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martes, 8 de febrero de 2022

L'inferno addosso - Gianni Vernuccio (1959)

 

TÍTULO ORIGINAL
L'inferno addosso
AÑO
1959
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
No
DURACIÓN
93 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Gianni Vernuccio
GUIÓN
Gianni Vernuccio, Damiano Damiani
MÚSICA
Pier Emilio Bassi
FOTOGRAFÍA
Romolo Garroni (B&W)
REPARTO
Annabella Incontrera, Jeanine Falconi, Michele Riccardini, Loris Gafforio, Elena Borgo, Nando Cicero, Giuliana Rivera
PRODUCTORA
Produzione Vernuccio de Vernuccio Giovanni
GÉNERO
Thriller | Crimen

Sinopsis
Marco, estudiante de ingeniería en la pobreza, esconde en su apartamento a su rico amigo Andre, con el fin de fingir un secuestro y sacar dinero al padre... (FILMAFFINITY)
 
2 

Marco e Andrea sono amici intimi. Marco, figlio di un giornalista, è studente, ma la professione d'ingegnere, cui è avviato, non sembra attrarlo eccessivamente. Andrea figlio di un ricco industriale, viene spesso rimproverato dal padre per lo scarso interesse che dimostra per l'azienda paterna. Sempre a caccia di emozioni, i due giovani sono risoluti a procurarsi ad ogni costo, il denaro che è necessario per soddisfare i loro desideri. Durante un'assenza di suo padre, Marco nasconde nel proprio appartamento Andrea, e finge sia stato rapito per costringere il ricco industriale a sborsare una forte somma per il riscatto del figlio. Per ingannare l'attesa i due giovani invitano a casa due ragazze, Michi e Guiguitte, che fanno loro compagnia. Michi è l'amante di Marco; ma essa lo tradisce, concedendosi ad Andrea. In preda a folle gelosia, Marco uccide l'amico e, dopo aver occultato il cadavere riesce ad incassare il prezzo stabilito per il riscatto. La polizia però è sulle sue tracce e non tarderà ad arrestarlo insieme all'amante.
https://www.cinematografo.it/cinedatabase/film/l-inferno-addosso/11588/

Vietato ai minori di 16 anni, e non destinato al circuito cinematografico, L’inferno addosso, 1959, scritto e diretto da Gianni Vernuccio [L’uomo che bruciò il suo cadavere, 1967], è un thriller in bianco e nero nato da un’idea di Damiano Damiani [Quien sabe, 1967, Amityville Possession, 1982], che Mosaico Media distribuisce finalmente in un home video inedito con una tiratura limitata di 999 copie.

A vestire i panni del protagonista Sandro Luporini, braccio destro di Giorgio Gaber, con il quale ha scritto importanti testi teatrali [Il signor G, Polli d’allevamento, Far finta di essere sani, Libertà obbligatoria] per il teatro canzone, nonché pittore. Ad affiancarlo in questo film come coprotagonista Sandro Pizzorro [Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile, 1972, di Roberto Bianchi Montero], che verrà nuovamente diretto da Vernuccio in A due passi dal confine, 1961.

Marco [Sandro Luporini] è uno studente d’ingegneria annoiato dalla vita e in cerca di una svolta che lo allontani dalla quotidianità. Condivide questo aspetto con Marco [Sandro Pizzorro], figlio di un ricco industriale che lavora nell’azienda di suo padre senza alcun entusiasmo. Entrambi i ragazzi sono nullafacenti e pigri, desiderosi solo di vivere una vita agiata, ma senza alcuno sforzo.

È per soldi, ma anche per accontentare le continue richieste di regali da parte di Michi [Annabella Incontrera], fidanzata di Marco , che i due ragazzi attuano un piano: inventare su due piedi il finto rapimento di Marco e fare in modo che anche la stampa ne parli. L’ingenuità dei due ragazzi li porta a compiere subito il primo passo falso, ovvero invitare a casa di Marco, dove si nasconde Andrea, Michi e la sua coinquilina Guiguitte [Jeanine Falconi]. L’idea di trascorrere una notte d’amore  con Guiguitte da parte di Andrea fallisce, poiché la ragazza è fidanzata ed è particolarmente irritata dalla sfacciataggine di Andrea. Guiguitte è timida e per nulla disinibita, a differenza di Michi, che alle spalle di Marco inizia una relazione con Andrea. Marco, però, è accecato dalla gelosia, e quando scopre il tradimento non saprà controllarsi…

Vernuccio scrive un film dalla trama semplice ma efficace, che si avvale di un ritmo lento che non tralascia nessun aspetto, attento nella descrizione dei due protagonisti, in realtà molto diversi tra loro. Andrea è succube di Marco, che è colui che realmente ha messo in piedi il piano, e che Andrea ha condiviso per pure gioco, per poi provare ad uscire fuori da questo guaio ma senza riuscirvi.

