TITULO ORIGINAL
'O re
AÑO
AÑO
1989
IDIOMA
IDIOMA
Italiano
SUBTITULOS
SUBTITULOS
No
DURACION 9
DURACION 9
0 min.
DIRECCION
DIRECCION
Luigi Magni
ASISTENTE DE DIRECCION
ASISTENTE DE DIRECCION
Paola Scola
GUION
GUION
Luigi Magni
MUSICA
MUSICA
Nicola Piovani
FOTOGRAFIA
FOTOGRAFIA
Franco Di Giacomo
MONTAJE
MONTAJE
Ruggero Mastroianni
VESTUARIO
VESTUARIO
Lucia Mirisola
REPARTO
REPARTO
Giancarlo Giannini, Ornella Muti, Luc Merenda, Carlo Croccolo, Corrado Pani, Anna Maria Ackermann, Cristina Marsillach, Massimo Abate, Anna Kanakis, Franco Pistoni, Franco Tavassi, Sergio Solli
PRODUCTORA
PRODUCTORA
Clemi Cinematografica / Titanus
GENERO
GENERO
Drama. Comedia | Histórico. Siglo XIX
Sinópsis
La parábola de Franceschiello, el último rey de Nápoles. Después de la expulsión del Reino de las Dos Sicilias, el ex rey vive perezoso en el exilio de Roma con su esposa Sofía, que, a diferencia de su marido, sigue luchando por el nacimiento de un heredero y la restitución en el trono de Nápoles. (FILMAFFINITY)
Premios
1988: Premios David di Donatello: Mejor actor secundario y vestuario. 5 nominaciones
Trama
Il Re Francesco II di Borbone, soprannominato Franceschiello per la sua inettitudine, e la sua bella moglie Maria Sofia, insieme al fedele servitore Rafele, si trovano in esilio a Roma. Qui la ex regina cerca di organizzare un esercito, con a capo il Generale Coviello, per riconquistare il trono. L'ex Re è sfiduciato e in preda a mania religiosa, mentre Maria Sofia è ossessionata dal desiderio di avere un erede, che garantisca la successione; ma il matrimonio fra lei e lo sposo non è ancora stato consumato, perchè Francesco, che non ha mai desiderato regnare, non vuole ora mettere al mondo un altro spostato. Questo argomento è causa di continui e aspri contrasti fra i coniugi. I sovrani esiliati sono protetti dal commissario Macchi, che però sembra al re uno jettatore. Intanto giunge dal Sud un affascinante avventuriero spagnolo, Don Josè, che si innamora della regina e si offre di comandare un esercito per riconquistarle il trono. Coviello, nel frattempo, è passato all'esercito italiano. Durante una festa, Franceschiello viene leggermente ferito da una pugnalata di Lucina, una ragazza che vuole vendicare il padre, e, mentre egli si trova a letto e delira, la moglie riesce a fargli consumare finalmente il matrimonio. Don Josè viene fatto fucilare da Coviello, e intanto Franceschiello, saputo che Maria Sofia è incinta, crede che il figlio sia dello spagnolo, ma una lettera di addio di quest'ultimo alla sovrana gli prova che il sospetto è ingiusto, ed egli si convince d'essere il padre del nascituro. Coviello chiede poi un colloquio alla regina, con lo scopo di farla prigioniera, ma, quando durante l'incontro le spara, il commissario Macchi muore facendole scudo col suo corpo, e la salva. Coviello viene impiccato. Invece del sospirato erede, Maria Sofia dà alla luce una bambina, che muore dopo tre mesi.
Il Re Francesco II di Borbone, soprannominato Franceschiello per la sua inettitudine, e la sua bella moglie Maria Sofia, insieme al fedele servitore Rafele, si trovano in esilio a Roma. Qui la ex regina cerca di organizzare un esercito, con a capo il Generale Coviello, per riconquistare il trono. L'ex Re è sfiduciato e in preda a mania religiosa, mentre Maria Sofia è ossessionata dal desiderio di avere un erede, che garantisca la successione; ma il matrimonio fra lei e lo sposo non è ancora stato consumato, perchè Francesco, che non ha mai desiderato regnare, non vuole ora mettere al mondo un altro spostato. Questo argomento è causa di continui e aspri contrasti fra i coniugi. I sovrani esiliati sono protetti dal commissario Macchi, che però sembra al re uno jettatore. Intanto giunge dal Sud un affascinante avventuriero spagnolo, Don Josè, che si innamora della regina e si offre di comandare un esercito per riconquistarle il trono. Coviello, nel frattempo, è passato all'esercito italiano. Durante una festa, Franceschiello viene leggermente ferito da una pugnalata di Lucina, una ragazza che vuole vendicare il padre, e, mentre egli si trova a letto e delira, la moglie riesce a fargli consumare finalmente il matrimonio. Don Josè viene fatto fucilare da Coviello, e intanto Franceschiello, saputo che Maria Sofia è incinta, crede che il figlio sia dello spagnolo, ma una lettera di addio di quest'ultimo alla sovrana gli prova che il sospetto è ingiusto, ed egli si convince d'essere il padre del nascituro. Coviello chiede poi un colloquio alla regina, con lo scopo di farla prigioniera, ma, quando durante l'incontro le spara, il commissario Macchi muore facendole scudo col suo corpo, e la salva. Coviello viene impiccato. Invece del sospirato erede, Maria Sofia dà alla luce una bambina, che muore dopo tre mesi.
Critica
"[...] Scritto e diretto dal prolifico Luigi Magni, 'O' re è un film piacevole, un ironico ma anche nostalgico viaggio nell'Italia di ieri per rinfrescare l'immagine di una coppia reale che gli storiografi piemontesi e i pettegolezzi popolari hanno forse messo in una luce burlesca, quando invece può meritare un'ombra di umana simpatia: lui complessato ma galantuomo, lei incapace di arrendersi al cattivo destino. Disegnando i loro opposti profili sullo sfondo di un'epoca percorsa da banditi, garibaldini, ufficiali savoiardi, guardie papaline, legittimisti irriducibili e maschere allegre, Magni orchestra uno spettacolo che in pari misura suona patetico e giocoso, implicitamente lamenta le strade imboccate dalla Storia e non a torto ne indica la prima vittima nella Napoli degradata". (Giovanni Grazzini, "Il Messaggero", 28 gennaio 1989).
"Magni continua imperterrito a rimestare nel torbido della storia patria, per trarne vicende grottesche, irriverenti e teoricamente popolari. Finché Nino Manfredi gli ha dato una mano i risultati sono stati buoni: ma adesso che gli attori sono meno mattatori, è il poco cinema di Magni a prendere il sopravvento. Un film verboso, inconcludente e noioso: solo Carlo Croccolo dipinge un personaggio da galleria." (Francesco Mininni, 'Magazine Italiano tv')
"Coerente a se stesso, Magni continua la sua personale e critica rivisitazione della storia italiana. Qui la sua simpatia per re Franceschiello (bravo Giannini) è palese. Nonostante il decoro, però, c'è alla base una piattezza televisiva." (Laura e Morando Morandini, 'Telesette')
Note
- PREMIO DAVID 1989 PER MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA A CARLO CROCCOLO, MIGLIORI COSTUMI A LUCIA MIRISOLA.
http://www.cinematografo.it/pls/cinematografo/consultazione.redirect?sch=25864
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Ambientato a Roma, dopo la caduta di Gaeta, prima di Portapia, dove la piccola corte napoletana vive fra ristrettezze economiche e sogni di rivincita della Regina (Ornella Muti) più che del Re (Giancarlo Giannini). Il maggiordomo (Carlo Croccolo) fa i salti mortali per mantenere il decoro della corte vendendo di tutto dal cavallo della Regina, alle onoreficenze e finanche i santini della Regina santa, madre di Francesco II, in attesa di beatificazione. Maria Sofia (Ornella Muti) in crisi coniugale rinfaccia la perdita del regno e l' incapacità virile del marito... il re depresso si scuote solo al ricordo della madre santa, e dalle voci di uno strano munaciello che gira di notte per casa. Gli eventi storici che si incrociano nel film sono : visita di Borges alla corte, il tradimento di un generale borbonico che tardivamente viene fatto impiccare, lo scandalo delle foto della regina nuda; pochi gli esterni molti gli interni e i dialoghi di fantasia che rappresentano caricaturalmente i Borbone. Bella la colonna sonora anche se malinconica.
Francesco del. RE (Movimento neoborbonico)
Francesco del. RE (Movimento neoborbonico)
Storie sui Briganti nei sentieri dei Castelli Romani
Tra gli uomini straordinari Stendhal nel saggio "I briganti in Italia" annovera il brigante Barbone, alias Stefano d'Annibale (1), famoso per la sua crudeltà e temerarietà, al tempo dello scrittore pensionante esterno o, per altri, custode di Castel Sant'Angelo, dove fu poi recluso per molto tempo. Barbone era nato a Velletri alla fine del Settecento e compì l'apprendistato del suo terribile mestiere fin da giovanissimo ed in coerenza con le sue origini, visto che sua madre Rinalda, l'aveva avuto da una relazione con il brigante Peronti che successivamente l'aveva abbandonata. La sua prima maestra fu la madre, che per vendicarsi del marito insegnò al figlio i primi rudimenti del mestiere. Con questa educazione brigantesca, Barbone non smentì le aspettative della madre riuscendo a costituire una banda che divenne il terrore dei viaggiatori del territorio castellano fino ad arrivare nei dintorni di Tivoli, Palestrina e Poli. Dopo una serie lunga e dolorosa di crimini e misfatti, Barbone pensò di riposarsi e offrì al papa la propria resa a condizione che, come risarcimento, gli fosse concessa un'indennità e un buon numero di assoluzioni. Il Pontefice acconsentì e Barbone, come pegno della sua parola, inviò le insegne della propria autorità. Nel 1818 Barbone fece il suo ingresso"trionfale" nella capitale tra ali di folla accorse per poter vedere da vicino colui che era stato per anni il terrore della città e della campagna romana. Significative sono le parole di Stendhal nel paragrafo che riguarda questo momento della vita del brigante che sintetizzano la sensibilità particolare del popolo romano e più in generale della natura degli italiani e infatti:" ... a Roma si ha sempre una certa indulgenza e perfino interesse per gli assassini; si rivolge solitamente all'omicida quella pietà che si dovrebbe provare per la sua vittima; e spieghi chi può questo strano sentimento! Ma è uno dei tratti caratteristici di quel popolo. Posto di fronte alle figure dell'assassino e dell'assassinato, a commuoverlo sono i pericoli corsi dal primo"(2).Attraverso l'accordo con il papa, Barbone trascorse il resto della su vita a Roma con tranquillità e sicurezza tanto che lo si vedeva spesso passeggiare per le vie della città circondato dagli sguardi di ammirazione dei romani.
