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miércoles, 19 de junio de 2013

L'uomo che ama - Maria Sole Tognazzi (2008)



TITULO ORIGINAL 
L'uomo che ama
AÑO 
2008
IDIOMA 
Italiano
SUBTITULOS 
Español e inglés (Separados)
DURACION 
103 min.
DIRECCION 
Maria Sole Tognazzi
GUION 
Maria Sole Tognazzi, Ivan Cotroneo
MUSICA 
Carmen Consoli
FOTOGRAFIA 
Arnaldo Catinari
REPARTO 
Pierfrancesco Favino, Monica Bellucci, Kseniya Rappoport, Marisa Paredes, Piera Degli Esposti, Arnaldo Ninchi, Michele Alhaique
PRODUCTORA 
Bianca Film
GENERO 
Drama

Sinópsis
¿Qué siente un hombre cuándo lo abandona la mujer a la que ama? ¿Y qué sucede cuando ese mismo hombre descubre que ya no está enamorado y decide poner fin a una relación? El amor del que habla el filme, el de Robert, es un amor absoluto, de los que le rompen a uno el corazón o le llenan la vida de alegría. Una película adulta sobre el amor que habla de la pasión desde el punto de vista de un hombre. El hombre que abandona y es abandonado se convierte en perseguidor y más tarde en víctima. (FILMAFFINITY)
 
Premios
2008: Premios David di Donatello: Nominada Mejor canción original
 
2 


L'amaro fardello

Un film italiano, tra i molti presenti nella selezione operata dai responsabili del Festival Internazionale del Film di Roma, "doveva", dopo le varie dichiarazioni di autarchia susseguitesi negli ultimi tempi, aprire obbligatoriamente la kermesse cinematografica romana. La scelta, non sappiamo da quali criteri dettata, è caduta su L'uomo che ama, seconda regia di Maria Sole Tognazzi a ben cinque anni di distanza dall'esile ma abbastanza sincero Passato prossimo. Ebbene, se l'opera prima della figlia del mai dimenticato Ugo lasciava presagire almeno un tocco lieve nel fotografare i sentimenti della sua generazione, ne L'uomo che ama si nota solo la pesantezza di chi vuole descrivere il sentimento amoroso utilizzando la scorciatoia del luogo comune piuttosto che la descrizione compatta di personaggi per forza di cose da cesellare per donare loro vita autonoma sul grande schermo. Compito evidentemente troppo arduo per la trentasettenne regista.
La storia è raccontata, in apparenza un po' sorprendentemente, dal punto di vista maschile. Roberto (un Pierfrancesco Favino, altrove molto più efficace, nella circostanza con recitazione da "pilota automatico") è un farmacista dalla vita sentimentale tormentata; ama disperatamente Sara (la bella attrice russa Ksenia Rappoport de La sconosciuta di Giuseppe Tornatore) ma non esita a troncare con Alba (Monica Bellucci, qui, non per colpa sua, purtroppo solo uno straordinario corpo come agli inizi di carriera) per cercare nuove strade, in un confuso mescolamento di tempi narrativi che vorrebbe dimostrare la scontata massima secondo la quale chi fa soffrire per amore prima o poi soffrirà lui stesso. In più non poteva mancare un illuminante incontro con la morte, tramite una malattia cardiaca che colpisce il fratello omosessuale del protagonista, per far comprendere meglio a Roberto ed a tutti noi che ci sono problematiche benpiù importanti delle pene d'amor perduto. Il tutto, come si può notare, molto costruito a tavolino, senza la minima intenzione di infiammare di cinema e passione l'intera vicenda.
Qual'è allora il peccato originale che avvicina pericolosamente L'uomo che ama ad una qualsiasi fiction propinataci all'ora di cena da una delle due emittenti generaliste italiche? Il film della Tognazzi non affronta il come si arriva ad un determinato evento, che può essere l'innamoramento o la triste fine di un rapporto; semplicemente si limita a mettere in scena il solo "fatale momento", quando i partners si dicono ti amo oppure si annunciano con rabbia e dolore che è finita. In breve risulta totalmente assente quel background di vita vissuta in grado, come si accennava in precedenza, di rendere di carne e sangue i vari personaggi, qui ridotti a semplici burattini di una scontata teoria sulla cattiveria intrinseca che si annida in ogni persona che affronta una storia d'amore.
Ignoriamo -ed in verità la cosa nemmeno ci interessa più di tanto- se la Tognazzi abbia voluto con questa pellicola togliersi, come si suol dire, qualche sassolino dalla scarpa descrivendo il maschio come insicuro e fragile in maniera assai maggiore della sua “altra metà”; resta il fatto che L'uomo che ama resta complessivamente un'opera inerte, prigioniera delle sue stesse intenzioni “alte” ma penalizzata da un'evidente inadeguatezza ad esprimerle, con una regia che nei momenti topici di cui sopra sistematicamente si rifugia nei primi piani dei suoi attori. Belli senza dubbio, bravi in altre occasioni ma qui abbandonati a loro stessi per manifesta incapacità di guardare la vera vita ad occhio nudo, senza la lente deformante della semplificazione spettacolare a tutti i costi.
Daniele De Angelis (14-10-2008)
http://www.cineclandestino.it/it/film-in-sala/2008/l-uomo-che-ama.html

