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sábado, 5 de enero de 2013

Le mani sulla città - Francesco Rosi (1963)


TÍTULO ORIGINAL Le mani sulla città
AÑO 1963
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS Español e Inglés (Separados) 
DURACIÓN 105 min. 
DIRECTOR Francesco Rosi
GUIÓN Francesco Rosi, Raffaele La Capria, Enzo Provenzale
MÚSICA Piero Piccioni
FOTOGRAFÍA Gianni Di Venanzo (B&W)
REPARTO Rod Steiger, Salvo Randone, Guido Alberti, Marcello Cannavale, Angelo D'Alessandro
PRODUCTORA Coproducción Italia-Francia
PREMIOS 1963: Venecia: León de Oro - mejor película
GÉNERO Drama | Política 

SINOPSIS Nottola, concejal del ayuntamiento de Nápoles, además de ser miembro de todas las comisiones relacionadas con la construcción es un magnate del negocio inmobiliario. Respaldado por los concejales del centro y la derecha, se dedica a la especulación. (FILMAFFINITY)




'I  personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, e' autentica invece la realtà' sociale ed ambientale che li produce.'

 E' con questa frase sovraimpressa, mentre sotto scorre una veduta aerea dei nuovi quartieri di Napoli, che si chiude Le Mani sulla Citta', il film di Francesco Rosi che fu premiato con il Leone d'oro a Venezia nel 1963.
Altrettanto forti e significative le immagini iniziali del film, quelle in cui l'imprenditore Nottola illustra ad un gruppo di colleghi e politici locali le proprie intenzioni di cambiare il piano regolatore per potere espandere la citta' la' dove sorgono terreni agricoli da acquistare a basso costo. Alti profitti e basso rischio, e' così che un suadente Nottola, probabilmente progenitore di odierni palazzinari, da' avvio al film.
Se non fosse per il bianco e nero ed altri dettagli di costumi si potrebbe pensare che questo film sia stato girato ieri, o dieci anni fa, oppure venti. Poco e' cambiato nel meridione a parte il panorama fisico delle città'.
Le Mani sulla Citta' parla dei compromessi tra potere economico e politico e di come essi abbiano trovato un equilibrio perfetto che e' stato capace di devastare non solo il paesaggio, ma anche l'uomo e la sua cultura. Nella maggior parte dei casi la vita nei centri storici ha dovuto lasciare il posto a grandi periferie la cui costruzione non e' stata accompagnata dalla creazione di servizi pubblici che avrebbero dovuto migliorare la qualità' della vita dei ceti popolari.
Il regista stesso parla di questo film come un film di fatti, la cui efficacia e' frutto di una narrativa semplice e lineare. L'analisi delle vicende che scaturiscono dal crollo di un immobile del centro storico -causato dalla costruzione di nuovi edifici adiacenti ai vecchi- si ricollega a trame di abusi di potere, conflitti di interessi, corruzione, clientelismo, immobilismo ed 'ozio' burocratico.
La Napoli descritta da Rosi nel film, peraltro sua città natale, e' ancora terra di latifondo in cui governanti e governati sono legati da un immutabile rapporto paternalistico. Non solo il sistema politico viene descritto come immobile, ma anche la coscienza del popolo e' lontana dall'evolversi, al contrario di quanto in quegli stessi anni stava avvenendo per la classe operaia del Nord Italia.
Se il boom economico che l'Italia visse al Nord all'inizio degli anni '60 abbia assunto le vesti di speculazione edilizia al Sud, questo e' stato possibile grazie alla "realtà' sociale ed ambientale che ha prodotto i fatti". Un sistema sociale e politico che più' che a sopravvivere e' riuscito a dominare immutato per più di mezzo secolo ed e' tutt'ora lungi dall'essere smantellato.
Cio' che fa orrore e' che nonostante l'esistenza di una visione critica, come quella data da Rosi in Le Mani sulla Citta' già' a partire dai primi anni '60, sia ancora possibile alla speculazione di mascherarsi in sviluppo, ad imprenditori di portare avanti interessi personali in nome del bene della comunità' intera, e che questo metodo forte dei successi e dei meriti ottenuti al meridione si stia oggi affermando sull'intero Paese.
Giulia Pirrone
http://resistenzainternazionale.blogspot.com.ar/2012/11/le-mani-sulla-citta-francesco-rosi-1963.html
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In Occasione dell'annuncio del Leone d'oro alla carriera a Francesco Rosi alla prossima mostra del cinema di Venezia, Parliamo di città propone il film più importante - almeno per l'urbanistica - del maestro napoletano.
Questo è il film dell’urbanistica, spiega in pochissime battute, proprio all’inizio del film, perché non può funzionare ed è ingiusto il meccanismo della rendita fondiaria. La modifica del valore di un suolo dovuta alla “Casualità” di una destinazione urbanistica non è infatti frutto di un lavoro da parte del proprietario del terreno, ne è una caratteristica intrinseca del terreno, come la produttività di un terreno agricolo. Questo cambio di valore è un effetto della città, dello stare insieme e della prossimità, come tale eticamente appartiene alla collettività, ma nella realtà resta appannaggio dei proprietari dei suoli. La proposta di legge Sullo ha tentato di sanare questa contraddizione, ma sappiamo come è andata a finire. Noi di Parliamo di Città abbiamo pubblicato un breve romanzo utopico “I suoli di Izdik” che racconta l’utopia di una nazione che ha applicato coerentemente una legge come quella di Fiorentino Sullo.
Il Film di Rosi spiega le forze che sono state dietro la costruzione della città del boom economico Italiano. Spiega i meccanismi del piano e come aggirare le regole dell’urbanistica. Le mani sulla città è una bella lezione sull’urbanistica e sul modo di governare la città che si è perpetuato almeno fino agli anni ’80.
Per noi di Parliamo di Città è un vero piacere proporre la visione del film messo a disposizione da You tube. Il film racconta lo scempio ambientale causato dalle forze della speculazione nel napoletano, portando così questo tema alla conoscenza di un pubblico ben più ampio rispetto ai soli addetti ai lavori. Le conseguenze del film di Rosi non si fecero attendere e le varie contestazioni degli studenti delle facoltà di architettura volte a far spostare “Le mani dalle città” ne sono una prova tangibile. Per comprendere la forza del messaggio del film di Rosi basta pensare che l’espressione “Mani Pulite” viene da questo film.
Con la speranza che vi sia piaciuto un saluto
Davide Leone
http://parliamodicitta.blogspot.com.ar/2012/05/le-mani-sulla-citta-1963-di-francesco.html
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“Le mani sulla città”, ovvero cos’è il Piano Regolatore 
Chiave interpretativa del film di Francesco Rosi, “Leone d’oro” al festival di Venezia 1963

