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sábado, 26 de enero de 2013

E stato il figlio - Daniele Ciprì (2012)


TÍTULO ORIGINAL È stato il figlio
AÑO 2012
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 90 min. 
DIRECTOR Daniele Ciprì
GUIÓN Daniele Ciprì, Massimo Gaudioso (Novela: Roberto Alaimo)
MÚSICA  Carlo Crivelli
FOTOGRAFÍA Daniele Ciprì
REPARTO Toni Servillo, Giselda Volodi, Alfredo Castro, Fabrizio Falco, Aurora Quattrocchi
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia; Passione / Rai Cinema / Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC)
PREMIOS 2012: Festival de Venecia: Premio a la contribución técnica y Actor joven (Fabrizio Falco)
GÉNERO Comedia. Drama | Familia. Comedia negra 

SINOPSIS Basada en la novela homónima de Roberto Alajmo, que ha sido adaptada por Ciprì y Massimo Gaudioso, la película se mueve en lo grotesco y lo trágico en una Palermo cutre, surrealista y atemporal, reconstruida en el barrio Paradiso de Brindisi, en Apulia. El encargado de narrar la vieja historia de la familia Ciraulo es Busu, mientras espera su turno en la oficina de correos. El padre de la familia, Nicola Ciraulo es una especie de Homer Simpson siciliano, como ha dicho el propio autor del libro Alajmo. Para mantener a su familia vende el hierro que extrae de barcos abandonados. El resto de miembros de la familia son la madre Loredana, los abuelos Fonzio y Rosa y los hijos Tancredi y Serenella. La tragedia estalla tras un día en la playa. La pequeña Serenella, como si tuviese una corazonada, no quiere volver a casa. En un ajuste de cuentas mafioso, una bala perdida mata a la niña. Tras el luto, llueve el maná del cielo. Los familiares tienen derecho a una indemnización por parte del Estado de 113.000 euros... (FILMAFFINITY)



Inventore, con Franco Maresco, di Cinico Tv, nonché uno dei migliori direttori della fotografia in Italia, Daniele Ciprì esordisce dietro la macchina da presa "in solitaria" con un film che tradisce in maniera evidente il suo curriculum: ma, invece di essere una tara come spesso avviene, questo è un dato nettamente positivo.
Perché, adattando il romanzo di Roberto Alajmo, firma un film formalmente ricercato e riuscito senza essere lezioso e formalista, e che fa del grottesco e del cinismo delle lenti sensibili ma mai deformanti, in grado di trasmettere un’umanissima empatia per i protagonisti e le traversie che devono affrontare.
È stato il figlio è molte cose, spesso diverse tra loro. È una tragica saga familiare, è un film sull’ombra ansiogena e sanguinosa della mafia, è un film sull’Italia di allora, gli anni Settanta, ma ancor di più di oggi. È un film sullo storytelling, costruito com’è a scatole cinesi, con un narratore (che si è andati a pescare in Cile, è l’Alfredo Castro dei film di Pablo Larrain) che racconta storie che diventano la storia del film, e di cui lui diventerà protagonista. Con l’andamento del sogno, o dell’incubo, a seconda dei casi e dei momenti, è stato il figlio mette alla berlina le miserie materiali ed esistenziali dei suoi personaggi e degli italiani, declinando con forme moderne e goticamente esasperate la lezione della miglior commedia all’italiana, che criticava senza falsi moralismi né strizzate d’occhio, ma era in grado di amare profondamente l’umanità che raccontava.
Mettendo in scena una spirale impazzita di violenze e desideri, di megalomanie e di egoismi, Ciprì racconta - non senza errori e qualche scivolone ma con implacabile chiarezza - il dramma di una generazione che si ripete nella sua incertezza, nella sua immobilità, nell’oppressione e nell’impossibilità di evitare che la colpa dei padri (e delle madri, e delle nonne, e dei cugini) si riversi tragicamente su di lei.