La stessa conflittualità compare tra Michi e la francese Guiguitte, la cui convivenza è forzata. Se nella prima parte Marco e Andrea sono copratogonisti, nella seconda parte l’attenzione si sposta tutta su Marco, al quale verso il finale si affianca Michi. È l’incoscienza dunque ad aver generato la tragedia alla quale i due ragazzi vanno incontro, ma ciò che viene fuori dal film è lo sbando totale dei due ragazzi, cresciuti nel vizio dai genitori ma non nell’amore, e perciò assolutamente soli.

L’inferno addosso vanta la presenza di Pier Emilio Bassi alle musiche, famoso pianista, autore musicale e direttore d’orchestra [ha curato le musiche di alcuni film di Ermanno Olmi, come Il tempo si è fermato, 1960], ideatore anche di storici jingle musicali. È il jazz a commentare in musica il film, dalle scene iniziali che vedono Marco in auto per le strade di Milano, ai risvolti drammatici che si manifestano nel corso del film. L’inferno addosso è dunque lo stato di abbandono nel quale vivono Marco e Andrea, e che anche Michi [che è la causa scatenante di tutto il dramma]  afferma di vivere quando si relaziona la prima volta con il suo amante, quell’inferno che porta alla crisi di valori e di identità dalla quale solo Guiguitte prende le distanze.

Gilda Signoretti
https://www.ingenerecinema.com/2013/11/08/linferno-addosso-di-gianni-vernuccio/


PRIMA DEL '68
RAGAZZI RIBELLI IN DIECI FILM

...
Un reportage sulla solitudine

Quella di “Febbre di vivere” (1953) di Claudio Gora - opera che prelude all’avvento del boom economico - è una gioventù che non può che emulare i comportamenti di un’Italia egoista, miserevole, narcisa, senza speranza che sguazza e gode nell’amoralità.

“L’inferno addosso” (1959) di Gianni Vernuccio è girato con l’intenzione di registrare la realtà: mette a fuoco il crimine giovanile come una forma di ribellione estrema (la pellicola finisce nel tritacarne della censura e viene subito condannata all’oblio).

Un reportage sulla solitudine e l’alienazione dei giovani nella metropoli divisi tra emozioni forti e bombardamento pubblicitario che incita ai consumi e all’acquisizione di modelli di importazione: la scena dell’accordo criminale è collocata all’interno di un bar in cui si gioca a flipper tenendo in mano un bicchiere di coca-cola; sullo sfondo giovani ballano attorno al juke-box. “Guendalina” (1957) di Alberto Lattuada racconta, contemporaneamente, la ribellione incruenta di una giovane borghese e la sua condanna all’infelicità causata dai genitori.

Nel film c’è un gruppo eterogeneo di giovani che, durante l’estate in Versilia, si organizza autonomamente il tempo libero, ha facile accesso ai beni di consumo americani (Coca-cola, flipper, juke-box…), balla il rock’n’roll e si da appuntamento in luoghi esclusivi come bar, gelaterie e spiaggia, lontano dal controllo di famiglie e adulti.

Mentre il mondo borghese si organizza e sperimenta il crimine sia come forma di ribellione sia come megafono del proprio malessere, nelle periferie urbane avviene la progressiva nascita dei quartieri dormitorio in cui si polarizza la popolazione migrante: analfabeti alle prese con un lavoro precario e spesso usurante con figli che flirtano con il sottobosco criminale, unica possibile via di uscita dalla miseria.

Trascorrono le giornate divisi tra prostituzione e piccoli furti; trovano nello scontro fisico l’unica possibilità di sentirsi vivi; vedono a poche centinaia di metri dalla loro miseria il benessere piccolo-borghese; rincorrono - prima ancora che la felicità economica - l’integrazione in una realtà che li respinge.

Pier Paolo Pasolini dà voce a questi giovani del sottoproletariato che sognano il riscatto anche con lo sport povero della boxe per rincorrere il mito di Nino Benvenuti (oro alle Olimpiadi di Roma 1960). Consumano un quotidiano esercizio della violenza tra pari che si esaurisce nel giro di “notti brave” (“La notte brava”, 1959, è il film di Mauro Bolognini sceneggiato da Pasolini a partire dal secondo capitolo del suo libro “Una vita violenta”), e che oscilla pericolosamente tra la guasconeria e il crimine.

Giovani, privi di tutto: modelli di riferimento, rappresentanza politica, riconoscibilità di classe ed esempi virtuosi. Si abbandonano ad una deriva volgare e crudele in cui la violenza diventa l’unica voce ascoltata dal mondo degli adulti e degli altri. Anche la controparte (quella borghese e benestante) di questi giovani, comincia a macchiarsi degli stessi crimini usando la violenza come antidoto alla noia.
...
Fabrizio Fogliato (30/12/2018) 


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