Il film
L’autentico protagonista del film di Francesco Rosi, Le mani sulla città, non è un personaggio, ma il “Piano Regolatore Generale” (in sigla PRG), ossia uno strumento urbanistico. Un protagonista muto e poco appariscente, ma che struttura l’intera narrazione. Il film, ben oltre la cronaca, le vicende politiche e le ideologie di un’epoca del nostro paese, mostra l’essenza della pianificazione urbanistica così come configurata nel diritto moderno, dunque così come tuttora è.
Detto in breve e con un po’ di forzatura provocatoria: il PRG non è strumento della pianificazione pubblica, ma della speculazione fondiaria privata. Esso, infatti, fissa, a tempo indeterminato, diritti edificatori discendenti da rapporti di potere momentanei (1). Quelli, cioè, che ne determinato l’approvazione quale esito di uno scontro negoziale politico-affaristico. Una negoziazione che non può svolgersi se non al di fuori della trasparenza; come già era chiaro al momento in cui la legge urbanistica istitutiva venne approvata nel 1942 (2). Ciò non implica che questa sia la tesi che Rosi ha inteso esprimere nel suo film; qui se ne dà un’interpretazione al di là di quello che può essere il pensiero dell’autore; ed essa non è l’unica possibile, né esaurisce la ricchezza di significati del film.
L’essenza di questo strumento viene in luce già nel prologo, e poi si precisa e completa nella parte centrale e nell’epilogo del film.
Nella narrazione il PRG ha due co-protagonisti principali: il costruttore Nottola e il capo dell’opposizione in consiglio comunale, De Vita. La storia è ambientata in una grande città in rapida crescita, Napoli, negli anni cinquanta e sessanta del cosiddetto “boom edilizio”. Le parti politiche che si contendo il governo cittadino sono rappresentate secondo lo schema: “destra”, “sinistra” e “centro”. All’inizio del racconto è al governo la Destra, che ha la maggioranza assoluta. Alla fine il Centro guadagna la maggioranza relativa e governa in alleanza con la Destra. La sinistra è sempre all’opposizione e destinata a rimanervi. Quest’ultima è capeggiata dal consigliere De Vita. Il costruttore Nottola ha legami politici e affaristici con la Destra. Ma poi, per poter diventare assessore all’urbanistica, stringerà alleanza col partito di Centro, contribuendo al suo successo elettorale.
Si noti come il co-protagonista De Vita agisca in base a uno scopo ideologico (il bene comune, la legalità, la difesa dei più deboli), pensando che il PRG sia strumento (neutro) e idoneo a tali fini; mentre Nottola agisce in coerenza con lo scopo (al di là del senso comune, altrettanto ideologico) del profitto, ma sapendo quale è l’autentica essenza dello strumento urbanistico e, dunque, come usarlo. Nel finale, infatti, Nottola ribalterà contro De vita gli intenti astrattamente legalitari di quest’ultimo. (Anche qui l’interpretazione è indipendente dal pensiero del regista).

