TÍTULO ORIGINAL Il piccolo Archimede
AÑO 1979
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACIÓN 83 min.
DIRECTOR Gianni Amelio
GUIÓN Gianni Amelio (Historia: Aldous Huxley)
MÚSICA Roman Vlad
FOTOGRAFÍA Guido Bertoni
REPARTO John Steiner, Laura Betti, Shirley Corrigan, Renato Moretti
PRODUCTORA Radiotelevisione Italiana
PREMIOS 1979: Festival de San Sebastián: Mejor actriz (Laura Betti)
GÉNERO Drama | Años 30
SINOPSIS Años treinta: el profesor Heines (un crítico de arte inglés en Toscana con su familia por un período de estudio) se da cuenta de la increible capacidad intelectual de Guido, hijo de un agricultor y huérfano de madre. Estimulado por el estudioso, el chico demuestra un gran talento por la música y, sobre todo, por la matemática. Cuando Heines vuelve a Inglaterra por un corto período de tiempo, Guido es adoptado por la Señora Bondi, propietaria del terreno en el que vive y trabaja el padre del niño. A su regreso Heines sabrá que Guido se ha suicidado por una depresión causada por la vida en la ciudad. (FILMAFFINITY)
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Sinossi
Anni Trenta: il professor Heines (un critico d’arte inglese in Toscana con la sua famiglia per un periodo di studio) intuisce le incredibili capacità intellettuali di Guido, figlio di un contadino e orfano di madre. Stimolato dallo studioso, il bambino dimostra un grande talento per la musica e, soprattutto, per la matematica. Quando Heines torna per un breve periodo in Inghilterra, Guido viene adottato dalla signora Bondi, proprietaria della terra sulla quale vive e lavora il padre del bambino. Al suo ritorno Heines apprenderà che Guido si è suicidato in seguito allo stato di depressione causato dalla vita in città.
Analisi
Prodotto nel 1979 per la RAI, Il piccolo Archimede non è un film incentrato sul tema dell’adozione ma costituisce un documento comunque esemplare al fine di illustrare le differenze tra l’adozione concepita come atto di generosità, rivolto unicamente a dare al bambino condizioni di vita migliori di quelle della famiglia di origine e adozione intesa a garantire, oltre a quanto è essenziale alla mera sopravvivenza, anche e soprattutto un substrato affettivo indispensabile ad una crescita psico-emotiva equilibrata.
Tali atteggiamenti opposti sono incarnati rispettivamente dalla signora Bondi e dal professor Heines, portatori all’interno del film di due visioni altrettanto antitetiche della vita e del mondo che li circonda.
L’intellettuale inglese, studioso e amante dell’arte italiana, un uomo abituato a spostarsi spesso all’estero, avvezzo a sentirsi ospite ovunque vada, ha un approccio nei confronti del luogo nel quale vive di profondo rispetto anche nei confronti di quanto di più umile lo abiti. Anche verso Guido il suo atteggiamento è improntato al medesimo rispetto: Heines, malgrado la vicenda sia ambientata negli anni Trenta, quando le differenze sociali erano ancora molto sentite, permette a suo figlio di giocare con il contadinello e anche quando si reca a parlare con il padre del bambino per tentare di dissuaderlo dal cedere Guido alla signora Bondi si resta colpiti dalla sua grande sensibilità.
Ma la conferma dell’apertura mentale di questo personaggio ci viene dall’atteggiamento assunto all’atto della scoperta delle grandi capacità di Guido: agendo con grande prudenza, l’uomo mette a disposizione del bambino tutto il suo sapere senza tuttavia forzarne le attitudini in una direzione prestabilita, in un atteggiamento di osservazione partecipe e, allo stesso tempo disinteressata, ciò che gli permette di scoprire che alla base dell’inclinazione musicale di Guido c’è un talento forse ancora maggiore per la matematica. Allo stesso modo, di fronte all’annuncio della signora Bondi, interessata ad adottare Guido solo per trarne profitto e prestigio, Heines esprime il dubbio che il bambino, privato dell’affetto paterno e del contatto con la natura, possa soffrirne. La proposta di Heines, dare al padre di Guido il sostegno economico necessario affinché il bambino possa studiare, cade nel vuoto, perché frutto di un’ottica che potremmo definire “ecologica”, troppo all’avanguardia rispetto alla visione rapace e possessiva della sua antagonista.
