AÑO 1996
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 95 min.
DIRECCION Antonio Rezza, Flavia Mastrella
GUION Flavia Mastrella, Antonio Rezza
FOTOGRAFIA Roberto Meddi
MONTAJE Jacopo Quadri
MUSICA Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo
PRODUCCION Galliano Juso para Digital Film
REPARTO Valentina Cervi, Isabella Ferrari, Claudia Gerini, Valeria Golino, Antonio Rezza, Bianca Pucciarelli, Fiore Leveque, Carla Cassola, Federico Carra, Domenico Vitucci
GENERO Comedia / Fantasía
SINOPSIS 5 episodi sull’alienazione metropolitana e sulle psicosi dell’uomo moderno ligio alle regole della conformità.
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Trama
Al capezzale del fratello morto, Giuliano si invaghisce della vedova e si unisce a lei. Rolando, uno dei becchini, si innamora di Ida, sposata con il pigro Fiore. Sabrina viene rinchiusa nella comunità "Contro", dove la dottoressa Coatta usa le torture come cura. Ma la giovane muore. Il suo corpo, chiuso in un sacco, viene depositato sulla linea di partenza della corsa dei sacchi, per farle vincere qualcosa.
Crítica
"Scritto e diretto a quattro mani da Antonio Rezza con Flavia Mastrella, sua collaboratrice abituale, 'Escoriandoli' è un esordio poco convincente. Sulla scena dall'88, pare che a teatro Rezza sia molto divertente con una vena ipergrottesca e straniata che sullo schermo è facile intuire; ed è chiaro che, mentre come attore si moltiplica nei cinque surreali protagonisti dei relativi episodi che compongono il film, come regista intende disegnare un ironico mosaico di alienazione contemporanea. Ma la padronanza del mezzo cinematografico è troppo immatura perché la comicità risulti efficace".
(Alessandra Levatesi, 'La Stampa', 23 giugno 1997).
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Allucinazioni diverse
Antonio Rezza e Flavia Mastrella, dopo le performance a teatro e le sperimentazioni in forma di cortometraggio, giungono con Escoriandoli al loro primo lungometraggio. Cinque episodi sull’alienazione metropolitana, sulle psicosi dell’uomo moderno ligio alle regole della conformità, sull’insensatezza, l’apatia e l’arroganza del mondo che ci circonda.
Da un funerale grottesco in onore di un cadavere afrodisiaco, si passa alla storia di un becchino punk che, dopo aver trovato una compagna, inizia ad invecchiare. Si prosegue con una dispotica “Comunità Contro” la cui missione è rielaborare psicologie giovanili e con la disavventura di un poeta preso dai sensi di colpa per aver calpestato un piede sull’autobus. In chiusura, un militante politico assuefatto alla massa e dipendente dalle manifestazioni di piazza, dovrà fare i conti con il suo corpo anarchico.
Se si cerca il rispetto delle tradizioni e delle regole o anche una sperimentazione calibrata e pulitina, è meglio guardare altrove. La presenza ‘‘ingombrate’ di Rezza, fin dalle prime battute, con la sua recitazione anti-filmica, interferisce fortemente con il comune senso del cinema e porta in territori ‘‘altri’ dominati dallo scompiglio. Escoriandoli è, infatti, un’opera allucinata che spesso non si cura della grammatica spingendo il pubblico - impegnato a raccordare le varie scene e a integrare lo strabordante Rezza - ad una partecipazione attiva ma, non per questo, meno divertente. Tutto ciò è perfettamente in linea con la critica al conformismo e all’indolenza espressa nel film. Può irritare profondamente gli amanti del classico, ma risveglia i sensi. (Daniele 'Danno' Silipo)
http://www.bizzarrocinema.it/component/option,com_jmovies/task,detail/id,29/
Da un funerale grottesco in onore di un cadavere afrodisiaco, si passa alla storia di un becchino punk che, dopo aver trovato una compagna, inizia ad invecchiare. Si prosegue con una dispotica “Comunità Contro” la cui missione è rielaborare psicologie giovanili e con la disavventura di un poeta preso dai sensi di colpa per aver calpestato un piede sull’autobus. In chiusura, un militante politico assuefatto alla massa e dipendente dalle manifestazioni di piazza, dovrà fare i conti con il suo corpo anarchico.
