TÍTULO ORIGINAL
Il capitale umano
AÑO
2013
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español, Inglés, Italiano y Portugués (Separados)
DURACIÓN
109 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Paolo Virzì
GUIÓN
Paolo Virzì, Francesco Bruni, Francesco Piccolo. Novela: Stephen Amidon
MÚSICA
Carlo Virzì
FOTOGRAFÍA
Jérôme Alméras, Simon Beaufils
REPARTO
Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luigi Lo Cascio, Giovanni Anzaldo, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia; Indiana Production
GÉNERO
Drama | Crisis económica 2008. Historias cruzadas. Drama psicológico
Premios
2014: Festival de Tribeca: Mejor actriz (Valeria Bruni Tedeschi)
2014: Premios del Cine Europeo: Nominada a Mejor director y actriz (Bruni)
2014: Festival de Sevilla: Premio del Público
2013: 7 Premios David di Donatello, incluyendo mejor película. 19 nominaciones
La bella vita
Le velleità di ascesa sociale di un immobiliarista, il sogno di una vita diversa di una donna ricca e infelice, il desiderio di un amore vero di una ragazza oppressa dalle ambizioni del padre. E poi un misterioso incidente, in una notte gelida alla vigilia delle feste di Natale, a complicare le cose…
"Sogno il mio paese infine dignitoso
e un fiume con i pesci vivi a un’ora dalla casa
di non sognare la Nuovissima Zelanda
per fuggire via da te, Brianza velenosa"
Lucio Battisti, Una giornata uggiosa.
Sulle spalle scoperte de Il capitale umano soffiava ancora l’eco del mesto ma coriaceo inno alla speranza racchiuso in Tutti i santi giorni, precedente fatica cinematografica di Paolo Virzì. Nel mezzo, l’esperienza piuttosto sbrigativa e non troppo convincente di direttore artistico del Torino Film Festival, ruolo che il regista livornese avrebbe dovuto svolgere per un altro anno, prima di lasciare l’incarico nelle mani – senza dubbio più consapevoli – di Emanuela Martini. Un passo indietro forse tardivo, ma che senza dubbio buona parte dell’umanità indagata ne Il capitale umano non avrebbe mai preso neanche in considerazione.
Traendo spunto dall’acclamato romanzo di Stephen Amidon Human Capital, Virzì (con lui hanno collaborato in fase di scrittura i fedeli sodali Francesco Bruni e Francesco Piccolo) abbandona il Connecticut, originale ambientazione letteraria, per trasportare le amare vicende del racconto nella “Brianza velenosa” cantata anche da Lucio Battisti. Una scelta vincente, non solo perché permette a Virzì di ricalibrare l’intera struttura narrativa de Il capitale umano su vizi privati e pubbliche (rare) virtù dell’italiano medio, ma soprattutto perché ciò comporta inevitabilmente anche una riflessione sullo stato di crisi morale di una nazione allo sbando, scartavetrata da un potere economico egemonico, chiuso in sé e così arido da lambire l’idiozia.
Per quanto a prima vista le due famiglie attorno alle quali si articola Il capitale umano possano sembrare tagliate con l’accetta (l’alta borghesia dei Bernaschi a comandare sogni, desideri e persino istinti ribelli dei meno abbienti Ossola), con l’avanzare dei minuti si avverte un costante senso di inadeguatezza rispetto alle certezze con cui si era affrontato il film. Animato da un viscerale spirito di rivalsa nei confronti di chi detiene il “potere” – rintracciabile anche nella messa in scena sulfurea e crudele della figura dell’intellettuale, marchio di fabbrica di Virzì nella sua rivendicazione “popolare” –, il regista di Ovosodo e Baci e abbracci allunga altresì lo sguardo dalle parti di una classe media brulla, capace di bramare senza alcun discernimento. Nella figura di Dino Ossola, interpretato da un Fabrizio Bentivoglio sopra le righe ma capace di restituire la dolente immagine di un uomo sconfitto prima ancora che siano state spiegate le regole della partita, si racchiude con ogni probabilità il senso intimo e più profondo de Il capitale umano, thriller sociale che pecca di quando in quando nella fluidità narrativa ma ha dalla sua una costruzione d’ambiente mirabile, soprattutto se si prendono in esame le location cui il cinema di Virzì aveva abituato il proprio pubblico.
La commedia all’italiana, riflesso automatico del cinema virziano, si trasforma in thriller familiare dai contorni agghiaccianti come l’inverno senza fine che ritorna – grazie all’intelligente struttura a capitoli imposta dalla sceneggiatura – ogni qual volta un nuovo personaggio deve essere indagato dall’occhio mai giudicante della macchina da presa.