Prologo
La scena che precede i titoli di testa si apre su di un luogo desolato. Non è né campagna, né città. Il terreno ha un aspetto squallido. Non è riconoscibile un paesaggio abitabile. Una compatta e massiccia cortina di palazzi di recente costruzione chiude l’orizzonte. Sono le propaggini di una periferia urbana dall’aspetto incombente, che sembra avanzare in fretta. E quel suolo inquietante e senza volto non può che essere destinato al suo dilagare. Il luogo è animato solo da alcuni individui. E proprio qui il regista inscena un breve dialogo che è la chiave di volta di tutto il film.

Nottola «Lo so che la città sta là e da quella parte sta andando perché il Piano Regolatore così ha stabilito. Ma è proprio per questo che noi da là la dobbiamo fare arrivare qua!»
Voce dagli interlocutori «E ti pare una cosa facile?!»
Altra voce fuori campo «Eh!… Cambiamo il Piano Regolatore!»
Nottola «Non c’è bisogno. La città va in là? E questa è zona agricola! E quanto la puoi pagare oggi… trecento, cinquecento, mille lire a metroquadrato? Ma domani, questa terra, questo stesso metroquadrato, ne può valere sessanta… settantamila… e pure di più! Tutto dipende da voi! Il cinquemila percento di profitto! Eccolo là! Quello è l’oro oggi! E chi te lo dà: il commercio, l’industria, l'avvenire industriale del mezzogiorno?! Sì!… Investi i tuoi soldi in una fabbrica: sindacati, rivendicazioni, scioperi, cassa malattia!… Ti fanno venire l’infarto co’ sti’ cose! E invece, niente affanni e niente preoccupazioni. Tutto guadagno e nessun rischio. Noi dobbiamo fare solo in modo che il Comune porti qua le strade, le fogne, l’acqua, il gas, la luce e il telefono».

Nel film gli urbanisti, ossia gli esperti di pianificazione, non compaiono mai. Solo nel prologo vengono menzionati. Nella seconda scena che si apre immediatamente dopo quella descritta, si assiste a una cerimonia, proprio nel medesimo luogo, né campagna, né città, in cui si è svolto il dialogo di apertura. Il Sindaco, attorniato da molte autorità politiche, locali e nazionali, pronunzia un discorso. Illustra i progetti di espansione urbana, davanti a un enorme plastico della nuova città. È questo il programma elettorale col quale la Destra chiede ai cittadini di essere confermata al governo, e agli autorevoli esponenti del partito di Centro, che ha in mano il governo nazionale, di essere solidale nello sviluppo del mezzogiorno, con adeguati sostegni finanziari, morali e politici.
È in apertura del discorso che il Sindaco dà genericamente conto del fondamento tecnico della scelta urbanistica.