E la chiusura di desolante metafisicità e di inquietante realtà è, al tempo stesso, raggelante e bellissima.
Federico Gironi
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=16229
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Immagini sfocate e mutevoli, che disorientano. Man mano, si rivelano essere display. Sprazzi di inquadrature tracciano un ufficio postale. Come quello a cui Tancredi Ciraulo (Fabrizio Falco) veniva inviato dalla famiglia per corvée. Anche lì, attende il proprio turno un uomo dallo sguardo fisso (Alfredo Castro), che racconta storie magnetiche a metà fra reale e leggenda metropolitana. Vicende di violenza e omertà, fatte per una città dove udire spari fa parte del quotidiano.
Comincia così È stato il figlio, diretto da Daniele Ciprì. Alla Mostra del Cinema di Venezia 2012, si è aggiudicato il premio per il Miglior Contributo Tecnico (fotografia). Inoltre, il cast comprende Fabrizio Falco (Premio Marcello Mastroianni per gli attori emergenti). Sia quest’ultimo che Ciprì hanno collaborato anche a un’altra pellicola presentata alla Mostra: Bella addormentata, di Marco Bellocchio (http://inchiostro.unipv.it/?p=7603  ). Lo stesso dicasi di Pier Giorgio Bellocchio, qui nel ruolo d’un sordomuto. Pellicole d’autunno l’ha proposto al Politeama di Pavia, il 20 novembre 2012.
Tancredi ha 21 anni e un nome infausto: quello del crociato che uccide, ignaro, l’amata Clorinda, nella Gerusalemme Liberata di T. Tasso. Come lui, porta il peso d’un delitto non voluto. È un “eroe inetto”, che non sa parlare, né agire. Però, guarda. Il film è accompagnato dai suoi occhi sbarrati e profondi. Ben più consapevoli di quelli del padre Nicola (Toni Servillo), che nomina più volte la morte, senza saperla riconoscere, quando se la ritrova davanti. Col padre (Benedetto Ranelli) e il figlio, Nicola campa di recupero rottami. Lavora, per esempio, su una nave incagliata. Facile pensare alla Costa Concordia: una “tragedia del benessere”, come quella che sta per scatenarsi. Il capofamiglia dispiega un carattere dispotico e superficiale. Strapazza Tancredi, per la sua inettitudine al guadagno. Gli contrappone il “cugino modello”, Masino (Piero Misuraca): spavaldo, intraprendente, pragmatico. E legato alla mafia. Del resto, quest’ultima sembra essere l’unica fonte di benessere, per chi vive in quei quartieri poveri di Palermo, dove, ogni tanto, manca perfino l’acqua, senza che si sappia a chi darne la colpa. Qui, i primi giochi dei bambini pullulano di pistole ed esplosioni. Anche quelli di Serenella Ciraulo (Alessia Zammitti), stroncata dalla pallottola destinata a Masino. La sua famiglia piange amare lacrime, ma se le asciuga alla svelta, quando viene a saper del risarcimento versato dallo Stato per ogni vittima di mafia. Il denaro arriva, dopo una trafila burocratica incarnata da repellenti figuri e debiti con sfuggenti usurai. Anziché sopperire alle molte necessità della famiglia, Nicola compra una Mercedes. Essa diventa il totem di casa Ciraulo, vitello d’oro a cui tutto il resto è sacrificato. Poi, Masino (il “sostegno della famiglia”) convince Tancredi a profanare l’idolo. Il sacrificio della sorellina balena nello specchietto retrovisore. Subito dopo, l’irreparabile. In realtà, si tratta solo d’uno sfregio sulla carrozzeria. Ma la bestialità feticista di Nicola lo farà precipitare in tragedia.
Piace pensare che i grandi occhi di Tancredi colgano la “verità” della vicenda. Ma “verità” –così come “giustizia” e “legalità”- significa poco, là dove c’è urgenza di campare. Le parole di nonna Rosa (Aurora Quattrocchi) girano il coltello nella piaga, quanto a precariato giovanile. La matriarca, come spesso avviene in terra di mafia, prende in mano la situazione. Lo fa praticando un altro sacrificio umano. Mai troppo gravoso, in mezzo alla miseria, ove anche la grazia divina si misura in denaro. Intanto, però, i feticci del benessere tramontano. Rimane il sangue di chi, al contrario del sole, non tornerà più.