La città di Velletri sembra essere il cuore delle imprese brigantesche, perché ha dato i natali anche ad un altro famoso brigante, Cencio Vendetta, ossia Vincenzo Giovan Battista Vendetta, conosciuto come il Brigante della Madonna(3).
Egli nacque il 30 dicembre 1825 a Velletri da una famiglia non agiata ed anzi privazioni e povertà influirono molto sulla sua formazione e sul carattere. La vita ribelle e criminosa del ragazzo iniziò subito ed infatti già a dieci anni rubò ad uno zio alcune tavole: fu denunciato e condannato a due mesi di carcere. Andando avanti negli anni l'attività criminosa di Cencio si consolidò con furti e rapine. Con alcuni complici nel settembre 1852 compì un furto ai danni di un tabaccaio di Genzano, Gaetano Fontana, per duecentottanta scudi. Nell'agosto del 1857 si macchiò di una grave colpa. Un maresciallo delle guardie pontificie, Antonio Generali, si era messo sulle sue tracce e andava dicendo che non appena avesse incontrato il brigante lo avrebbe ucciso a bruciapelo. Cencio raccolse la sfida e la sera del 28 agosto 1857 si presentò davanti a lui e lo accoltellò. Naturalmente si diede subito alla macchia, ma, dopo alcuni lunghi mesi di stenti e privazioni, stanco di essere braccato dall'esercito, fece circolare la voce che si era recato all'estero. In realtà si nascondeva nelle campagne di Genzano dove ebbe tutto il tempo di organizzare il suo colpo più ardito e temerario. Nella notte tra il 25 e il 26 marzo del 1858, qualche giorno prima di Pasqua, rubò il quadro prezioso e antico della Madonna delle Grazie e il tesoro custodito nella cattedrale di San Clemente a Velletri. Cencio poi fece pervenire una lettera allo stimato arciprete della Chiesa di San Salvatore, monsignor Ronci, per comunicare al clero l'avvenuto furto degli oggetti sacri chiedendo per la restituzione di poter incontrare il delegato apostolico mons. Luigi Giordani. L'intenzione del Brigante era quella di iniziare una trattativa per la restituzione della refurtiva in cambio del perdono da parte delle autorità(4). La cosa però non era facile e dopo un lungo periodo, Cencio restituì il quadro e il tesoro che furono riportati nella Cattedrale con una solenne processione. Il brigante fu invitato a costituirsi alla giustizia per affrontare il processo e solo dopo avrebbe ottenuto un provvedimento di clemenza. Cencio minacciò di darsi alla latitanza ma fu subito arrestato con un espediente dalle guardie. Il suo processo iniziò il 6 maggio 1858 e durò per un anno, prima a Velletri e poi a Roma. Non ebbe nessuna clemenza e la mattina del 29 ottobre 1859 fu ghigliottinato nella Piazza del Trivio a Velletri, alla presenza di tutta la popolazione di Velletri : sul palco c'era anche il famoso boia Mastro Titta ormai ottantenne(5).
Rimase nel ricordo della gente l'impresa del furto e poi della restituzione degli oggetti sacri e per questo gli venne dato l'appellativo di Brigante della Madonna, creando così la leggenda di un eroe generoso e tragico(6).
La città di Velletri sembra essere il cuore delle imprese brigantesche, perché ha dato i natali anche ad un altro famoso brigante, Cencio Vendetta, ossia Vincenzo Giovan Battista Vendetta, conosciuto come il Brigante della Madonna(3).
Egli nacque il 30 dicembre 1825 a Velletri da una famiglia non agiata ed anzi privazioni e povertà influirono molto sulla sua formazione e sul carattere. La vita ribelle e criminosa del ragazzo iniziò subito ed infatti già a dieci anni rubò ad uno zio alcune tavole: fu denunciato e condannato a due mesi di carcere. Andando avanti negli anni l'attività criminosa di Cencio si consolidò con furti e rapine. Con alcuni complici nel settembre 1852 compì un furto ai danni di un tabaccaio di Genzano, Gaetano Fontana, per duecentottanta scudi. Nell'agosto del 1857 si macchiò di una grave colpa. Un maresciallo delle guardie pontificie, Antonio Generali, si era messo sulle sue tracce e andava dicendo che non appena avesse incontrato il brigante lo avrebbe ucciso a bruciapelo. Cencio raccolse la sfida e la sera del 28 agosto 1857 si presentò davanti a lui e lo accoltellò. Naturalmente si diede subito alla macchia, ma, dopo alcuni lunghi mesi di stenti e privazioni, stanco di essere braccato dall'esercito, fece circolare la voce che si era recato all'estero. In realtà si nascondeva nelle campagne di Genzano dove ebbe tutto il tempo di organizzare il suo colpo più ardito e temerario. Nella notte tra il 25 e il 26 marzo del 1858, qualche giorno prima di Pasqua, rubò il quadro prezioso e antico della Madonna delle Grazie e il tesoro custodito nella cattedrale di San Clemente a Velletri. Cencio poi fece pervenire una lettera allo stimato arciprete della Chiesa di San Salvatore, monsignor Ronci, per comunicare al clero l'avvenuto furto degli oggetti sacri chiedendo per la restituzione di poter incontrare il delegato apostolico mons. Luigi Giordani. L'intenzione del Brigante era quella di iniziare una trattativa per la restituzione della refurtiva in cambio del perdono da parte delle autorità(4). La cosa però non era facile e dopo un lungo periodo, Cencio restituì il quadro e il tesoro che furono riportati nella Cattedrale con una solenne processione. Il brigante fu invitato a costituirsi alla giustizia per affrontare il processo e solo dopo avrebbe ottenuto un provvedimento di clemenza. Cencio minacciò di darsi alla latitanza ma fu subito arrestato con un espediente dalle guardie. Il suo processo iniziò il 6 maggio 1858 e durò per un anno, prima a Velletri e poi a Roma. Non ebbe nessuna clemenza e la mattina del 29 ottobre 1859 fu ghigliottinato nella Piazza del Trivio a Velletri, alla presenza di tutta la popolazione di Velletri : sul palco c'era anche il famoso boia Mastro Titta ormai ottantenne(5).
Rimase nel ricordo della gente l'impresa del furto e poi della restituzione degli oggetti sacri e per questo gli venne dato l'appellativo di Brigante della Madonna, creando così la leggenda di un eroe generoso e tragico(6).
Bibliografia
(1)Stendhal, ( Marie-Henri Beyle,1783-1842), I briganti in Italia, Genova, Il Melangolo, 2004,p.47-49;
(2)Colagiovanni M, Il Sangue della redenzione. Rivista semestrale dei Missionari del Preziosissimo Sangue, Anno IV, n.2, Luglio-dicembre 2006, Roma, Sanguis Editrice, , p.95;
(3)Stendhal, I Briganti in Italia, cit.p. 49;
(4)Mammucari, Renato, I briganti. Storia, Arte, letteratura, Immaginario, Città di Castello, Edimond, 2000, p.238;
(5)Ponzo, Giovanni, Cencio Vendetta. Il brigante della Madonna. Storia di un Uomo, di una Famiglia e di una Città, Velletri, 1992;
(6)Mammucari, Renato, I briganti. Storia, Arte, letteratura, Immaginario, cit.. p.262-265;
(7)A questa temeraria impresa sono state dedicate da parte dei cittadini di Velletri rappresentazioni teatrali e canzoni, la più conosciuta è 'O stazzo, che ne ripropone la storia accompagnata da passi di danza.
(2)Colagiovanni M, Il Sangue della redenzione. Rivista semestrale dei Missionari del Preziosissimo Sangue, Anno IV, n.2, Luglio-dicembre 2006, Roma, Sanguis Editrice, , p.95;
(3)Stendhal, I Briganti in Italia, cit.p. 49;
(4)Mammucari, Renato, I briganti. Storia, Arte, letteratura, Immaginario, Città di Castello, Edimond, 2000, p.238;
(5)Ponzo, Giovanni, Cencio Vendetta. Il brigante della Madonna. Storia di un Uomo, di una Famiglia e di una Città, Velletri, 1992;
(6)Mammucari, Renato, I briganti. Storia, Arte, letteratura, Immaginario, cit.. p.262-265;
(7)A questa temeraria impresa sono state dedicate da parte dei cittadini di Velletri rappresentazioni teatrali e canzoni, la più conosciuta è 'O stazzo, che ne ripropone la storia accompagnata da passi di danza.
I Briganti nel cinema
Intorno agli anni settanta del secolo scorso ci fu nell'ambito cinematografico un fiorire di film dedicati alle gesta e alla vita di briganti o di film storici in cui la figura del brigante non mancava mai. Il fenomeno fu talmente evidente che Ennio Flaiano con una delle sue definizioni folgoranti chiamò"Southterns" i film che nel dopoguerra venivano girati sull'argomento, riferendosi proprio alle pellicole americane ambientate nel far west. In effetti, si diceva da più parti che alcune zone italiane nell'epoca del brigantaggio erano diventate come il far west, terre di nessuno, terre di frontiera dove si combatteva contro i soprusi e la miseria e si lottava per la sopravvivenza contro gli invasori che di volta in volta occupavano il sud.
Si propone di seguito una selezione di film in ordine cronologico con breve abstract, alcuni, i più recenti, sono presenti sul mercato,altri possono essere reperiti presso centri di documentazione cinematografica come la Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
Si propone di seguito una selezione di film in ordine cronologico con breve abstract, alcuni, i più recenti, sono presenti sul mercato,altri possono essere reperiti presso centri di documentazione cinematografica come la Cineteca Nazionale del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
*Il brigante Musolino, 1950, di Steno con Amedeo Nazzari e Silvana Mangano;
Giovane carbonaio calabrese ama riamato la bella Mara. Condannato per un delitto non commesso, evade e si dà alla macchia. Fino al 1950 la storia di Beppe Musolino non era mai stata portata sullo schermo per l'assonanza del nome con quello del duce.
*Donne e briganti, 1950, di Mario Soldati con Amedeo Nazzari e Paolo Stoppa.
