TITULO ORIGINAL Vogliamo i colonnelli
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
AÑO 1973
DURACION 100 min.
DIRECCION Mario Monicelli
GUION Mario Monicelli, Furio Scarpelli, Agenore Incrocci
MUSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFIA Alberto Spagnoli
MONTAJE Ruggero Mastroianni
PREMIOS 1973: Festival de Cannes: Nominada a la Palma de Oro (mejor película)
REPARTO Ugo Tognazzi, Carla Tato, Claude Dauphin, François Perier, Dullio Del Petre, Giuseppe Maffioli, Giancarlo Fusco, Pino Zac
PRODUCTORA Dean Film
GENERO Comedia | Política. Sátira
TITULO ORIGINAL Vogliamo i colonnelli
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
AÑO 1973
DURACION 100 min.
DIRECCION Mario Monicelli
GUION Mario Monicelli, Furio Scarpelli, Agenore Incrocci
MUSICA Carlo Rustichelli
FOTOGRAFIA Alberto Spagnoli
MONTAJE Ruggero Mastroianni
PREMIOS 1973: Festival de Cannes: Nominada a la Palma de Oro (mejor película)
REPARTO Ugo Tognazzi, Carla Tato, Claude Dauphin, François Perier, Dullio Del Petre, Giuseppe Maffioli, Giancarlo Fusco, Pino Zac
PRODUCTORA Dean Film
GENERO Comedia | Política. Sátira
SINOPSIS Sátira a costa del fascismo que narra los planes de golpe de estado de un diputado italiano de extrema derecha. (FILMAFFINITY)
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Subtítulos (Español)
Ugo Tognazzi è l’onorevole Giuseppe Tritoni, ex generale dell’esercito, nostalgico fascista eletto nel collegio di Livorno, che abbandona il partito e si mette a capo di una banda di cialtroni decisi a compiere un colpo di Stato per restaurare ordine e disciplina. La scintilla che spinge a muoversi i gruppi eversivi è un attentato a Milano, eseguito da un gruppo di estrema sinistra, che vede come bersaglio il Duomo e la statua della Madonnina. Tognazzi è bravissimo, recita in livornese come se fosse toscano, confonde il vernacolo fiorentino con quello della provincia labronica, ma non è un problema. Perfetta la sua interpretazione da capo golpista tutto d’un pezzo, grande scopatore e combattente coraggioso che deve portare la croce di un figlio studioso e poco incline alla lotta. Il film è condotto come se fosse un reportage giornalistico, procede per immagini sotto forma di diario degli eventi e analizza i fatti con lo stile di un documentario politico.
Carla Tatò è un’ottima attrice di teatro, alla seconda prova cinematografica dopo Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio, che nel film ha un ruolo sexy molto interessante. È Marcella Bassi Lega, figlia di un generale che muore d’infarto perché la scopre a far l’amore con Tritoni, è l’amante per niente fedele del capo golpista. La castigata parte erotica della pellicola è nelle sue mani, perché spesso la vediamo in atteggiamenti intimi con l’amante di turno. Molto suggestivo un valzer lento sulle note di Vecchio scarpone di Gino Latilla. ballato dalla Tatò e da Tognazzi dopo l’ennesimo tradimento. La figlia del generale è un’amante focosa, ma ha il difetto non da poco di darla via con grande facilità e di far l’amore nei luoghi più impensati.
Monicelli fa satira graffiante sulla situazione politica italiana e immagina un gruppo di nostalgici fascisti che vogliono riprendere il potere. Non era difficile, perché nel nostro paese c’erano stati il tentato golpe De Lorenzo (1969) e il comico progetto eversivo del principe Junio Valerio Borghese (1970). Il regista e gli sceneggiatori utilizzano resoconti di stampa (soprattutto L’Espresso) per costruire nei dettagli più ridicoli il tentato golpe neofascista. Tritoni recluta generali in pensione, giovani arditi, persone di destra e qualunquisti, preparati a base di vecchi discorsi del duce e addestrati alla dottrina della disuguaglianza. “Soltanto i coglioni sono uguali!”, “Dobbiamo distruggere un mostro chiamato democrazia!”, grida Tognazzi al colmo dell’euforia.
