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lunes, 28 de enero de 2013

Siamo uomini o caporali - Camillo Mastrocinque (1955)


TÍTULO ORIGINAL Siamo uomini o caporali
AÑO 1955
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español (Separados)
DURACIÓN 94 min. 
DIRECTOR Camillo Mastrocinque
GUIÓN Gino Mangini, Camillo Mastrocinque, Vittorio Metz, Nelli (Historia: Totò)
MÚSICA Alessandro Cicognini
FOTOGRAFÍA Riccardo Pallottini, Aldo Tonti (B&W)
REPARTO Totò, Paolo Stoppa, Fiorella Mari, Mara Werlen
PRODUCTORA Lux Film
GÉNERO Comedia 

SINOPSIS Totò Esposito es un actor, pícaro y desastre por igual, que distingue a la humanidad en dos: los hombres, y los caporali; estos últimos son "aquellos que explotan y oprimen, que maltratan y humillan, desde una posición de poder, a menudo no merecida". Así, recuerda a los caporali con los que se ha cruzado en su vida, todos interpretados por Paolo Stoppa. (FILMAFFINITY)

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CD 1

Subtítulos (Español)

CD 2

Subtítulos (Español)


"L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengono, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera! ”

Totò



Trama
A Cinecittà si gira un film in costume e Totò, un povero diavolo, tenta di farsi ingaggiare come comparsa, inutilmente, perchè il capo comparsa gli è ostile. Furioso cerca di ucciderlo e viene portato in manicomio. Al dottore Totò spiega la sua profonda convinzione: al mondo ci sono gli uomini che lottano e soffrono e i caporali che comandano  e fanno soffrire gli uomini. Gli racconta di tutti i caporali che ha incontrato nella sua vita e che lo hanno angariato, non ultimo colui che lo ha allontanato da Sonia. Il dottore alla fine decide che non è matto, ma solo sfortunato e lo dimette dal manicomio. Appena fuori rischia di essere investito da una lussuosa macchina dentro alla quale vede Sonia. Ultimo scorno.

Critica
La celebrità, talvolta, fa perdere il senso delle proporzioni, Solo con questa considerazione si può spiegare la mania di Totò di voler esporre una sua filastrocca della vita. Siamo uomini o caporali è uguale a tanti altri film di Totò, con l'aggravante del tema ambizioso sfruttato in maniera sbagliata.
"Cinema Nuovo", Milano, 10 ottobre 1955.

Il pubblico si è trovato di fronte a una opericciola con gusto e bonario compiacimento ironico-satirico, senza gravi cedimenti, ma anzi congegnata su una serie di trovatine, se pure non eccessivamente originali, tuttavia sufficientemente estrose e piacevoli. Alle facili battute del dialogo il pubblico ride e si diverte, non dimenticando, nel suo spasso, l'interpretazione gustosa e sapida del suo beniamino Totò.
"La Voce Repubblicana", Roma, 4 settembre 1955.