Se si cerca il rispetto delle tradizioni e delle regole o anche una sperimentazione calibrata e pulitina, è meglio guardare altrove. La presenza ‘‘ingombrate’ di Rezza, fin dalle prime battute, con la sua recitazione anti-filmica, interferisce fortemente con il comune senso del cinema e porta in territori ‘‘altri’ dominati dallo scompiglio. Escoriandoli è, infatti, un’opera allucinata che spesso non si cura della grammatica spingendo il pubblico - impegnato a raccordare le varie scene e a integrare lo strabordante Rezza - ad una partecipazione attiva ma, non per questo, meno divertente. Tutto ciò è perfettamente in linea con la critica al conformismo e all’indolenza espressa nel film. Può irritare profondamente gli amanti del classico, ma risveglia i sensi. (Daniele 'Danno' Silipo)
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Incompresi. Comici allo sbaraglio: ESCORIANDOLI
Nel caso in esame, “comico” è un nominativo che va chiarito, visto che ci occupiamo di un personaggio multiforme, non semplicemente un goliarda di provenienza televisiva ma autore-attore di palcoscenico, scrittore, personaggio tv ed anche regista. Antonio Rezza nel 1996 debutta nel lungometraggio con questo lavoro dal titolo già singolare, prodotto da un nome come Galliano Juso: nel suo curriculum, alcuni film con Tomas Milian-commissario Monnezza, W la foca! ma anche, in tempi più vicini, Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco.
Il film si compone di cinque episodi, collegati da personaggi-ponte. Curiosamente, Rezza ha scelto di farsi affiancare, in quattro delle cinque tranche, da una diversa attrice nostrana -sempre di aspetto gradevole-, salvo che nell’ultimo dove è “da solo”. Proviamo a riassumere il surreale contenuto degli episodi: nel primo, assistiamo alla veglia funebre di un tizio (“Ha ragionato sei ore consecutive” pare essere la causa), “capitanata” dal fratello e dalla vedova (Isabella Ferrari). Quando dalle labbra del morto prendono a fuoriuscire parole e concetti (“operaio”, “estasi del pecoreccio”), tra i due si scatena la passione. Rezza interpreta anche brevemente un becchino, vestito in modo “giovane”, che diventa protagonista del secondo episodio, in cui egli, aggirandosi per negozi appena aperti -che gli esercenti, dopo aver adulato i clienti con la parola d’ordine “cortesia”, fanno esplodere-, si imbatte in una donna (Valeria Golino) che vive con un marito pigrissimo. “Sei bello da far paura”: tra i due scoppia la passione, ma è in agguato un ribaltamento dei ruoli giovane attivo-vecchio inattivo. Nel terzo episodio, dal significato più esplicito, una ragazza mogia che non pare avere stimoli (Valentina Cervi) viene portata dai preoccupati familiari in una sorta di clinica in cui, con metodi bruschi, si cerca di far tornare alla normalità, alla “funzionalità” persone come lei. Ma ci sarà poco da fare: “Questa stronza è proprio una persona!”, esclama il capo -Rezza con una veste nera "femminile"-. Nel quarto episodio, forse il più accessibile, Rezza, affiancato da Claudia Gerini, impersona un tizio che rimane scioccato dall’aver pestato un piede sul bus ad un ciccione. “L’ho fatta proprio grossa”: lo ossessionerà nel tentativo di ricevere il suo perdono, facendo così incazzare sempre di più il malcapitato. L’ultimo episodio ha per protagonista un giornalista presenzialista che, all’improvviso, non riesce fisicamente più ad andare nei luoghi dove c’è la massa, a causa di un divario di intenzioni tra cervello e piedi.
Fermo restando che la risata è qualcosa di soggettivo -a chi non capita di rimanere di marmo di fronte a cose che gli altri trovano divertenti?-, se si supera l’impatto iniziale e ci si sintonizza nell’atmosfera del film, c’è di che divertirsi, in un modo originale.