Il programma di governo è retrogrado e populista, alla base di tutto ci sono ordine e disciplina, ma anche ordine e potere. Per questo il piano eversivo prende il nome di Orpo, che è una sigla ma pure un’imprecazione popolare. Slogan fascisti inneggiano ai colonnelli, perché il riferimento temporale più vicino è il golpe militare in Grecia che portò al potere l’estrema destra. Il ridicolo colpo di Stato prende il via dal Piano Volpe Nera, prevede un attacco alla Rai, agli obiettivi strategici e alla residenza del Presidente della Repubblica. Il motto dei cialtroni non può che guardare indietro: “C’è un grande passato nel nostro futuro”, dicono. Alcuni generali rimbambiti lo dicono al contrario e provocano l’effetto comico.
Le truppe golpiste sbarcano e commettono errori su errori: i paracaduti finiscono in una stalla, alcuni militi si perdono nel buio dello Stadio Flaminio e catturano il custode, un commando giunge alla Rai quando i programmi sono finiti ed è inutile trasmettere comunicati perché i televisori sono spenti. La polizia arresta tutti e fa irruzione nella residenza del Presidente della Repubblica fermando definitivamente il commendo golpista. L’onorevole Tritoni viene arrestato a casa della sua donna, nascosto sotto il letto, ma non può sostenere che ha passato la notte con lei, perché dall’armadio esce un amante.
Un golpe pagliacciata finisce nel nulla, ma il Ministro degli Interni (Lino Puglisi) ne approfitta per dare una sterzata eversiva al paese. La vera satira politica di Monicelli è tutta nel finale amaro, tipico della sua poetica senza speranza. I golpisti nostalgici servono come giustificazione al potere democristiano per stringere i freni e invocare misure eccezionali per riportare l’ordine. Il Presidente della Repubblica muore d’infarto (come accadde ad Antonio Segni nel 1964) e lascia il posto a un governo di transizione voluto dalla grande destra che arriva a proibire le riunioni al bar come adunate sediziose e a limitare il diritto di sciopero. Tognazzi finisce a tentare di vendere il suo progetto eversivo a due esponenti di destra di un giovane Stato africano. Non ci riuscirà.
Il film è girato a Roma e negli studi di Cinecittà. Aiuto regista è un nome che sarà importante nella nuova commedia all’italiana: Carlo Vanzina. Tra gli attori ricordiamo Camillo Milli, caratterista interessante della commedia sexy, utilizzato nei panni dello stratega di un piano che fallisce su tutta la linea. Il disegnatore satirico Pino Zac (lo ricordiamo ne Il Male) è un pararazzo che fotografa i golpisti, li denuncia, ma non viene creduto dal ministro e in compenso prende un sacco di botte dai fascisti. Lo scrittore Giancarlo Fusco è il golpista sardo Gavino Furas, mentre Antonino di Faà di Bruno è un generale piemontese in pensione. Duilio Del Prete è un Monsignor Sartorello che non disdegna le belle donne.
Vogliamo i colonnelli è un lavoro di fantapolitica, ispirato alla realtà italiana, critico, farsesco, ironico, ancora divertente e utile come documento per capire un periodo difficile della nostra storia costituzionale.
Gordiano Lupi
http://cinetecadicaino.blogspot.com.ar/2011/09/vogliamo-i-colonnelli-1973.html
Carla Tatò è un’ottima attrice di teatro, alla seconda prova cinematografica dopo Sbatti il mostro in prima pagina (1972) di Marco Bellocchio, che nel film ha un ruolo sexy molto interessante. È Marcella Bassi Lega, figlia di un generale che muore d’infarto perché la scopre a far l’amore con Tritoni, è l’amante per niente fedele del capo golpista. La castigata parte erotica della pellicola è nelle sue mani, perché spesso la vediamo in atteggiamenti intimi con l’amante di turno. Molto suggestivo un valzer lento sulle note di Vecchio scarpone di Gino Latilla. ballato dalla Tatò e da Tognazzi dopo l’ennesimo tradimento. La figlia del generale è un’amante focosa, ma ha il difetto non da poco di darla via con grande facilità e di far l’amore nei luoghi più impensati.