Sindaco «Dove dirigere l’espansione della città? Il problema è stato allungamente dibbattuto. Alla fine una commissione di urbanisti e di esperti, appositamente creata, ha scelto la zona a Nord della città. Dove ora c’è soltanto una squallida estensione di terreno, il Comune porterà strade, acqua, luce e gas…, e tutte le indispensabili opere pubbliche. Ed è per questo che ci siamo battuti per ottenere dal governo fondi speciali…»

Ma si è già visto che il fondamento autentico della scelta – e con esso lo scopo dell’azione – ha tutt’altra origine…

Nucleo centrale della vicenda
I lavori di costruzione di un palazzo di Nottola provocano il crollo di un vecchio edificio adiacente. Vi sono morti e feriti. Divampa la polemica politica a causa degli stretti legami di Nottola con il partito al governo della città. In consiglio comunale l’opposizione chiede e ottiene la nomina di una commissione d’inchiesta. Seguono varie manovre della maggioranza per fare in modo che l’inchiesta non ponga apertamente sotto accusa Nottola. Ma soprattutto perché non coinvolga il partito al governo e gli uffici comunali. Intanto, con il pretesto della sicurezza, il Sindaco ordina lo sgombero delle altre case circostanti la zona del crollo. E ciò è necessario a Nottola per poter proseguire la sostituzione dei vecchi edifici con i suoi nuovi palazzi. Le azioni di sgombero si svolgono con la polizia, tra le proteste degli abitanti.
Sulla scena sono presenti separatamente sia Nottola, sia il rappresentante dell’opposizione in Consiglio comunale, De Vita. Nottola coglie l'occasione per invitare quest’ultimo a visitare la sua opera di costruttore. Gli mostra come i suoi palazzi siano più confortevoli delle vecchie e fatiscenti case in cui vive la stragrande maggioranza della povera gente. Quindi, indicando i vecchi edifici che si vedono dal balcone del suo palazzo in costruzione, si rivolge a De Vita...

Nottola «E allora, voi mi dovete dire perché non è meglio che quella roba si leva da mezzo per fare tanti palazzi come questo qua …Un’altra cosa De Vita. Perché prendete questa posizione contro di me?… Fate per confondere le idee alla gente per la vostra politica?»
De Vita «Voglio solo fargli capire chi siete voi e quelli come voi!»
Nottola «Chi sono io?! Io sono uno che rischia il suo tempo, la sua fatica per fare sparire queste catapecchie fetenti!»
De Vita «Non è vero niente! I fatti sono altri. Voi siete un fuori legge! La legge stabilisce un Piano Regolatore, e voi ve ne infischiate! La legge stabilisce che non bisogna fare danno alla gente, e voi gli togliete le case, gli togliete il lavoro, e non vi importa niente di dove vanno a finire! Perché certo… non vanno a finire in case come queste»
Nottola «Io non sono un benefattore!»
De Vita «E chi lo pretende! Ma voi non vi fermate davanti a niente! Ci sono stati dei morti per il crollo, un bambino ha perso le gambe, e voi niente! E tutto questo solo per riempire di soldi le vostre tasche! Questi sono i vostri sistemi. E contro questi sistemi io combatto. Non contro i palazzi! A me basta che i palazzi siano costruiti dove e come vuole la legge e non dove e come volete voi»

