TÍTULO ORIGINAL Il segreto del bosco vecchio
AÑO 1993
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Inglès (Separados)
DURACIÓN 134 min.
DIRECTOR Ermanno Olmi
GUIÓN Ermanno Olmi (Historia: Dino Buzzati)
MÚSICA Franco Piersanti
FOTOGRAFÍA Dante Spinotti
MONTAJE Fabio Olmi, Paolo Cottignola
REPARTO Paolo Villaggio, Giulio Brogi, Riccardo Zannantonio, Lino Pais Marden, Silvano Cetta, Luciano Zandonella, Omero Antonutti
PRODUCTORA Mario e Vittorio Cecchi Gori para Penta Film, Roberto Cicutto e Vincenzo De Leo para Aura Film
PREMIOS 1993: Premios David di Donatello: Mejor fotografía. 2 nominaciones
GÉNERO Fantástico | Cine familiar
SINOPSIS (Finta) Poesia fantastica del raccontino di Dino Buzzati e del suo colonnello in pensione Sebastiano Procolo che per avidità vuole tagliare gli alberi del "bosco vecchio" e uccidere il nipotino Benvenuto che una volta diventato adulto dovrà ereditare tutto. (Coming Soon)
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Subtítulos (Inglés)
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CRITICA
"Cos'è che non funziona in un film di così ardita concezione, di così raffinata fattura? Dopo essermi arrovellato per settimane sul problema, penso di essere arrivato alla spiegazione del perchè ciò che sulla pagina di Buzzati zompa e vola, sullo schermo si blocca in un'immagine tutto sommato indigesta. In un racconto fiabesco un animale che parla è un'evocazione ritualmente prodotta da una serie di vocaboli messi in fila; e se l'autore l'ha fatto con talento come nel nostro caso, non c'è dubbio: nel cerchio magico della narrazione gli animali parlano. Sullo schermo il gioco si può imitare - aduggiato quasi sempre da tentazioni caricaturali - nei disegni animati; ma girando dal vero, come nel caso di Olmi che ha le sue radici ben piantate nel neorealismo, una gazza è una gazza, un ragno è un ragno, un topo è un topo. Con sovrapposte le voci dei doppiatori che si sforzano di immaginare come parlerebbero una gazza, un ragno, un topo, non a caso nel film l'unica voce non umana alla quale ci si abbandona con piena fiducia è quella biblica di Omero Antonutti che recita le parole del vento Matteo; e proprio perchè è invisibile. Come in letteratura talvolta vince ciò che non è scritto, nel cinema vince ciò che non si vede."
(Il Corriere della Sera, Tullio Kezich, 06/10/93)
"E' difficile trovare qualcuno con cui andare a vedere 'Il segreto del bosco vecchio', e infatti i dati d'incasso confermano l'infelice riuscita commerciale del film. Le favole ecologiche, in questo fine millennio che pur ha visto l'uomo deturpare la natura nel tentativo di piegarla ai suoi voraci voleri, non vanno proprio di moda. Nel caso di Olmi, poi, sembra incidere una certa vocazione cattolica dell'uomo: nel suo cinema recente si riflette l'amore per le parabole esemplari, il candore infantile, i dialoghi edificanti. Non a caso il regista bergamasco è alle prese con la visione televisiva della Genesi che si sta girando in Tunisia auspice l'immarcescibile Ettore Bernabei. Passato fuori concorso a Venezia, Il segreto del bosco vecchio è un film ispirato e irrisolto: troppo lungo per essere una fiaba (oltre due ore), talvolta ridicolo nella scelta di rispettare alla lettera il bel racconto omonimo di Dino Buzzati (1935). Dove gli animali parlano, in un'atmosfera panteistico-antropomorfa che sulla pagina funziona magicamente e sullo schermo risulta quasi disneyana (quelle vocine infantili e melense). D'altro canto, è lo stesso Olmi a scrivere sul volume Nel bosco vecchio di Giovanni Cenacchi (Nuove Edizioni Dolomite) "Quante volte i miei figli, quand'erano piccoli, mi chiedevano: "Ma quand'è che fai un bel cartone animato?"."
