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sábado, 17 de abril de 2021

I miserabili I_Caccia all'uomo - Riccardo Freda (1948)

 

 TÍTULO ORIGINAL
I miserabili - Caccia all'uomo
AÑO
1948
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
86 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Riccardo Freda
GUIÓN
Riccardo Freda, Mario Monicelli, Steno (Novela: Victor Hugo)
MÚSICA
Alessandro Cicognini
FOTOGRAFÍA
Rodolfo Lombardi (B&W)
REPARTO
Gino Cervi, Valentina Cortese, Hans Hinrich, Luigi Pavese, Jone Romano, Gino Cavalieri, Massimo Pianforini, Duccia Giraldi, Nino Marchetti, Alba Setaccioli, Andreina Pagnani, Gabriele Ferzetti
PRODUCTORA
Lux Film
GÉNERO
Drama

Sinopsis
Jean Valjean (Gino Cervi) es condenado por haber robado un pan para dar de comer a sus sobrinos, y por ello es condenado a 5 años de trabajos forzados, que al final terminan siendo 18 al ser atrapado en diferentes intentos de fuga. Tras cumplir la condena vuelve a cometer un robo en casa de un Obispo, pero al no querer este denunciarlo, Valjean se da cuenta de que tiene que cambiar de vida.
Tras años de duro trabajo (y con un nombre falso) Valjean se convierte en alcalde y rico industrial de una ciudad. Tras el despido improcedente que hace una supervisora a Fantina, una empleada de la fábrica de Valjean, este se hace cargo de su hija Cosette, ambas interpretadas de mayor por Valentina Cortese.
A la ciudad llega el nuevo inspector de Policía, que resulta ser Javert (Hans Hinrich), quién inicialmente no reconoce a Valjean a pesar de que fue él su carcelero en la prisión. Tras pasar unos días, Javert decide pedir un informe a la comisaría de policía de París para averiguar quién es en realidad el alcalde...
(FILMAFFINITY)
 
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Il film è diviso in due parti: Caccia all'uomo e Tempesta su Parigi. Più che sulla storia del forzato Jean Valjean il regista punta sulle idee politico-sociali di Victor Hugo.

 

Trama

Jean Valjean, in prigione per aver rubato del pane, vi resta per vent’anni in seguito ai suoi numerosi tentativi d’evasione. Inasprito, abbrutito dalla convivenza con delinquenti autentici, riesce finalmente a evadere. Trova asilo dal vescovo di Digne, Myriel, ma lo deruba di due candelabri d’argento e fugge. Riacciuffato, viene messo a confronto con la sua vittima: ma il vescovo afferma di aver donato egli stesso quei candelabri al suo ospite. L’ergastolano, profondamente colpito da tanta generosità, decide di cambiare vita. Qualche anno più tardi, Jean Valjean, che con il suo lavoro ha conquistato l’agiatezza, si interessa a Fantina, una giovane sedotta e poi abbandonata con la figlia Cosetta: l’aiuta a mantenere la figlia, affidata fino a quel momento a una coppia, e alla morte di Fantina prende la bimba con sé. Quando la polizia arresta un certo Champmathieu, un disgraziato semideficiente, scambiato per l’ex-ergastolano, Jean Valjean, in pieno tribunale rivela la propria identità, e si costituisce all’ispettore Javert. Imprigionato, riesce a evadere e fugge a Parigi. Nella capitale vive sotto falso nome con Cosetta. Quest’ultima viene notata da Mario, uno studente repubblicano, amico di Valjean. Il giovane, che è in realtà il figlio del ministro della polizia, ha abbandonato la casa paterna e si è legato a un gruppo di rivoluzionari che cospira contro il governo della Restaurazione. Ferito durante i moti del 1832, Mario viene portato in salvo da Valjean attraverso le fogne di Parigi. Quando esce alla luce, Jean si trova di fronte a Javert, deciso ad arrestarlo. Insieme portano Mario dal padre, il quale interviene a favore di Valjean. Javert, ossessivamente ligio al proprio dovere, davanti a questa rivelazione di umanità che sovverte i suoi principi, si uccide. Mario, guarito, sposa Cosetta. Jean Valjean, ferito da un suo excompagno di galera, muore assistito da Cosetta e da Mario.
Il film ha circolato suddiviso in due episodi, “Caccia all’uomo” e “Tempesta su Parigi” , distribuiti a pochi giorni di distanza uno dall’altro.

