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sábado, 12 de febrero de 2022

Bisturi la mafia bianca - Luigi Zampa (1973)

TÍTULO ORIGINAL
Bisturi, la mafia bianca
AÑO
1973
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español e Italiano (Separados)
DURACIÓN
105 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Luigi Zampa
GUIÓN
Massimo De Rita, Arduino Maiuri
MÚSICA
Riz Ortolani
FOTOGRAFÍA
Giuseppe Ruzzolini
REPARTO
Gabriele Ferzetti, Senta Berger, Enrico Maria Salerno, Claudio Gora, Claudio Nicastro, Tina Lattanzi, Enzo Garinei, Luciano Salce, Antonella Steni, Ezio Sancrotti, Sandro Dori, Pier Luigi Modesti, Piera Degli Esposti
PRODUCTORA
Roberto Loyola Cinematografica
GÉNERO
Drama | Medicina

Sinopsis
El profesor Daniele Vallotti (Gabriele Ferzetti) es propietario de una clínica de lujo, donde los pacientes son seleccionados sobre la base de sus ingresos. Para ocultar su codicia y ambición, visita una vez a la semana un hospital para pobres donde trabaja de forma gratuita. De esta forma, crea una buena imagen para su empresa como buen benefactor. El equipo de médicos de la clínica le obedece en todo sin cuestionar ninguna de las órdenes, excepto el Doctor Giordani (Enrico Maria Salerno), que antepone su honestidad al mandato del jefe. Después de las continuas llamadas anónimas del Dr. Giordani para sabotear a la clínica, el equipo médico y Vallotti organizan una conspiración en contra de él por no involucrarse en los actos delictivos de la compañía médica. (FILMAFFINITY)

 Premios
1973: Festival de Cannes: Nominada a la Palma de Oro (mejor película)

2 

Prima di cominciare, un ringraziamento a tutti i medici e gli infermieri del Servizio Sanitario Nazionale, e a tutti quelli che lavorano con loro e li aiutano in questi giorni drammatici.

Non è un capolavoro, "Bisturi la mafia bianca", ma vale comunque la pena di parlarne perché ha una sua importanza dal punto di vista storico: esce infatti poco dopo la riforma del Servizio Sanitario Nazionale, datata 1969, della quale si è appena ricordato il cinquantenario. E' una riforma che è stata in gran parte affossata da leggi più recenti, in primo luogo quella fortemente voluta in Lombardia dall'allora presidente Formigoni e dalla Lega Nord, che ha concesso ampio spazio di manovra ai privati. Quello che è successo negli ultimi due decenni è ben sintetizzato da un titolo recente: «Mancano 56mila medici, 50mila infermieri e sono stati soppressi 758 reparti in 5 anni. Per la ricerca solo lo 0,2 per cento degli investimenti. Così la politica ha dissanguato il sistema sanitario nazionale che ora viene chiamato alla guerra» (L'Espresso, febbraio 2020: la "guerra" è quella al corona virus).

Negli ultimi vent'anni c'è stata una proliferazione straordinaria di centri clinici privati, che di fatto incassano soldi pubblici perché sono stati equiparati alla Sanità pubblica e convenzionati con essa; Formigoni (che nel frattempo è stato condannato in via definitiva a cinque anni di carcere proprio per reati legati alla Sanità) l'ha portata come esempio di libertà, "possiamo scegliere dove curarci". Come conseguenza, gli ospedali e gli ambulatori pubblici sono stati chiusi o ridimensionati, chiusi i "piccoli ospedali", tutta una serie di tagli che ha, di fatto, portato all'intasamento del Pronto Soccorso un po' in ogni parte d'Italia. Per esempio, nel Comune dove vivo (ben servito dai mezzi pubblici) la locale Azienda Sanitaria del Servizio Pubblico è stata praticamente svuotata, resiste ancora ma fa poco più dei prelievi di sangue; quando io ero bambino c'erano nei suoi locali molti ambulatori, oggi anche solo per fare una radiografia o un'ecografia bisogna andare altrove. L'altrove in questione è a pochi chilometri di distanza, in un centro privato, in un altro Comune mal servito dai mezzi pubblici: un evidente non senso, che si spiega solo con una questione puramente - come dire - economica. Del resto, la Lombardia è stata teatro di clamorosi scandali (recenti e recentissimi) nella Sanità: dall'ospedale San Raffaele in giù, la lista di condanne e le indagini in corso sui soldi sperperati (uso un altro eufemismo) vanno a costituire un elenco praticamente senza fine.