Erica Gazzoldi
http://inchiostro.unipv.it/?p=8982
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Il regista siciliano ci porta nella sua Palermo anni ’70, i tempi della sua infanzia. La fotografia, curata dello stesso Ciprì, è sbiadita e ingiallita come un vecchio ricordo.
Protagonista una famiglia del quartiere Zen: sono sei i suoi componenti ma è solo uno, il popolano Nicola Ciraulo, a portare a casa uno stipendio. Lo interpreta un Toni Servillo una volta di più superbo e quasi irriconoscibile in canotta bianca, pancetta esibita, occhiali e barba mai ben fatta.
La precaria quotidianità di piccole certezze è interrotta dall’uccisione della figlioletta Serenella, colpita accidentalmente dal proiettile di un resoconto mafioso. Ma il dramma si rivela anche un’opportunità grazie al lauto risarcimento previsto dallo Stato per le vittime della mafia. Peccato che questa possibilità spalanchi altre sventure: l’infinita procedura da seguire per richiedere la somma, l’euforia che porta a spese al di sopra delle proprie disponibilità nella lunga attesa della ricezione del denaro, e infine la scelta di spendere gran parte dei 220 milioni di lire ricevuti nell’acquisto di una super Mercedes che aprirà nuove disgrazie. Consumismo e ostentazione di un vacuo status symbol si intrecciano. E poi, via, violenta e umoristica ecco una spugna grondante di cinismo, su tutto, come sa fare il “cinico tv” Ciprì.
Lo stile narrativo conserva la sua tipica originalità nella geometria delle inquadrature, nel soffermarsi sulle espressività, nei dettagli di colore. 
"Sono molto contento di essere qui, perché È stato il figlio era un film che non volevo fare", afferma candidamente il regista. "Quando mi è stato proposto da Passione Film avevo paura di non riuscire a riportare il dramma di questa famiglia palermitana. Il lavoro uscitone è un po’ mortuario ma sorridente e allegro, con un finale da tragedia greca".
La storia è di vita vera, tratta dall’omonimo libro di Roberto Alajmo, che insieme al regista e a Massimo Gaudioso ha scritto la sceneggiatura.
Per assurdo, Ciprì non voleva neanche Servillo nel cast. "In verità non avevo un immaginario di volti, visto che la trama derivava da un romanzo. Quando mi hanno suggerito Toni ho pensato che fosse troppo per me e che fosse impossibile averlo nel cast. Dopo il primo incontro ho subito pensato fosse perfetto: il personaggio del libro è complicato, molto triste. Toni l’ha reso superbo: ha la comicità dentro".
Servillo, da parte sua e da napoletano, aveva il timore di inciampare nel dialetto siciliano. Paura e prova superate, brillantemente. “È stato il figlio è un film potente che diverte: lo dico perché l’ho amato molto”, sostiene l’attore.
Difficilmente la pellicola potrà ambire al Leone d’oro anche se è un affresco brillante - forse troppo italiano - che potrà aver successo in sala (dove arriverà il 14 settembre). E probabilmente neanche l’impeccabile Servillo vincerà la Coppa Volpi per cui invece oggi si candida con buone possibilità lo scontroso Joaquin Phoenix di The Master. Da segnalare però la convincente prova di recitazione di Giselda Volodi come moglie del capofamiglia: se a Venezia esistesse un premio per la migliore attrice non protagonista potrebbe aspirare alla cinquina.