Emergono con chiarezza due concezioni opposte di adozione, ovvero due metodi diversissimi di far fronte ai problemi dell’infanzia disagiata. Quello di Heines, teso a tutelare e aiutare il più possibile la famiglia d’origine (laddove, ovviamente, non vi siano situazioni di maltrattamento): l’uomo, infatti, compie una vera e propria opera di affido part-time, offrendo a Guido i suoi insegnamenti, il suo affetto e quello della sua famiglia (il bambino gioca anche con il figlio di Heines suo coetaneo). Quello della signora Bondi, una donna di mezza età, priva di figli, che vede nel bambino la compensazione di un suo desiderio di maternità frustrato, è improntato a una concezione dell’adozione tesa a dare un bambino a chi è privo di figli anziché una famiglia a chi ne ha bisogno.
http://www.minori.it/minori/il-piccolo-archimede
Tali atteggiamenti opposti sono incarnati rispettivamente dalla signora Bondi e dal professor Heines, portatori all’interno del film di due visioni altrettanto antitetiche della vita e del mondo che li circonda.
L’intellettuale inglese, studioso e amante dell’arte italiana, un uomo abituato a spostarsi spesso all’estero, avvezzo a sentirsi ospite ovunque vada, ha un approccio nei confronti del luogo nel quale vive di profondo rispetto anche nei confronti di quanto di più umile lo abiti. Anche verso Guido il suo atteggiamento è improntato al medesimo rispetto: Heines, malgrado la vicenda sia ambientata negli anni Trenta, quando le differenze sociali erano ancora molto sentite, permette a suo figlio di giocare con il contadinello e anche quando si reca a parlare con il padre del bambino per tentare di dissuaderlo dal cedere Guido alla signora Bondi si resta colpiti dalla sua grande sensibilità.
Ma la conferma dell’apertura mentale di questo personaggio ci viene dall’atteggiamento assunto all’atto della scoperta delle grandi capacità di Guido: agendo con grande prudenza, l’uomo mette a disposizione del bambino tutto il suo sapere senza tuttavia forzarne le attitudini in una direzione prestabilita, in un atteggiamento di osservazione partecipe e, allo stesso tempo disinteressata, ciò che gli permette di scoprire che alla base dell’inclinazione musicale di Guido c’è un talento forse ancora maggiore per la matematica. Allo stesso modo, di fronte all’annuncio della signora Bondi, interessata ad adottare Guido solo per trarne profitto e prestigio, Heines esprime il dubbio che il bambino, privato dell’affetto paterno e del contatto con la natura, possa soffrirne. La proposta di Heines, dare al padre di Guido il sostegno economico necessario affinché il bambino possa studiare, cade nel vuoto, perché frutto di un’ottica che potremmo definire “ecologica”, troppo all’avanguardia rispetto alla visione rapace e possessiva della sua antagonista.
Emergono con chiarezza due concezioni opposte di adozione, ovvero due metodi diversissimi di far fronte ai problemi dell’infanzia disagiata. Quello di Heines, teso a tutelare e aiutare il più possibile la famiglia d’origine (laddove, ovviamente, non vi siano situazioni di maltrattamento): l’uomo, infatti, compie una vera e propria opera di affido part-time, offrendo a Guido i suoi insegnamenti, il suo affetto e quello della sua famiglia (il bambino gioca anche con il figlio di Heines suo coetaneo). Quello della signora Bondi, una donna di mezza età, priva di figli, che vede nel bambino la compensazione di un suo desiderio di maternità frustrato, è improntato a una concezione dell’adozione tesa a dare un bambino a chi è privo di figli anziché una famiglia a chi ne ha bisogno.