"Bisturi la mafia bianca", non è un brutto film, ma neanche un film di Elio Petri come forse voleva essere; la denuncia si ferma un po' prima, direi per colpa degli sceneggiatori. E' interpretato da alcuni grandi attori del cinema italiano di quegli anni: Gabriele Ferzetti è un primario senza scrupoli, ma anche venerato come capace di "miracoli" e benefattore; Enrico Maria Salerno è il suo alter ego, ex collega d'università che affoga le crisi di coscienza nell'alcool. Difficile riparametrarsi a quasi cinquant'anni fa: si parla di una possibile riforma (di sinistra) che statalizzerebbe la Sanità togliendo soldi ai baroni come il protagonista di questo film e ad altri, come il personaggio interpretato da Claudio Gora, titolare di alcune cliniche concorrenti, e questo fa pensare ai cinquant'anni dalla riforma del Servizio Sanitario (1969-2019) e alle controriforme volute soprattutto da Formigoni e iniziate in Lombardia, delle quali il Ferzetti e il Gora di questo film sarebbero stati contentissimi (un sogno!). Così come l'eliminazione dal servizio pubblico di una macchina per il rene artificiale, che disturbava gli introiti della clinica di Gora, che vediamo imballata e pronta per essere trasferita altrove; nel frattempo, dato che questa macchina non è disponibile, vediamo morire un bambino arrivato dal Pronto Soccorso.

Il film è stato scritto da Dino Maiuri e Massimo De Rita; nel cast Senta Berger nel ruolo di una suora e infermiera, con un flirt mancato con Enrico Maria Salerno: oggi vedere una suora è diventato una rarità, anche negli ospedali, ormai le suore si trovano quasi solo in tv, nella fiction. Altri attori: Piera Degli Esposti è la moglie di un malato, Enzo Garinei è un medico, aiuto fidato di Ferzetti; Luciano Salce fa una macchietta inutile, che si poteva eliminare; Tina Lattanzi è la madre di Ferzetti, Vittorio Mezzogiorno ha una piccola parte, un giornalista; riconoscibile anche Antonella Steni. Il regista Luigi Zampa non è tra i migliori del cinema italiano, ha un suo nome conosciuto e una sua professionalità, ma non riesce ad andare fino in fondo nella denuncia e scivola spesso nel fotoromanzo; è responsabile anche di "Il medico della mutua" del 1968, con Alberto Sordi, film dichiaratamente comico. Scrivo queste parole perché ho esperienza di cos'era la Sanità lombarda prima delle riforme di Formigoni: nel maggio 1995 ho trascorso tre settimane nell'Istituto dei Tumori di Milano, da paziente, e posso garantire in prima persona che l'eccellenza lombarda esisteva già da prima che arrivassero i "miglioratori". Luigi Zampa ha buona stampa, ma i suoi film sono spesso superficiali e in questo caso particolare direi che la superficialità danneggia molto il risultato. Le musiche, piuttosto banali, sono di Riz Ortolani. Produttore è Roberto Loyola, pittore e occasionalmente finanziatore di film che finivano subito in terza visione, oggi più che dimenticati.
Questa superficialità di "Bisturi la mafia bianca" dispiace, perché l'argomento era importante e gli attori scritturati sono ottimi; è un film ormai più che dimenticato, anche se all'epoca fece scalpore, e tutto questo dispiace. Insomma, ci sarebbe molto da pensare anche con un film come questo, una volta fatta la tara sulla sceneggiatura e con lo sguardo rivolto a cosa è successo dopo. Le colpe sono anche degli elettori, mai dimenticarselo.
http://giulianocinema.blogspot.com/2020/03/bisturi-la-mafia-bianca.html

Luigi Zampa, uno dei più prolifici autori della commedia all’italiana più autoriale, diresse negli anni Settanta un’ideale trilogia drammatica d’impegno civile e politico: Bisturi la mafia bianca (1973), sulla malasanità; Gente di rispetto (1975), sulla mafia; Il mostro (1977), sul potere della stampa. Il carattere impegnato di questi film non deve essere visto come una svolta in controtendenza da parte di Zampa rispetto alle sue opere precedenti, quanto piuttosto una spontanea e aspra evoluzione dei toni mordenti che avevano caratterizzato la maggior parte della sua cinematografia. Bisturi la mafia bianca è probabilmente il migliore dei tre: il più audace, il più intenso, quello meglio interpretato; scritto dallo stesso Zampa insieme a Massimo De Rita e Arduino Maiuri, è un capolavoro del cinema di denuncia civile, e conserva tutt’oggi una caratteristica di preoccupante attualità.

Il professor Daniele Vallotti (Gabriele Ferzetti), autentico “barone” della medicina, amministra la sua clinica privata come una società per azioni, anteponendo il profitto alla salute dei pazienti, che vengono selezionati in base al reddito e sono semplici numeri sui quali arricchirsi. Coperto da una facciata di altruismo e dall’omertà dei colleghi, trova l’unica opposizione nel dottor Giordani (Enrico Maria Salerno): egli trova il coraggio di denunciarlo, ma il primario, per screditarlo, gli fa sbagliare un’operazione, causando la morte del paziente.