Monicelli fa satira graffiante sulla situazione politica italiana e immagina un gruppo di nostalgici fascisti che vogliono riprendere il potere. Non era difficile, perché nel nostro paese c’erano stati il tentato golpe De Lorenzo (1969) e il comico progetto eversivo del principe Junio Valerio Borghese (1970). Il regista e gli sceneggiatori utilizzano resoconti di stampa (soprattutto L’Espresso) per costruire nei dettagli più ridicoli il tentato golpe neofascista. Tritoni recluta generali in pensione, giovani arditi, persone di destra e qualunquisti, preparati a base di vecchi discorsi del duce e addestrati alla dottrina della disuguaglianza. “Soltanto i coglioni sono uguali!”, “Dobbiamo distruggere un mostro chiamato democrazia!”, grida Tognazzi al colmo dell’euforia.
Il programma di governo è retrogrado e populista, alla base di tutto ci sono ordine e disciplina, ma anche ordine e potere. Per questo il piano eversivo prende il nome di Orpo, che è una sigla ma pure un’imprecazione popolare. Slogan fascisti inneggiano ai colonnelli, perché il riferimento temporale più vicino è il golpe militare in Grecia che portò al potere l’estrema destra. Il ridicolo colpo di Stato prende il via dal Piano Volpe Nera, prevede un attacco alla Rai, agli obiettivi strategici e alla residenza del Presidente della Repubblica. Il motto dei cialtroni non può che guardare indietro: “C’è un grande passato nel nostro futuro”, dicono. Alcuni generali rimbambiti lo dicono al contrario e provocano l’effetto comico.
Le truppe golpiste sbarcano e commettono errori su errori: i paracaduti finiscono in una stalla, alcuni militi si perdono nel buio dello Stadio Flaminio e catturano il custode, un commando giunge alla Rai quando i programmi sono finiti ed è inutile trasmettere comunicati perché i televisori sono spenti. La polizia arresta tutti e fa irruzione nella residenza del Presidente della Repubblica fermando definitivamente il commendo golpista. L’onorevole Tritoni viene arrestato a casa della sua donna, nascosto sotto il letto, ma non può sostenere che ha passato la notte con lei, perché dall’armadio esce un amante.
Un golpe pagliacciata finisce nel nulla, ma il Ministro degli Interni (Lino Puglisi) ne approfitta per dare una sterzata eversiva al paese. La vera satira politica di Monicelli è tutta nel finale amaro, tipico della sua poetica senza speranza. I golpisti nostalgici servono come giustificazione al potere democristiano per stringere i freni e invocare misure eccezionali per riportare l’ordine. Il Presidente della Repubblica muore d’infarto (come accadde ad Antonio Segni nel 1964) e lascia il posto a un governo di transizione voluto dalla grande destra che arriva a proibire le riunioni al bar come adunate sediziose e a limitare il diritto di sciopero. Tognazzi finisce a tentare di vendere il suo progetto eversivo a due esponenti di destra di un giovane Stato africano. Non ci riuscirà.
Il film è girato a Roma e negli studi di Cinecittà. Aiuto regista è un nome che sarà importante nella nuova commedia all’italiana: Carlo Vanzina. Tra gli attori ricordiamo Camillo Milli, caratterista interessante della commedia sexy, utilizzato nei panni dello stratega di un piano che fallisce su tutta la linea. Il disegnatore satirico Pino Zac (lo ricordiamo ne Il Male) è un pararazzo che fotografa i golpisti, li denuncia, ma non viene creduto dal ministro e in compenso prende un sacco di botte dai fascisti. Lo scrittore Giancarlo Fusco è il golpista sardo Gavino Furas, mentre Antonino di Faà di Bruno è un generale piemontese in pensione. Duilio Del Prete è un Monsignor Sartorello che non disdegna le belle donne.
