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miércoles, 2 de febrero de 2022

La bambola vivente - Luigi Maggi (1925)

TÍTULO ORIGINAL
La bambola vivente
AÑO
1925
IDIOMA
Cine mudo
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
51 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Luigi Maggi
FOTOGRAFÍA
(B&W)
REPARTO
Maria Roasio, Augusto Poggioli, Umberto Scalpellini, Dillo Lombardi
PRODUCTORA
Roasio Film
GÉNERO
Drama. Fantástico | Mediometraje

Sinopsis
El profesor Ticknor crea una muñeca idéntica a una joven verdadera. Sin embargo, unos ladrones roban la automata y a la hija de Ticknor no le queda más remedio que hacerse pasar por la muñeca, que a fin de cuentas es un calco suyo.
 
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Il progetto fantascienza è uno di quelli più ambiziosi che ha accompagnato i primi anni del sito e ogni tanto riesco a recuperare qualche film che non ero riuscito a vedere perché non reperibile. Un numero di produzioni così ampie non sempre permette di visionare cose decenti o guardabili ma a volte ci sono delle piccole sorprese. Sarà il caso di La bambola vivente? Cominciamo dal titolo, davvero evocativo e che mi riporta alla mente La bambola di carne (ger. die Puppe) di Lubitsch con Ossi Oswalda o La bambola del diavolo (en. The Devil-Doll), uno dei miei film preferiti di Browning. Avrà qualcosa in comune con questi due titoli? Ve lo anticipo, non si tratta affatto di un film horror ma di un mappazzone che unisce commedia, mistero e fantascienza. Andiamo alla trama:

Il Professor Ticknor (Dillo Lombardi) crea una bambola vivente che ha le fattezze della figlia Maria (Maria Roasio) e non vede l’ora di farla vedere agli altri scienziati. La notte prima del grande evento essa viene però rubata da una banda capitanata dal suo assistente e Maria decide di prendere il posto della creazione per non dare un dolore al padre. La presentazione, nonostante le ritrosie di alcuni scienziati, è un successo e la bambola viene venduta a Sir Morrison (Umberto Scalpellini), un riccone decisamente poco avvenente a cui il professore ha promesso la mano della figlia. Visto che quest’ultima pare scomparsa, inizia ad indagare sul caso Smidt Levis (Augusto Poggioli), un noto investigatore. Questi scopre presto cosa è accaduto ma per incastrare la banda, con la complicità di Maria, ordisce un piano cervellotico…

Il finale, inutile dirvelo, è positivo con tanto di rottura del matrimonio tra Maria e il brutto Sir Morrison e sostituzione di quest’ultimo con Smitd. Il film presenta numerose bizzarrie e qualche nota razzista. Come detto ci sono elementi presi da generi molto diversi come i film polizieschi, la commedia e la fantascienza con anche elementi di critica sociale, vi sono ad esempio degli orfanelli, e la presenza di un personaggio nero che è in realtà il principale elemento comico del film. Oltre a questo ecco una piccola scimmietta amica di Maria che ne combina di ogni colore. Lei e il nero sono gli unici due ad avere delle specie di didascalie parlanti in cui quello che ci fa la figura peggiore, con frasi stereotipiche, è ovviamente il nero. Riguardo la vicenda dell’orfanello nel finale vero e proprio Maria andrà via di casa con Smidt e il Professore adotta uno di loro che ha fatto pena al suo autista. Non mancano poi immagini di Roma e di alcuni suoi luoghi simbolo come i belvedere o piazza di Spagna che sono sempre, per un autoctono, un momento magico.

Un elemento portante è dato dai riferimenti piuttosto espliciti alla sfera sessuale. Maria, creduta una bambola, viene letteralmente molestata da Sir Morrison e si lascia scappare un’espressione particolare. Poco dopo lei mette in atto un piano audace svestendosi, nascosta da un separè, davanti allo spettatore per poi, scopriremo dopo, travestirsi da uomo. Lì per lì, però, sembrava che il suo piano audace fosse un altro… Abbiamo poi il personaggio nero di cui abbiamo parlato , come vedete nella terza gif, è l’espediente usato da Smidt per smascherare Maria che si finge bambola: prima infatti lui prova a baciarla per vedere se reagisce, non avendo reazioni prova a farla baciare dal ragazzo e lei si rifiuta perché “Essere baciata da voi, pazienza, ma essere baciata da un brutto nero no!”.