Critica    
“Il fascino e la potenza del vittorughiano I Miserabili ha tentato, dopo le molte riduzioni compiute all’estero – e ne ricordiamo una francese assolutamente mirabile – anche la nostra industria. Conviene dir subito che alla nobiltà del tentativo non ha corrisposto quella della realizzazione anche se, qua e là, il complesso del film è più esteriore che introspettivo e se, data la mole enorme della materia, le sintesi sono piuttosto numerose. Riccardo Freda ha diretto con accortezza e sagacia, soprattutto con tangibile comprensione del grande compito che si era assunto. [...] In sostanza, dunque, un film che pur se non riflette a pieno la tragica umanità del romanzo, è spettacolarmente a posto [...]. Questa seconda parte I Miserabili (Tempesta su Parigi - N.d.R.) presenta, come la prima, delle lacune e delle deficienze di non lieve entità. Sebbene fosse più facile a realizzare, poiché improntata principalmente sull’azione, si notano ingenuità davvero eccessive. La sequenza della rivoluzione, la fuga di Jean Valjean attraverso le fogne, tutto è stato trattato troppo leggermente. La regia [...] ha peccato certo di superbia, così come hanno peccato gli interpreti e gli sceneggiatori che hanno creduto di essere all’altezza del capolavoro di Victor Hugo”.
Vice, Il Paese, 5 e 10/03/1948
https://www.comune.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitoloRB/8CAEF257522F778DC1257627003C4C2F?opendocument

Jean Valjean, condannato per aver rubato del pane, resta in carcere per vent'anni a causa di ripetuti tentativi di evasione. Quando esce compie subito un furto, ma il vescovo derubato, anziché denunciarlo, gli fa capire che deve cambiare vita. Con il duro lavoro e sotto falso nome, Jean diventa un ricco e stimato industriale e adotta la piccola Cosetta, ma il commissario Javert, che ne ha scoperto l'identità, continua a perseguitarlo. Jean riesce a rifugiarsi a Parigi, sconvolta dai moti rivoluzionari del 1832. Cosetta si innamora di Marius, un giovane che combatte senza sosta contro il governo imposto dalla Restaurazione anche se è figlio del ministro dell'Interno. I rivoltosi sono sconfitti e vengono fucilati; si salva solo Marius, grazie all'intervento di Valjean. Resosi conto della bontà di Jean e ossessionato dal rimorso, Javert si uccide. Morirà anche Jean, per mano di un ex compagno di cella traditore.

Interamente girato all'interno degli studi del Centro Sperimentale di Cinematografia, si tratta del primo kolossal italiano del dopoguerra. Riccardo Freda era all'epoca il regista antineorealista per eccellenza: alle storie vere e alla descrizione della vita quotidiana preferiva le grandi fonti letterarie. Nel giro di cinque anni, dal 1945 al 1950, portò sullo schermo oltre a Hugo anche Puskin, Casanova, Dumas padre e Dante, adattandoli ai tempi e ai modi del cinema d'avventura: tutto questo in evidente contrasto con la tendenza che prevaleva allora nel cinema italiano. Per giunta Freda arrivò al punto di coprire un ruolo importante nel cast, quello di Marius, con una trovata che sembra la parodia dell'attore preso dalla strada tipico del neorealismo. La parte era infatti destinata a Rossano Brazzi, che però giunse a irritare il regista con le sue troppe pretese e venne quindi sostituito con Aldo Nicodemi, un giovane senza alcuna esperienza di recitazione che lo stesso Freda aveva notato in una casa di tolleranza. Nel cast comunque figurano altri esordienti destinati al successo, come Marcello Mastroianni e Gabriele Ferzetti, nonché un attore proveniente dal neorealismo (Joop van Hulsen, ufficiale tedesco in Roma città aperta).