Roberto, un uomo sui quaranta che lavora come farmacista a Torino, vive una torrida passione con Sara, vicedirettrice di un albergo in centro e reduce da un'altra storia, finita malamente. Rapido com'è arrivato, però, l'amore della donna per lui se ne va, lasciandolo in preda a un dolore lancinante che non gli dà requie. Anche le esistenze delle persone che lo circondano non sono immuni dalla pena: la dottoressa con cui lavora è stata lasciata dal marito 2 anni prima e non sa ancora farsene una ragione; suo fratello Carlo, che sembra vivere una stabile relazione omosessuale, scopre d'avere una malformazione cardiaca per la quale deve affrontare un rischioso intervento. D'altronde, dopo 3 anni di convivenza, tocca a Roberto d'esser la parte della coppia che abbandona: a rimanere sola è Alba, curatrice d'allestimenti d'una galleria d'arte contemporanea, con la quale egli ha, invano, tentato di avere un figlio. Alla fine, una nuova avventura del cuore pare prospettarsi per il nostro: chissà stavolta quali saranno gli esiti... "Mi stava a cuore realizzar un film adulto sull'amore, una storia che parlasse di sentimenti in maniera spudorata, asciutta, diretta ed avesse i ritmi e le regole della vita. Contavo su un racconto senza retorica, puntavo ad un intimismo realistico, duro e dolce insieme, riflettendo sul tipo di dolore che si prova quando sei abbandonato e quando decidi di andar via": così descrive le proprie intenzioni la regista Maria Sole Tognazzi, al suo secondo lungometraggio dopo un silenzio durato oltre un lustro. L'argomento non è banale né con frequenza affrontato dal cinema: la fragilità maschile resta fra parentesi, quasi una particolare sensibilità nelle cose d'amore possa caratterizzare solo l'universo muliebre. Qui, con l'ausilio d'un cast adeguato (Favino su tutti), la cineasta si muove con la delicatezza del caso: e la bella colonna sonora di Carmen Consoli aggiunge delicati arabeschi al tessuto narrativo. A non far della pellicola una piena riuscita, concorre l'imperfetta definizione di taluni personaggi (in particolare Alba, figuretta improbabile resa con incertezza da Monica Bellucci) e la prevedibile circolarità della vicenda, oltre ad un eccesso di tipicità nello svolgimento di certe situazioni (si veda il rapporto tra i due fratelli ed i loro genitori). In ogni caso, un oggetto come si diceva desueto nel panorama monocorde della celluloide indigena.
Francesco Troiano
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=tognazzi_uomocheama

A parte che se avessi dato io il titolo a questo film lo avrei chiamato "L’uomo che si strugge e si distrugge", la cosa che mi ha colpito … anzi le cose che mi hanno colpito sono tre.