Tra le varie stravaganze vi è anche il finale, che tra un’azzuffata e l’altra porta alla cattura della banda ma non, almeno per quanto vediamo, al recupero della bambola. Insomma notiamo anche dei discreti buchi di trama. Eppure sapete che vi dico? Mi sono divertito un sacco perché niente era come me l’aspettavo e tutto era troppo fuori posto per non lasciare impresso qualcosa nello spettatore. Se volete potete approfittare del fatto che il CSC l’ha messo in visione pubblica per provare da dedicarvi a un prodotto diverso dal solito che pur con il suo sessismo, razzismo e ogni tipologia di scorrettezza rompe i canoni e riesce a divertire. Non era esattamente quello che mi aspettavo da Luigi Maggi ma sono comunque molto soddisfatto.

Yann Esvan
https://emutofu.com/2021/11/18/bambola-vivente-maggi-1924/

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A una tradizione figurativa più classica, quella dell'automa come bambola meccanica indistinguibile dall'essere vivente, che risale fino al '700 e ha il suo culmine nei racconti di Hoffmann, si rifà invece un altro film, di poco posteriore, La bambola vivente di Luigi Maggi (1924). La pellicola, voluta, prodotta e interpretata da Maria Roasio, già star dell' Ambrosio Film, era ispirata a Die puppe di Lubitsch (1919), come evidente fin dallo stile di recitazione, che richiamava quello di Ossie Oswalda. Il film, che  mescola toni da commedia ed elementi polizieschi, racconta la storia di uno scienziato che costruisce un robot modellandolo sulle sembianze della figlia. Quando l'automa viene rubato dal laboratorio da un assistente senza scrupoli, la ragazza, per evitare una delusione al padre, finge di essere la "bambola vivente". Nonostante all'epoca fosse circolato pochissimo, il film è stato ritrovato ed è oggi conservato alla Cineteca Nazionale.

La bambola vivente è l'ultimo film di argomento fantascientifico prodotto in Italia nel periodo del muto, e anzi per molto tempo ancora. Nel 1924, infatti, il cinema italiano è gia entrato nei suoi anni più bui. Le difficoltà produttive, la perdita di mercati esteri e l'incapacità di rinnovarsi tematicamente e tecnicamente, avevano portato già a partire dgli anni di guerra a una progressiva crisi del cinema italiano. La crisi si accentua nel dopoguerra, quando il cinema italiano non sembra più stare al passato con le novità narrative e formali di altre cinematografie, come quella americana o quella tedesca, ed esplode nel dicembre 1921 con il fallimento della Banca di sconto, che finanziava buona parte delle case di produzione nazionali, e una conseguente, drastica riduzione delle produzioni (cfr. i volumi di Brunetta).

A parte il curioso Mille chilometri al minuto di Luigi Maggi (1937), tragicomica storia della prima sfortunata spedizione nello spazio, bisognerà aspettare la fine degli anni '50 perché nel cinema italiano si riaffaccino temi fantascientifici, ma allora saranno altri modelli e altre tradizioni (la science-fiction e i film americani in particolare) quelle a cui ci si ispirerà.

https://www.fantascienza.com/anarres/articoli/32/uomini-meccanici-e-matrimoni-interplanetari/


LUIGI MAGGI

Nacque a Torino, il 21 dic. 1867, da Annibale, di professione cesellatore e da Rosa Giaccone. Iniziò a lavorare come tipografo all'Unione tipografica editrice torinese (UTET) ma, contemporaneamente, dette le prime prove del suo talento di attore presso il Circolo filodrammatico Giovanni Bosco di Torino. Avendo espresso, altresì, particolare inclinazione per l'interpretazione in vernacolo, nel 1906 divenne direttore della compagnia dialettale piemontese della Camera del lavoro.

Quello stesso anno avvenne il suo incontro con il cinema: il giovane R.A. Ambrosio, proprietario di un affermato negozio di articoli fotografici e appassionato cineamatore, aveva deciso di dedicarsi alla produzione cinematografica finanziando una serie di cortometraggi di vario genere; a tale scopo scritturò il M. con un compenso di 100 lire al mese. Compito del M. fu quello di scegliere i soggetti insieme con il produttore, girarli e talvolta interpretarli. La sua prima apparizione sullo schermo si ebbe in Romanzo di un derelitto, di R. Omegna, nel 1906. Nello stesso anno fece anche il suo esordio come regista con alcune pellicole di breve durata, fra cui Vendetta alsaziana, Dramma in caserma, L'ultima sera di Carnevale, Il telefono del Medioevo.

A partire dal 1907 le case cinematografiche italiane compirono un deciso salto in avanti per quantità e qualità delle produzioni; nel giro di un anno, il M. divenne il primo regista della Anonima Ambrosio che gli affidò l'ambizioso progetto di dirigere un film tratto dal celebre romanzo di E.G. Bulwer-Lytton, Gli ultimi giorni di Pompei.