Vogliamo i colonnelli è un lavoro di fantapolitica, ispirato alla realtà italiana, critico, farsesco, ironico, ancora divertente e utile come documento per capire un periodo difficile della nostra storia costituzionale.
Gordiano Lupi
http://cinetecadicaino.blogspot.com.ar/2011/09/vogliamo-i-colonnelli-1973.html
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A prima vista “Vogliamo i colonnelli” è una felice satira politica centrata su vizi, ipocrisie e velleità comiche della destra italiana maggiormente legata all’eredità nostalgica del fascismo. Sebbene, infatti, il film, alla sua conclusione, ripeta la formula classica per cui “ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale”, di casuale in alcune analogie vi è ben poco. È stato sostenuto, ad esempio, che per la figura di Tritoni, uno, al solito, straordinario Ugo Tognazzi prese come spunto l’ultras parlamentare della destra missina Sandro Saccucci, anch’egli, come il Tritoni del film, arrivato alla politica direttamente dall’esercito (pur non essendo un colonnello ma solo un tenente paracadutista). Per gli spettatori del tempo e per chi ancora oggi ha una certa consuetudine con la storia dell’Italia repubblicana, risaltava e risalta subito all’occhio, inoltre, l’evidente assonanza tra la Grande destra del film, che Tritoni rappresenta suo malgrado in Parlamento, e il progetto, mai realizzato, e definitivamente naufragato con le elezioni politiche del 1976, di grande destra che il Movimento sociale dell’epoca tentò accorpando le più differenti componenti del più viscerale anticomunismo italiano. Così come altrettanto evidenti sono alcune analogie, di volti e di nomi, tra i protagonisti di quella stagione e quelli del film, dal serafico Professor Pube, che mostra più di una somiglianza con il Professor Plebe, marxista transitato sui lidi del neofascismo dopo il ’68, ai due leader della Grande destra che sembrano subire l’avventurismo del Tritoni e che somigliano ai due volti più noti del M.S.I. del tempo, ossia Giorgio Almirante e Pino Romualdi. Tutto lascerebbe trasparire questo intento dissacratorio verso una destra che, inadeguata alla grandezza che voleva ritagliarsi addosso, si ritrovava a svolgere il ruolo, talvolta macchiettistico, di strumento più o meno involontario per fini altrui.
E in effetti alla sua uscita il film scatenò una levata di scudi indignata sui giornali della destra neofascista italiana che scaricò il suo livore sia contro Monicelli sia, soprattutto, contro Ugo Tognazzi, doppiamente colpevole perché impegnato come attore antifascista dopo aver militato nella Repubblica di Salò. Tuttavia il film è qualcosa di più che questo quadro bozzettistico di una famiglia politica, rispondendo semmai a un intento classico di Monicelli come quello di fornire una visione d’insieme della realtà italiana attraverso la satira. Lo scopo di Monicelli appare, ancora una volta, quello di utilizzare delle esperienze particolari di marginali destinati alla sconfitta fin dal principio, come cartina di tornasole di una realtà generale. Questo particolare rende improbabile affermare che “Vogliamo i colonnelli” sia la sua prima satira politica perché il cinema del regista toscano è politico a prescindere dall’argomento che tratta, sin dai suoi primi film, come “La grande guerra” o “I soliti ignoti”. L’inadeguatezza della tragicomica destra fascistissima del colonnello Tritoni appare come una metafora più generale di un umore che torna a galla insieme alla decadenza del Paese, una spia in cui Monicelli inserisce una classe politica gerontocratica, e che muore d’infarto come accade al democratico ma tremendamente anziano Presidente della Repubblica, ma anche sedutasi sugli allori del successo e della fiducia nei “corpi dello Stato” (ed è il caso dell’onorevole comunista divenuto ricco quanto scettico). Quella che Monicelli descrive è un’Italia prossima a scivolare nel Terzo Mondo, che racconta ante litteram più del golpe bianco della P2 che non di quello da operetta del Generale Borghese. E in questo quadro si inserisce la scena finale in cui è proprio a degli aspiranti golpisti di un paese africano che il Tritoni ormai “svende” il suo piano insurrezionale. Curioso e simbolico che, in questo Paese, realizzare un colpo di Stato sia ben più difficile perché non ci sono televisioni di massa attraverso cui prepararlo e comunicarlo ma solo qualche sparuto telefono.