Alla fine del Settecento nel Regno di Napoli le bande armate di Fra Diavolo attaccano l'esercito francese. Il re Ferdinando IV apprezza il fuorilegge e lo nomina colonnello. Soldati, scrittore e cineasta dalle molteplici risorse, offre a Nazzari l'occasione di rimettere a lucido la sua sorridente baldanza nella parte del celeberrimo Fra' Diavolo. Stringato, elegante.
*Il brigante di Tacca del Lupo, 1952, di Pietro Germi con Amedeo Nazzari, Cosetta Greco;
1863: i bersaglieri del capitano Giordani devono liberare una zona della Lucania dai briganti di Raffa Raffa, fedeli ai Borboni. Il capitano è per i metodi spicci, il commissario Siceli predilige l'astuzia. Da un racconto di Riccardo Bacchelli, sceneggiato dal regista con F. Fellini,il film è un western militare di robusto impianto dove la contrapposizione complementare tra A. Nazzari/soldato blu nordista e il commissario sudista e volpone è da sola una piccola lezione di storia. Sono abbastanza crude ed eloquenti alcune immagini, ad esempio quelle del saccheggio di Melfi, e le sequenze di battaglia in generale
*I briganti Italiani,1961, di Mario Camerini con Vittorio Gassman e Philippe Leroy. Sante Carbone, brigante napoletano al servizio del Re Ferdinando II, viene abbandonato a se stesso quando le truppe piemontesi compiono l'unita'd'Italia. Sconfitto il Regno delle Due Sicilie, Carbone è deciso a consegnarsi ai piemontesi, ma i nobili del luogo vogliono evitare che l'uomo riveli particolari compromettenti...
*Salvatore Giuliano, 1961, di Francesco Rosi, con Frank Wolf e Salvo Randone.
Il famoso bandito del movimento separatista siciliano.Compie azioni criminose contro uomini dello Stato e diventa inconsapevolmente uno strumento della Mafia...
Una ricostruzione fedele delle imprese del bandito, ambientate nei luoghi dove sono avvenute, il suo paese di nascita, il tragico episodio di Portella della Ginestra.
*O' Re di Luigi Magni con Giancarlo Giannini e Ornella Muti;
Il Re Francesco II di Borbone, soprannominato Franceschiello per la sua inettitudine, e la sua bella moglie Maria Sofia, insieme al fedele servitore Rafele, si trovano in esilio a Roma. Qui la ex regina per riconquistare il trono, cerca di organizzare un esercito con a capo il Generale Coviello e l'affascinante avventuriero spagnolo Don Josè. I due radunano le rimanenti truppe dell'esercito borboniche e le molte bande di briganti che operavano nei territori del sud della penisola.
*Briganti. Amore e libertà, 1993, di Marco Modugno, con Claudio Amendola e Monica Bellucci;
Si narra la storia di due fanciulli uniti dal destino, Giovanni e Costanza. Lei è figlia di un barone, lui figlio di un brigante. I due fanciulli crescono insieme e fra loro si crea una forte amicizia, che cresce fino a diventare amore. Vengono scoperti: Giovanni viene cacciato di casa, mentre lei viene rinchiusa in un monastero. Scoppia la guerra e Costanza torna a casa, ormai fatiscente, cadente. Il suo cuore è sempre legato a Giovanni che nel frattempo si era arruolato con l'esercito borbonico, e dopo alcune vicende era entrato in un gruppo di ribelli briganti, che sfuggivano alle rappresaglie dei garibaldini. Saputo che Costanza è uscita dal monastero torna a cercarla...
Ferdinando e Carolina, 1998 di Lina Wertmuller, con Mario Scaccia, Sergio Assisi, Gabriella Pession
1825. Napoli. Ferdinando I di Borbone sta per morire, ma i fantasmi del passato non lo abbandonano. Oltre a momenti positivi come un'infanzia e un'adolescenza prive di preoccupazioni e il matrimonio d'amore con Maria Carolina D?Asburgo, riemergono da passato episodi di intrighi, complotti, guerre, accordi con briganti e masnadieri.
*Li chiamarono...briganti,1999, di Pasquale Squitieri, con Claudia Cardinale, Enrico Lo Verso, Giorgio Albertazzi.
Squitieri propone una romanzesca versione del 'dopo-Garibaldi' in cui un ex camicia rossa torna nel proprio paese e assiste alle vessazioni compiute dal governo sabaudo. Si dà alla macchia, diventando il capo di una banda di briganti, col nome di Carmine Crocco per ricostituire il dominio borbonico ma si scontra con il generale Cialdini che si allea con la mafia e reprime il tentativo.
*La Carbonara, 1999,di Luigi Magni, con Claudio Amendola, Valerio Mastandrea, Lucrezia Lante della Rovere.
Ai tempi del Gran Tour e della Partita dei Sogni (nel 1825), sul confine Nord degli Stati della Chiesa. Una stazione di posta, con cambio di cavalli, ai piedi di un antico borgo, arroccato intorno a un Castello baronale. Annessa alla stazione, una locanda con Osteria, all'insegna de La Carbonara. La bella proprietaria è chiamata, per estensione, La Carbonara, ma è"Carbonara di Spaghetti", specialità della casa. Nella campagna circostante, briganti e Gendarmi si spartiscono il territorio..
*Tiffany e i tre briganti, 2008, film di animazione tratto dal racconto "I tre briganti" di Toni Ungerer.
Un bosco scuro scuro, una carrozza che corre nella notte portando una bambina addormentata, tre briganti appostati nell'ombra... Che ne sarà della piccola Tiffany? Sono davvero così cattivi quei tre briganti, oppure...
...
Daniela Imperi
http://www.vivavoceonline.it/articoli.php?id_articolo=1194
Luigi Magni nasce a Roma nel 1928, è uno sceneggiatore - regista unanimemente considerato come il cantore appassionato e ironico della Roma papalina. Il suo interesse per quel periodo storico compare già con prepotenza nella sceneggiatura de Le voci bianche (1964) -girato da Pasquale Festa Campanile - e nella messa in scena teatrale di un’epopea romanesca di taglio popolare come Rugantino (1966).
Luigi Magni come sceneggiatore è attivo per tutto il periodo 1959 - 1968, collaborando a film comici (La cambiale, Il corazziere, Gli attendenti, Il mio amico Benito) e subito dopo a lavori più impegnati di ambientazione storica (Madamigella di Maupin, La mandragola, El Greco, La cintura di castità). Tra gli altri film scritti da Magni ricordiamo: In Italia si chiama amore, Un tentativo sentimentale, Non faccio la guerra faccio l’amore, Le fate, Le bambole, La ragazza con la pistola e Per grazia ricevuta).
Le collaborazioni di Magni in veste di soggettista e sceneggiatore prendono il via dalla collaborazione con Age & Scarpelli e riguardano le opere dei migliori registi del tempo: Mario Monicelli, Luciano Salce, Mauro Bolognini, Camillo Mastrociqnue, Giorgio Bianchi, Pasquale Festa Campanile, Carlo Lizzani e Alberto Lattuada.
Il debutto cinematografico avviene con Faustina (1968), un originale apologo popolaresco che cita e omaggia con affetto la romanità d’un tempo. Interpreti: Vonetta McGee, Renzo Montagnani, Enzo Cerusico, Franco Acampora, Clara Bindi, Diana Buffardi, Franca Haas e Ottavia Piccolo. Montagnani è un tombarolo gretto e manesco che vive di espedienti, mentre la mulatta McGee è la moglie Faustina, che a un certo punto si innamora di un timido cantante (Cerusico) e vorrebbe scappare con lui, ma non è facile. Il marito la denuncia per abbandono del tetto coniugale, lei finisce in galera, ma quando dopo sei mesi esce fuori, attende un figlio. Il marito la riempie di botte più forte di prima e a questo punto lei se ne va per sempre. La mulatta Faustina simboleggia il passaggio degli alleati, ricorda come le truppe di liberazione abbiano avuto rapporti con donne italiane. Magni ci fa conoscere la romanità delle sue storie con una spruzzata di femminismo e ambienta il racconto nel Foro romano effettuando le riprese tra le rovine. Una favola garbata, senza tempo, di taglio pasoliniano, con una scenografia che ricorda le stampe d’epoca.
Se il primo film di Magni poteva dirsi interessante e originale, il secondo è già un grande successo di pubblico e di critica.
Nell’anno del Signore (1969) è un’opera a metà strada tra il comico e il tragico che racconta le vicissitudini di un gruppo di carbonari smascherati e uccisi, tutti tranne il Cornacchia (Manfredi), che continuerà a scrivere filastrocche irriverenti contro il Papa sulla statua di Marc’Aurelio. A parte Manfredi - grande protagonista - nel cast spiccano Claudia Cardinale, Robert Hossein, Renaud Verley, Enrico Maria Salerno, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Britt Ekland, Pippo Franco e Stefano Oppedisano. Siamo nella Roma del 1825, sotto Papa Leone XII, epoca di tumulti anticlericali e di moti carbonari, il nostro protagonista è un modesto ciabattino che si fa chiamare Cornacchia ma nasconde l’identità dell’irriverente Pasquino. Hossein e Verley sono due carbonari che vengono aiutati da Cornacchia a scoprire i traditori e a salvarsi dalla galera. Cornacchia sogna una rivolta popolare contro il dominio dispotico del Papa Re, ma resta deluso e le sue speranze sono frustrate. Magni scrive e sceneggia il film, dimostrando grane maturità artistica sin dal secondo lavoro che utilizza gli strumenti della commedia in un’ambientazione storica. Non manca la riflessione politica sulle rivoluzioni e sul popolo che non vuole rischiare la pelle ma pensa soltanto a vivere una vita tranquilla e immune da problemi. Gli attori sono bravi. Sordi è un frate molto divertente, Tognazzi un credibile cardinale e Salerno un diligente capitano. Claudia Cardinale salva il lato erotico che stiamo cercando nella commedia alta ed è di una radiosa bellezza, forse nel momento migliore della sua vita artistica.