A patto che si accettino le regole: la via di Rezza è quella dello straniamento, di un antinaturalismo netto. La recitazione sua e quella altrui non vanno nella direzione dell’immedesimazione coi personaggi, né questa è richiesta a chi guarda. Rezza piega il suo viso in una smorfia ed utilizza la voce, “stringendola”, nel suo peculiare modo, con piccole differenze tra un personaggio e l’altro. Sono previsti sguardi in camera e gli scambi di battute sono nonsense, volutamente declamatori e letterari. Non siamo all’interno di una narrazione classica, anche se la linearità è rispettata. Le ambientazioni sono spoglie negli interni e pure gli esterni si presentano isolati, con architetture industriali e presenze umane in scena ridotte a quelle che servono. Il che accentua una sensazione di desolazione ma anche la creazione di un universo filmico a sé. Degno di nota per esempio, nel quarto episodio, il bus che si finge essere in movimento, ma è fermo. Volendo cercare temi e motivi sparsi, a parte la seduzione, messa in scena come un burattinesco contorcimento (in 1°, 3° e 5° episodio), c’è il rapporto tra l’individuo ed una società dell’immagine, che richiede certe cose. Nell’episodio con la Cervi, lei deve essere forzatamente portata a provare interesse per quanto la circonda, a costo di diventare una persona che non contesta più, come il ragazzo “guarito”; al contrario l’anchorman vuole stare dove c’è la gente, ma soffre perché non riesce più. I finali dei singoli episodi non sono mai concilianti, i personaggi fanno spesso una brutta fine, che può essere la morte.
Una comicità che non è quella consueta cabarettistica di Zelig o simili, una strada poco praticata se non inedita per un cinema italiano umoristico. Non ci sono dialetti né ruffianerie, c’è invece una certa sgradevolezza; infatti, il pubblico non ha calcolato il film, che non ha avuto certo una distribuzione ottimale dopo la presentazione a Venezia, ma anche l’avesse avuta… Compatto stilisticamente e con battute folgoranti, Escoriandoli è un film geniale, da cui si esce con la rinfrancante sensazione di aver visto qualcosa di positivamente “alieno”-, ma purtroppo Rezza tenterà solo un’altra volta la via del lungometraggio, con Delitto sul Po, pellicola sperimentale ed anche più “sfigata” quanto ad accoglienza. Franca Scagnetti, nota per Suspiria, compare tra gli afflitti del primo episodio. Buone le musiche.
Alessio Vacchi
http://ultimospettacolocine.blogspot.com.ar/2008/05/incompresi-comici-allo-sbaraglio.html
Il film si compone di cinque episodi, collegati da personaggi-ponte. Curiosamente, Rezza ha scelto di farsi affiancare, in quattro delle cinque tranche, da una diversa attrice nostrana -sempre di aspetto gradevole-, salvo che nell’ultimo dove è “da solo”. Proviamo a riassumere il surreale contenuto degli episodi: nel primo, assistiamo alla veglia funebre di un tizio (“Ha ragionato sei ore consecutive” pare essere la causa), “capitanata” dal fratello e dalla vedova (Isabella Ferrari). Quando dalle labbra del morto prendono a fuoriuscire parole e concetti (“operaio”, “estasi del pecoreccio”), tra i due si scatena la passione. Rezza interpreta anche brevemente un becchino, vestito in modo “giovane”, che diventa protagonista del secondo episodio, in cui egli, aggirandosi per negozi appena aperti -che gli esercenti, dopo aver adulato i clienti con la parola d’ordine “cortesia”, fanno esplodere-, si imbatte in una donna (Valeria Golino) che vive con un marito pigrissimo. “Sei bello da far paura”: tra i due scoppia la passione, ma è in agguato un ribaltamento dei ruoli giovane attivo-vecchio inattivo. Nel terzo episodio, dal significato più esplicito, una ragazza mogia che non pare avere stimoli (Valentina Cervi) viene portata dai preoccupati familiari in una sorta di clinica in cui, con metodi bruschi, si cerca di far tornare alla normalità, alla “funzionalità” persone come lei. Ma ci sarà poco da fare: “Questa stronza è proprio una persona!”, esclama il capo -Rezza con una veste nera "femminile"-. Nel quarto episodio, forse il più accessibile, Rezza, affiancato da Claudia Gerini, impersona un tizio che rimane scioccato dall’aver pestato un piede sul bus ad un ciccione. “L’ho fatta proprio grossa”: lo ossessionerà nel tentativo di ricevere il suo perdono, facendo così incazzare sempre di più il malcapitato. L’ultimo episodio ha per protagonista un giornalista presenzialista che, all’improvviso, non riesce fisicamente più ad andare nei luoghi dove c’è la massa, a causa di un divario di intenzioni tra cervello e piedi.