Per quanto ragioni sulla morale, sull’identità e sulla retorica, Il capitale umano non cede mai alle lusinghe del pamphlet, preferendo restare nei solchi di un racconto corale, in cui i tasselli non necessariamente debbono trovare una propria collocazione definita. Anche per questo viene naturale perdonare qualche lungaggine narrativa – le digressioni sulla famiglia di Luca Ambrosini, innamorato corrisposto della figlia di Ossola, appaiono piuttosto sfocate e stanche rispetto al resto, tanto per fare un esempio. Anche la scelta di non calcare la mano in maniera eccessiva, edulcorando alcuni passaggi del romanzo, rientra alla perfezione nel quadro del cinema di Virzì, da sempre più affascinato dal sun pathos rispetto alla disperazione.
Il colpo di grazia a questo piccolo ma ambizioso congegno dal vago sapore chabroliano lo danno le superbe interpretazioni di un cast assemblato con estrema lungimiranza: se l’elogio delle performance della Golino, di Bentivoglio, Gifuni e della Bruni Tedeschi può apparire esercizio fin troppo prevedibile, a stupire e rapire lo sguardo sono corpi, gesti, espressioni e parole di Matilde Gioli, Giovanni Anzaldo e Guglielmo Pinelli. Il loro mondo a parte nel mondo a parte, quello dell’adolescenza, viene trasportato in scena con una veridicità e un sentimento strazianti.
Al netto di qualche didascalismo a suo modo inevitabile, Il capitale umano dimostra la maturità di un regista finalmente in grado di staccarsi dalle sue piccole grandi ossessioni senza per questo smarrire la capacità di raccontare l’Italia di oggi, con severità e senza cercare scappatoie di sorta.
Raffaele Meale
https://quinlan.it/2014/01/08/il-capitale-umano/
Se enfrentan dos razas, dos simientes, dos estirpes, dos sagas, como ya se vio en el cine desde “Metropolis”, de Fritz Lang. El carro de los poderosos y la nave que va de los desfavorecidos.
El capital humano (Il capitale umano), de Paolo Virzi, ahonda en esta sima que lleva cavando la humanidad desde hace incontables generaciones. La vida es, se dirá, el cuento que los ricos les quieren contar a los pobres mientras estos se dejan la dignidad por el camino.
Verdad o mentira, engaño o sumisión (¿rendición incondicional?). No hay otra cosa en la chistera del mago que nos ha dejado aquí, un respiro, un suspiro, el instante de transpirar la camiseta para devenir el bueno o el malo de la función.
¿Y quién es quién? Eso sería objeto de arduas discusiones que naturalmente no deberían llegar a ninguna conclusión, porque si final tuviesen sería el fin de la estirpe de los humanos, al menos tal como la conocemos desde el Neolítico por lo menos.
Muy buena dirección de actores estupendamente interpretados. Destacamos a Dino, Fabrizio Ventivoglio, Carla, Valeria Bruni Tedeschi, Serena, Matilde Gioli, Giovanni, Fabrizio Gifuni, Massimiliano, Guglielmo Pinelli y Luca, Giovanni Anzaldo.
La puesta en escena, sobria y sin aspavientos. Se divide la película en tres capítulos o puntos de vista de la narración y la conclusión final, a modo de epílogo. Rachas de melodrama irredento, algo incontrolables, recorren la película de cabo a rabo.
El episodio o tranche de vie nos muestra la comedia humana, como he dicho más arriba, en un formato de semi-thriller o thriller, que finalmente resolverá el nudo y dará con el desenlace de una historia que, como la historia de todas las historias que es, no tiene fin ni principio.
El coágulo de la trama es la muerte de un ciclista a manos de un fagocitador de la casta superior, se supone, o es lo que da a entender la película durante buena parte del metraje, aunque habrá sorpresa hacia el final. Pero como digo en el párrafo anterior, todo está dicho desde el principio si no desde el final.
Porque la película podía haberse montado en un compte à rebours, una marcha atrás y todo hubiera seguido siendo igualmente creíble y perfectamente verosímil. La marcha de la Humanidad tiene estas cosas, que da igual desde qué ángulo o punto de vista se la contemple, siempre conlleva algún vómito de por medio.
Vómito el del espectador, virtual, que cierra los ojos, complacientemente, inconscientemente, ante esta historia indubitable como lo pueda ser una ley natural o física que incoerciblemente siempre lleva al mismo sitio. A la ratonera, a la trampa final.
El capital humano (Il capitale umano), de Paolo Virzi, llega aureolada de numerosos premios y distinciones en su país y fuera de él.