I tre livelli recitativi in cui si è espressa la "maschera" comica di Totò e il "volto" sofferente e drammatico di de Curtis sono strettamente intrecciati e, per la sua stessa struttura, "Siamo uomini o caporali?" mescola il piano realistico-drammatico con la commedia e la farsa, con alcuni sfondamenti evidenti della barriera del realismo minimo.
Il film nasce da una espressione usata quattro anni prima in "Totò le Mokò" ed ebbe un incasso eccezionale grazie anche alla bravura del regista che seppe offrire al pubblico quasi l'essenza stessa dell'amato Totò, non bruciandolo solo nella farsa o nel solito macchiettismo, ma elevandolo a grande attore drammatico, capace di esprimere tuttavia e contemporaneamente anche quei livelli farseschi e comici, come nei grandi clown della storia, sempre presenti e mescolati alla malinconia della vita. Non sfuggì dunque al pubblico che accorse in massa ne alla critica questa unica grande occasione di poter gustare il "Totò uno e trino" che il film offriva, per di più inserito in una storia nella quale ciascuno spettatore si identificava immediatamente.
In "Siamo uomini o caporali?", il personaggio è un umiliato e offeso, che in Italia viene immediatamente identificato con il meridionale (al direttore del rotocalco, interpretato da un eccezionale Paolo Stoppa, che gli domanda "lei è saggio?", Totò risponde pronto No, no, io so' napoletano), è il poveraccio che subisce perchè è abituato a subire da secoli la miseria, le prepotenze e le angherie, contro cui ha messo in atto tutto un sistema difensivo, rimanendo però sempre ancorato ad una dimensione di generosità e di solidarietà verso i suoi simili, armato solo di quella suprema e ineffabile "arte di arrangiarsi", nella quale i napoletani sono maestri, che gli permette di attraversare il mare della vita.
Totò canta due canzoni: la prima scritta direttamente da lui " 'Sto core analfabeta, tu l'hai portato a scuola... e s'è 'mparato a scrivere... e s'è 'mparato a leggere..."; la seconda, una vecchia composizione del teatro di varietà cantata insieme alla donna amata segretamente, "Levati la blusetta... se non la vuoi levare... io ti sparo là per là".
Dopo un primo tempo costruito su un registro realistico o di commedia (Totò comparsa a Cinecittà; "omino della fila") il film diventa farsesco per l'influsso di Metz nella sceneggiatura. Il regista, comunque, ha saputo combinare nel film tutti e tre i livelli in cui si modula il prisma recitativo di de Curtis: il realismo, la commedia e la farsa, tutti e tre sempre ricondotti all'interno di una vena surrealistica che unisce e dà il senso inconfondibile alla maschera di Totò; basta osservare a tal proposito le due sequenze in cui Totò viene continuamente zittito dall'impresario americano (Paolo Stoppa) con l'espressione "Zitto, tu.."
Il finale patetico richiama quello di "Yvonne la nuit", ma qui il volto del personaggio, ampiamente scandagliato in primissimi primi piani, assume i contorni di un verismo maggiore, nel quale la rassegnazione dello sconfitto si proietta anche nel suo futuro, come dire che il film è finito, ma non sono finiti i caporali che questi continuerà ad incontrare.
Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione
http://www.antoniodecurtis.org/caporali.htm