(L'Unità, Michele Anselmi, 06/10/93)
(L'Unità, Michele Anselmi, 06/10/93)
"Ermanno Olmi ha, fra molti talenti, un talento speciale, già notato nel suo bellissimo film sul Po, "Lungo il fiume": sa filmare la Natura (qui le foreste, le montagne e il paesaggio delle Dolomiti) dando allo spettatore l'emozione di una scoperta; come fosse la prima volta, ogni immagine precedente sembra cancellarsi; ogni estetismo, sentimentalismo o melensaggine è spazzato via dalla sua visione forte, alta. Qui, come in tutto il cinema di Olmi, la bellezza naturale non è affatto insignificante: "Il segreto del bosco vecchio", non poetico, ma ideologico, non contemplativo, ma ricco d'energia, magnificamente fotografato da Dante Spinotti, al di là del racconto fiabesco è quasi un pamphlet che pretende una nuova forma di rapporto con la Natura, armoniosa, partecipe e non utilitaristica. Il ritmo è quello dell'esplorazione, calmo, curioso, paziente, e chiede allo spettatore d'abbandonarsi alle immagini, d'immergersi nel film durante due ore e un quarto. Come tutti gli altri esseri umani, Paolo Villaggio, un cattivo rotondo triste come la smania di possesso, è rappresentato alla maniera stilizzata, ingenua e buffa delle illustrazioni dei libri per l'infanzia dell'inizio del secolo: l'unica persona realistica e autentica è il bambino, certo non per caso."
(La Stampa, Lietta Tornabuoni, 02/10/93)"
(La Stampa, Lietta Tornabuoni, 02/10/93)"
Ermanno Olmi e l’ecologia. Sulle orme di un racconto di Dino Buzzati che già nel ‘35, non conoscendola, l’anticipava, dando spazio, comunque, soprattutto alla favola: a una favola per bambini in cui poter coinvolgere anche gli adulti. Eccoci nel Bosco Vecchio. Lo ha ereditato, quando ancora c’era il Regno d’Italia, un colonnello del Regio Esercito, Sebastiano Procolo, che, per occuparsene, ha dato le dimissioni. Non lo ha ereditato solo lui, però, anzi, il vero erede è un bambino, Benvenuto, suo nipote, di cui adesso è diventato il tutore. Ma Procolo, nonostante l’eredità sia legata a un comandamento preciso, non tagliare un solo albero della proprietà e soprattutto quelli, leggendari e mai toccati, del Bosco Vecchio, pensa subito di abbattere gran parte della foresta per costruirvi in mezzo delle strade che gli faciliteranno il trasporto del legname e, visto che il bambino diventa presta un ostacolo al suo piano – non solo per i suoi diritti ma per un suo sviscerato amore per gli alberi – pensa di eliminare anche lui, senza scrupoli. Se ne pentirà troppo tardi ma, per una sorta di nemesi, finirà per lasciarsi morire sotto la neve, quasi trasformato in uno di quegli alberi che intendeva distruggere. Perché la favola? Perché in Buzzati (e in Olmi) la natura ha un’anima, tanto che, in difesa degli alberi ci sono delle Guardie forestali in cui si nascondono delle creature non terrestri, mentre attorno gli uccelli parlano e il vento l’invisibile ma onnipresente Vento Matteo –canta, ammonisce, emette suoni musicali. Il bambino, come tutti i bambini, trova tutto questo naturale, il colonnello, passato il primo stupore, non si perita di far fronte al “miracolo” con tutta l’egoistica cattiveria che lo distingue, opponendosi con asprezza ai suoi inattesi interlocutori: fino alla sua cupa conversione. Una materia difficile. Sulla pagina scritta scorreva via con fluidità straordinaria, arrivando sempre all’impalpabile poesia dei testi di Buzzati, portata su uno schermo, sia pure ad opera di un poeta come Olmi, stenta un po’ a raggiungere risultati davvero compiuti sul piano stilistico. Ci sono comunque nel film dei punti di forza: intanto, all’inizio, la descrizione della vita militare dei Trenta che Olmi, pur con apparenti tocchi realistici, ha trasformato quasi in una rappresentazione mediata attraverso le strisce del vecchio Corriere dei Piccoli, con omini e figurine, dettagli minimi, colori effusi, cifre volutamente infantili (ma non ingenue); poi la rappresentazione della natura, una zona dolomitica in cui le montagne ma soprattutto gli alberi, seguiti attraverso il variare continuo delle stagioni, riescono a raggiungere una loro poetica autonomia di personaggi, proposti da immagini che, quelle sì, non hanno bisogno della parola per farci ascoltare, capire, sentire. Quando invece interviene la parola vera – per dar voce agli animali ed al vento – l’intensità del lirismo si attenua, il ricordo facile dei cartoons di Walt Disney si insinua tra le pieghe di quella favola che, invece, vorrebbe essere sempre “alta” e molti climi si smorzano, anche perché il racconto, anziché tendere alla concentrazione, si diluisce fino a risultare ripetitivo: nei concetti e negli effetti. La sua portata morale, comunque, molto più a livello di meditazione interiore che non di semplice messaggio, mantiene egualmente la sua forza. Vi concorrono delle tecniche finissime e l’interpretazione spesso un po’ torva di Paolo Villaggio, un colonnello dai modi bruschi uscito fuori non solo dal Corriere dei Piccoli ma da un disegno di Beltrame, solo qua e là un po’ impacciato quando è costretto a colloquiare con gli animali. Il Bambino è Riccardo Zannatonio, il misterioso custode del bosco è Giulio Brogi. Fra le “voci”, la più bella è quella di Omero Antonutti, che è il Vento Matteo.
(Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 2 ottobre 1993)
(Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 2 ottobre 1993)
Olmi parla del suo film "Il segreto del Bosco Vecchio". Ermanno Olmi e Milano, Ermanno Olmi e il bosco vecchio, Ermanno Olmi e il cinema. Sorride pensieroso il regista. Un po' nascosto dietro le lenti degli occhiali: i capelli sale e pepe, il sorriso gentile. "Sono bergamasco e montanaro – dice – e ogni nuovo film è una montagna da scalare. È vero, vivo tra i boschi. Ma Milano è sempre stata "la mia città d’elezione" e mi rende felice il fatto che i film della Mostra vengano proiettati dove ho tanto vissuto. Se apro il baule dei ricordi milanesi resteremo qui per giorni e, forse, non riuscirò più a vincere la paura dell’aereo, che invece sto sconfiggendo perché mi aspettano in Marocco le riprese dell’episodio che dirigerò per "La Bibbia". E, allora, parliamo subito del suo "Il segreto del bosco vecchio". "É un film che non voglio raccontare: vive di inquadrature, lame di luce tra gli alberi, rapporti con la natura. E, alla fine, c’è la morte: una morte dolce con la quale il protagonista Paolo Villaggio lascia la sua terra. È stato bello girare nella foresta di Somadida, nel Cadore. Sì, lo so. Qualcuno forse pensa: ma come, con tutto quello che sta accadendo nel mondo, con Tangentopoli che ci obbliga a una presa di coscienza morale, individuale, Olmi gira una favola di Buzzati?! Sì: da tempo prediligo la metafora delle favole. Sotto la crosta gelata scorre l’acqua, la vita. Basta saperla leggere, saperla ritrovare. Quando i miei figli erano bambini mi chiedevano: "Ma quand’è che fai un bel cartone animato?" Le mie favole sono come cartoni animati dentro la realtà – Ecco la prima cosa che voglio dire ai milanesi. Vorrei che il mio film potesse aiutare a vivere con coraggio, con speranza. Ci sono giorni in cui la realtà nella quale viviamo ci appare, e molto spesso lo è davvero, assurda e ingovernabile. Ci fa paura questa realtà sempre più tentacolare. Bisogna riprendere i gesti abituali: la metropolitana, la spesa da fare, i bambini da accompagnare a scuola, i conti da far tornare. E io ho regalato a tutti, con il cuore, un po’ della fantasia di Buzzati". E questa storia come può aiutare? "C’è un cavaliere – racconta Olmi – che abbandona questa nostra terra. Lascia una parte del grande bosco di sua proprietà al pronipote, il piccolo Benvenuto Procolo, e la casa e il lotto di bosco più segreto al nipote colonnello Sebastiano. A patto che lui si congedi dalla vita militare. E Villaggio Procolo compie davvero questa scelta e se ne va a vivere nella foresta dai mille incanti. Imparerà con molte asperità a convivere con i folletti e l’anima del Bosco vecchio, sarà geloso di quel bambino, erede come lui, che ha con la natura una comunione naturale, quasi panteistica. Proprio come se la natura e tutto il suo universo fossero con spontaneità riconciliati con Dio. Io sono cristiano, non scriva cattolico: questo mio film lo è profondamente. Anche nel suo finale, che è l’accettazione di una morte naturale, serena. Non si guarisce da un giorno all’altro, bensì progressivamente. Non si muore da un giorno all’altro, ma progressivamente. Quale frase vorrei dire agli spettatori di Milano che vedranno il film? Mi vengono in mente alcune parole di Alice Walker: "Cercando il giardino di mia madre ho trovato il mio".