JOSÉ ZURRIAGA
https://revistatarantula.com/el-capital-humano-il-capitale-umano-de-paolo-virzi/
Muchas veces olvidamos que detrás de una creación artística siempre se esconde un posicionamiento político. No somos conscientes de ello, tal vez tampoco nos interese serlo (ir todo el día con el psicoanálisis a cuestas cansa muchísimo), pero todo lo que hacemos y todas las opciones que tomamos, bien como autores o como espectadores, esconden una trastienda ideológica. Lo dicho puede parecer una obviedad, pero toma especial importancia cuando uno se enfrenta al visionado y al análisis de una película como El capital humano, una obra que bebe de las corrientes estilísticas y temáticas de la contemporaneidad. Un film que es 'hijo de su tiempo', en el mejor y en el peor sentido de la expresión.
A día de hoy todos defendemos la libertad artística (¿alguien en su sano juicio no lo haría?), pero al mismo tiempo sancionamos aquellas películas que definen de forma muy nítida su bagaje político (la crítica, ante estos casos, suele recurrir a términos como 'panfleto', 'partidismo' o 'discurso fácil'). Ni tan siquiera los grandes autores restan inmunes a ello: basta pensar en las devastadoras consecuencias que tuvo para Medem la realización de La pelota vasca (la piel contra la piedra) o las más recientes notas airadas sobre la vinculación de Eastwood al ala más conservadora de la derecha norteamericana con motivo de El francotirador (lo reconocemos: el blog participó de ello en su momento) para darse cuenta de que la 'opinión pública' suele castigar a aquellos que dejan al descubierto sus colores políticos.
En paralelo a lo anterior, vivimos en un momento en el que todos los foros de expresión se han vanalizado. Ya no reflexionamos: nos limitamos a opinar (con un matiz: todos podemos verbalizar o escribir una opinión, pero la elaboración de una reflexión completa y compleja sólo está al alcance de unos pocos). Hemos creído que todo cabe en los 140 caracteres de un tweet, que el titular informa más que la noticia en toda su extensión y que lo bueno, si breve, es dos veces bueno. ¡Mentira! Estamos en un mundo globalizado y marcado por los lazos tecnológicos y las redes sociales, pero ello, lejos de unirnos, ha marcado todavía más las diferencias y los recelos. Y como resultado, el cine del siglo XXI, en términos generales, obedece a unos estándares morales, formales y comerciales bastante peligrosos: se evita la controversia, se compra la 'marca blanca' y se intenta ser cercano y reconocible a la par que exótico y universal. Pura falacia de la modernidad.
No hemos perdido el norte. Todo lo dicho viene a colación de El capital humano, una película que tiene su base en la Europa de la crisis económica y de valores. El film arranca con un camarero que, tras terminar su jornada laboral, es atropellado mortalmente por un coche. Uno podría pensar que a partir de ese momento la atención de la ficción recaerá en la víctima, pero no es así: ese arranque sirve a Virzì para hilvanar en tres capítulos y un epílogo las luces y sobre todo las sombras de los Bernaschi y su círculo más íntimo de socios y supuestos amigos. Los Bernaschi tienen su mansión a pocos metros del lugar del siniestro, por lo que el film empieza con una promesa funesta: en la vida de esos personajes 'algo huele a podrido'. Lo que sigue son tres visiones, tres variaciones de lo que sucedió o pudo suceder, de las verdaderas motivaciones y bajas pasiones de todos los participantes del misterio. Un conjunto que, obviamente, desemboca en un final en el que todas las piezas encajan y en el que el orden se reestablece, si bien también quedan al descubierto las verdades menos amables de unos y de otros.
Con estas líneas, podría parecer que El capital humano es un film despiadado que critica ferozmente a la burguesía corrupta o que no esconde su naturaleza política... No es así. Virzì nunca retrata el corazón de los Bernaschi: le interesa más retratar los 'satélites' que giran alrededor de éste. Prueba de ello es que los tres personajes que basan las partes del relato son nombres ajenos a la actividad corrupta del patriarca: Dino, el arribista que deja maravillarse por la opulencia de su amigo (en un primer episodio, además, de comedia subterránea); Clara, la mujer que vive ajena a los tejemanejes de su marido y que esconde su insatisfacción vital en proyectos que nunca llegan a realizarse ('crees que soy imbécil y por eso no me cuentas nada', le dice a su esposo en un momento clave de la película); y Serena, la falsa novia del 'heredero' que disfruta del estatus de su amigo sin tomar partido por nada ni por nadie (el perfil que representa Serena es muy parecido al de una Clara joven: de ahí que las relaciones entre ambas y la posible mutación de roles entre una y otra sea una de las cuestiones más interesantes del film). La película, por lo tanto, no se interesa, o al menos no de forma explícita, por Giovanni, el millonario que promueve la infelicidad de todos, y su hijo, un pijo de cuidado que no sabe cómo reaccionar cada vez que sale de su pedestal de 'niño rico'.