Epilogo
L’inchiesta finisce quasi nel nulla. Si è in campagna elettorale. Il partito di maggioranza chiede a Nottola di non candidarsi per rendere più agevole la vittoria. Si teme che lo scandalo possa aver nuociuto al partito. È preferibile dunque non rischiare di perdere voti, proprio nel comune interesse per i progetti speculativi. Ma Nottola rifiuta. Non si fida di nessuno e vuole essere lui l’assessore all’urbanistica. Vuole cioè avere nelle proprie mani gli strumenti di legge necessari all’impresa di espansione della città sui terreni di proprietà. Dispone di propri voti elettorali e intende usarli direttamente e non delegarli ad altri.
Nottola allora matura la decisione di allearsi col partito di Centro, fino a quel momento non partecipe del governo locale, ma saldamente insediato al governo nazionale. Si propone di favorirne la vittoria (come infatti avverrà) portandogli in dote i suoi voti, a patto di essere nominato assessore.
L'alleanza ellettorale con Nottola solleva in un candidato del partito di Centro un notevole disagio morale...
L’ex partito di maggioranza è costretto a non essere più solo al governo della città. Dopo un tentativo di resistenza deve accettare anche l’assessorato Nottola. Una manovra politica che l’opposizione di sinistra, capeggiata da De Vita, denunzia proprio il giorno dell’insediamento del nuovo consiglio, nel momento in cui si stanno per eleggere gli assessori.

De Vita  «… Denunzio formalmente il consigliere Nottola, che voi vorreste adesso eleggere assessore, come il principale responsabile di un gruppo di affaristi che vogliono orientare tutta l’espansione della città verso terreni e zone di loro proprietà!» Nottola «Io sono un uomo semplice…e non so usare le parole come le usa De Vita… Io bado ai fatti: costruisco palazzi. E De Vita li ha visti. E dice che non ha niente contro, purché siano costruiti dove e come vuole la legge… Ma è qua che si fa la legge! E la facciamo tutti insieme!…Ma questo a De Vita non basta…Comincio a credere che il vostro interesse sia che quella povera gente continui a vivere nelle catapecchie per permettervi la solita propaganda»