(Giovanna Grassi, Il Corriere della Sera, 8 settembre 1993)
(Giovanna Grassi, Il Corriere della Sera, 8 settembre 1993)
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Il segreto del bosco vecchio è un delizioso, piccolo film tratto dall’omonimo racconto dello scrittore Dino Buzzati (che tanto tedio mi provocò in tempi ormai lontani con il suo Deserto dei tartari…), un inno non solo alla natura, ma anche alla pazienza, alla calma, ad un ritmo di vita quasi antico. La vicenda, surreale e poetica, si snoda attraverso vari microepisodi, durante i quali il gretto e avido colonnello Procolo, magistralmente interpretato da Paolo Villaggio, si scontra con i geni degli alberi e gli animali del Bosco Vecchio; e mentre sembra che, ad ogni scontro, il colonnello abbia la meglio e riesca a portare avanti la sua intenzione di sfruttare economicamente il bosco distruggendolo, a poco a poco invece si comprende come la Natura, seguendo i propri ritmi, riesca ad insinuarsi nel cuore e nell’animo del vecchio, modificandone l’indole fino a renderla più umana. Nel film si alternano, quindi, alcuni momenti divertenti come l’inizio, quando il maggiordomo illustra a Procolo le qualità della gazza sentinella, e molte sequenze commoventi, come il “funerale” per l’albero caduto o il momento in cui l’ombra del Colonnello, disgustata dal comportamento del suo padrone, decide di abbandonarlo per sempre, lasciandolo solo con la sua meschinità e i suoi intenti omicidi nei confronti del nipote.
Passando alla realizzazione, Il segreto del bosco vecchio patisce un alternarsi di “stili” che purtroppo appesantiscono la visione del film. Infatti, ad alcune sequenze evocative e poetiche, come quella del concerto del Vento Matteo, la liberazione delle farfalle in mezzo al bosco, la terribile immagine dei bruchi che, con un incessante rumore di piccolissime mascelle, uccidono il cuore stesso della foresta, si alterna un girato piatto e quasi documentaristico, con la macchina da presa che indugia fissa sugli animali parlanti o su vari elementi “simbolici” come la statua in legno del precedente proprietario del Bosco. Altra cosa disturbante, almeno per me che ero già rimasta traumatizzata dalla visione de L'Albero degli zoccoli, è la recitazione a tratti dilettantesca della maggior parte degli attori coinvolti, a partire da quel povero bambino inespressivo, resa ancora peggiore dal pesantissimo accento regionale che rende alcuni dialoghi incomprensibili (giuro, quando il pargolo chiamava “Zio!!” io capivo Dio. Ho detto tutto…). Per fortuna il protagonista è Villaggio, adattissimo nel ruolo tormentato e ambivalente del Colonnello Procolo, inoltre anche i doppiatori degli animali parlanti e del vento sono molto bravi. Riassumendo, Il segreto del bosco vecchio è un film che consiglio di vedere, a patto di accettarne limiti e difetti, soprattutto a chi volesse rifugiarsi nella semplicità di un cinema dal sapore quasi antico.
http://bollalmanacco.blogspot.com.ar/2012/04/bollalmanacco-on-demand-il-segreto-del.html
Il segreto del bosco vecchio è un delizioso, piccolo film tratto dall’omonimo racconto dello scrittore Dino Buzzati (che tanto tedio mi provocò in tempi ormai lontani con il suo Deserto dei tartari…), un inno non solo alla natura, ma anche alla pazienza, alla calma, ad un ritmo di vita quasi antico. La vicenda, surreale e poetica, si snoda attraverso vari microepisodi, durante i quali il gretto e avido colonnello Procolo, magistralmente interpretato da Paolo Villaggio, si scontra con i geni degli alberi e gli animali del Bosco Vecchio; e mentre sembra che, ad ogni scontro, il colonnello abbia la meglio e riesca a portare avanti la sua intenzione di sfruttare economicamente il bosco distruggendolo, a poco a poco invece si comprende come la Natura, seguendo i propri ritmi, riesca ad insinuarsi nel cuore e nell’animo del vecchio, modificandone l’indole fino a renderla più umana. Nel film si alternano, quindi, alcuni momenti divertenti come l’inizio, quando il maggiordomo illustra a Procolo le qualità della gazza sentinella, e molte sequenze commoventi, come il “funerale” per l’albero caduto o il momento in cui l’ombra del Colonnello, disgustata dal comportamento del suo padrone, decide di abbandonarlo per sempre, lasciandolo solo con la sua meschinità e i suoi intenti omicidi nei confronti del nipote.