A Napoli, nel popolare rione Sanità, il 15 febbraio 1898, dalla relazione di Anna Clemente con Giuseppe De Curtis, figlio del marchese De Curtis, nasce Antonio Vincenzo Stefano Clemente.
I primi anni della sua vita sono quelli di uno qualunque: un fanciullo con molta voglia di frivolezza e poca volontà di studiare.
Il risultato delle sue esperienze scolastiche, svoltasi presso il collegio che frequenta, non fu una licenza ginnasiale bensì la deviazione del setto nasale, procurategli involontariamente da un precettore tirando di boxe.
Fu questo infortunio a contribuire successivamente alla creazione della maschera disarticolata che egli comincia ben presto a sfruttare recitando dapprima in riunioni familiari e poi in piccoli teatri dove recita su noti canovacci. Secondo alcune fonti sembra che tra il 1913 e il 1914 abbia debuttato nei teatrini napoletani con lo pseudonimo Clerment, imitando le “macchiette” di Gustavo De Marco.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, a diciassette anni, si arruola volontario ma non è un modello di soldato e quando sa che il suo battaglione è destinato in Francia, presso un distaccamento di marocchini, finge un attacco epilettico e si fa ricoverare. Fu qui che conia la frase famosa «SIAMO UOMINI O CAPORALI» proprio per il rancore verso i caporali che lo assillavano. Alla fine della guerra riprende l’attività teatrale a Napoli con l’impresario D’Acierno nella cui compagnia c’erano Eduardo e Peppino De Filippo, Armando Fragna e Cesarino Bixio.
Nel 1921, alla morte del marchese De Curtis, sua madre Anna sposa Giuseppe De Curtis. Tutta la famiglia, l’anno successivo, lascia Napoli per trasferirsi a Roma.
Qui Totò, tra alti e bassi, continua il suo lavoro di attore e fin dalle sue prime apparizioni adotta il suo classico costume di scena, a cui resterà per sempre legato: “Una logora bombetta, un tight troppo largo, una camicia lisa col colletto basso, una stringa di scarpe per cravatta, un paio di pantaloni ‘a saltafossi, comuni scarpe nere basse e un paio di calze colorate”. Gli inizi sono stentati finché non debutta al Teatro Jovinelli ottenendo un immediato successo cominciando ad affermarsi nel mondo del “variété” italiano. Si esibisce nei principali caffè-concerto della penisola e infine torna a Napoli, scritturato dal Teatro Nuovo.
Finalmente viene legalmente riconosciuto, nel 1928, da suo padre, assumendone il cognome. Totò continua a recitare intensamente nel teatro di rivista e nell’avanspettacolo riscuotendo enorme successo. In quegli anni ha una tormentata relazione con una celebre “chanteuse”, Liliana Castagnola. Lei per restare accanto a Totò vorrebbe farsi scritturare al Teatro Nuovo, ma Totò ha già deciso di accettare il contratto offerto dalla soubrette Cabiria e di iniziare la tournée. Nella notte del 3 marzo, sentendosi abbandonata si suicida. Sarà sepolta per volontà di Totò nella cappella di famiglia.
Nel 1931 si innamora di una ragazza fiorentina di 16 anni, Diana Bandini Lucchesini Rogliani, che scappa di casa per andare a vivere con lui.
Iniziano i grandi momenti dell’avanspettacolo, di cui diventa presto uno dei protagonisti.
Nel 1933, con l’aiuto del cugino Gaspare de Curtis, ritrova nel Castello de Curtis a Somma Vesuviana, vicino Napoli, un’enorme quantità di documenti da cui risulta la sua discendenza bizantina. Seguirà, qualche anno più tardi, il riconoscimento di tutti i titoli nobiliari da parte del Tribunale di Napoli.
Nel 1935 nasce, dall’unione con Diana Bandini Rogliani la figlia Liliana, che poi sposerà.
Totò ormai è una delle vedettes del teatro di rivista. Il suo debutto cinematografico avviene nel 1937 con “Fermo con le mani” Nel 1939 divorzia (in Ungheria) dalla moglie Diana con la quale continuerà a vivere fino al 1950.
L’Italia è in guerra ma egli continua la sua attività cinematografica con San Giovanni decollato e soprattutto a quella teatrale. L’incontrollabile satira di costume procura ad autori ed attori non pochi problemi: la censura modifica vari copioni. Infine Totò è addirittura costretto a fuggire per scampare ad un ordine di cattura emesso nei confronti suoi e di Peppino ed Eduardo De Filippo. Fino al 1939 darà vita a tutta una serie di proprie formazioni di avanspettacolo che, facendo base a Roma, portano nei maggiori cinema-teatri della penisola svariate riviste riscuotendo un grande successo popolare.
Nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi Focas lo adotta in cambio di un vitalizio, trasmettendogli i suoi titoli. Nel maggio nasce a Roma sua figlia, a cui, in ricordo della Castagnola, dà il nome di Liliana. Nel 1935 sposa Diana Bandini Rogliani.
Nel 1937 debutto cinematografico con “Fermo con le mani” ed intanto si separa dalla moglie. Dopo vari successi sia teatrali che cinematografici nel 1944 per alcune battute esplicitamente riferite ai tedeschi che occupavano Roma, dette durante la rivista “Che si son messi in testa” (modificato dalla censura in Che ti sei messo in testa) venne ordinato il suo arresto che Totò riuscì ad evitare nascondendosi a casa di un amico.
