una legge beffarda, ampiamente suscettibile di gravi sbagli e sviste paradossali che solo la provvidenza può alfine risolvere. Buona interpretazione di un giovane Pasquale Zagaria (Lino Banfi) nel suo primo ruolo drammatico e cinico, in dissonanza con i personaggi eccentrici e ridicoli di cui vestirà i panni poco dopo. Nessun rilevabile virtuosismo di stile o forma, tuttavia il contenuto è d’impatto e il suo valore profetico si rivela attuale e forte di una voce autorevole.
Samuele Pasquino   
http://www.recencinema.it/recensioni/drammatico/1225-detenuto-in-attesa-di-giudizio
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Detenuto in attesa di giudizio è una pellicola che non possiamo definire commedia all’italiana, perché i risvolti tragici sono molto accentuati, direi quasi preponderanti nell’economia della sceneggiatura. Alberto Sordi interpreta uno dei suoi personaggi più sofferti e macerati, distrutti psicologicamente da una macchina burocratica che rasenta l’assurdo. Giuseppe Di Noi è un geometra che per lavoro si è trasferito in Svezia, manda avanti una ditta edile composta da connazionali, si è sposato con una ragazza del posto e ha due figli. Un giorno decide di fare una vacanza in Italia, ma l’entusiasmo di rivedere la vecchia patria si stempera, dopo una citazione petrarchesca (Bella Italia/ amate sponde/ pur vi torno a riveder…), appena arrivato alla frontiera. Metaforico il tunnel che si chiude alle spalle di Sordi, fermato per accertamenti dalla polizia, perché rappresenta il baratro in cui sprofonda il protagonista. Nessuno dice il motivo dell’arresto, ma il geometra viene schedato e internato prima a San Vittore, poi a Regina Coeli e infine a Sagunto. Nanni Loy realizza un on the road carcerario, credibile e realistico, tra detenuti tradotti in treno, esposti al pubblico ludibrio, internati in condizioni di assoluta carenza di igiene e diritti umani. Vediamo Giuseppe dormire nudo, con la luce accesa, mangiare schifezze elargite con arroganza e usare un bugliolo per defecare. L’accusa finalmente si concretizza: omicidio colposo e preterintenzionale, ai danni di una persona che il geometra non conosce; solo nel finale comprenderà che tutto è dovuto a un ponte da lui progettato, crollato quando era residente in Svezia.
La carcerazione preventiva del geometra è interminabile, deve assistere al suicidio di un compagno di sventura, persino a una rivolta carceraria e rischia di essere sodomizzato da feroci carcerati. Sordi è bravissimo a interpretare un disgraziato che impazzisce giorno dopo giorno, perché “niente è semplice quando hai a che fare con la giustizia”, come ammonisce un carcerato. Il film è un atto di accusa politico a un istituto barbaro come la carcerazione preventiva, girato con taglio documentaristico, con stile realistico e grottesco, per denunciare i trattamenti contrari al senso di umanità nei confronti dei detenuti. La vita nelle patrie galere è stigmatizzata a dovere, totale assenza di privacy, condizioni igieniche precarie, proibizioni assurde (non rispondere al prete durante la messa), ora d’aria trascorsa in angusti angoli di cortile. Sordi realizza una maschera disperata e dolente di uomo ridotto in frantumi da un meccanismo che lo travolge.
Fotografia a colori, sempre molto scura, si accende solo per riprendere i colori del sud, struggente colonna sonora che accompagna con tonalità cupa la discesa negli inferi del protagonista. Lino Banfi è un direttore del carcere da macchietta, Michele Gammino interpreta un anonimo prete e Tano Cimarosa un secondino intransigente. Mario Brega si intravede per un istante nella cella degli ergastolani che vorrebbero approfittare del neo recluso. La moglie del protagonista è l'attrice tedesca Elga Andersen (alias Elga Hymen), molto bella, ma ininfluente nell'economia di un film basato su uno straordinario Alberto Sordi. Elga Andersen è nota anche come cantante, produttrice e modella ed è attiva soprattutto nel cinema francese. Mario Pisu è il medico dell’ospedale psichiatrico dove il protagonista viene internato per curare la nevrosi provocata dal terribile malinteso. Film di denuncia con il punto di forza costituito da un’intensa interpretazione tragica di Sordi, che in un finale grottesco sogna di scappare dalle mani della polizia italiana ma viene falciato a colpi di mitra. Per fortuna è soltanto un incubo: il geometra  Giuseppe Di Noi può tornare in Svezia e probabilmente non metterà più piede in Italia.
Detenuto in attesa di giudizio è un film utile ai fini della riforma carceraria e serve a incentivare una legge sui limiti della carcerazione preventiva. Procura fastidi e polemiche al regista, accusato di eccessivo disfattismo e di caduta nel grottesco. La macchina da presa si muove nervosa e frenetica; Loy, con piglio da documentarista, cattura immagini rapide, mosse, ispirate a un crudo realismo. Un crescendo di orrore, sottolineato da una musica gelida, porta il regista a calcare la mano sul grottesco, ma la denuncia risulta efficace senza far perdere spettacolarità al film. Le motivazioni dell’arresto del geometra sono un po’ superficiali, la parte in cui si spiegano i motivi della carcerazione preventiva non è giustificata benissimo, ma il tono di fondo - pur sempre da commedia - porta a giustificare le scelte di sceneggiatura. Alla fine quel che resta impresso è il volto di un uomo distrutto, in preda a una crisi di nervi, incapace persino di firmare e di accendersi una sigaretta. Uno dei lavori memorabili interpretati da Alberto Sordi.