Passando alla realizzazione, Il segreto del bosco vecchio patisce un alternarsi di “stili” che purtroppo appesantiscono la visione del film. Infatti, ad alcune sequenze evocative e poetiche, come quella del concerto del Vento Matteo, la liberazione delle farfalle in mezzo al bosco, la terribile immagine dei bruchi che, con un incessante rumore di piccolissime mascelle, uccidono il cuore stesso della foresta, si alterna un girato piatto e quasi documentaristico, con la macchina da presa che indugia fissa sugli animali parlanti o su vari elementi “simbolici” come la statua in legno del precedente proprietario del Bosco. Altra cosa disturbante, almeno per me che ero già rimasta traumatizzata dalla visione de L'Albero degli zoccoli, è la recitazione a tratti dilettantesca della maggior parte degli attori coinvolti, a partire da quel povero bambino inespressivo, resa ancora peggiore dal pesantissimo accento regionale che rende alcuni dialoghi incomprensibili (giuro, quando il pargolo chiamava “Zio!!” io capivo Dio. Ho detto tutto…). Per fortuna il protagonista è Villaggio, adattissimo nel ruolo tormentato e ambivalente del Colonnello Procolo, inoltre anche i doppiatori degli animali parlanti e del vento sono molto bravi. Riassumendo, Il segreto del bosco vecchio è un film che consiglio di vedere, a patto di accettarne limiti e difetti, soprattutto a chi volesse rifugiarsi nella semplicità di un cinema dal sapore quasi antico.
http://bollalmanacco.blogspot.com.ar/2012/04/bollalmanacco-on-demand-il-segreto-del.html
Il segreto del bosco vecchio di Dino Buzzati
Dino Buzzati (Belluno 1906 - Milano 1972), scrittore e giornalista del Corriere della Sera - giornale con il quale collaborò fino alla morte.
I primi romanzi risalgono agli inizi degli anni 30, "Barnabò delle montagne" (1933) e "Il segreto del bosco vecchio" (1935), cui è seguito "Il deserto dei Tartari" (1940).
"Il segreto del bosco vecchio" è un romanzo semplice e fantastico, un inno all'infanzia che solo chi ha un'animo sensibile e non ha dimenticato di essere stato bambino - con tutto quello che ne deriva - può comprendere ed apprezzare.
Protagonista è il colonnello Sebastiano Procolo, che eredita dallo zio Antonio Morro parte delle sue tenute della Valle di Fondo, il cosiddetto "Bosco vecchio", mentre il resto è stato lasciato al nipote dodicenne di Sebastiano, Benvenuto, figlio di un fratello deceduto da tempo, che vive in un collegio non molto distante da Fondo.
Ben presto l'avidità del colonnello lo spingerà a desiderare l'intero bosco per poterne sfruttare appieno le potenzialità e abbattere tutti gli alberi.
Il bosco è abitato da una serie di geni, custodi degli alberi - che possono magicamente trasformarsi in animali o in uomini- che iniziano ad agitarsi quando capiscono le reali intenzioni del Procolo. Il Genio Bernardi, una specie di capo dei folletti, si reca allora da lui per cercare di farlo ragionare, ma inutilmente; decide quindi di ricorrere a Vento Matteo, un vento così dannoso che per punizione fu esiliato anni or sono in una caverna. Prima di lui però arriva il colonnello, che libera il vento aggiudicandosi la sua gratitudine eterna, e credendo di poterlo sfruttare a suo favore.
Sebastiano Procolo cercherà più volte di uccidere il nipote inutilmente, mentre vicende alterne si susseguono all'interno del bosco (depredato ad es. da un esercito di cavallette, che il vento Matteo riuscirà dopo varie difficoltà a cacciare), e quando Benvenuto, molto malato, sembrerà davvero in punto di morte, tutto il Bosco si coalizzerà contro il colonnello -che verrà abbandonato persino dalla propria ombra- costringendolo ad un grosso esame di coscienza che lo poterà ad un abbattimento morale, e realizzare quanto bene vuole a suo nipote.