Se me ocurren dos justificaciones que explicarían por qué Virzì elide a conciencia el tratamiento de los personajes 'principales' (al menos, los que tienen más peso en la trama o los que concentran la maraña de engaños y falsas apariencias de ésta). La primera obedece a lo dicho anteriormente: El capital humano quiere gustar y llegar a todo tipo de públicos, y por ello evita ir al epicentro del problema, intenta no mojarse, opta por 'dejar a la libre intuición' los aspectos principales de la historia en lugar de detallar la personalidad y de filmar sin rodeos las malas artes de todos sus miembros. Esta visión gana enteros si vemos de forma panorámica el último cine italiano, fiel a argumentos de corte decadentista pero a la postre bastante condescencientes con aquello que en teoría están poniendo en duda: ahí están Viva la libertà, poco más que una comedieta sobre las rivalidades políticas, o Habemus Papam, una exposición generalista sobre la responsabilidad y el miedo escénico en lugar de la crítica al estamento eclesiástico que todos esperábamos de un autor como Moretti (a la contra, títulos como Reality, La gran belleza o la serie Gomorra sí han sabido ir más allá en sus principios temáticos, sin miedo a resultar ficciones muy crudas).
La segunda teoría es más benévola con la película. Tal vez Virzì no puede contarnos las interioridades de Dino y de su retoño porque éstos son dos personajes en el fondo más planos de lo que parece. Al fin y al cabo, la situación de crisis, desfalcos y estafas sólo puede llevar la firma de alguien cegado por el interés monetario, de un perfil más básico de lo que podría intuírse a simple vista. Virzì 'desglamouriza' la figura del mafioso, echa por tierra la mística y los dilemas morales de 'los Padrinos': quienes portan la culpa o se ven salpicados por el engaño acaban resultando más humanos, y a la postre más interesantes como material cinematográfico. Por eso el film nunca nos muestra la reunión de Dino con sus colaboradores, sus viajes a Milán o las charlas durante las partidas de tenis de los viernes, y por eso las escenas que Coppola hubiera firmado en la oscuridad de los despachos masculinos suceden en espacios nuevos y en boca de personajes inesperados: véase el ultimátum que hace Dino a Clara en el teatro casi al final del relato o la perspicaz utilización del encuentro inicial en la mansión y la gala navideña en el instituto de Serena como excusas perfectas para 'reunir' a los personajes y, de paso, destapar sus miserias.
Sea cual sea la postura que uno decida tomar, El capital humano me plantea algunas dudas. Aunque el sistema de historias cruzadas ayuda a desentrañar poco a poco los secretos de la historia, aporta más bien poco la exposición de escenas idénticas mediante perspectivas diferentes (una narración más clásica hubiera beneficiado al film). Tampoco me convence el hecho de que el personaje que tiene la llave de la resolución no se presente hasta la hora de metraje (Luca), como si el director necesitase más contrapuntos en su intento por 'contar por omisión'. Y en relación a ese personaje, no puede dejar de exponerse el evidente mensaje final de la cinta: los ricos, aunque también lloran, siguen a flote, mientras que los marginados del sistema siempre terminan por 'cargar el muerto' (coloquial... y literalmente).
Más interesante es el discurso que el personaje de Bruni Tedeschi realiza en la última escena del film. En su dormitorio, a la vez que observa la fiesta que se ha organizado en el hall de la casa, asume que personas como su marido han llevado a Italia a la crisis, y que pese a todo se permiten el lujo de reír y de disfrutar de festejos como el que está a punto de presidir. En ese momento, El capital humano parece despejar cualquier atisbo de duda sobre sus resortes formales y políticos: estamos, pues, ante una clara referencia a la clase que especuló (no sólo con dinero) y que sigue indemne. Incluso el hecho de que uno pueda dudar de los posicionamientos y de la pertinencia de algunos puntos de la película (esa citada estructura de historias cruzadas, la exposición antónima de clases sociales, etc.) acaba por decir mucho, y muy bien, sobre El capital humano. Una película, en definitiva, de sumo interés y de gran actualidad, aunque en mi fuero interno siga pensando que al film a veces le cuesta seguir el principio de 'al pan, pan; y al vino, vino'. Será que soy muy antiguo, o que films tan transparentes y radicales en sus postulados como los de Claude Chabrol ya han pasado a mejor vida.
https://cachecine.blogspot.com/2015/04/critica-el-capital-humano-il-capitale.html
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