1. La prima – le ancronie usate in modo a-tipico
Sicuramente la qualità migliore del film risiede nel tentativo di definire una struttura narrativa filmica atipica.
Vi ho già tediato abbastanza con le lezioni di Geradrd Genette sulle anacronie. Ma come si dice repetita iuvant.
1.1 Portata e ampiezza delle anacronie
Genette distingue tra la "portata" di un’anacronia e la sua "ampiezza".
La portata è l’intervallo di tempo tra l’adesso, anticipato o retrospettivo, e l’inizio dell’anacronia, l’ampiezza è invece la durata dell’anacronia stessa. Vi sono, inoltre, mezzi differenti per congiungere l’anacronia con la storia che procede. Mezzi "interni", mezzi "esterni" e mezzi "misti".
In un anacronia "esterna", inizio e fine si verificano prima dell’adesso, una anacronia "interna" inizia dopo l’adesso, ed infine un’anacronia "mista" inizia prima e finisce dopo l’adesso.
Le anacronie interne possono, inoltre, distinguersi in quelle che non interferiscono con la storia interrotta ("etereodiegetiche") e quelle che invece interferiscono ("omodiegetiche"). In questo ultimo caso si può distinguere tra anacronie "completive" e "iterative".
Le anacronie "completive" riempiono lacune passate o future. Quelle future possono essere, a loro volta, ellissi dirette o "frontali", o ellissi "laterali" o paraellissi, in cui le omissioni non riguardano gli eventi che si verificano, ma piuttosto gli elementi di una situazione di fatto.
Le anacronie "iterative", viceversa, ripetono quanto è già stato detto, in quanto il racconto torna apertamente ed esplicitamente sui propri passi, sebbene con un diverso modo di vedere gli eventi. Espediente che è divenuto familiare nel cinema dopo Ejzenststejn.
Infine la terza possibile categoria di relazione è quella che Genette definisce ellissi o figura parallela. La stessa non concede alcuna relazione crono-logica (anche inversa) tra storia e discorso. L’associazione è o casuale o basata su principi di organizzazione appropriata ad altri tipi di testi – vicinanza spaziale, logica, discorsiva, tematica.
Nel film di Maria Sole Tognazzi la regista azzarda un linguaggio anacronico che mentre conduce in avanti nel tempo la narrazione per lo spettatore, intende, al contrario, condurre, nello stesso tempo, all’indietro la narrazione degli eventi, come mi piace, con buona pace di chi mi critica, definire la storia.
La cosa di per se, intendiamoci, non è né è nuova né, quindi, originale.
Ci sono pellicole come "Memento di Christopher Nolan" – (2000), ad esempio, in cui la giustificazione drammaturgica di tale accorgimento era abbondantemente assai più giustificata, dalla particolare malattia di amnesie di cui soffriva Guy Pearce  …  Leonard Shelby. Ricorderete la frase "Non riesco a ricordarmi che ti devo dimenticare" [Leonard Shelby].
Ma diciamo che, sotto il profilo della storia e del discorso, altrimenti eccessivamente melenso sotto ogni punto di vista, questo vezzo, che tende peraltro, a nostro avviso, più a dimostrare l’idea di possedere cognizioni di screenplay, piuttosto che di provare di saperle applicarle con adeguata maestria, lo possiamo segnalare come elemento degno di nota.

2. La seconda – la recitazione di Pierfrancesco Favino
Sotto il profilo della resa attoriale, mentre registriamo un netto calo di un’attrice che ci era piaciuta al suo esordio, la russa proveniente dalla ella scuola teatrale, Xenia Rappoport (sarà che gli errori di definizione di un esistente si ripercuotono anche nella capacità degli attori di saperli rendere), la mai convincente Monica Bellucci, checché ne pensino altri famosi cinebloggers, quello che, nonostante la visione stereotipata e troppo femminea (a nostro modo di vedere nel senso di troppo espressione di un uomo così come nell’immaginario femminile della regista), nonché alcune situazioni drammaturgiche sul bilico del peggio del peggio che un uomo possa dare in circostanze analoghe, (figurasi poi se lo stesso è un farmacista bello come l’attore che lo interpreta) diciamo che il potenziale recitativo di Pierfrancesco Favino è una di quelle cose che ha impedito di accordare ancora meno stars al film, soprattutto in considerazione che lo stesso ha aperto il Roma Film Festival 2008. Quasi ad avvalorare la mia idea del cinema italiano come una casta, ecco. Ma non c’erano pellicole e registi che lo meritavano di più, per dire?