Il film - perduto, come quasi tutti quelli diretti dal M. -, fu presentato nel 1908. Interpretato da Lydia De Roberti insieme con lo stesso M. nel ruolo di Arbace, fu considerato il capostipite di quel filone "storico" che consentì al cinema italiano di celebrare, di lì in avanti, i suoi fasti internazionali; a garantirne il successo contribuirono, tra l'altro, i sorprendenti trucchi dell'operatore R. Omegna. La critica ebbe toni entusiastici: "Qui siamo sul vero buon terreno. Esattezza di costumi, d'architettura, d'ambiente storico. Compattezza di personaggi e tutti in carattere; felicità di episodi più un pathos commoventissimo" (La cinematografia italiana). Tuttavia, la realizzazione fu "macchiata da alcune distrazioni. [(]. Sulle tavole del banchetto figuravano coltelli e forchette di stile tutto moderno" (Sadoul).

Nel 1908 il M. diresse anche Il calvario di un maestro, il film-balletto Il conte di Montecristo e la commedia I fiori di s. Antonio. Nel 1909, sull'onda del successo de Gli ultimi giorni di Pompei, diresse più di dieci film, tra i quali ottennero un discreto consenso Spergiura! (con Mary Cléo Tarlarini e lo stesso M.), Galileo Galilei (con la De Roberti), Il figlio delle selve (con A. Capozzi), Amore e patria, Luigi XI re di Francia (anche interprete) e Il diavolo zoppo (dal romanzo Le diable boîteux di A.-R. Lesage). Tuttavia, il maggior successo dell'anno fu Nerone.

Il film si affermò soprattutto all'estero (300 copie distribuite in tutto il mondo), ottenendo eccellenti critiche dall'autorevole Moving Picture World. In Italia, al contrario, fu definito "sciatto" dal settimanale di critica cinematografica Lux, nonostante rispecchiasse i codici prevalenti della nascente cinematografia nazionale e presentasse effetti visivi affascinanti, come il viraggio in rosso nella scena dell'incendio di Roma.

Nel 1910 il ritmo di produzione della casa torinese si mantenne intenso e costante, malgrado tra le pellicole attribuite al M. - tra le quali Il corriere dell'imperatore, Didone abbandonata, Lo schiavo di Cartagine (anche interprete), Il segreto del gobbo e La vergine di Babilonia - non compaia alcuna che spicchi per qualità estetiche. Il 1911 fu invece l'anno di due fra i maggiori successi del regista, sempre nel genere storico sebbene ambientati stavolta in epoca moderna. Il primo fu Il granatiere Roland (protagonisti A. Capozzi e la Tarlarini), su soggetto di A. Frusta.

Ambientato durante la campagna di Russia, il film fu pubblicizzato come "il più bel film di storia realistica", e valorizzato altresì dall'essere stato girato non in studio ma tra le nevi delle Alpi dal miglior operatore del tempo, G. Vitrotti.

Ancor più ragguardevole fu il successo di Nozze d'oro, la più interessante tra le opere del M., di nuovo su soggetto di Frusta.

Il regista, "prendendo spunto da una commovente festa familiare in casa del vecchio soldato, nel perfetto stile delle oleografie scolastiche, rievoca l'assalto di Palestro del 1859 da parte delle valorose truppe franco italiane contro gli Austriaci" (Paolella). Il film, nel quale il M. appariva ancora una volta come attore, rappresentò una svolta creativa assai rilevante nell'ambito della narrazione cinematografica per l'utilizzo di una serie di flashback che portano il protagonista a ritroso nel tempo. Nozze d'oro fu salutato come un capolavoro in Italia e all'estero e ottenne il premio di 25.000 lire per la "categoria artistica" al concorso dell'Esposizione internazionale di Torino del 1911, anche se, poco dopo, la pellicola fu interdetta in Italia dal governo Giolitti, al fine di non provocare rimostranze da parte del governo austriaco. Tale censura provocò indignate reazioni da parte di molti intellettuali; in ogni modo, il successo proseguì all'estero, dove il film continuò a essere distribuito e a registrare forti incassi.

Sempre nel 1911, il M. apparve come attore nella versione cinematografica de La figlia di Jorio per la regia di E. Bencivenga e ne L'ultimo dei Frontignac di M. Caserini. Inoltre diresse altre pellicole di minor peso, tra le quali La tigre (sempre con la coppia Tarlarini-Capozzi) e Sogno di un tramonto d'autunno dal dramma omonimo di G. D'Annunzio.

Nel 1912 il M. diede nuovamente prova di originalità narrativa con il film Satana, interpretato da M. Bonnard e dalla Tarlarini.