NOTE
1. Come suggerisce lucidamente un aforisma di Nietzsche, il diritto è “la volontà di rendere eterno un rapporto di potenza momentaneo” (Frammenti postumi 1882-1884, in Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1976, vol. VII, tomo I, parte prima, p. 261, n. 7 [96]. Un illuminante commento (da dove si è tratta peraltro la citazione) in relazione alla “volontà di potenza”, “nell’epoca in cui l’età moderna si compie dando forma a uno stato storico complessivo della terra”, la dà M. Heidegger in Parmenides, a cura di M. S. Frings, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1982, ed. it. a cura di F. Volpi e traduzione di G. Giurisatti, Parmenide, Adelphi, Milano 1999, p. 113).
2. Vedi F. Ventura, L’istituzione dell’urbanistica. Gli esordi italiani, Libreria Alfani, Firenze, 1999. In particolare si veda il paragrafo 4.8, là dove si riporta un passo del discorso tenuto alla Camera dei Fasci dal deputato Alberto Calza Bini (architetto, urbanista, docente, tra i fondatori dell’INU e tra i principali promotori della legge) al momento in cui veniva discussa e approvata la legge urbanistica 1150/42: “È così che con la nuova legge ogni forma di speculazione e ogni arricchimento, da considerarsi oggi illecito, ai danni della società sarà ancora possibile. I costi delle abitazioni continueranno a crescere: “una stessa area può salire di valore da uno a diciotto, a seconda della destinazione urbanistica […]. E allora si comprenderà come basti ottenere dalla compiacenza del professionista che prepara i piani regolatori, o dell’ufficio tecnico che deve attuarli, un semplice cambiamento di destinazione per vedere moltiplicato per venti il proprio patrimonio! E ciò senza alcun merito di attività produttiva di un bene sociale […]. L’individualismo economico dunque era ed, in tal modo, rimane trionfante””. E dunque il libro si conclude così: “Niente di più esatto poteva essere scritto allora sugli sviluppi futuri delle città italiane e sull’uso dei piani regolatori quando, all’indomani della liberazione, gli interessi immobiliari usciranno rafforzati e nelle migliori condizioni di crescita delle città per operare e attuare la loro legge urbanistica”.
http://www.urba.unifi.it/docprog/Venturaf/movies/Rosi_LeMaCit/Rosi_LeManCitt.html
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Una de especulación urbanística
Hay dos formas de ver esta película.
La primera, la más clara, es un ataque brutal y poco considerado desde una perspectiva claramente de izquierda, donde se nos presenta una conspiración entre políticos de derechas con constructores sin escrúpulos, y donde los partidos de centro andan con buenas intenciones pero nefastas conclusiones. La izquierda es angelical.
Resulta que se cae un muro, matando a dos personas, y comienza una investigación en el ayuntamiento, presentada por el partido de izquierdas, apoyada por el centro, y temida por la derecha (que esta en el poder, a un mes de las elecciones). Poco a poco, se va descubriendo que la constructora que quiere edificar pisos nuevos en una zona reservada para consumo público (escuelas, hospitales y demás), pertenece a la vez al concejal de urbanismo, un personaje odioso, representante de lo más bajo del ser humano, y de un partido de derechas.
Por suerte, lejos de la indigestión ideológica que contiene el filme, se nos presentan unos personajes estereotipados pero a su vez reales. Muy reales. Y aquí da igual que sean de centro, de derechas, de izquierda, de arriba o de su madre. Te los crees.
Y con esto llegamos a la segunda manera de ver la película. Y es que, podemos extrapolar la situación que se nos presenta a un sinfín de casos de corrupción, cambiando los colores políticos a nuestro antojo, y el resultado será el mismo. Y entonces la película gana enteros al perder el maniqueísmo político de Francesco Rosi, un gran director, comprometido, crítico, revisionista (con los suyos y con su entorno), que hasta llegar a encontrar a Tonino Guerra como su guionista ideal, andaba algo perdido.
Tenemos a un alcalde, que tratará por todos los medios de salvarse de la quema por culpa de su concejal de urbanismo. Hay un concejal honrado dispuesto a descubrir toda la verdad. Otro concejal, seguramente el personaje más interesante, que se debate entre sus convicciones morales y la fidelidad a su partido. El representante del partido de centro que hará todo lo posible por conseguir la mayoría, aunque tenga que pactar con el diablo. Y por encima de todo, resalta ese concejal de urbanismo, que no tiene ningún apego a ninguna sigla política, un arribista cuya única patria es el ladrillo y su bandera el dinero, dispuesto a absolutamente todo, por mantenerse y por seguir subiendo. El mismo diablo en persona.
Y toca joderse, uno comprueba hastiado que el cuento corruptivo siempre ha sido el mismo. Y que los que tienen mucho dinero, lo único que quieren es más dinero. Y que quien paga los platos nunca será el constructor, sino el desgraciado de la calle. Y que al final, siempre se sientan en sitio los mismos, por mucho que cambien las caras.
Por último no olvidar que la película es una versión particular de un suceso en Nápoles. Es por esto que perdono en parte el maniqueísmo político del director.
The_End
http://www.filmaffinity.com/es/reviews/1/893152.html