Nel 1945 muore suo padre Giuseppe, la sera stessa per rispettare i suoi doveri nei confronti della compagnia, Totò va in scena. Con sentenza del 18 luglio 1945, il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto di fregiarsi dei nomi e dei titoli di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo, Ducas Comnemo Porfirogenito Gagliardio De Curtis di Bisanzio, Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponto, di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e di Durazzo.
Nel 1946, dopo la Liberazione Totò continua, fino al 1949, l’attività teatrale. È sempre più assorbito dal cinema e i suoi film sono spesso ai primi posti in classifica.
È il film “I due orfanelli” a segnare nel 1947 il suo nuovo e più felice incontro con il cinema e ne prefigura la clamorosa fortuna degli anni successivi.
Nel 1948 muore sua madre e il 10 luglio riceve la “Maschera d’argento” per la sua attività artistica. Nel 1949 sempre più assorbito dal cinema, ottiene con “Bada che ti mangio” il suo ultimo significativo successo nel teatro di rivista, a cui ritornerà nel 1956 con “A prescindere”.
Nel 1947, tre anni dopo il marito, muore la madre Anna Clemente de Curtis. Nello stesso anno Totò riceve la Maschera d’argento cui fa seguito nel 1951 il Nastro d’argento per l’interpretazione nel film Guardie e ladri di Steno Monicelli. Scrive anche diverse canzoni, fra cui Malafemmena.
Nel 1950 presenta alla radio “Tutto Totò”, la cui idea sarà ripresa nell’omonimo ciclo televisivo. Conosce Silvana Pampanini, con cui ha un flirt molto reclamizzato. Nel 1951 con “Guardie e Ladri” accanto ad un grande Fabrizi, vince il Nastro d’argento. Scrive numerosi canzoni di cui la più celebre è “Malafemmena”.
Nel 1952 si innamora di Franca Faldini, non si sposeranno mai, a causa della differenza di età, ma vivranno insieme fino alla morte di Totò. Sono anni di intensa attività cinematografica. Dall’unione con la Faldini nasce un bambino che muore dopo poche ore.
Sempre nel 1952 una sua canzone “Con te” partecipa al IV Festival di San Remo cantata da Katina Ranieri e Achille Togliani. Il 12 ottobre 1954 Franca Faldini da alla luce un bambino, Massenzio, che purtroppo muore dopo poche ore.
Nel 1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini A prescindere. Gli impegni della tournée gli impediscono di curare una broncopolmonite virale. Il 3 maggio 1956 mentre è in scena a Palermo, ha un forte abbassamento della vista, fino a che il giorno 6 è costretto a sospendere lo spettacolo. Gli viene diagnosticata una coriotenite emorragica all’occhio destro, il solo col quale vedeva, perché all’altro aveva avuto un distacco di retina operato con esito negativo.
Nel 1958 – Semicieco, riprende l’attività cinematografica adattando la sua recitazione alle nuove condizioni fisiche. Comincia a desiderare di prendere parte a qualche film di qualità e l’occasione si presenta con La Mandragola di Alberto Lattuada (1965). Per quest’ultimo film riceve un altro Nastro d’argento, un riconoscimento speciale al Festival di Cannes e il Globo d’oro dei critici stranieri in Italia. Anche negli anni sessanta interpreta numerosi film con un ritmo di 5-6 all’anno, ma sono film di “routine” tranne alcuni come “Risate di gioia” con Anna Magnani.
Nel 1964 pubblica ‘A livella, una raccolta di poesie scritte nell’ultimo decennio. Nel 1966, come già detto, l’importante incontro con Pasolini che oltre ad Uccellacci ed uccellini, lo vorrà come interprete di due cortometraggi “La terra vista dalla luna” e “Che cosa sono le nuvole”. All’inizio del 1967 interpreta in TV il programma “TuttoTotò”. Il 3 aprile è sul set di “Padre di famiglia” di Nanni Loy, di cui riesce ad interpretare solo la prima scena, poi sarà sostituito da Ugo Tognazzi.
Solo nel 1965 Alberto Lattuada con “La Mandragola” e nel 1966 Pier Paolo Pasolini con “Uccellacci e uccellini” gli offrirono l’occasione per quelle interpretazioni di qualità a cui veniva aspirando negli ultimi anni di vita. Intanto si dedica a numerose opere umanitarie, aiutando ospizi, brefotrofi, associazioni di recupero di ex-carcerati. Per raccogliere cani randagi e sfortunati fa costruire l’”ospizio dei poverelli” un moderno ed attrezzatissimo canile.
1967 – Interpreta per la televisione il programma Tutto Totò che riprende vari sketch della sua attività teatrale. Comincia a lavorare al film Padre di famiglia di Nanni Loy ma il 15 Aprile si spegne per una grave crisi cardiaca. Comincia quindi la costante e inarrestabile riscoperta e rivalutazione da parte di critica e pubblico.
http://www.associazioneakkuaria.it/?p=1283

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