Simona Santoni
http://cultura.panorama.it/cinema/venezia-2012-daniele-cipri-e-stato-il-figlio


Esordio in solitaria per Daniele Ciprì che ha saputo, pur con qualche carenza strutturale nella resa fluida dell’intreccio, descrivere uno spaccato sociale dai toni aspri, rimarcandone la miseria materiale ed esistenziale fino ai limiti del grottesco. Al centro della storia le vicende della famiglia Ciraulo, povera e disperata, apparentemente coesa, ma divisa al suo interno da uno spregevole istinto di sopravvivenza.
Lo scenario è quello di una Sicilia sul finire degli anni 70', mostruosamente rappresentata nei suoi lineamenti più crudi. I personaggi  non celano i propri difetti, sia fisici che morali, e le loro azioni seguono un’etica del tutto personale.
Sulle spalle del capofamiglia Nicola, interpretato da un sempre più versatile Toni Servillo, grava il sostentamento dell’intero nucleo familiare, a cui rivolge tutte le sue frustrazioni. A subire le ire del padre è soprattutto Tancredi, un ventunenne timido e senza occupazione (Fabrizio Falco, esordiente vincitore a Venezia 69 del Premio Mastroianni). Le aspettative per il futuro appaiono nulle fino a quando un evento cruento sembra aprire uno spiraglio.
Partendo dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo, il palermitano Ciprì riadatta per il grande schermo un’iperrealistica cronaca familiare pervasa da un’opprimente atmosfera di tragica ironia, caricata fino all’eccesso. Questa è la logica di un film che segue una strada ben precisa, ma che nell’epilogo impazzisce gettandoci, senza alcuna cautela,  in un finale fortemente emotivo e del tutto disumano.
Ernesto Brusati e Jenny Rosmini
http://www.cinequanon.it/e-stato-il-figlio-di-daniele-cipri-a-filmstudio/
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Busu (Alfredo Castro) si guadagna la propria misera esistenza facendo la coda per pagare le bollette altrui.
Nelle interminabili giornate trascorse all'interno dell'ufficio postale intrattiene gli avventori raccontando fatti realmente accaduti nella sua Palermo.
Un giorno, complice un incidente stradale che vede coinvolto un giovane che aveva sottratto l'auto al padre, racconta quanto accaduto alla famiglia Ciraulo molti anni prima.
Siamo nella Palermo degli anni Settanta,  Nicola Ciraulo (Toni Servillo) tira a campare insieme ai propri congiunti come può, insieme all'anziano padre e al figlio Tancredi recupera ferro dagli scheletri delle vecchie navi ormeggiate nei cantieri navali. 
La fortuna dei Ciraulo m- ed è questo il primo dei paradossi del film - arriva tramite le pistole di due killer, che nel tentativo di ammazzare Masino (Piero Misuraca), nipote dei Ciraulo, uccidono, per sbaglio, la figlia minore Serenella (Alessia Zammitti).
Il padre di Masino, cognato e amico di Nicola, fa balenare l'ipotesi di un risarcimento da parte dello Stato per le vittime di mafia.
La sola promessa del danaro sconvolge la vita dei Ciraulo, li porta a indebitarsi con gli strozzini, in attesa che si compia l’estenuante iter burocratico.
Alla fine, quando i soldi arrivano davvero, sono diventati pochi per alimentare il sogno di stabilità economica, bastano però per coronarne una parvenza di benessere, l’acquisto di una costosissima Mercedes.
E' stato il figlio è la prima regia di Daniele Ciprì senza l'ex socio Franco Maresco, con il quale, sino a poco tempo fa, formava la più geniale coppia  del cinema italiano, inventori di quella straordinaria avventura che fu Cinico Tv e registi de Lo zio di brooklin, 1995- Totò che visse due volte, 1998- Il ritorno di Cagliostro 2003.
Ciprì e Maresco (da vedere assolutamente anche i loro documentari) sono stati per la Palermo degli anni '90 quello che Franco Franchi e Ciccio Ingrassia sono stati per la Palermo del dopoguerra.
Franchi e Ingrassia, nella prima parte della carriera, sono stati i massimi rappresentanti di una infelicità tutta palermitana, esorcizzata tramite smorfie e una comicità spesso legata alla fame e alla miseria.