Fermo restando che la risata è qualcosa di soggettivo -a chi non capita di rimanere di marmo di fronte a cose che gli altri trovano divertenti?-, se si supera l’impatto iniziale e ci si sintonizza nell’atmosfera del film, c’è di che divertirsi, in un modo originale.
A patto che si accettino le regole: la via di Rezza è quella dello straniamento, di un antinaturalismo netto. La recitazione sua e quella altrui non vanno nella direzione dell’immedesimazione coi personaggi, né questa è richiesta a chi guarda. Rezza piega il suo viso in una smorfia ed utilizza la voce, “stringendola”, nel suo peculiare modo, con piccole differenze tra un personaggio e l’altro. Sono previsti sguardi in camera e gli scambi di battute sono nonsense, volutamente declamatori e letterari. Non siamo all’interno di una narrazione classica, anche se la linearità è rispettata. Le ambientazioni sono spoglie negli interni e pure gli esterni si presentano isolati, con architetture industriali e presenze umane in scena ridotte a quelle che servono. Il che accentua una sensazione di desolazione ma anche la creazione di un universo filmico a sé. Degno di nota per esempio, nel quarto episodio, il bus che si finge essere in movimento, ma è fermo. Volendo cercare temi e motivi sparsi, a parte la seduzione, messa in scena come un burattinesco contorcimento (in 1°, 3° e 5° episodio), c’è il rapporto tra l’individuo ed una società dell’immagine, che richiede certe cose. Nell’episodio con la Cervi, lei deve essere forzatamente portata a provare interesse per quanto la circonda, a costo di diventare una persona che non contesta più, come il ragazzo “guarito”; al contrario l’anchorman vuole stare dove c’è la gente, ma soffre perché non riesce più. I finali dei singoli episodi non sono mai concilianti, i personaggi fanno spesso una brutta fine, che può essere la morte.
Una comicità che non è quella consueta cabarettistica di Zelig o simili, una strada poco praticata se non inedita per un cinema italiano umoristico. Non ci sono dialetti né ruffianerie, c’è invece una certa sgradevolezza; infatti, il pubblico non ha calcolato il film, che non ha avuto certo una distribuzione ottimale dopo la presentazione a Venezia, ma anche l’avesse avuta… Compatto stilisticamente e con battute folgoranti, Escoriandoli è un film geniale, da cui si esce con la rinfrancante sensazione di aver visto qualcosa di positivamente “alieno”-, ma purtroppo Rezza tenterà solo un’altra volta la via del lungometraggio, con Delitto sul Po, pellicola sperimentale ed anche più “sfigata” quanto ad accoglienza. Franca Scagnetti, nota per Suspiria, compare tra gli afflitti del primo episodio. Buone le musiche.
Alessio Vacchi
http://ultimospettacolocine.blogspot.com.ar/2008/05/incompresi-comici-allo-sbaraglio.html
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Escoriandoli, cioè i coriandoli dell'Es, ovvero le escoriazioni della mente; Escoriandoli, come escoriazioni sulla superficie dell'uomo per portare alla luce, ironicamente, le angosce dell'individuo di fronte alla morte, all'amore, alla società.
Primo lungometraggio dei due anarchici dell'espressività per eccellenza: Antonio Rezza e Flavia Mastrella.
Partorito nel 1996, presentato e fischiato alla 53ª Mostra del Cinema di Venezia, Escoriandoli vede la luce solo l'anno successivo, diventando comunque presto un piccolo gioiello di culto.
Il film, prodotto da Galliano Juso (Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco), ha uno stile che esce totalmente fuori dagli schemi della cinematografia comica italiana, anche perché non è proprio di comicità che si dovrebbe parlare riguardo questo film; la definizione esatta data dai due autori è "comico-aggressivo-riflessivo". È una pellicola fondamentalmente pessimista, che tenta di lasciare addosso una forte inquietudine e che, più che far ridere, vuol far riflettere puntando sull'ironia nera imperniata su una fantasia senza freni.