Gordiano Lupi
http://cinetecadicaino.blogspot.com.ar/2013/03/detenuto-in-attesa-di-giudizio-1971.html


Il geometra Di Noi (Alberto Sordi) vive e lavora in Svezia con la bella moglie indigena e i due bambini. Gli affari vanno a gonfie vele e la società per la quale lavora il geometra ha appena avuto un importante appalto dalle autorità del luogo. Di Noi decide di concedersi una breve vacanza prima dell’effettivo inizio dei lavori, ripromettendosi di tornare in Svezia per seguirne da vicino la realizzazione. Carica sulla sua Volvo la moglie e i figli, aggancia la roulotte, e si dirige carico di nostalgia verso il Bel Paese come tanti altri suoi connazionali. I Di Noi scendono verso il sud cantando e scherzando senza presagire alcunchè circa quello che sarebbe successo di lì a poco. Alla frontiera del Brennero l’allegra famiglia viene come da procedura fermata per il controllo passaporti: ad un certo punto gli agenti chiedono gentilmente al geometra di scendere dall’auto a causa di un piccolo disguido, “una cosa da niente”. Di Noi si reca in ufficio assieme alle guardie e dopo pochi secondi viene caricato su un’Alfa dei Carabinieri e portato in carcere. Tutto questo senza che la moglie si accorgesse di nulla.
Di Noi si dispera ma crede, in buona fede, ad un equivoco. L’ingresso in carcere è scioccante. Nessuno gli dice niente circa le ragioni del suo arresto. L’ispezione corporale e lo scatto delle foto segnaletiche sono due momenti assolutamente drammatici. Il tutto avviene tra il totale disinteressamento di chi dovrebbe prendere in “custodia” il nuovo arrivato, al quale viene anzi rinfacciato di non sapere il perchè si trovi lì e il perchè mantenga quell’atteggiamento da finto innocente.
Iniziano i trasferimenti da un carcere all’altro: su gomma, su rotaia, per mare. Di Noi visita quasi tutte le carceri d’Italia, venendo esibito – in catene con gli altri detenuti – al qualunquismo e allo sguardo accusatore dei normali “bravi” cittadini.
Intanto la moglie svedese (Elga Andersen) cerca di capire dove sia finito, scontrandosi con la diffidenza e l’inefficienza dell’apparato burocratico italiano. Riesce a ricostruire pian piano le tappe della via crucis del marito ma arriva sempre un momento in ritardo: quando pensa di averlo finalmente trovato scopre che è stato nuovamente trasferito.
Di Noi si deve scegliere un avvocato e la cosa è difficile perchè non ne conosce nessuno. Le guardie carcerarie si offrono di consigliargli il proprio “sponsorizzato” (col quale ovviamente si dividono le parcelle). Durante una rivolta – conseguenza delle difficili condizioni di detenzione e di un drammatico suicidio – Di Noi dà prova di tutto il suo senso di inadeguatezza. Gli altri detenuti escono dalle proprie celle. Viene aperta anche la sua ma egli rimane dentro per paura di peggiorare la propria situazione dato che di lì a poco avrebbe potuto finalmente parlare con il giudice (cosa possibile solo con la presenza di un avvocato, appunto). La presenza di una guardia carceraria schiaffata dentro la cella di Di Noi a seguito della rivolta simboleggia la comune detenzione di carcerati e guardie all’interno dei penitenziari italiani.
A seguito della rivolta repressa in modo violento dalla polizia Di Noi e gli altri verranno nuovamente trasferiti. E sarà in questo ultimo carcere che il geometra conoscerà gli abusi sessuali da parte di un gruppo di camorristi.
Drammatico film di Nanni Loy con un indimenticabile Alberto Sordi, Detenuto in attesa di giudizio è un titolo incredibilmente attuale considerando il penoso stato delle carceri italiane tra sovrappopolamento e cronica incapacità di attuare le disposizioni costituzionali che parlano di “recupero del detenuto”.
Se si pensa che oggi il 40% dei carcerati è per l’appunto in attesa di giudizio si può capire quanto sia sistematica la violazione della legge e quanto i 40 anni che ci separano da questo film siano passati inutilmente.
La pellicola si avvale – oltre che di un grande Sordi – di un convincente Lino Banfi (qui nelle vesti di un ineffabile direttore carcerario) e di una serie di caratteristi ben conosciuti dai cultori del cinema di genere italiano degli anni 70 (Nazzareno Natale e Tano Cimarosa su tutti).
Commovente la scena della messa nella quale i detenuti compiono un piccolo gesto di disobbedienza mettendosi a pregare a voce alta contrariamente a quanto disposto dal regolamento penitenziario.
Il film spiega mirabilmente le difficili condizioni della detenzione che portano il carcerato ad uno stato di annichilimento vicino all’impazzimento (Sordi, nel film, comincia a dare di matto e gli viene imposta una camicia di forza).
Detenuto in attesa di giudizio evidenzia come in carcere finiscano i poveracci, come sia facile entrarci disgraziatamente per un errore giudiziario, come si possa finire nel giro di un giorno nell’occhio della riprovazione popolare per colpe non proprie (i detenuti vengono insultati per strada dai bravi italiani durante gli spostamenti da un carcere all’altro).
Detenuto in attesa di giudizio. Ovvero quando la sinistra era garantista (e la destra forcaiola).
http://nazionalpopolare70.wordpress.com/2011/12/24/detenuto-in-attesa-di-giudizio/

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