Costruito attraverso una serie di scene singole che però sono tenute insieme da un filo narrativo, interpretato da ottimi attori e splendidi caratteristi, omaggiato dalla presenza del grande disegnatore Pino Zac, che avrebbe fondato pochi anni più tardi il padre di tutti i giornali satirici – parliamo ovviamente de“Il Male” – “Vogliamo i colonnelli” è un film leggero e intelligente, divertente da vedere e che dà la felice impressione di essere stato piacevole anche da interpretare. Uno degli ultimi esempi di commedia all’italiana intelligente, prima che il solipsismo narcisistico da una parte e la cafoneria dall’altra arrivassero a fare (in)giustizia di questo genere rinnovando una separazione tra cultura alta, spesso presunta oltre che presuntuosa, e cultura popolare.
Gregorio Sorgonà
http://controreazioni.wordpress.com/2010/10/18/vogliamo-i-colonnelli-%E2%80%93-l%E2%80%99intelligenza-della-satira/
E in effetti alla sua uscita il film scatenò una levata di scudi indignata sui giornali della destra neofascista italiana che scaricò il suo livore sia contro Monicelli sia, soprattutto, contro Ugo Tognazzi, doppiamente colpevole perché impegnato come attore antifascista dopo aver militato nella Repubblica di Salò. Tuttavia il film è qualcosa di più che questo quadro bozzettistico di una famiglia politica, rispondendo semmai a un intento classico di Monicelli come quello di fornire una visione d’insieme della realtà italiana attraverso la satira. Lo scopo di Monicelli appare, ancora una volta, quello di utilizzare delle esperienze particolari di marginali destinati alla sconfitta fin dal principio, come cartina di tornasole di una realtà generale. Questo particolare rende improbabile affermare che “Vogliamo i colonnelli” sia la sua prima satira politica perché il cinema del regista toscano è politico a prescindere dall’argomento che tratta, sin dai suoi primi film, come “La grande guerra” o “I soliti ignoti”. L’inadeguatezza della tragicomica destra fascistissima del colonnello Tritoni appare come una metafora più generale di un umore che torna a galla insieme alla decadenza del Paese, una spia in cui Monicelli inserisce una classe politica gerontocratica, e che muore d’infarto come accade al democratico ma tremendamente anziano Presidente della Repubblica, ma anche sedutasi sugli allori del successo e della fiducia nei “corpi dello Stato” (ed è il caso dell’onorevole comunista divenuto ricco quanto scettico). Quella che Monicelli descrive è un’Italia prossima a scivolare nel Terzo Mondo, che racconta ante litteram più del golpe bianco della P2 che non di quello da operetta del Generale Borghese. E in questo quadro si inserisce la scena finale in cui è proprio a degli aspiranti golpisti di un paese africano che il Tritoni ormai “svende” il suo piano insurrezionale. Curioso e simbolico che, in questo Paese, realizzare un colpo di Stato sia ben più difficile perché non ci sono televisioni di massa attraverso cui prepararlo e comunicarlo ma solo qualche sparuto telefono.
Costruito attraverso una serie di scene singole che però sono tenute insieme da un filo narrativo, interpretato da ottimi attori e splendidi caratteristi, omaggiato dalla presenza del grande disegnatore Pino Zac, che avrebbe fondato pochi anni più tardi il padre di tutti i giornali satirici – parliamo ovviamente de“Il Male” – “Vogliamo i colonnelli” è un film leggero e intelligente, divertente da vedere e che dà la felice impressione di essere stato piacevole anche da interpretare. Uno degli ultimi esempi di commedia all’italiana intelligente, prima che il solipsismo narcisistico da una parte e la cafoneria dall’altra arrivassero a fare (in)giustizia di questo genere rinnovando una separazione tra cultura alta, spesso presunta oltre che presuntuosa, e cultura popolare.