Scipione detto anche l’Africano (1971) è un film satirico contro l’antica Roma, interpretato da Marcello Mastroianni, Ruggero Mastroianni, Woody Strode, Silvana Mangano, Turi Ferro, Adolfo Lastretti, Fosco Giachetti, Enzo Fiermonte, Philippe Hersent, Wendy D’Olive, Brizio Montinaro e Ben Ekland. Magni scrive e sceneggia una sorta di parodia che critica l’antica Roma scettica e indolente per ironizzare sulla società contemporanea. Fa parlare gli antichi romani in dialetto romanesco, una scelta coraggiosa ma divertente, e gira il film a Paestum, tra le rovine della Villa Adriana. Marcello Mastroianni è Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, vincitore delle guerre puniche, accusato da Catone il Censore di aver intascato illegittimamente un tributo di 500 talenti dovuti da Antioco, re di Siria. Alla fine si scopre che il colpevole è il fratello Lucio Cornelio Scipione, detto l’Asiatico (Ruggero Mastroianni), ma l’Africano si prende la colpa, dopo aver capito che gli ideali e le virtù sono soltanto vuote parole. Sceglie l’esilio perché si rende conto che gli uomini onesti e probi non sono ben visti a Roma. La pellicola è molto teatrale, ma gli attori sono bravi e il pubblico non si annoia. Ruggero Mastroianni - famoso montatore - è il fratello di Marcello, una tantum attore per interpretare (in maniera più che credibile) il ruolo del fratello di Scipione. Turi Ferro è niente meno che Giove. La colonna sonora è di Severino Gazzelloni. Il film non è tra le cose migliori di Magni, ma non condividiamo l’ardore con cui Morando Morandini ne sconsiglia la visione (si prende una querela dalla produzione). “Arguto, verboso, con molti momenti di stanchezza”, scrive sul noto Dizionario che porta il suo nome. Ai nostri fini niente di erotico, anche se possiamo parlare di un peplum in salsa di commedia.
La Tosca (1973) è ai nostri fini ancor meno interessante, perché si tratta della trasposizione cinematografica del celebre dramma di Sardou in veste musicale, interpretata da Monica Vitti, Vittorio Gassman, Luigi Proietti, Umberto Orsini, Aldo Fabrizi, Ninetto Davoli, Alvaro Vitali, Fiorenzo Fiorentini, Gianni Bonagura e Marisa Fabbri. Il film è originale perché La Tosca viene trattata in veste ironica e romanesca, una maniera insolita di concepire un’opera e di portarla a un pubblico meno preparato. Magni si occupa di tutto, dalla sceneggiatura ai dialoghi, passando per i cori e le canzoni, trasformando il dramma di Flora Tosca in un’opera buffa di taglio romanesco. Non è una parodia, ma una commedia musicale che mette in primo piano ciò che Sardou e Puccini utilizzano come sfondo, ma il risultato finale non ha niente a che vedere con l’opera classica. La critica politica all’Italia contemporanea è più che evidente e la vena da commedia leggera scorre felice. Il regista punta sull’umorismo e fa a meno della retorica, inserendo il solito spirito anticlericale e battute polemiche sula rivoluzione. Il mix tra commedia brillante e melodramma finale è ben riuscito. Armando Trovajoli cura una splendida colonna sonora.
La via dei babbuini (1974) è un lavoro atipico per Luigi Magni che punta sul filosofico e realizza una commedia di ambientazione africana ricca di bozzetti e di stupende scenografie, ma poco efficace. Ai nostri fini ci sono timidi accenni di commedia erotica vista la presenza di un’affascinante Catherine Spaak, poco espressiva e spesso in difficoltà con il personaggio, e di un comico Pippo Franco, alle prese con la caratterizzazione di un uomo bianco nato in mezzo ai coccodrilli. Lionel Stander è il più bravo di tutti nei panni (ormai consueti) del vecchio padre morente, un fascista nostalgico che ha mollato la famiglia ed è andato a vivere in Etiopia, ma esce presto di scena. Uno dei momenti migliori del film è l’incontro padre - figlia che si rivedono dopo una lunga separazione e sembrano due estranei. Lui finisce per morire nella sua Africa, senza nessuna nostalgia di Roma e della vecchia Europa. Gli altri interpreti sono Fabio Garriba e Gabriele Grimaldi, ma la loro partecipazione è piuttosto monocorde. Soggetto e sceneggiatura sono del regista che racconta la storia di una signora romana (Spaak) che va in Africa per assistere il padre morente e decide di abbandonare il marito per seguire nella savana la via dei babbuini. Pippo Franco è il singolare individuo che Catherine Spaak incontra sul suo cammino, un italiano figlio di immigrati, nato in Etiopia in mezzo ai coccodrilli, che vive di sogni e ricordi del passato. Un ruolo insolito per l’attore comico romano, atipico e piuttosto serioso, a metà strada tra il comico e il surreale. In ogni caso la parte comica è tutta sulle sue spalle, anche perché il marito della Spaak è un personaggio grottesco e irreale, così pieno di difetti da sembrare un fumetto. Pippo Franco che filosofeggia, però, non è il massimo: “Il babbuino è simile all’uomo, ma non vuole diventare uomo. Per questo ogni sera al tramonto torna nella foresta per restare scimmia, seguendo la via dei babbuini”. Pippo Franco si vede sconvolgere l’ordinaria follia della sua vita quotidiana a contatto con i coccodrilli da una coppia in fuga dal mondo moderno. Il nuovo compagno muore divorato da un coccodrillo, ma lei decide lo stesso di restare in Africa perché il rapporto con il marito - che cerca di riportarla a casa senza successo - è ormai finito. La Spaak era andata in Africa per nostalgia del padre moribondo, ma forse voleva soltanto fuggire da un marito noioso e pedante. Il mal d’Africa ha fatto il resto. Gli effetti speciali sono di Carlo Rambaldi, la stupenda fotografia africana è di Di Giacomo, il montaggio serrato di Ruggero Mastroianni. Musica suggestiva di Armando Trovajoli. Il film avrebbe ambizioni ecologiche e consiglia la ricetta contro l’alienazione dell’uomo contemporaneo: la fuga e il ritorno alla natura selvaggia. Un apologo esotico che non funziona, anche perché la Spaak e Franco non sono due attori in sintonia. Resta un buon lavoro stilisticamente parlando, suoni e rumori della notte africana sono valorizzati al massico, le suggestive scenografie lasciano senza fiato. Sembra d’essere in un mondo movie romantico e nostalgico, tra grandi alberi, coccodrilli, ippopotami e bozzetti di vita nella savana. I momenti erotici sono pochi, a parte la bellezza di Catherine Spaak - che con il passare del tempo diventa sempre più castigata - e un fugace incontro tra il marito e una prostituta nera.
Signore e signori buonanotte (1976) è una commedia a episodi firmata da Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli ed Ettore Scola. Gli sceneggiatori sono un manipolo: Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Ruggero Maccari e Ugo Pirro. Il film è strutturato in 14 episodi ed è prodotto in cooperativa da registi e sceneggiatori. Il tema di fondo è la critica alla televisione, i registi realizzano un’efficace parodia di una giornata televisiva a base di sceneggiati, telegiornali, pubblicità e inchieste. Scola dirige l’episodio - cornice, interpretato da Marcello Mastroianni e Monica Guerritore, basato su un giornalista televisivo che intervista un uomo politico corrotto, assiste a un vertice di camorristi che si stanno spartendo Napoli e si intrattiene piacevolmente con una collega. Mastroianni è un giornalista - speaker molto distratto di un inesistente (al tempo) TG3, perché la terza rete ancora non ha visto la luce. La sua presenza fa da filo conduttore, perché i vari episodi del film sono presentati come inchieste, servizi speciali, intrattenimenti e inserti del suo telegiornale. Scola dirige anche Il salone delle cariatidi ed è sua l’idea del sosia di Giovanni Leone - Presidente della Repubblica - mentre balla la tarantella. Luigi Comencini dirige Lezione d’inglese, con Vittorio Gasmann e Lucretia Love (Anna Morganti), dove un agente della Cia prepara un attentato, ma anche L’ispettore Tuttumpezzo con Vittorio Gassman, Adolfo Celi e Senta Berger, per raccontare la storia di un poliziotto che diventa cameriere di un potente corrotto. Mangiamo i bambini, con Paolo Villaggio e Gabriella Farinon, è l’ultimo episodio di Comencini, basato sull’affermazione di Jonathan Swift secondo la quale si dovevano mangiare i bambini poveri in eccedenza. Nanni Loy dirige Sinite parvulos, con Andrea Bosic, un ragazzino napoletano che si suicida dopo che un cardinale ha premiato le famiglie con molti figli, e Il personaggio del giorno - Poco per vivere troppo per morire, con Ugo Tognazzi e Franco Diogene, dove vediamo un pensionato milanese campare di espedienti. Luigi Magni resta nella sua tematica preferita, anticlericale e dedicata alla Roma papalina con Il santo soglio (Nino Manfredi, Mario Scaccia, Andrea Ferréol, Felice Andreasi e Luigi Basagaluppi), dove un cardinale si finge moribondo per essere eletto Papa. Mario Monicelli dirige La bomba (Carlo Croccolo, Eros Pagni, Sergio Graziani, Camillo Milli e Gianfranco Barra), come satira all’inettitudine della polizia che fa esplodere un ordigno dopo un falso allarme per non fare una figuraccia, e Il generale in ritirata (Ugo Tognazzi), che vede un militare suicida perché le medaglie sono cadute nella tazza del water. Non è dato sapere chi abbia girato Il disgraziometro (Comencini?), interpretato ancora da Paolo Villaggio, sul gioco a premi dove vince il più sfortunato. Si tratta di una commedia satirica, a sfondo politico, ma invece che cattiva e pungente come avrebbe dovuto essere, pare blanda e annacquata. Vizi e virtù di un’Italia allo sfascio vengono messi alla berlina. Scarso il successo di pubblico, anche se gli attori sono di primo piano e i registi quanto di meglio in circolazione. Musiche di Lucio Dalla, Antonello Venditti, Francesco Guccini, Giuseppe Mazzucca e Nicola Samale. Erotismo poco o niente, a parte qualche ammiccamento da parte di Monica Guerritore (presentatrice - amante di Mastroianni), Lucretia Love e Senta Berger.
Basta che non si sappia in giro (1976) cavalca la moda delle commedie a episodi girate da più registi, in questo caso la collaborazione è tra Nanni Loy, Luigi Magni e Luigi Comencini. Macchina d’amore di Nanni Loy (Monica Vitti e Johnny Dorelli) racconta le vicissitudini erotiche di una dattilografa che batte a macchina il copione di un film porno, ma scambia realtà e fantasia. Il superiore di Luigi Magni (Nino Manfredi, Lino Banfi e Isa Danieli) racconta una rivolta carceraria per protestare contro la mancanza di donne durante la quale un secondino rischia di essere sodomizzato. L’equivoco di Luigi Comencini (Nino Manfredi e Monica Vitti) è incentrato sullo scambio di persona tra una venditrice di libri e una prostituta. Luigi Magni scrive e sceneggia il suo episodio, atipico come tematica. Il primo è scritto da Age e Scarpelli, il terzo da Castellano e Pipolo. Una commedia innocua, scritta e girata con poca fantasia, basata su situazioni erotiche sempre poco esplicite e con attrici reticenti a recitare senza veli.