Al di là delle trovate di cast, Freda mostra con mano sicura una concezione del cinema molto diversa da quella che circolava nell'Italia del periodo e molto più simile a quella hollywoodiana. Infatti, i film di cappa e spada girati fino a quel momento in Italia erano decisamente debitori nei confronti della librettistica d'opera e privilegiavano i dialoghi alle scene d'azione. Freda fa esattamente il contrario, come del resto già Alessandro Blasetti per La corona di ferro (1941). Nella sequenza iniziale del film, ad esempio, tutta la parte che ci porta a conoscenza dell'antefatto fa a meno dei dialoghi: la giovinezza di Jean Valjean, il suo arresto, i tentativi d'evasione sono narrati a ritmo incalzante, con un montaggio serrato e con un commento musicale volutamente intenso. Le parole intervengono solo quando sono strettamente necessarie. Intervistato nel marzo 1993, Freda confermava: "Mi sembrava andasse bene così. La parola fu aggiunta in un secondo tempo al cinema, quando già erano stati fatti grandi capolavori. È qualcosa in più, bisogna utilizzarla ma anche dimostrare di saperne fare a meno". E lo stesso avviene per un'altra scena dal ritmo concitato, quella che vede i rivoluzionari invadere le piazze di una Parigi sapientemente ricostruita sul piazzale del Centro Sperimentale. I miserabili mostra la tipica grande cura della Lux Film nelle ricostruzioni e nei costumi, e fu la prima produzione importante di Carlo Ponti, all'epoca organizzatore generale per la casa di produzione fondata da Riccardo Gualino.

Interpreti e personaggi: Gino Cervi (Jean Valjean), Valentina Cortese (Fantina/Cosetta), Giovanni Hinrich (Javert), Aldo Nicodemi (Marius), Luigi Pavese (Thénardier), Andreina Pagnani (suor Simplicia), Ugo Sasso (capo dei rivoluzionari), Marcello Mastroianni (rivoluzionario), Gabriele Ferzetti (amante di Fantina), Joop van Hulsen (ministro di polizia), Delia Orman (Eponine), Gino Cavalieri (archivista della polizia).
https://www.treccani.it/enciclopedia/i-miserabili_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/


Riccardo Freda nasce il 24 febbraio 1909 ad Alessandria d’Egitto.  Lavora come sceneggiatore a partire dal 1937 e firma la sua prima regia con Don Cesare di Bazan (1942), avventure di spadaccini nella Spagna secentesca sceneggiate da Vitaliano Brancati e Cesare Zavattini ed interpretate da Gino Cervi. Seguono la commedia Non canto più (1943; le peripezie di un bizzarro tenore) e le avventure zariste di Aquila nera (1946), un grande successo popolare sceneggiato da Monicelli e Steno.
Nel gennaio 1948 esce la sua versione de I miserabili , divisa in due film: Caccia all'uomo (95 min.) e Tempesta su Parigi (92 min), ampio lavoro sceneggiato con l'aiuto di Monicelli e Steno e bene interpretato da Gino Cervi. Le avventure di Jean Valjean, raccontate nel celebre romanzo di Victor Hugo (1862), erano gia' state filmate numerose volte nell'epoca del muto, sia in Francia, sia negli USA. Nel 1933 appare l'importante versione francese di Raymond Bernard divisa addirittura in tre film per una durata complessiva di quasi cinque ore. Nel cinema italiano il dignitoso tentativo di Freda rimarra' isolato; le successive trasposizioni cinematografiche, tutte regolarmente intitolate Les Misérables, saranno ancora francesi (Le Chanois, 1958, con Jean Gabin; Robert Hossein,1982, con Lino Ventura; la versione libera di Claude Lelouch, 1995, con Jean Paul Belmondo) e americane (Lewis Milestone 1952; Billie August, 1998).
Spettacolo popolare sontuoso e non privo di raffinatezze, il doppio film di Freda rimane fedele allo spirito del testo letterario nel suo esaltare la generosita' e la filantropia del "miserabile" Valjean e nel contrapporgli la durezza astratta e disumana del'ispettore Javert (interpretato dall'ottimo Giovanni Hinrich). Le condizioni ambientali rimangono determinanti nel trasformare gente buona e umile in ladri e prostitute (l'episodio della madre di Cosetta) mentre la borghesia viene largamente tratteggiata secondo l'opinabile stereotipo dell'ipocrita benpensante. Gli schemi manichei e semplicistici del mondo poetico di Hugo si ripetono acriticamente in Freda; ciononostante, sebbene il populismo e l'ugualitarismo filantropico-massonico che pervadono il lavoro siano povere ingenuità, la trasposizione filmica si avvale, soprattutto nella prima parte, di un sicuro taglio narrativo, conciso ed incalzante, di una bella qualita' figurativa e di una colonna sonora complessa ed efficace firmata da Alessandro Cicognini. Nel piu' vasto affresco della sommossa parigina del 1832 (secondo film) la pellicola scade in uno scontato fumettone, solo a tratti (l'episodio del ricatto dell'oste e quello della fuga nelle fogne) illuminato dai fosci bagliori che innervano la prima parte.