Gregorio Sorgonà
http://controreazioni.wordpress.com/2010/10/18/vogliamo-i-colonnelli-%E2%80%93-l%E2%80%99intelligenza-della-satira/
Quando i buffoni fanno sul serio
Come definire la rocambolesca impresa dell’Onorevole Tritoni? Un colpo di stato? Lui ci tiene a chiamarlo così. Una buffonata? Forse. “Ma anche la marcia su Roma era una buffonata, poi però…”.
Come definire la rocambolesca impresa dell’Onorevole Tritoni? Un colpo di stato? Lui ci tiene a chiamarlo così. Una buffonata? Forse. “Ma anche la marcia su Roma era una buffonata, poi però…”.
A tre anni dal tentato golpe Borghese, Mario Monicelli dirige un film che lo ricorda da vicino, con un Tognazzi fascista meno ingenuo del Gavazza interpretato per Dino Risi (La marcia su Roma, 1962). Deputato di estrema destra nell’Italia degli anni ’70, l’On. Tritoni è anzi infido e maneggione, tutto preso dall’organizzazione di un novello colpo di stato al fine di instaurare un regime militarista. Nell’incalzare di una cronaca serrata, il piano segreto prende corpo indisturbato, tanto minato dall’incompetenza dei suoi fautori quanto assistito dal ritardo nell’intervento delle istituzioni.
Con Vogliamo i colonnelli (1973) Monicelli porta al Festival di Cannes un ritratto corrosivo della politica italiana, avvalendosi del talento dei fedeli Age&Scarpelli. Oltre all’esplicito riferimento all’ex comandante della Decima MAS è impossibile non notare le affinità tra il partito di Tritoni e l’MSI-DN di Giorgio Almirante, tra il ministro degli interni e la figura di Giulio Andreotti, nonché le assonanze (non solo) nominali tra l’On. Ferlingeri e Berlinguer o tra il professor Pube e il professore Armando Plebe, un tempo filosofo marxista poi senatore per lo stesso MSI. L’elenco potrebbe continuare – per esempio con il presidente del tutto simile ad Antonio Segni – ma la vera forza del film non sta tanto nella corrispondenza, peraltro spassosa, dei personaggi, quanto nella capacità, tutta monicelliana, di una satira lucida e straordinariamente calzante anche nell’uso di un registro grottesco. Il nostalgico trionfalismo della destra neofascista (“un grande passato è nel nostro futuro”) e la pigra apatia della sinistra arricchita, la discutibile gestione dell’informazione e l’inettitudine patologica di uno Stato gerontocratico popolano un affresco di inquietante attualità, con una pregnanza che scavalca di gran lunga la malandata satira contemporanea.
La scalcinata banda di Tritoni- per certi versi memore de L’armata Brancaleone- annovera capi e capetti tronfi e patetici, fanatici di slogan sconnessi e irrigiditi in una vociante pretesa di virilità. In mezzo alla congerie dei politicanti, impegnati a discutere su “l’uguaglianza giusta tra individui eguali” e sulla “libertà che il ricco resti ricco e il povero, povero”, Tognazzi trotta e sgambetta con una performance travolgente, regalando un Tritoni caparbio e stazzonato, energico come Il federale di Salce (1961), toscano come il Mascetti del successivo Amici miei (1975). Il dinamismo vibrante dei carrelli che ne tallonano il continuo affaccendarsi si alterna ai primi piani degli intrighi sussurrati, per poi allargarsi nei totali impietosi, brulicanti di azioni sgangherate. Le musiche di Carlo Rustichelli scandiscono la rovinosa ascesa militare – appoggiata dalla greca dittatura dei colonnelli – alla volta di uno Stato ancora più maldestro e impreparato. L’obiettivo ha un che di profetico: impossessarsi delle televisioni per indottrinare il popolo italiano. Vi ricorda qualcosa?