Quelle strane occasioni (1976) vede ancora una collaborazione tra Nani Loy, Luigi Mani e Luigi Comencini per una commedia a episodi di livello medio. Italian Superman di Nanni Loy - che non firma la pellicola - (Paolo Villaggio, Valeria Moriconi e Lars Bloch) è il più volgare come tematica e racconta le vicende di un venditore di castagnaccio che diventa ricco facendo l’amore in pubblico nei night di Amsterdam. Il problema è che la moglie lo blocca, lui non vuol saperne di restare fedele e di fare l’amore con una sola donna. Il cavalluccio svedese di Luigi Magni (Nino Manfredi, Olga Karlatos, Giovanna Steffan, Giovannella Grifeo) è commedia erotica pura e racconta di un architetto che va a letto con una bella svedese, figlia di un amico, ma il problema è che l’amico è stato amante della moglie. L’ascensore di Luigi Comencini (Alberto Sordi, Stefania Sandrelli e Beba Loncar) è l’episodio più erotico e ricco di scene sensuali, merito di una strepitosa Stefania Sandrelli che seduce un monsignore (Sordi) in un ascensore bloccato per un’intera giornata. Il monsignore approfitta della ragazza e alla fine si comporta come se non fosse accaduto niente. Gli sceneggiatori sono Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che collaborano con Rodolfo Sonego per Il cavalluccio svedese e L’ascensore. Molti gli elementi di commedia sexy, soprattutto nel terzo episodio girato da Comencini.
In nome del Papa Re (1977) rappresenta la continuazione ideale di Nell’anno del Signore ed è l’opera più matura e riuscita di Luigi Magni, che racconta la ferocia degli ultimi anni di potere temporale dei papi attraverso la figura ironica di Don Colombo (un Manfredi in gran forma), consapevole che la fine è prossima, ma incapace di fare scelte rivoluzionarie. Interpreti: Nino Manfredi, Danilo Mattei, Carmen Scarpitta, Giovannella Grifeo, Carlo Bagno, Salvo Randone, Ettore Manni, Camillo Milli, Rosalino Cellamare (il popolare cantante Ron) e Luigi Basagaluppi. Ai nostri fini non c’è niente di erotico, mancano persino presenze femminili interessanti, ma resta una notevole critica anticlericale e la rievocazione dell’ultima condanna a morte decretata dal Papa. La pellicola si regge tutta sulla grande interpretazione di Nino Manfredi, attore feticcio di Luigi Magni. David di Donatello per la sceneggiatura.
Arrivano i bersaglieri (1980) approfondisce la tematica anticlericale di Luigi Magni, che racconta il passato ma guarda al presente. Il film è interpretato da Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Vittorio Mezzogiorno, Pippo Franco, Giovannella Grifeo, Ombretta Colli, Mariano Rigillo, Enrico Papa, Carlo Bagno, Daniele Dublino, Ricky Tognazzi e Moira Orfei. Il periodo storico preso in esame è successivo alla breccia di Porta Pia, quando la nobiltà papalina e il clero cercano di riciclarsi nella nuova Italia unita. Bella commedia storica con personaggi indovinati, come il prete trasformista interpretato da Pipo Franco e il patrizio tradizionalista Ugo Tognazzi, ma pure lo zuavo Mezzogiorno che si è arruolato con i bersaglieri. Ottimo il cast femminile che assicura un minimo sindacale di erotismo alla commedia: Giovanna Ralli, Ombretta Colli e Moira Orfei.
Un’avventura a Campo de’ Fiori (1982) è un singolare prodotto televisivo che Luigi Magni gira per il ciclo Dieci registi italiani, dieci racconti italiani, trasmesso da Rai 3. Il film di Magni va in onda il 14 maggio 1983, sabato alle 20 e 30, tratto dal racconto surreale di Giorgio Vigolo, sceneggiato dal regista con la collaborazione di Luigi Spagnol. Interpreti: William Berger, Geneviève Omini, Rina Franchetti, Fabio Garriba, Anna Lelio, Remo Remotti. Un uomo manca da Roma da molto tempo, ma quando ci torna per ritrovare un amico, al suo posto incontra un fantasma. Insolito ma da vedere.
State buoni se potete (1983) è la storia romanzata di San Filippo Neri, interpretato da Johnny Dorelli, il condensato di una serie televisiva in tre puntate. Il film celebra il fondatore dell’oratorio, il santo che si prende cura della gioventù, e un anticlericale come Magni non sembra il regista più adatto, mentre le musiche di Angelo Branduardi sono perfette. La versione televisiva dura 149’ ed è quella che circola in dvd. Fuori argomento per quel che riguarda la nostra tematica. L’addio a Enrico Berlinguer (1984) è un documentario girato a più mani, dedicato alla figura di un grande uomo politico, segretario del Partito Comunista Italiano, scomparso per un arresto cardiaco durante un comizio. Citiamo per completezza Il generale (1986), Garibaldi il generale (1987) - miniserie a puntate - e Cinema! (1988), esperienze televisive che esulano dalla nostra trattazione, così come il documentario Imago Urbis (1987).
Secondo Ponzio Pilato (1987) vede Luigi Magni alle prese con una tematica storica insolita, ma in compagnia del fido Nino Manfredi, che interpreta da par suo un ruolo complesso. Il cast comprende Stefania Sandrelli, Lando Buzzanca, Mario Scaccia, Flavio Bucci, Luisa De Santis, Roberto Herlitzka e Antonio Pierfederici. Il film è a metà strada tra realtà e fantasia, perché Ponzio Pilato dopo aver condannato a morte Gesù viene colto da dubbi e si convince di aver commesso un delitto. Alla fine - da buon eroe tragico della commedia all’italiana - chiederà all’imperatore Tiberio di essere decapitato. Nino Manfredi, ormai sodale di Luigi Magni, rende ciociaro Ponzio Pilato e ne fa un personaggio interessante, roso dai dubbi e dal rimorso. Stefania Sandrelli assicura l’indispensabile elemento erotico.
O’ re (1988) è un altro film storico - genere nel quale Magni è ormai specialista - interpretato da Giancarlo Giannini, Ornella Muti, Carlo Croccolo, Corrado Pani, Luc Merenda, Cristina Marsillach e Annamaria Ackermann. La pellicola racconta la vita privata dell’indolente Francesco di Borbone (re Franceschiello) e della moglie Maria Sofia, interpretati da Giancarlo Giannini e Ornella Muti. I sovrani si trovano a Roma in esilio dopo che Garibaldi li ha scacciati dal Regno delle Due Sicilie. La pellicola nasce per il piccolo schermo, la versione cinematografica è tagliata, ma conserva gli stessi ritmi e inoltre i due attori principali non sono ben assortiti. Ornella Muti è fuori ruolo, anche se conferisce al film un minimo di sensualità. Commedia all’italiana, ironica e scanzonata, ma con riferimenti storici ben precisi.
In nome del popolo sovrano (1990) è un nuovo atto dell’epica anticlericale e antipapista di Luigi Magni, che mette in scena il prete Ugo Bassi schierato contro il Papa e il solito Manfredi nei panni del Pasquino di turno. Interpreti: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Jacques Perrin, Elena Sofia Ricci, Carlo Croccolo, Luca Barbareschi, Massimo Wertmüller e Serena Grandi. Siamo ai tempi della Repubblica Romana (1848) e il regista racconta l’amore della moglie di Eufemio Arquati (Sordi) per un garibaldino. Il marito la riconquisterà solo dopo essersi unito ai repubblicani. Bravissimo Manfredi nei panni di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio. Elena Sofia Ricci e Serena Grandi sono le uniche divagazioni sexy su una tematica storica che volge a commedia. Meno ispirato e originale de In nome del Papa Re e spesso ripetitivo nelle caratterizzazioni, ma resta un buon film.
Nemici d’infanzia (1995) nasce come romanzo scritto da Luigi Magni, quindi sceneggiato per il cinema da Carla Vistarini e vincitore di un David di Donatello. Non è un lavoro memorabile, nonostante il premio. Interpreti: Paolo Murano, Renato Carpentieri, Giorgia Tartaglia, Nicola Russo, Elena Berera, Elodie Trecani, Gregorio Gandolfo e Luigi Diliberti. Siamo nella Roma del 1944, il dodicenne Paolo si divide tra l’amicizia per la coetanea Luciana e l’ammirazione per l’invalido Corsini. A un certo punto scopre che quest’ultimo è un torturatore fascista che deve uccidere il padre di Luciana. La pellicola soffre un’evidente mancanza di mezzi ed è molto ideologica, oltre a essere recitata in maniera scolastica. Troppo retorico.
Esercizi di stile (1996) è un film a episodi girato da un plotone di registi: Francesco Laudadio, Luigi Magni, Lorenzo Mieli, Pino Quartullo, Alessandro Piva, Falero Rosati, Maurizio Dell’Orso, Dino Risi, Alex Infascelli, Sergio Citti, Volfango De Biasi, Cinzia Th Torrini, Claudio Fragasso e Mario Monicelli. Gli interpreti sono Elena Sofia Ricci, Massimo Wertmüller, Franco Diogene, Gloria Paul e Sal Borgese. Luigi Magni gira soltanto Era il maggio radioso, un divertente episodio pere raccontare la vicenda tragicomica di un reduce della Prima Guerra Mondiale che al ritorno trova la moglie monaca di un convento, perché non sperava più di rivederlo. L’idea di fondo è quella di portare al cinema gli Esercizi di stile di Raymond Queneau in quattordici episodi, che poi sarebbero quattordici modi diversi di dirsi addio in quattordici generi cinematografici diversi, dalla commedia al giallo, passando per horror, erotico, poliziesco e western. Il film delude per mancanza di stile e per approssimazione registica, anche se la breve commedia di Magni non è da disprezzare.