Anni dopo, Ciprì e Maresco, con lucido cinismo, hanno raccontato la Palermo del dopo Falcone-Borsellino, una Palermo apocalittica, fatta di macerie e miserie umane.
E' stato il figlio, ispirato al romanzo di Roberto Alajmo, è cinema chirurgico, sceneggiato meravigliosamente (Masino e Tancredi all'uffico postale, il personaggio interpretato da Bellocchio, il racconto del finale della storia) con una cura dei particolari e dei dettagli da scomodare Elio Petri, e con una fotografia (dello stesso Ciprì) dal color ruggine come il ferro delle navi abbandonate, con la luce che scolpisce i volti e deforma i paesaggi, come deformata è la mente dei protagonisti, uomini e donne senza ideali che pensano solo ai soldi ("alla roba", direbbe Verga).
Ma la vera forza del film è nella capacità del regista di raccontare con estrema lucidità un'umanità pregna di immoralità, inconsapevole complice della propria miseria.
Per gran parte del film, Daniele Ciprì usa toni farseschi alla Cinico Tv (si va dalla coreografia sulla nave alla forfora dell'avvocato)  con personaggi come quelli del Prefetto, dello strozzino e dell'avvocato che altri non sono che "l'evoluzione" degli indimenticabili  fratelli Abbate, Pietro Giordano, Rocco Cane e il ciclista Francesco Tirone.
Recitazione volutamente sopra le righe (da qui la scelta di un protagonista non siciliano) proprio per sottolineare quanto, in teoria, i personaggi appartengano ad una Palermo di quarant'anni fa, quasi una rievocazione del passato, ma che in realtà sono estremamente legati al presente come a rimarcare che forse saranno cambiate le facce, le parole, i gesti, ma il modo di vivere è dettato ancora dal consumismo.  
Straordinario cast con un grande Toni Servillo (c'è ancora bisogno di ripeterlo?) e l'ottimo Alfredo Castro l'indimenticabile Raùl Peralta in Tony Manero (2008) di Pablo Larrain
Analisi di una Sicilia arcaica, matriarcale, affamata, alla affannosa ricerca di un benessere fatto di oggetti inutili. 
E' stato il figlio è dramma grottesco e dolente e sopratutto buon cinema di casa nostra.
In concorso a Venezia 2012. 
Fabrizio Luperto
http://icinemaniaci.blogspot.com.ar/2012/09/e-stato-il-figlio.html
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Maldito dinero
"È stato il figlio" es una tragicomedia en toda regla. La situación que se nos presenta es dramática, por supuesto, pero la manera de contarla es peculiar, todo rezuma ironía y humor negro como si nos quisiesen dar una lección sobre la vida de manera que no nos pongamos a llorar... pero tampoco a reír a carcajadas.
La trama es cuanto menos curiosa y atrayente para el que busque una buena historia. Una familia bastante pobre es golpeada por la tragedia de haber perdido a su hija pequeña en una ráfaga de tiros perpetrada por dos "mafiosillos" que buscaban acabar con la vida de otra persona. En ese momento la familia cae en una tristeza absoluta, es entonces cuando el padre de familia (maravillosamente interpretado por Toni Servillo) descubre a través de un compañero que puede ser indemnizado por la prematura muerte de la niña. A partir de ahí, la historia se desenvuelve con interés a través de diferentes situaciones muy bien resueltas, y gracias a unos personajes bien definidos e interpretados.
No es cuestión de desvelar mucho sobre la película, es de esos films que su belleza y el que te acabe gustando es que no sepas mucho más de ella y te dejes llevar por la trama.
En definitiva, "È stato il figlio" es una cinta bien realizada, bien interpretada y muy entretenida en casi todo su recorrido. Vuelvo a destacar la interpretación de Toni Servillo como el cabeza de familia, es un actor genial y está realmente fantástico, se nota que es él el que llena el film de vida.
zebbenone
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/853661.html

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