Luci espressioniste ed ombre minacciose accompagnano tutte le apparizioni del sinistro Javert, luci delicate animano il fiabesco episodio della piccola Cosetta-Cenerentola prigioniera del terribile oste Thénardier, ambienti notturni di bella suggestione inquadrano la lunga fuga di Valjean e della bambina verso Parigi, quadri deliziosi e pittorici ritraggono la vita cittadina: la ricca ricostruzione (tutta effettuata nei teatri di posa) riesce a mantenere un costante interesse visivo, con l'unica eccezione del lungo, mediocre episodio della rivoluzione cittadina. Le dolcezze del filantropo Valjean trovano espressione musicale in un tenero leitmotiv (il cui incipit e' un arpeggio discendente), i suoi tormenti in un motivo sinuoso, le sue fughe in un vago tema di marcia: la partitura sinfonica di Cicognini, memore della tradizione operisica verista e wagneriana, stende un fitto e coerente reticolato sonoro dietro alle immagini.
Gli intensi primi piani sul volto lacerato di Valjean si contrappongono a quelli che contemplano la maschera impassibile di Javert: in questa antitesi, al di là delle rocambolesche e assurde invenzioni narrative, si trova la sostanza piu' intima dell'opera: umanitarismo e durezza autoritaria vi si affrontano in un duello mortale nel quale la vittoria del protagonista coincide con l'esaltazione di quella massonica "religione dell'umanità" che caratterizza larga parte della produzuone letteraria di Victor Hugo. Solo in questa chiave simbolica si giustifica il forzato suicidio di Javert, segno dell'auspicata sconfitta di una concezione gerarchica ed inflessibile della convivenza sociale. La fine delle monarchie (non a caso Javert e' un servo del re) e l'instaurazione di una repubblica degli uguali è l'ideale politico che anima l'intera narrazione la quale, non casualmente, termina con le gesta della fallita sommossa repubblicana del giugno 1832 a Parigi durante la quale, dopo due giorni di sanguinosi scontri sulle barricate, i nemici del nuovo regno di Luigi Filippo (1830) vengono arrestati e giustiziati.
Freda, con Monicelli e Steno, si limita dunque a riproporre senza significative varianti l'ideologia socialisteggiante (sebbene ammorbidita da evidenti simpatie cattoliche presenti nella figure del monsignore e della madre superiora del convento nel quale si rifugia Valjean) del popolare scrittore francese, in un lavoro spettacolare accolto favorevolmente dal grande pubblico italiano.
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http://www.giusepperausa.it/i_miserabili__il_cavaliere_mis.html 


 
 
 

 

 





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