Escoriandoli tenta di rivoluzionare le coordinate "psico-temporali": il film è costituito da cinque episodi senza cornice, che si trascinano l'un l'altro attraverso elementi interni. Cinque brevi storie quasi surreali, che raccontano manie quotidiane, piccole nevrosi, e grandi ossessioni ambientali di individui collocati "in un paesaggio urbano a misura di poveraccio", come asserisce Giacane, uno dei personaggi della strana galleria proposta dai due registi.
Appaiono così a ruota sullo schermo: Isabella Ferrari, Valeria Golino, Valentina Cervi, Claudia Gerini e Antonio Rezza, unico e mutevole protagonista maschile, che oltre a riservarsi un posto d'onore nell'epilogo del film - in cui è il solo dominatore della scena - gioca con le quattro figure femminili, uscendone ora vincitore, ora divorato e usato, come trait d'union tra i vari episodi.
Seguire lo sviluppo narrativo del film non è facile, i personaggi che si susseguono sullo schermo si muovono in spazi vuoti, in luoghi desolati e sembrano essere il microcosmo di un'azione che si svolge in un'altra dimensione, totalmente aliena e alienata. Come lo stesso viso e il corpo di Antonio Rezza, che sembrano quelli di un marziano capitato in una realtà che non gli appartiene, in una sorta di non-luogo privo di senso. Proprio questo senso, che manca e che non viene assolutamente cercato, è la cifra stilistica dominante nel film. I personaggi dei vari episodi agiscono senza alcuna motivazione interiore, in un susseguirsi di azioni e dialoghi totalmente assurdi.
Le ambientazioni in periferie urbane, i luoghi asettici dominati da enormi "palazzoni" privi di vita sono la proiezione di un sentimento di enorme desolazione. Sono luoghi morti. Lo spazio schiaccia i protagonisti e riesce ad annullare le loro personalità. Gli oggetti assumono un'importanza fondamentale, scavalcano il primato dell'attore sulla scena, fino a sottometterlo, a sopraffarlo.
Particolarissimo il gusto della composizione figurativa: inquadrature dal basso, attenzione per linee di fuga, angoli visivi insoliti, montaggio serrato e spesso incurante di una grammatica filmica corretta, fotografia fredda e cristallina, scenografie deliranti.
Sovvertire è la parola d'ordine di Antonio Rezza e Flavia Mastrella: scavalcare qualunque canone espressivo, per esprimere emozioni e immagini della nostra realtà, filtrata però dalla visione distorta e allucinata dei due autori. Tutte le regole, allora, vengono abbattute: abolito il campo e controcampo, le inquadrature canoniche, ridotto al minimo l'uso del primo piano, i piani sequenza diventano rarissimi. Avviene nel loro cinema una vera e propria rivoluzione delle leggi che regolano il linguaggio visivo.
Un film frenetico, dove i ritmi delle immagini, grazie al montaggio di Jacopo Quadri, si trasformano in convulsi bombardamenti proprio come quelli che si ritrovano nella vita di tutti i giorni. I dialoghi e i silenzi sono pieni di "rumoristica" vera. Così la musica (curata da Maroccolo e Magnelli, C.S.I.) appare e scompare velocemente proprio per permettere alla storia di mantenere il suo ritmo e per accentuare maggiormente l'atmosfera surreale che vi si respira. Alla fine, più che una colonna sonora, a sorreggere Escoriandoli c'è una sorta di opera musicale di sapore minimale, a tratti psichedelica, ispirata ai vari personaggi del film e alla capacità di Antonio Rezza di renderli vivi.
Barbara Faonio
http://www.effettonotteonline.com/news/index.php?option=com_content&task=view&id=975&Itemid=25
Primo lungometraggio dei due anarchici dell'espressività per eccellenza: Antonio Rezza e Flavia Mastrella.
Partorito nel 1996, presentato e fischiato alla 53ª Mostra del Cinema di Venezia, Escoriandoli vede la luce solo l'anno successivo, diventando comunque presto un piccolo gioiello di culto.