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Gianni Amelio, regista di emigranti e bambini
“Un bambino è il germoglio dell’uomo che diventerà”. Con questa frase, dal valore sineddotico all’interno della sua filmografia, si apre il trailer del nuovo lungometraggio di Gianni Amelio, Il primo uomo, nelle sale italiane dal 20 aprile. Muovendosi tra presente e passato, tra anni Cinquanta e anni Venti, Amelio ci consegna la storia di un uomo che torna bambino e di un bambino che sarà uomo. Premio della critica internazionale all’ultimo Toronto Film Festival e tratto dal romanzo autobiografico di Albert Camus, una pellicola che è simbolo di tutta la sua gloriosa carriera. Ripercorriamola.
Nato a S. Pietro Magisano (Catanzaro) il 20 gennaio 1945, stesso giorno e mese di Federico Fellini (e, ironia del destino, nel 2010 si è aggiudicato il “Premio Federico Fellini 8 ½” per l’eccellenza artistica al Bif&st di Bari), Gianni Amelio si avvicina al cinema negli anni universitari entrando, come critico cinematografico, nella redazione della rivista Giovane Critica. Nel 1965 si trasferisce a Roma e qui riesce a farsi prendere come assistente volontario di Vittorio De Seta per il film Un uomo a metà. Ma è solo l’inizio, perché da quel momento fino al 1969, sarà operatore e aiuto regista in altre 6 pellicole al fianco di nomi illustri come Gianni Puccini e Liliana Cavani.
L’esordio autonomo dietro la macchina da presa è datato 1970, con La fine del gioco, film per la televisione marchiato Rai. Nel 1973 è il momento di La città del sole sulla vita e l’opera di Tommaso Campanella, che gli vale il gran premio al Festival di Thonon, primissimo riconoscimento che farà da apripista ad una serie sterminata di statuette dislocate nella sua appena cominciata, ma lunga, carriera. Partorirà poi, nel 1976, Bertolucci secondo il cinema, ovvero un documentario realizzato sul set di Novecento, poi il thriller Effetti speciali e il giallo La morte al lavoro, meritevole del premio FIPRESCI al Festival di Locarno, oltre al premio speciale della giuria e quello della critica al Festival di Hyères. Nuove statuette giungono nel 1979, quando regala alla televisione Il piccolo Archimede, che fa ottenere a Laura Betti il premio come miglior interprete femminile al Festival di San Sebastian.
L’esordio sul grande schermo risale al 1983 con Colpire al cuore, presentato alla Mostra del cinema di Venezia, a cui segue I ragazzi di via Panisperna, ma soprattutto Porte aperte (1990), che, con uno straordinario Gian Maria Volontè, lo porterà nella lista delle nomination agli Oscar 1991.
Il saccheggio di premi si fa copioso dal 1992, anno in cui, con l’indimenticabile Il ladro di bambini, vince il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Ma Amelio colpisce ancora nel segno nel 1994 con Lamerica, vincitore dell’Osella d’Oro e del Premio Pasinetti come miglior film alla lagunare Mostra del cinema.
Ma sarà il 1998 a scolpirsi forte nella sua e nella nostra memoria: vince infatti il Leone d’Oro con Così ridevano, dove continua la sua attenta, minimalista e anti-retorica analisi dei temi immigrazione/emigrazione. Torna poi acclamato a Venezia negli anni successivi con il toccante Le chiavi di casa (con Kim Rossi Stuart) e La stella che non c’è (2006), che, a cavallo tra documentario e fiction, riprende il tema degli emigranti ispirandosi al romanzo d’ambientazione cinese di Ermanno Rea, La dismissione.
Due quindi i temi dominanti della sua filmografia: la figura dell’immigrato/emigrante e il rapporto adulto-bambino. Due leit motiv, affrontati da molteplici punti di vista, che tornano nuovamente ad affacciarsi nella sua ultima creatura, Il primo uomo.