La carbonara (2000) è l’ultima incursione di Magni nella Roma papalina del 1825, meno riuscita delle precedenti ma pur sempre una discreta commedia storica. Interpreti: Lucrezia Lante della Rovere, Valerio Mastandrea, Fabrizio Gifuni, Claudio Amendola, Nino Manfredi, Alberto Alemanno, Pierfrancesco Favino, Andrea Garinei e Marina Lorenzi. Siamo nel 1825: Cecilia (Lante della Rovere) ritrova nello stesso giorno il primo amore (Gifuni), condannato a morte dal Papa per carboneria, e il marito (Mastandrea), che non era stato ucciso dai banditi ma si era fatto frate. Nino Manfredi è un bravissimo cardinale romano, disilluso e scettico, che interviene per aiutare la donna nei problemi sentimentali. Ci mette lo zampino anche un miracolo divino e al tempo stesso si cercano di risolvere i molti guai politici. Magni scrive e dirige un film nelle sue corde, ma il soggetto è fiacco, ricicla molti temi in passato affrontati con maggior freschezza e cerca di attualizzarli. La bella Lucrezia Lante della Rovere fa la locandiera ed è carbonara nel senso degli spaghetti, perché la sua trattoria si chiama con il nome del noto piatto romano. “A Roma tutti si fanno comprare”, insiste Magni come leitmotiv della pellicola e il collegamento con la corruzione contemporanea pare evidente.
Luigi Magni conclude la sua carriera con il televisivo La notte di Pasquino (2003) che ripercorre la vecchia tematica storica e può considerarsi un addio alla macchina da presa, perché dopo la morte di Nino Manfredi (2004), il suo attore prediletto, non vuole più girare film. Luigi Magni è un regista che dimostra la grandezza del nostro cinema popolare. Resta il cantore del periodo risorgimentale. da un punto di vista anticlericale, capace di raccontare la storia romanzando eventi e creando personaggi memorabili. Il tono del suo cinema è comico, spesso da farsa, in ogni caso nei limiti della commedia all’italiana, che a tratti presenta aspetti erotici, mai predominanti. Magni usa l’anticlericalismo per compiere un discorso sul potere, per criticare ogni dittatura o regime assoluto che sfrutta l’ignoranza della gente per dominare i propri simili. Roberto Poppi scrive sul Dizionario dei Registi Italiani: “Acuto osservatore del costume e della politica italiana ottocentesca vista attraverso i non facili rapporti tra i sostenitori del liberalismo e il potere ecclesiastico, schierandosi a favore dei primi e criticando con grande veemenza anticlericale i secondi”. Magni di solito gira film ambientati in un’altra epoca, ma cerca sempre di attualizzare il messaggio politico e di renderlo contemporaneo. Si ricorda il suo cinema anche per le perfette ricostruzioni della Roma papalina, effettuate a Cinecittà e in alcuni casi tra le antiche rovine di molte città italiane (Pompei, Paestum…). Nel 2008 riceve il David di Donatello alla carriera per celebrare i suoi ottant’anni di attività come regista. Muore il 27 ottobre 2013.
Gordiano Lupi
http://cinetecadicaino.blogspot.com.ar/2013/10/luigi-magni-il-cantore-della-roma.html
Daniela Imperi
http://www.vivavoceonline.it/articoli.php?id_articolo=1194
Luigi Magni, il cantore della Roma papalina
Luigi Magni nasce a Roma nel 1928, è uno sceneggiatore - regista unanimemente considerato come il cantore appassionato e ironico della Roma papalina. Il suo interesse per quel periodo storico compare già con prepotenza nella sceneggiatura de Le voci bianche (1964) -girato da Pasquale Festa Campanile - e nella messa in scena teatrale di un’epopea romanesca di taglio popolare come Rugantino (1966).
Luigi Magni come sceneggiatore è attivo per tutto il periodo 1959 - 1968, collaborando a film comici (La cambiale, Il corazziere, Gli attendenti, Il mio amico Benito) e subito dopo a lavori più impegnati di ambientazione storica (Madamigella di Maupin, La mandragola, El Greco, La cintura di castità). Tra gli altri film scritti da Magni ricordiamo: In Italia si chiama amore, Un tentativo sentimentale, Non faccio la guerra faccio l’amore, Le fate, Le bambole, La ragazza con la pistola e Per grazia ricevuta).
Le collaborazioni di Magni in veste di soggettista e sceneggiatore prendono il via dalla collaborazione con Age & Scarpelli e riguardano le opere dei migliori registi del tempo: Mario Monicelli, Luciano Salce, Mauro Bolognini, Camillo Mastrociqnue, Giorgio Bianchi, Pasquale Festa Campanile, Carlo Lizzani e Alberto Lattuada.
Il debutto cinematografico avviene con Faustina (1968), un originale apologo popolaresco che cita e omaggia con affetto la romanità d’un tempo. Interpreti: Vonetta McGee, Renzo Montagnani, Enzo Cerusico, Franco Acampora, Clara Bindi, Diana Buffardi, Franca Haas e Ottavia Piccolo. Montagnani è un tombarolo gretto e manesco che vive di espedienti, mentre la mulatta McGee è la moglie Faustina, che a un certo punto si innamora di un timido cantante (Cerusico) e vorrebbe scappare con lui, ma non è facile. Il marito la denuncia per abbandono del tetto coniugale, lei finisce in galera, ma quando dopo sei mesi esce fuori, attende un figlio. Il marito la riempie di botte più forte di prima e a questo punto lei se ne va per sempre. La mulatta Faustina simboleggia il passaggio degli alleati, ricorda come le truppe di liberazione abbiano avuto rapporti con donne italiane. Magni ci fa conoscere la romanità delle sue storie con una spruzzata di femminismo e ambienta il racconto nel Foro romano effettuando le riprese tra le rovine. Una favola garbata, senza tempo, di taglio pasoliniano, con una scenografia che ricorda le stampe d’epoca.
Se il primo film di Magni poteva dirsi interessante e originale, il secondo è già un grande successo di pubblico e di critica.
Nell’anno del Signore (1969) è un’opera a metà strada tra il comico e il tragico che racconta le vicissitudini di un gruppo di carbonari smascherati e uccisi, tutti tranne il Cornacchia (Manfredi), che continuerà a scrivere filastrocche irriverenti contro il Papa sulla statua di Marc’Aurelio. A parte Manfredi - grande protagonista - nel cast spiccano Claudia Cardinale, Robert Hossein, Renaud Verley, Enrico Maria Salerno, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Britt Ekland, Pippo Franco e Stefano Oppedisano. Siamo nella Roma del 1825, sotto Papa Leone XII, epoca di tumulti anticlericali e di moti carbonari, il nostro protagonista è un modesto ciabattino che si fa chiamare Cornacchia ma nasconde l’identità dell’irriverente Pasquino. Hossein e Verley sono due carbonari che vengono aiutati da Cornacchia a scoprire i traditori e a salvarsi dalla galera. Cornacchia sogna una rivolta popolare contro il dominio dispotico del Papa Re, ma resta deluso e le sue speranze sono frustrate. Magni scrive e sceneggia il film, dimostrando grane maturità artistica sin dal secondo lavoro che utilizza gli strumenti della commedia in un’ambientazione storica. Non manca la riflessione politica sulle rivoluzioni e sul popolo che non vuole rischiare la pelle ma pensa soltanto a vivere una vita tranquilla e immune da problemi. Gli attori sono bravi. Sordi è un frate molto divertente, Tognazzi un credibile cardinale e Salerno un diligente capitano. Claudia Cardinale salva il lato erotico che stiamo cercando nella commedia alta ed è di una radiosa bellezza, forse nel momento migliore della sua vita artistica.
Scipione detto anche l’Africano (1971) è un film satirico contro l’antica Roma, interpretato da Marcello Mastroianni, Ruggero Mastroianni, Woody Strode, Silvana Mangano, Turi Ferro, Adolfo Lastretti, Fosco Giachetti, Enzo Fiermonte, Philippe Hersent, Wendy D’Olive, Brizio Montinaro e Ben Ekland. Magni scrive e sceneggia una sorta di parodia che critica l’antica Roma scettica e indolente per ironizzare sulla società contemporanea. Fa parlare gli antichi romani in dialetto romanesco, una scelta coraggiosa ma divertente, e gira il film a Paestum, tra le rovine della Villa Adriana. Marcello Mastroianni è Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, vincitore delle guerre puniche, accusato da Catone il Censore di aver intascato illegittimamente un tributo di 500 talenti dovuti da Antioco, re di Siria. Alla fine si scopre che il colpevole è il fratello Lucio Cornelio Scipione, detto l’Asiatico (Ruggero Mastroianni), ma l’Africano si prende la colpa, dopo aver capito che gli ideali e le virtù sono soltanto vuote parole. Sceglie l’esilio perché si rende conto che gli uomini onesti e probi non sono ben visti a Roma. La pellicola è molto teatrale, ma gli attori sono bravi e il pubblico non si annoia. Ruggero Mastroianni - famoso montatore - è il fratello di Marcello, una tantum attore per interpretare (in maniera più che credibile) il ruolo del fratello di Scipione. Turi Ferro è niente meno che Giove. La colonna sonora è di Severino Gazzelloni. Il film non è tra le cose migliori di Magni, ma non condividiamo l’ardore con cui Morando Morandini ne sconsiglia la visione (si prende una querela dalla produzione). “Arguto, verboso, con molti momenti di stanchezza”, scrive sul noto Dizionario che porta il suo nome. Ai nostri fini niente di erotico, anche se possiamo parlare di un peplum in salsa di commedia.
La Tosca (1973) è ai nostri fini ancor meno interessante, perché si tratta della trasposizione cinematografica del celebre dramma di Sardou in veste musicale, interpretata da Monica Vitti, Vittorio Gassman, Luigi Proietti, Umberto Orsini, Aldo Fabrizi, Ninetto Davoli, Alvaro Vitali, Fiorenzo Fiorentini, Gianni Bonagura e Marisa Fabbri. Il film è originale perché La Tosca viene trattata in veste ironica e romanesca, una maniera insolita di concepire un’opera e di portarla a un pubblico meno preparato. Magni si occupa di tutto, dalla sceneggiatura ai dialoghi, passando per i cori e le canzoni, trasformando il dramma di Flora Tosca in un’opera buffa di taglio romanesco. Non è una parodia, ma una commedia musicale che mette in primo piano ciò che Sardou e Puccini utilizzano come sfondo, ma il risultato finale non ha niente a che vedere con l’opera classica. La critica politica all’Italia contemporanea è più che evidente e la vena da commedia leggera scorre felice. Il regista punta sull’umorismo e fa a meno della retorica, inserendo il solito spirito anticlericale e battute polemiche sula rivoluzione. Il mix tra commedia brillante e melodramma finale è ben riuscito. Armando Trovajoli cura una splendida colonna sonora.