Lisa Cecconi
http://mediacritica.it/2012/01/23/vogliamo-i-colonnelli/
Con Vogliamo i colonnelli (1973) Monicelli porta al Festival di Cannes un ritratto corrosivo della politica italiana, avvalendosi del talento dei fedeli Age&Scarpelli. Oltre all’esplicito riferimento all’ex comandante della Decima MAS è impossibile non notare le affinità tra il partito di Tritoni e l’MSI-DN di Giorgio Almirante, tra il ministro degli interni e la figura di Giulio Andreotti, nonché le assonanze (non solo) nominali tra l’On. Ferlingeri e Berlinguer o tra il professor Pube e il professore Armando Plebe, un tempo filosofo marxista poi senatore per lo stesso MSI. L’elenco potrebbe continuare – per esempio con il presidente del tutto simile ad Antonio Segni – ma la vera forza del film non sta tanto nella corrispondenza, peraltro spassosa, dei personaggi, quanto nella capacità, tutta monicelliana, di una satira lucida e straordinariamente calzante anche nell’uso di un registro grottesco. Il nostalgico trionfalismo della destra neofascista (“un grande passato è nel nostro futuro”) e la pigra apatia della sinistra arricchita, la discutibile gestione dell’informazione e l’inettitudine patologica di uno Stato gerontocratico popolano un affresco di inquietante attualità, con una pregnanza che scavalca di gran lunga la malandata satira contemporanea.
La scalcinata banda di Tritoni- per certi versi memore de L’armata Brancaleone- annovera capi e capetti tronfi e patetici, fanatici di slogan sconnessi e irrigiditi in una vociante pretesa di virilità. In mezzo alla congerie dei politicanti, impegnati a discutere su “l’uguaglianza giusta tra individui eguali” e sulla “libertà che il ricco resti ricco e il povero, povero”, Tognazzi trotta e sgambetta con una performance travolgente, regalando un Tritoni caparbio e stazzonato, energico come Il federale di Salce (1961), toscano come il Mascetti del successivo Amici miei (1975). Il dinamismo vibrante dei carrelli che ne tallonano il continuo affaccendarsi si alterna ai primi piani degli intrighi sussurrati, per poi allargarsi nei totali impietosi, brulicanti di azioni sgangherate. Le musiche di Carlo Rustichelli scandiscono la rovinosa ascesa militare – appoggiata dalla greca dittatura dei colonnelli – alla volta di uno Stato ancora più maldestro e impreparato. L’obiettivo ha un che di profetico: impossessarsi delle televisioni per indottrinare il popolo italiano. Vi ricorda qualcosa?
Lisa Cecconi
http://mediacritica.it/2012/01/23/vogliamo-i-colonnelli/
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Giuseppe Tritoni, un "onorevole" di estrema destra, cospiratore e complottatore extraparlamentare di attentati e iniziative atte a favorire paura dei comunisti nella popolazione italiana, nonostante tutto vive grande disagio per il permanere del regime democratico. Sogna un colpo di stato per restaurare una "sana" dittatura fascista nel paese.
Lui già si occupa personalmente di addestrare militarmente alcuni fedelissimi al fascio ma chiaro che non bastano quelle forze. Ottiene da un figuro una lista di colonnelli militari che contatterà uno ad uno fino a realizzare un piano per il golpe, che porterà a compimento...
Film storico-politico? Fuochino. E' un'esilarante commedia che sfora abbondantemente nel grottesco. L'esercito assemblato dal Tritoni è un branco di idioti, vecchi rincoglioniti, incapaci di varie età, culture e dialetti, anche una ninfomane, non mancano nemmeno le tonache, tutti di purissima fede fanatica cattofascista, che non combineranno nulla di decente ovviamente.