Infine, ricordiamo che Amelio tra il 1983 e il 1986 ha ricoperto la carica di insegnante di regia al Centro Sperimentale di Roma. E’ stato inoltre membro di giuria a Venezia nel 1992 e a Cannes nel 1995. Dal dicembre 2008 è poi succeduto a Nanni Moretti come direttore del Torino Film Festival.
http://onestoespietato.wordpress.com/2012/04/18/gianni-amelio-regista-di-emigranti-e-bambini/
Nato a S. Pietro Magisano (Catanzaro) il 20 gennaio 1945, stesso giorno e mese di Federico Fellini (e, ironia del destino, nel 2010 si è aggiudicato il “Premio Federico Fellini 8 ½” per l’eccellenza artistica al Bif&st di Bari), Gianni Amelio si avvicina al cinema negli anni universitari entrando, come critico cinematografico, nella redazione della rivista Giovane Critica. Nel 1965 si trasferisce a Roma e qui riesce a farsi prendere come assistente volontario di Vittorio De Seta per il film Un uomo a metà. Ma è solo l’inizio, perché da quel momento fino al 1969, sarà operatore e aiuto regista in altre 6 pellicole al fianco di nomi illustri come Gianni Puccini e Liliana Cavani.
L’esordio autonomo dietro la macchina da presa è datato 1970, con La fine del gioco, film per la televisione marchiato Rai. Nel 1973 è il momento di La città del sole sulla vita e l’opera di Tommaso Campanella, che gli vale il gran premio al Festival di Thonon, primissimo riconoscimento che farà da apripista ad una serie sterminata di statuette dislocate nella sua appena cominciata, ma lunga, carriera. Partorirà poi, nel 1976, Bertolucci secondo il cinema, ovvero un documentario realizzato sul set di Novecento, poi il thriller Effetti speciali e il giallo La morte al lavoro, meritevole del premio FIPRESCI al Festival di Locarno, oltre al premio speciale della giuria e quello della critica al Festival di Hyères. Nuove statuette giungono nel 1979, quando regala alla televisione Il piccolo Archimede, che fa ottenere a Laura Betti il premio come miglior interprete femminile al Festival di San Sebastian.
L’esordio sul grande schermo risale al 1983 con Colpire al cuore, presentato alla Mostra del cinema di Venezia, a cui segue I ragazzi di via Panisperna, ma soprattutto Porte aperte (1990), che, con uno straordinario Gian Maria Volontè, lo porterà nella lista delle nomination agli Oscar 1991.
Il saccheggio di premi si fa copioso dal 1992, anno in cui, con l’indimenticabile Il ladro di bambini, vince il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Ma Amelio colpisce ancora nel segno nel 1994 con Lamerica, vincitore dell’Osella d’Oro e del Premio Pasinetti come miglior film alla lagunare Mostra del cinema.
Ma sarà il 1998 a scolpirsi forte nella sua e nella nostra memoria: vince infatti il Leone d’Oro con Così ridevano, dove continua la sua attenta, minimalista e anti-retorica analisi dei temi immigrazione/emigrazione. Torna poi acclamato a Venezia negli anni successivi con il toccante Le chiavi di casa (con Kim Rossi Stuart) e La stella che non c’è (2006), che, a cavallo tra documentario e fiction, riprende il tema degli emigranti ispirandosi al romanzo d’ambientazione cinese di Ermanno Rea, La dismissione.
Due quindi i temi dominanti della sua filmografia: la figura dell’immigrato/emigrante e il rapporto adulto-bambino. Due leit motiv, affrontati da molteplici punti di vista, che tornano nuovamente ad affacciarsi nella sua ultima creatura, Il primo uomo.
Infine, ricordiamo che Amelio tra il 1983 e il 1986 ha ricoperto la carica di insegnante di regia al Centro Sperimentale di Roma. E’ stato inoltre membro di giuria a Venezia nel 1992 e a Cannes nel 1995. Dal dicembre 2008 è poi succeduto a Nanni Moretti come direttore del Torino Film Festival.
http://onestoespietato.wordpress.com/2012/04/18/gianni-amelio-regista-di-emigranti-e-bambini/
Enlaces fuera de línea, si usted puede volver a ponerlos. Blog única e inimitable. Un amigo
ResponderEliminarCambiados los enlaces.
EliminarCréanme cuando les digo que en Italia hay estimataori tan curioso y obstinado como tú de cine italiano. La multiplicidad de voces y opiniones sobre las obras presentadas es sin duda el aspecto más prestigioso y valioso culturalmente de tu blog propuesta, única en la web. Siempre agradecido. Un amigo.
Eliminara little re-up for a fan?
ResponderEliminarthanks
absolute thanks!!
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