Le mani sulla città: immaginari collettivi e memoria storica

SUL FILM COME STORIA.
Si afferma che un film diventi leggendario quando il suo titolo (citiamo La dolce vita o Amarcord per fare riferimento a Fellini) si trasforma in una locuzione d'uso corrente della quale si perde, a volte il riferimento ai significati o alle fonti originarie.
Le mani sulla città di Francesco Rosi appartiene a questo genere di film, la rappresentazione di fatti di cronaca locale è riuscita ad elevarsi ad immaginario collettivo, a memoria storica.
Premiato con il Leone d'oro al Festival del Cinema di Venezia, nel 1963, dove era in concorso anche 8 e mezzo: la denuncia sociale di Rosi vince sull'introspezione esistenziale di Fellini. Una svolta importante, se si pensa che due anni prima, il terzo film del regista napoletano, Salvatore Giuliano (1961), non era stato neppure selezionato. (1)
Il premio veneziano consacrerà a livello internazionale un nuovo modo di fare cinema: quello del film storico-politico. Distante ma non distinto dai canoni del neorealismo italiano, la cifra stilistica di Rosi sarà quella di superare le limitazioni espressive e scandalistiche tipiche del movie-film e del film-documento o film-storia: "Sento che c'è un avvicinamento non solo tra cinema e storia, ma anche in una direzione culturale più vasta, e cioè tra letteratura e storia. Non nel senso che si debba fare della storiografia col cinema o con la letteratura, ma nel senso che oggi la storia è l'occhio conoscitivo più penetrante, più lucido. Oggi ci si esprime attraverso un realismo critico e quindi per forza storico". (2)
L'imprinting alla sceneggiatura e al fare cinema Rosi l'aveva ricevuto collaborando nel 1950 con Luchino Visconti per La terra trema (3), poi con Luigi Zampa in Processo alla città (1952) ed infine con Michelangelo Antonioni ne I vinti (1953). Certamente da questi maestri deve aver appreso l'impegno sociale nella regia e nella vita.
Forse dal rigore della sceneggiatura e dalla maniacale ricerca filologica di Visconti si è ispirato per definire un proprio stile comunicativo che, fondato su una ricerca accurata dei fatti, giunge ad un'originale ricostruzione/simulazione filmica delle vicende realmente accadute, dove si fondono in modo mirabile la finzione e la realtà storica.
Un modo originale di superare anche le strutture di un neorealismo di maniera: "(...) la mia aspirazione è stata tirar fuori da una realtà la storia stessa del film. Non è applicare ad una realtà la storia. Quello che secondo me è stato un po' la deformazione di un neorealismo di maniera è stato applicare ad una storia prefabbricata la realtà". (4)
Le mani sulla città affronta una trama che tocca molto da vicino il regista: nato a Napoli (1922), benché trasferito a Roma dall'immediato dopoguerra (1946) ne è sempre stato sempre legatissimo, condividendo il suo atteggiamento di passione civile per la propria città con lo scrittore Raffaele La Capria –co-ideatore della sceneggiatura e del soggetto–, nato a Napoli nello stesso anno (5), con il quale ha in comune "l'esilio" romano e gli studi in giurisprudenza. Per entrambi denunciare il sacco urbanistico partenopeo significa confrontarsi sia con la giustizia sociale, sia con un profondo amore per la propria città.
Nel 1961 La Capria aveva vinto il Premio Strega con Ferito a morte (6), una rappresentazione storica di una generazione napoletana che, dopo alterne vicende, si rivelerà pigra al cambiamento e malinconica nella personalità: quella di Napoli è una condizione esistenziale e urbana che "ti ferisce a morte o ti addormenta, o tutte e due le cose insieme". (7)
Da qui il carattere militante del film che si enuncia già dalle prime inquadrature, quelle visioni aeree dei tessuti urbani prodotti/distrutti dalla bieca speculazione edilizia, promossa dalla amministrazione Laurina della città, impietosamente analizzata da lunghi piani sequenza.
Un film tautologico, le stesse identiche immagini compaiono anche alla fine, accompagnate da una significativa didascalia (una sorta di chiave di lettura): "I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, autentica è invece la realtà sociale ed ambientale che li produce".

SULLE INTERPRETAZIONI.
Leonardo Ciacci, nella sua ricerca sul cinema degli urbanisti (8), pone una domanda cruciale relativa all'utilità del cinema per l'urbanistica: immaginario o memoria?, mettendo in particolare risalto come l'esperienza condivisa trasformi i significati: "Ricostruire la storia delle immagini, fino a risalire all'origine della trasformazione, è quanto si deve fare, se si vuole passare da un concetto difficilmente utilizzabile, quale quello di 'immaginario collettivo', utilizzato nel confronto collettivo, a uno utile e utilizzabile quale quello di una memoria collettiva". (9)
La memoria collettiva si forma, a mio avviso, anche attraverso il "vissuto della visione", una sorta di storiografia dei valori interpretativi e dei contesti socio-culturali, che concorrono a dare senso e significato all'atto individuale e sociale del vedere.
Le mani sulla città l'ho visto tre volte, in maniera attenta e partecipata, ogni volta ho ricevuto suggestioni e messaggi diversi. Non era cambiato il film, ma era mutato il contesto storico-sociale così come le mie valutazioni individuali; alcune parti e scene venivano privilegiate su altre ed anche il ruolo dei protagonisti si trasformava: personaggi-metafora da centrali passavano in secondo piano.
In questa mia personale "trilogia della visione", solo a posteriori, mi sono accorto d'aver praticato delle letture metonimiche (la parte per il tutto), chiavi di lettura che fanno riferimento ad un'arbitraria scomposizione (inversa) delle parole che articolano il titolo del film: città, sulla, le mani.
Nel 1969 pensavo che il film fosse un'analisi puntuale della speculazione edilizia (la città); nel 1992 avevo visto oltre il sacco immobiliare i conflitti di interesse tra pubblico e privato (sulla); nel 2004 sono stati i conflitti urbani (le mani), i conflitti di potere, ad attirare maggiormente la mia attenzione.