Negli anni Settanta, il tema della malasanità era praticamente nuovo per il cinema: lo aveva trattato in precedenza lo stesso Zampa nella commedia agrodolce Il medico della mutua (1968) con Alberto Sordi. In Bisturi la mafia bianca cambia però completamente registro, dirigendo un apologo coraggioso, drammatico e pregno di crudo realismo sui cosiddetti “baroni” della medicina, di cui il professor Vallotti è un rappresentante. La classe medica viene raffigurata come una “mafia” (o una “casta”) con precise regole e gerarchie, in cui ciò che conta è esclusivamente il guadagno e il prestigio: “essere medico implica l’esercizio del potere”, “il bisturi è come uno scettro” sono le massime che guidano il primario Vallotti e che vengono da lui stesso enunciate senza mezzi termini, in un delirio di onnipotenza, nell’incontro-scontro finale con il suo rivale, il dottor Giordani. Bisturi la mafia bianca è un film dove si fondono continuamente il dramma psicologico (le tragedie dei pazienti che muoiono e lo strazio dei parenti sono davvero forti e toccanti) e l’analisi sociologica: la malasanità, i rapporti fra il potere medico e il potere politico, con accenni alla riforma sanitaria e universitaria, alla statalizzazione delle imprese e persino all’influenza del governo (pensiamo al coraggio che Zampa ha avuto nel trattare questi temi, e alla loro attualità).

Fondamentali risultano le straordinarie interpretazioni di Gabriele Ferzetti ed Enrico Maria Salerno, intensi e sublimi nei rispettivi ruoli: crudele e apparentemente altruista il primo, disilluso e amareggiato il secondo. Il professor Vallotti si reca periodicamente in un ambulatorio pubblico per mostrarsi agli occhi di tutti come un benefattore, ma nella sua clinica privata non risparmia le azioni più abiette pur di guadagnare e mantenere il suo prestigio: seleziona i pazienti da operare in base al loro reddito, tratta l’acquisto di farmaci in base a una logica puramente economica, gioca con le vite dei pazienti e non esita a lasciarli morire se necessario. Per lui essere medico significa esercitare un potere di vita e di morte sugli altri. Come a un potente boss mafioso, tutti gli obbediscono (per omertà o per convenienza), tranne il medico interpretato da Enrico Maria Salerno: pungente, forte e sarcastico ai massimi livelli, delinea un personaggio particolarmente complesso. Schifato dai colleghi e dalla vita in generale, denigrato quasi da tutti per il vizio dell’alcool, trova amicizia solo in una suora (Senta Berger), con la quale si crea un feeling che quasi sboccia in amore. Da notare anche un cameo di Luciano Salce, a sua volta regista e attore d’impegno civile, nel ruolo di un grottesco paziente.

Una falsa diceria voleva che il cinema di Luigi Zampa fosse abbastanza “rozzo”, poco attento allo stile. In realtà, come spiega il critico Alberto Pezzotta, non è affatto così, e Zampa è sempre abile ad equilibrare forma e contenuto, rigore stilistico e narrazione dura e appassionante. Basti citare due sequenze per comprendere la raffinatezza stilistica di questo autore: l’angosciante piano sequenza che inquadra dall’alto le sale operatorie, con l’unico sottofondo sonoro del “bip” delle apparecchiature mediche, e l’ultima sequenza del film. Il professor Vallotti, consapevole di essere affetto dal morbo di Parkinson e di non potersi fidare di nessuno, si aggira inquieto nella sua villa, e i suoi primi piani tormentati sono intervallati, con un abile montaggio alternato, dai ricordi di quanto ha vissuto in precedenza, il tutto accompagnato dalle musiche ossessive reiterate per tutto il film.

La colonna sonora è realizzata da Riz Ortolani, uno dei più grandi maestri italiani della musica per il cinema. Abituato a mescolare sapientemente ritmi serrati con melodie di ampio respiro, non fa eccezione per Bisturi la mafia bianca. Sui titoli di testa sentiamo subito il tema centrale: un ritmo sincopato, con accordi bassi e ripetuti regolarmente in maniera ossessiva (quasi una metafora del battito cardiaco), che si sviluppa poi in una sonorità più corale mantenendo però lo stesso andamento. Un tema musicale piuttosto semplice, ma assolutamente azzeccato: ritornando spesso con tonalità differenti (più alte o più basse), il suo carattere cupo e ossessivo è un perfetto accompagnamento dell’atmosfera che, inevitabilmente, si respira lungo tutto il film.

http://www.lascatoladelleidee.it/bisturi-la-mafia-bianca/

 


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