La via dei babbuini (1974) è un lavoro atipico per Luigi Magni che punta sul filosofico e realizza una commedia di ambientazione africana ricca di bozzetti e di stupende scenografie, ma poco efficace. Ai nostri fini ci sono timidi accenni di commedia erotica vista la presenza di un’affascinante Catherine Spaak, poco espressiva e spesso in difficoltà con il personaggio, e di un comico Pippo Franco, alle prese con la caratterizzazione di un uomo bianco nato in mezzo ai coccodrilli. Lionel Stander è il più bravo di tutti nei panni (ormai consueti) del vecchio padre morente, un fascista nostalgico che ha mollato la famiglia ed è andato a vivere in Etiopia, ma esce presto di scena. Uno dei momenti migliori del film è l’incontro padre - figlia che si rivedono dopo una lunga separazione e sembrano due estranei. Lui finisce per morire nella sua Africa, senza nessuna nostalgia di Roma e della vecchia Europa. Gli altri interpreti sono Fabio Garriba e Gabriele Grimaldi, ma la loro partecipazione è piuttosto monocorde. Soggetto e sceneggiatura sono del regista che racconta la storia di una signora romana (Spaak) che va in Africa per assistere il padre morente e decide di abbandonare il marito per seguire nella savana la via dei babbuini. Pippo Franco è il singolare individuo che Catherine Spaak incontra sul suo cammino, un italiano figlio di immigrati, nato in Etiopia in mezzo ai coccodrilli, che vive di sogni e ricordi del passato. Un ruolo insolito per l’attore comico romano, atipico e piuttosto serioso, a metà strada tra il comico e il surreale. In ogni caso la parte comica è tutta sulle sue spalle, anche perché il marito della Spaak è un personaggio grottesco e irreale, così pieno di difetti da sembrare un fumetto. Pippo Franco che filosofeggia, però, non è il massimo: “Il babbuino è simile all’uomo, ma non vuole diventare uomo. Per questo ogni sera al tramonto torna nella foresta per restare scimmia, seguendo la via dei babbuini”. Pippo Franco si vede sconvolgere l’ordinaria follia della sua vita quotidiana a contatto con i coccodrilli da una coppia in fuga dal mondo moderno. Il nuovo compagno muore divorato da un coccodrillo, ma lei decide lo stesso di restare in Africa perché il rapporto con il marito - che cerca di riportarla a casa senza successo - è ormai finito. La Spaak era andata in Africa per nostalgia del padre moribondo, ma forse voleva soltanto fuggire da un marito noioso e pedante. Il mal d’Africa ha fatto il resto. Gli effetti speciali sono di Carlo Rambaldi, la stupenda fotografia africana è di Di Giacomo, il montaggio serrato di Ruggero Mastroianni. Musica suggestiva di Armando Trovajoli. Il film avrebbe ambizioni ecologiche e consiglia la ricetta contro l’alienazione dell’uomo contemporaneo: la fuga e il ritorno alla natura selvaggia. Un apologo esotico che non funziona, anche perché la Spaak e Franco non sono due attori in sintonia. Resta un buon lavoro stilisticamente parlando, suoni e rumori della notte africana sono valorizzati al massico, le suggestive scenografie lasciano senza fiato. Sembra d’essere in un mondo movie romantico e nostalgico, tra grandi alberi, coccodrilli, ippopotami e bozzetti di vita nella savana. I momenti erotici sono pochi, a parte la bellezza di Catherine Spaak - che con il passare del tempo diventa sempre più castigata - e un fugace incontro tra il marito e una prostituta nera.
Signore e signori buonanotte (1976) è una commedia a episodi firmata da Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli ed Ettore Scola. Gli sceneggiatori sono un manipolo: Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Ruggero Maccari e Ugo Pirro. Il film è strutturato in 14 episodi ed è prodotto in cooperativa da registi e sceneggiatori. Il tema di fondo è la critica alla televisione, i registi realizzano un’efficace parodia di una giornata televisiva a base di sceneggiati, telegiornali, pubblicità e inchieste. Scola dirige l’episodio - cornice, interpretato da Marcello Mastroianni e Monica Guerritore, basato su un giornalista televisivo che intervista un uomo politico corrotto, assiste a un vertice di camorristi che si stanno spartendo Napoli e si intrattiene piacevolmente con una collega. Mastroianni è un giornalista - speaker molto distratto di un inesistente (al tempo) TG3, perché la terza rete ancora non ha visto la luce. La sua presenza fa da filo conduttore, perché i vari episodi del film sono presentati come inchieste, servizi speciali, intrattenimenti e inserti del suo telegiornale. Scola dirige anche Il salone delle cariatidi ed è sua l’idea del sosia di Giovanni Leone - Presidente della Repubblica - mentre balla la tarantella. Luigi Comencini dirige Lezione d’inglese, con Vittorio Gasmann e Lucretia Love (Anna Morganti), dove un agente della Cia prepara un attentato, ma anche L’ispettore Tuttumpezzo con Vittorio Gassman, Adolfo Celi e Senta Berger, per raccontare la storia di un poliziotto che diventa cameriere di un potente corrotto. Mangiamo i bambini, con Paolo Villaggio e Gabriella Farinon, è l’ultimo episodio di Comencini, basato sull’affermazione di Jonathan Swift secondo la quale si dovevano mangiare i bambini poveri in eccedenza. Nanni Loy dirige Sinite parvulos, con Andrea Bosic, un ragazzino napoletano che si suicida dopo che un cardinale ha premiato le famiglie con molti figli, e Il personaggio del giorno - Poco per vivere troppo per morire, con Ugo Tognazzi e Franco Diogene, dove vediamo un pensionato milanese campare di espedienti. Luigi Magni resta nella sua tematica preferita, anticlericale e dedicata alla Roma papalina con Il santo soglio (Nino Manfredi, Mario Scaccia, Andrea Ferréol, Felice Andreasi e Luigi Basagaluppi), dove un cardinale si finge moribondo per essere eletto Papa. Mario Monicelli dirige La bomba (Carlo Croccolo, Eros Pagni, Sergio Graziani, Camillo Milli e Gianfranco Barra), come satira all’inettitudine della polizia che fa esplodere un ordigno dopo un falso allarme per non fare una figuraccia, e Il generale in ritirata (Ugo Tognazzi), che vede un militare suicida perché le medaglie sono cadute nella tazza del water. Non è dato sapere chi abbia girato Il disgraziometro (Comencini?), interpretato ancora da Paolo Villaggio, sul gioco a premi dove vince il più sfortunato. Si tratta di una commedia satirica, a sfondo politico, ma invece che cattiva e pungente come avrebbe dovuto essere, pare blanda e annacquata. Vizi e virtù di un’Italia allo sfascio vengono messi alla berlina. Scarso il successo di pubblico, anche se gli attori sono di primo piano e i registi quanto di meglio in circolazione. Musiche di Lucio Dalla, Antonello Venditti, Francesco Guccini, Giuseppe Mazzucca e Nicola Samale. Erotismo poco o niente, a parte qualche ammiccamento da parte di Monica Guerritore (presentatrice - amante di Mastroianni), Lucretia Love e Senta Berger.
Basta che non si sappia in giro (1976) cavalca la moda delle commedie a episodi girate da più registi, in questo caso la collaborazione è tra Nanni Loy, Luigi Magni e Luigi Comencini. Macchina d’amore di Nanni Loy (Monica Vitti e Johnny Dorelli) racconta le vicissitudini erotiche di una dattilografa che batte a macchina il copione di un film porno, ma scambia realtà e fantasia. Il superiore di Luigi Magni (Nino Manfredi, Lino Banfi e Isa Danieli) racconta una rivolta carceraria per protestare contro la mancanza di donne durante la quale un secondino rischia di essere sodomizzato. L’equivoco di Luigi Comencini (Nino Manfredi e Monica Vitti) è incentrato sullo scambio di persona tra una venditrice di libri e una prostituta. Luigi Magni scrive e sceneggia il suo episodio, atipico come tematica. Il primo è scritto da Age e Scarpelli, il terzo da Castellano e Pipolo. Una commedia innocua, scritta e girata con poca fantasia, basata su situazioni erotiche sempre poco esplicite e con attrici reticenti a recitare senza veli.
Quelle strane occasioni (1976) vede ancora una collaborazione tra Nani Loy, Luigi Mani e Luigi Comencini per una commedia a episodi di livello medio. Italian Superman di Nanni Loy - che non firma la pellicola - (Paolo Villaggio, Valeria Moriconi e Lars Bloch) è il più volgare come tematica e racconta le vicende di un venditore di castagnaccio che diventa ricco facendo l’amore in pubblico nei night di Amsterdam. Il problema è che la moglie lo blocca, lui non vuol saperne di restare fedele e di fare l’amore con una sola donna. Il cavalluccio svedese di Luigi Magni (Nino Manfredi, Olga Karlatos, Giovanna Steffan, Giovannella Grifeo) è commedia erotica pura e racconta di un architetto che va a letto con una bella svedese, figlia di un amico, ma il problema è che l’amico è stato amante della moglie. L’ascensore di Luigi Comencini (Alberto Sordi, Stefania Sandrelli e Beba Loncar) è l’episodio più erotico e ricco di scene sensuali, merito di una strepitosa Stefania Sandrelli che seduce un monsignore (Sordi) in un ascensore bloccato per un’intera giornata. Il monsignore approfitta della ragazza e alla fine si comporta come se non fosse accaduto niente. Gli sceneggiatori sono Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che collaborano con Rodolfo Sonego per Il cavalluccio svedese e L’ascensore. Molti gli elementi di commedia sexy, soprattutto nel terzo episodio girato da Comencini.
In nome del Papa Re (1977) rappresenta la continuazione ideale di Nell’anno del Signore ed è l’opera più matura e riuscita di Luigi Magni, che racconta la ferocia degli ultimi anni di potere temporale dei papi attraverso la figura ironica di Don Colombo (un Manfredi in gran forma), consapevole che la fine è prossima, ma incapace di fare scelte rivoluzionarie. Interpreti: Nino Manfredi, Danilo Mattei, Carmen Scarpitta, Giovannella Grifeo, Carlo Bagno, Salvo Randone, Ettore Manni, Camillo Milli, Rosalino Cellamare (il popolare cantante Ron) e Luigi Basagaluppi. Ai nostri fini non c’è niente di erotico, mancano persino presenze femminili interessanti, ma resta una notevole critica anticlericale e la rievocazione dell’ultima condanna a morte decretata dal Papa. La pellicola si regge tutta sulla grande interpretazione di Nino Manfredi, attore feticcio di Luigi Magni. David di Donatello per la sceneggiatura.