3. La terza – le musiche di Carmen Consoli
Ok lo ammetto è un fake, ma avrei tanto voluto dire che era vero e che avevamo trovato un nuovo talento da affiancare a Nicola Piovani e ad Ennio Morricone, o al forse meno noto Giovanni Venosta … ma non è così.
Due su tre accontentavevi così.
Per il resto archiviate pure la pellicola come film da dimenticare sia per gli uomini che per le donne. senza considerare e chiudo il fastidio quasi fisico ed ideologico che provo nel prendere sempre più atto, che in questo paese, certo cinema per potere essere deve essere quasi come dettato, nei temi centrali, da una sinistra che non sa e non riesce più osare nella politica, e che cerca subdolamente di costringere certi registi, che peraltro allegramente si prestano pur di rimanere tra quelli del giro, a portare avanti battaglie come quella dei gay che devono infarcire, quasi come una marchetta, queste storie.
Faccenda veramente triste a pensarci seriamente, che a me fa sempre più ribollire il sangiue nelle vene.
E non ho più davvero nient’altro da aggiungere sull’argomento come diceva Forrest Gump.
Roberto Bernabò
http://www.cinemavistodame.com/2008/11/08/luomo-che-ama-di-maria-sole-tognazzi/


Roberto è alle prese con due storie d’amore con due donne diverse destinate a soffrire e a farlo soffrire: una è con i piedi per terra, realizzata nel lavoro, che sa amare senza mezzi termini e senza paura; l’altra è abituata da sempre alla precarietà dei legami ed a situazioni meno stabili…

Roberto è un uomo innamorato. E’ innamorato di Sara, ma ha ha ancora qualche remora a chiederle di andare a vivere con lui. Perché anche se non ha mai amato una donna quanto ha amato Sara, ancora non riesce a dimenticare la convivenza durata tre anni con un’altra donna. Ma gli amori finiscono, e per quanto la rottura sia trumatica alla fine si riesce sempre a passare oltre. E allora, se a settembre c’era Sara a marzo nella sua vita di c’è Alba. E con lei Roberto è un altro uomo, così come Alba è una donna diversa da Sara. Roberto è innamorato due volte, in due modi totalmente diversi…
Opera seconda della figlia del grande Ugo Tognazzi a sei anni di distanza da Passato prossimo, si potrebbe semplicisticamente descrivere L’uomo che ama come un film di Ferzan Ozpetek diretto da un’altra persona. Diretta peggio di come avrebbe fatto il regista turco, ma con gli stessi difetti in fase di scrittura e costruzione della storia delle sue ultime, disastrose, prove, la pellicola mette in scena due storie d’amore raccontate attraverso dialoghi insistiti e a volte insensati, personaggi secondari che sono poco più che delle macchiette e una coppia gay che sembra appiccicata al film come lo sono tanti personaggi di colore nei film hollywoodiani.
La Tognazzi riempie il film di primi piani e gira intorno a luoghi e personaggi con panoramiche e carrellate che vorrebbero essere avvolgenti ed emozionanti ma che riescono solo ad essere manieristiche, e se i primi venti minuti risultano comunque coinvolgenti pur nella loro banalità tutto il resto è davvero insopportabile. Favino e la Rappoport riescono a brillare comunque grazie alla loro bravura, ma non così fanno un’inascoltabile Monica Bellucci e una Marisa Paredes doppiata che pare totalmente fuori posto. E fuori posto è anche la pretenziosità che aleggia su tutto il film, esaltata dalle peraltro belle musiche di Carmen Consoli ma data soprattutto da toni e temi scelti da una regista che per ora al cinema italiano non sembra proprio poter regalare nulla di memorabile.
Alberto Cassani
http://www.cinefile.biz/luomo-che-ama-di-maria-sole-tognazzi

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