Il film, prodotto da Galliano Juso (Lo zio di Brooklyn di Ciprì e Maresco), ha uno stile che esce totalmente fuori dagli schemi della cinematografia comica italiana, anche perché non è proprio di comicità che si dovrebbe parlare riguardo questo film; la definizione esatta data dai due autori è "comico-aggressivo-riflessivo". È una pellicola fondamentalmente pessimista, che tenta di lasciare addosso una forte inquietudine e che, più che far ridere, vuol far riflettere puntando sull'ironia nera imperniata su una fantasia senza freni.
Escoriandoli tenta di rivoluzionare le coordinate "psico-temporali": il film è costituito da cinque episodi senza cornice, che si trascinano l'un l'altro attraverso elementi interni. Cinque brevi storie quasi surreali, che raccontano manie quotidiane, piccole nevrosi, e grandi ossessioni ambientali di individui collocati "in un paesaggio urbano a misura di poveraccio", come asserisce Giacane, uno dei personaggi della strana galleria proposta dai due registi.
Appaiono così a ruota sullo schermo: Isabella Ferrari, Valeria Golino, Valentina Cervi, Claudia Gerini e Antonio Rezza, unico e mutevole protagonista maschile, che oltre a riservarsi un posto d'onore nell'epilogo del film - in cui è il solo dominatore della scena - gioca con le quattro figure femminili, uscendone ora vincitore, ora divorato e usato, come trait d'union tra i vari episodi.
Seguire lo sviluppo narrativo del film non è facile, i personaggi che si susseguono sullo schermo si muovono in spazi vuoti, in luoghi desolati e sembrano essere il microcosmo di un'azione che si svolge in un'altra dimensione, totalmente aliena e alienata. Come lo stesso viso e il corpo di Antonio Rezza, che sembrano quelli di un marziano capitato in una realtà che non gli appartiene, in una sorta di non-luogo privo di senso. Proprio questo senso, che manca e che non viene assolutamente cercato, è la cifra stilistica dominante nel film. I personaggi dei vari episodi agiscono senza alcuna motivazione interiore, in un susseguirsi di azioni e dialoghi totalmente assurdi.
Le ambientazioni in periferie urbane, i luoghi asettici dominati da enormi "palazzoni" privi di vita sono la proiezione di un sentimento di enorme desolazione. Sono luoghi morti. Lo spazio schiaccia i protagonisti e riesce ad annullare le loro personalità. Gli oggetti assumono un'importanza fondamentale, scavalcano il primato dell'attore sulla scena, fino a sottometterlo, a sopraffarlo.
Particolarissimo il gusto della composizione figurativa: inquadrature dal basso, attenzione per linee di fuga, angoli visivi insoliti, montaggio serrato e spesso incurante di una grammatica filmica corretta, fotografia fredda e cristallina, scenografie deliranti.
Sovvertire è la parola d'ordine di Antonio Rezza e Flavia Mastrella: scavalcare qualunque canone espressivo, per esprimere emozioni e immagini della nostra realtà, filtrata però dalla visione distorta e allucinata dei due autori. Tutte le regole, allora, vengono abbattute: abolito il campo e controcampo, le inquadrature canoniche, ridotto al minimo l'uso del primo piano, i piani sequenza diventano rarissimi. Avviene nel loro cinema una vera e propria rivoluzione delle leggi che regolano il linguaggio visivo.
Un film frenetico, dove i ritmi delle immagini, grazie al montaggio di Jacopo Quadri, si trasformano in convulsi bombardamenti proprio come quelli che si ritrovano nella vita di tutti i giorni. I dialoghi e i silenzi sono pieni di "rumoristica" vera. Così la musica (curata da Maroccolo e Magnelli, C.S.I.) appare e scompare velocemente proprio per permettere alla storia di mantenere il suo ritmo e per accentuare maggiormente l'atmosfera surreale che vi si respira. Alla fine, più che una colonna sonora, a sorreggere Escoriandoli c'è una sorta di opera musicale di sapore minimale, a tratti psichedelica, ispirata ai vari personaggi del film e alla capacità di Antonio Rezza di renderli vivi.
Barbara Faonio
http://www.effettonotteonline.com/news/index.php?option=com_content&task=view&id=975&Itemid=25
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