Ma sarà troppo tardi. Il vento Matteo, all'oscuro del cambiamento interno avvenuto, farà credere al colonnello che suo nipote è morto, vittima di una slavina, e il colonnello recandosi immediatamente sul luogo dell'incidente, morirà di freddo, riconciliato con il mondo e con la propria anima, e sarà accompagnato dai propri compagni d'armi fino in cielo.
Nelle stessa notte, il Vento Matteo andrà a trovare Benvenuto, raccontandogli che suo zio è morto da gran signore, e dandogli l'addio: sa che crescendo nemmeno lui potrebbe più essere in grado di ascoltare la sua voce, né quella degli altri abitanti del bosco.
I primi romanzi risalgono agli inizi degli anni 30, "Barnabò delle montagne" (1933) e "Il segreto del bosco vecchio" (1935), cui è seguito "Il deserto dei Tartari" (1940).
"Il segreto del bosco vecchio" è un romanzo semplice e fantastico, un inno all'infanzia che solo chi ha un'animo sensibile e non ha dimenticato di essere stato bambino - con tutto quello che ne deriva - può comprendere ed apprezzare.
Protagonista è il colonnello Sebastiano Procolo, che eredita dallo zio Antonio Morro parte delle sue tenute della Valle di Fondo, il cosiddetto "Bosco vecchio", mentre il resto è stato lasciato al nipote dodicenne di Sebastiano, Benvenuto, figlio di un fratello deceduto da tempo, che vive in un collegio non molto distante da Fondo.
Ben presto l'avidità del colonnello lo spingerà a desiderare l'intero bosco per poterne sfruttare appieno le potenzialità e abbattere tutti gli alberi.
Il bosco è abitato da una serie di geni, custodi degli alberi - che possono magicamente trasformarsi in animali o in uomini- che iniziano ad agitarsi quando capiscono le reali intenzioni del Procolo. Il Genio Bernardi, una specie di capo dei folletti, si reca allora da lui per cercare di farlo ragionare, ma inutilmente; decide quindi di ricorrere a Vento Matteo, un vento così dannoso che per punizione fu esiliato anni or sono in una caverna. Prima di lui però arriva il colonnello, che libera il vento aggiudicandosi la sua gratitudine eterna, e credendo di poterlo sfruttare a suo favore.
Sebastiano Procolo cercherà più volte di uccidere il nipote inutilmente, mentre vicende alterne si susseguono all'interno del bosco (depredato ad es. da un esercito di cavallette, che il vento Matteo riuscirà dopo varie difficoltà a cacciare), e quando Benvenuto, molto malato, sembrerà davvero in punto di morte, tutto il Bosco si coalizzerà contro il colonnello -che verrà abbandonato persino dalla propria ombra- costringendolo ad un grosso esame di coscienza che lo poterà ad un abbattimento morale, e realizzare quanto bene vuole a suo nipote.
Ma sarà troppo tardi. Il vento Matteo, all'oscuro del cambiamento interno avvenuto, farà credere al colonnello che suo nipote è morto, vittima di una slavina, e il colonnello recandosi immediatamente sul luogo dell'incidente, morirà di freddo, riconciliato con il mondo e con la propria anima, e sarà accompagnato dai propri compagni d'armi fino in cielo.
Nelle stessa notte, il Vento Matteo andrà a trovare Benvenuto, raccontandogli che suo zio è morto da gran signore, e dandogli l'addio: sa che crescendo nemmeno lui potrebbe più essere in grado di ascoltare la sua voce, né quella degli altri abitanti del bosco.
"In certe notti serene, con la luna grande, si fa festa nei boschi. È impossibile stabilire precisamente quando, e non ci sono sintomi appariscenti che ne diano preavviso. Lo si capisce da qualcosa di speciale che in quelle occasioni c'è nell'atmosfera. Molti uomini, la maggioranza anzi, non se ne accorgono mai. Altri invece l'avvertono subito. Non c'è niente da insegnare in proposito. E' questione di sensibilità: alcuni la posseggono di natura; altri non l'avranno mai, e passeranno impassibili, in quelle notti fortunate, lungo le tenebrose foreste, senza neppur sospettare ciò che là dentro succede."
(Nota di Dino Buzzati ne Il segreto del bosco vecchio, 1935)
Da questa bellissima favola, è stato tratto un film nel 1993, per la regia di Ermanno Olmi ed interpretato da Paolo Villaggio.
Muchas gracias por la inclusión de mi crítica!
ResponderEliminar^__^
Il segreto del bosco vecchio es un film muy bueno, existe doblado en espanol?
Hasta luego!