Arrivano i bersaglieri (1980) approfondisce la tematica anticlericale di Luigi Magni, che racconta il passato ma guarda al presente. Il film è interpretato da Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Vittorio Mezzogiorno, Pippo Franco, Giovannella Grifeo, Ombretta Colli, Mariano Rigillo, Enrico Papa, Carlo Bagno, Daniele Dublino, Ricky Tognazzi e Moira Orfei. Il periodo storico preso in esame è successivo alla breccia di Porta Pia, quando la nobiltà papalina e il clero cercano di riciclarsi nella nuova Italia unita. Bella commedia storica con personaggi indovinati, come il prete trasformista interpretato da Pipo Franco e il patrizio tradizionalista Ugo Tognazzi, ma pure lo zuavo Mezzogiorno che si è arruolato con i bersaglieri. Ottimo il cast femminile che assicura un minimo sindacale di erotismo alla commedia: Giovanna Ralli, Ombretta Colli e Moira Orfei.
Un’avventura a Campo de’ Fiori (1982) è un singolare prodotto televisivo che Luigi Magni gira per il ciclo Dieci registi italiani, dieci racconti italiani, trasmesso da Rai 3. Il film di Magni va in onda il 14 maggio 1983, sabato alle 20 e 30, tratto dal racconto surreale di Giorgio Vigolo, sceneggiato dal regista con la collaborazione di Luigi Spagnol. Interpreti: William Berger, Geneviève Omini, Rina Franchetti, Fabio Garriba, Anna Lelio, Remo Remotti. Un uomo manca da Roma da molto tempo, ma quando ci torna per ritrovare un amico, al suo posto incontra un fantasma. Insolito ma da vedere.
State buoni se potete (1983) è la storia romanzata di San Filippo Neri, interpretato da Johnny Dorelli, il condensato di una serie televisiva in tre puntate. Il film celebra il fondatore dell’oratorio, il santo che si prende cura della gioventù, e un anticlericale come Magni non sembra il regista più adatto, mentre le musiche di Angelo Branduardi sono perfette. La versione televisiva dura 149’ ed è quella che circola in dvd. Fuori argomento per quel che riguarda la nostra tematica. L’addio a Enrico Berlinguer (1984) è un documentario girato a più mani, dedicato alla figura di un grande uomo politico, segretario del Partito Comunista Italiano, scomparso per un arresto cardiaco durante un comizio. Citiamo per completezza Il generale (1986), Garibaldi il generale (1987) - miniserie a puntate - e Cinema! (1988), esperienze televisive che esulano dalla nostra trattazione, così come il documentario Imago Urbis (1987).
Secondo Ponzio Pilato (1987) vede Luigi Magni alle prese con una tematica storica insolita, ma in compagnia del fido Nino Manfredi, che interpreta da par suo un ruolo complesso. Il cast comprende Stefania Sandrelli, Lando Buzzanca, Mario Scaccia, Flavio Bucci, Luisa De Santis, Roberto Herlitzka e Antonio Pierfederici. Il film è a metà strada tra realtà e fantasia, perché Ponzio Pilato dopo aver condannato a morte Gesù viene colto da dubbi e si convince di aver commesso un delitto. Alla fine - da buon eroe tragico della commedia all’italiana - chiederà all’imperatore Tiberio di essere decapitato. Nino Manfredi, ormai sodale di Luigi Magni, rende ciociaro Ponzio Pilato e ne fa un personaggio interessante, roso dai dubbi e dal rimorso. Stefania Sandrelli assicura l’indispensabile elemento erotico.
O’ re (1988) è un altro film storico - genere nel quale Magni è ormai specialista - interpretato da Giancarlo Giannini, Ornella Muti, Carlo Croccolo, Corrado Pani, Luc Merenda, Cristina Marsillach e Annamaria Ackermann. La pellicola racconta la vita privata dell’indolente Francesco di Borbone (re Franceschiello) e della moglie Maria Sofia, interpretati da Giancarlo Giannini e Ornella Muti. I sovrani si trovano a Roma in esilio dopo che Garibaldi li ha scacciati dal Regno delle Due Sicilie. La pellicola nasce per il piccolo schermo, la versione cinematografica è tagliata, ma conserva gli stessi ritmi e inoltre i due attori principali non sono ben assortiti. Ornella Muti è fuori ruolo, anche se conferisce al film un minimo di sensualità. Commedia all’italiana, ironica e scanzonata, ma con riferimenti storici ben precisi.
In nome del popolo sovrano (1990) è un nuovo atto dell’epica anticlericale e antipapista di Luigi Magni, che mette in scena il prete Ugo Bassi schierato contro il Papa e il solito Manfredi nei panni del Pasquino di turno. Interpreti: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Jacques Perrin, Elena Sofia Ricci, Carlo Croccolo, Luca Barbareschi, Massimo Wertmüller e Serena Grandi. Siamo ai tempi della Repubblica Romana (1848) e il regista racconta l’amore della moglie di Eufemio Arquati (Sordi) per un garibaldino. Il marito la riconquisterà solo dopo essersi unito ai repubblicani. Bravissimo Manfredi nei panni di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio. Elena Sofia Ricci e Serena Grandi sono le uniche divagazioni sexy su una tematica storica che volge a commedia. Meno ispirato e originale de In nome del Papa Re e spesso ripetitivo nelle caratterizzazioni, ma resta un buon film.
Nemici d’infanzia (1995) nasce come romanzo scritto da Luigi Magni, quindi sceneggiato per il cinema da Carla Vistarini e vincitore di un David di Donatello. Non è un lavoro memorabile, nonostante il premio. Interpreti: Paolo Murano, Renato Carpentieri, Giorgia Tartaglia, Nicola Russo, Elena Berera, Elodie Trecani, Gregorio Gandolfo e Luigi Diliberti. Siamo nella Roma del 1944, il dodicenne Paolo si divide tra l’amicizia per la coetanea Luciana e l’ammirazione per l’invalido Corsini. A un certo punto scopre che quest’ultimo è un torturatore fascista che deve uccidere il padre di Luciana. La pellicola soffre un’evidente mancanza di mezzi ed è molto ideologica, oltre a essere recitata in maniera scolastica. Troppo retorico.
Esercizi di stile (1996) è un film a episodi girato da un plotone di registi: Francesco Laudadio, Luigi Magni, Lorenzo Mieli, Pino Quartullo, Alessandro Piva, Falero Rosati, Maurizio Dell’Orso, Dino Risi, Alex Infascelli, Sergio Citti, Volfango De Biasi, Cinzia Th Torrini, Claudio Fragasso e Mario Monicelli. Gli interpreti sono Elena Sofia Ricci, Massimo Wertmüller, Franco Diogene, Gloria Paul e Sal Borgese. Luigi Magni gira soltanto Era il maggio radioso, un divertente episodio pere raccontare la vicenda tragicomica di un reduce della Prima Guerra Mondiale che al ritorno trova la moglie monaca di un convento, perché non sperava più di rivederlo. L’idea di fondo è quella di portare al cinema gli Esercizi di stile di Raymond Queneau in quattordici episodi, che poi sarebbero quattordici modi diversi di dirsi addio in quattordici generi cinematografici diversi, dalla commedia al giallo, passando per horror, erotico, poliziesco e western. Il film delude per mancanza di stile e per approssimazione registica, anche se la breve commedia di Magni non è da disprezzare.
La carbonara (2000) è l’ultima incursione di Magni nella Roma papalina del 1825, meno riuscita delle precedenti ma pur sempre una discreta commedia storica. Interpreti: Lucrezia Lante della Rovere, Valerio Mastandrea, Fabrizio Gifuni, Claudio Amendola, Nino Manfredi, Alberto Alemanno, Pierfrancesco Favino, Andrea Garinei e Marina Lorenzi. Siamo nel 1825: Cecilia (Lante della Rovere) ritrova nello stesso giorno il primo amore (Gifuni), condannato a morte dal Papa per carboneria, e il marito (Mastandrea), che non era stato ucciso dai banditi ma si era fatto frate. Nino Manfredi è un bravissimo cardinale romano, disilluso e scettico, che interviene per aiutare la donna nei problemi sentimentali. Ci mette lo zampino anche un miracolo divino e al tempo stesso si cercano di risolvere i molti guai politici. Magni scrive e dirige un film nelle sue corde, ma il soggetto è fiacco, ricicla molti temi in passato affrontati con maggior freschezza e cerca di attualizzarli. La bella Lucrezia Lante della Rovere fa la locandiera ed è carbonara nel senso degli spaghetti, perché la sua trattoria si chiama con il nome del noto piatto romano. “A Roma tutti si fanno comprare”, insiste Magni come leitmotiv della pellicola e il collegamento con la corruzione contemporanea pare evidente.
Luigi Magni conclude la sua carriera con il televisivo La notte di Pasquino (2003) che ripercorre la vecchia tematica storica e può considerarsi un addio alla macchina da presa, perché dopo la morte di Nino Manfredi (2004), il suo attore prediletto, non vuole più girare film. Luigi Magni è un regista che dimostra la grandezza del nostro cinema popolare. Resta il cantore del periodo risorgimentale. da un punto di vista anticlericale, capace di raccontare la storia romanzando eventi e creando personaggi memorabili. Il tono del suo cinema è comico, spesso da farsa, in ogni caso nei limiti della commedia all’italiana, che a tratti presenta aspetti erotici, mai predominanti. Magni usa l’anticlericalismo per compiere un discorso sul potere, per criticare ogni dittatura o regime assoluto che sfrutta l’ignoranza della gente per dominare i propri simili. Roberto Poppi scrive sul Dizionario dei Registi Italiani: “Acuto osservatore del costume e della politica italiana ottocentesca vista attraverso i non facili rapporti tra i sostenitori del liberalismo e il potere ecclesiastico, schierandosi a favore dei primi e criticando con grande veemenza anticlericale i secondi”. Magni di solito gira film ambientati in un’altra epoca, ma cerca sempre di attualizzare il messaggio politico e di renderlo contemporaneo. Si ricorda il suo cinema anche per le perfette ricostruzioni della Roma papalina, effettuate a Cinecittà e in alcuni casi tra le antiche rovine di molte città italiane (Pompei, Paestum…). Nel 2008 riceve il David di Donatello alla carriera per celebrare i suoi ottant’anni di attività come regista. Muore il 27 ottobre 2013.
Gordiano Lupi
http://cinetecadicaino.blogspot.com.ar/2013/10/luigi-magni-il-cantore-della-roma.html
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