Pure troppo grottesco il film, al limite dello scalcagnato quasi come la banda testé descritta. Ai tempi lasciò più di un critico perplesso, lo capisco bene. Oggi però a distanza di anni bisogna perlomeno dargli atto di aver visto molto bene tra le righe del "Golpe Borghese", vicenda di soli 3 anni prima a cui s'ispira in modo palese. Per parecchi anni, ben oltre l'anno d'uscita di "Vogliamo i colonnelli", quel golpe fu considerato appunto una buffonata, preso sottogamba. Poi col tempo le cose vennero correttamente dimensionate e collocate. Ottimo, ad esempio, che siano presenti nel film alcuni politici d'opposizione che mettono in guardia un viscido ministro dell'interno di non sottovalutare il golpe, perché una volta si sottovalutò anche la marcia su Roma, e se ne videro i risultati. Il punto d'eccellenza però sta tutto nel finale, col ministro che saprà volgere l'esito fallimentare del golpe ad una situazione vantaggiosa, non dico come ovviamente. Sarà un colpo di genio, onore a Monicelli per questo, anche per i significati che sottende e che negli anni a venire trovarono nelle indagini conferme persino nel vero golpe, quando diventò chiaro che valerio borghese non era certo solo, dietro di lui c'erano menti raffinate che valutarono tutti i possibili risultati del suo maldestro tentativo e seppero trarne beneficio.
Tra i miei Cult inevitabilmente.
Per Ugo Tognazzi non ci sono aggettivi.
http://robydickfilms.blogspot.com.ar/2011/05/vogliamo-i-colonnelli.html
Lui già si occupa personalmente di addestrare militarmente alcuni fedelissimi al fascio ma chiaro che non bastano quelle forze. Ottiene da un figuro una lista di colonnelli militari che contatterà uno ad uno fino a realizzare un piano per il golpe, che porterà a compimento...
Film storico-politico? Fuochino. E' un'esilarante commedia che sfora abbondantemente nel grottesco. L'esercito assemblato dal Tritoni è un branco di idioti, vecchi rincoglioniti, incapaci di varie età, culture e dialetti, anche una ninfomane, non mancano nemmeno le tonache, tutti di purissima fede fanatica cattofascista, che non combineranno nulla di decente ovviamente.
Pure troppo grottesco il film, al limite dello scalcagnato quasi come la banda testé descritta. Ai tempi lasciò più di un critico perplesso, lo capisco bene. Oggi però a distanza di anni bisogna perlomeno dargli atto di aver visto molto bene tra le righe del "Golpe Borghese", vicenda di soli 3 anni prima a cui s'ispira in modo palese. Per parecchi anni, ben oltre l'anno d'uscita di "Vogliamo i colonnelli", quel golpe fu considerato appunto una buffonata, preso sottogamba. Poi col tempo le cose vennero correttamente dimensionate e collocate. Ottimo, ad esempio, che siano presenti nel film alcuni politici d'opposizione che mettono in guardia un viscido ministro dell'interno di non sottovalutare il golpe, perché una volta si sottovalutò anche la marcia su Roma, e se ne videro i risultati. Il punto d'eccellenza però sta tutto nel finale, col ministro che saprà volgere l'esito fallimentare del golpe ad una situazione vantaggiosa, non dico come ovviamente. Sarà un colpo di genio, onore a Monicelli per questo, anche per i significati che sottende e che negli anni a venire trovarono nelle indagini conferme persino nel vero golpe, quando diventò chiaro che valerio borghese non era certo solo, dietro di lui c'erano menti raffinate che valutarono tutti i possibili risultati del suo maldestro tentativo e seppero trarne beneficio.
Tra i miei Cult inevitabilmente.
Per Ugo Tognazzi non ci sono aggettivi.
http://robydickfilms.blogspot.com.ar/2011/05/vogliamo-i-colonnelli.html
come sempre grande Tognazzi !
ResponderEliminarGrazie per il posting.
;-)
ps.
qualcuno forse sa dove potrei trovare "il fischio al naso" da scaricare o anche solo in streaming ? grazie.
me la llevo, Amarcord, muchas gracias!
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