Accompagnata dai testi del poeta G. Volante, la pellicola raccontava la presenza demoniaca nel mondo attraverso tre differenti episodi: il primo, biblico (chiaramente ispirato al Paradiso perduto di J. Milton), relativo alla rivolta di Satana contro Dio; il secondo, di ambientazione medievale, descriveva la corruzione morale dei monaci; il terzo, in epoca moderna, sulla violenza che scaturisce dall'avidità. Il film concorse a creare un nuovo genere al quale lo stesso D.W. Griffith sembrò richiamarsi nel suo Intolerance (1916).

Dello stesso anno sono anche le regie di Il ponte dei fantasmi (suo anche il soggetto), La nave dei leoni e La rosa rossa. Nel 1913 il M. cercò di ripetere il successo di Nozze d'oro girando un secondo film sulle guerre d'indipendenza del Risorgimento, La lampada della nonna - in cui utilizzava la medesima struttura basata sul flashback - il quale ebbe esito soddisfacente al botteghino. Nello stesso anno completò la trilogia risorgimentale con La campana della morte e adattò per lo schermo e diresse Il barbiere di Siviglia e Il matrimonio di Figaro. Apparve, inoltre, in qualità di attore, ne L'uomo giallo, per la regia di G. Vitrotti.

Nel 1914, con la guerra alle porte, la produzione cinematografica italiana rallentò. Il M. diresse alcune pellicole di scarso interesse per Ambrosio, quindi passò a un'altra casa torinese, la Leonardo Film, per la quale realizzò Il fornaretto di Venezia (con U. Mozzato), Per un'ora d'amore (protagonisti Bella Starace Sainati e A. Sainati) e L'ultima dogaressa (ancora con Mozzato e Anna De Marco). Fu richiamato alle armi nel 1915; al suo ritorno a Torino, l'anno successivo, trovò l'industria cinematografica in fortissima crisi. Tra il 1917 e il 1920 lavorò per diverse case di produzione, tra cui la Libertas Film, la Film d'Arte e la Milano Film. Nessuna delle pellicole realizzate in quel periodo raggiunse il consenso di pubblico delle precedenti, tuttavia si possono ricordare: Cuor di ferro e cuor d'oro (1919), Figuretta (1920) e Il mistero dei bauli neri (1920), nel quale il M. diresse la figlia Rina, anche lei attrice, poi attiva soprattutto in Germania con il nome d'arte di Kathryn Berg.

Nel biennio successivo l'attività del M. si ridusse ulteriormente; tornò con Ambrosio per girare Il giro del mondo di un birichino di Parigi e La ruota del falco (entrambi del 1921), mentre nel 1922 realizzò per la Caesar Film La lanterna di Diogene. Nel 1923, entrò a far parte, in qualità di attore, della nuova compagnia costituita da Lucio D'Ambra (R.E. Manganella) presso il teatro Eliseo di Roma.

Tale complesso artistico, il Teatro degli Italiani, si proponeva di rappresentare, in una propria sede, un repertorio specificamente italiano; ma il progetto non ottenne gli auspicati finanziamenti statali e fallì nel giro di un anno.

Il M. tornò quindi al cinema, per dirigere il suo ultimo film, La bambola vivente (1924), in cui l'interprete Maria Roasio si atteggia a bambola meccanica come la protagonista del celebre film Die Puppe di E. Lubitsch (1919). Come attore, apparve un'ultima volta nel 1927, nel film Viaggio di nozze in 7, per la regia di L. Carlucci. Scarsissime le notizie sul M. dopo il suo ritiro dal mondo del cinema.

Autore di un volume di poesie in dialetto piemontese dal titolo Come 'l Piemont a canta (Torino 1933), tra il 1939 e il '40, curò la messa in onda di diversi radiodrammi e persino di alcuni spettacoli televisivi sperimentali presso Radio Torino.

Il M. morì a Torino il 22 ag. 1946.

Autore vario, capace di spaziare fra i generi che andavano definendosi in quella fase iniziale della storia del cinema, con particolare riguardo e interesse ai canoni del film "storico", il M., nella sua non lunga carriera di regista, non si limitò a "mettere in scena" i personaggi ma si dimostrò capace anche di elaborare tecniche narrative dinamiche e originali, frutto di una fertile fantasia, e sostenute da un vivissimo senso dello specifico del nuovo linguaggio cinematografico.

Fonti e Bibl.: Rec. a Gli ultimi giorni di Pompei, in La Cinematografia italiana, 1908, n. 25, p. 26; M.A. Prolo, Storia del cinema muto italiano (1896-1915), Milano 1951, ad ind.; R. Paolella, Storia del cinema muto, Napoli 1956, p. 85; G. Sadoul, Storia generale del cinema, Torino 1967, p. 87; Archivio del cinema muto italiano, a cura di A. Bernardini, Roma 1991, ad ind.; Filmlexicon degli autori e delle opere, Roma 1974, sub voce.

J. Mosca
https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-maggi_%28Dizionario-Biografico%29/
 

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