PRIMA VISIONE, 1969
LA SPECULAZIONE EDILIZIA: UNA LETTURA IDEOLOGICA
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Ho assistito per la prima volta alla proiezione del film a Venezia, in un circolo cinematografico, verso la fine del 1969, dopo lo sciopero nazionale unitario per la casa, indetto dalle confederazioni sindacali CGIL, CISL, UIL (19 novembre 1969). La casa come "servizio sociale" promossa dagli enti pubblici era lo slogan più urlato dai manifestanti: dai baraccati di Roma e Napoli agli immigrati (prevalentemente meridionali) dei grandi poli industriali del Nord. Questa richiesta si contrapponeva alla strategia dell'Associazione Nazionale Costruttori Edili (Ance) che auspicava un edilizia residenziale come "bene d'investimento", prevalentemente d'interesse privato. (10)
Il problema della casa rappresentava una spia eclatante dei più vistosi squilibri settoriali e territoriali che avevano accompagnato il "miracolo economico" del Paese nella seconda metà degli anni '60. Concentrazione e congestione, esodo e sottosviluppo erano gli effetti tangibili di queste trasformazioni dell'assetto territoriale e produttivo.
L'acutizzarsi della "questione meridionale" era alimentato dal ruolo strategico che il settore edilizio assumeva nel determinare il motore dello sviluppo dei centri urbani maggiori del Mezzogiorno. Ero iscritto al terzo anno della Facoltà di Architettura allo IUAV di Venezia e anche in quella città, in particolare nel centro storico lagunare e nel polo industriale di Marghera, le problematiche relative al "diritto alla casa" erano molto sentite dai ceti popolari, anche a prescindere dalle distinzioni politico-partitiche.
Si può ben comprendere, quindi, come le scene del film di Rosi fossero sonoramente commentate e fortemente partecipate dal pubblico di studenti e operai presenti in sala.
La chiave di lettura del film era prevalentemente emotiva ed ideologica. Il giudizio manicheo: da una parte i "buoni" capeggiati dal consigliere comunale comunista De Vita, dall'altra i "cattivi" con a capo il costruttore Nottola. Della storia era sulle parti iniziali che si concentrava maggiormente l'attenzione degli spettatori: la rendita fondiaria assoluta, capace di trasformare un metro quadrato di terreno agricolo in un'area edificabile, con una rendita pari al 5000% del valore iniziale "Tutto guadagno, nessun rischio".
Anche il crollo nel Centro Storico dimostrava la pirateria di una speculazione edilizia senza scrupoli.
A questa strategia urbanistica si opponeva il De Vita: "Voi avete buttato a mare il Piano Regolatore", in un sillogismo che equiparava il PRG ad uno strumento di legalità.
Con il senno di poi, cosa proponevano per il futuro di Napoli i partiti della Sinistra? Sfogliando le collezioni delle edizioni locali dell'Unità e di Paese Sera di quegli anni, pare chiaro che la soluzione-modello era individuata nella Grande Industria, il cui prototipo consisteva nell'insediamento di Bagnoli (11), Un modello di sviluppo certamente legale e partecipato ma insostenibile da un punto di vista ambientale, sociale ed economico: "...allora noi giovani comunisti napoletani non sognavamo affatto una Napoli ambientalmente corretta. Sognavamo una Napoli costellata di fabbriche, cantieri, ciminiere, fumacchi, liquami, fetore e smog". (12)
Recentemente, alcuni articoli apparsi sulla stampa nazionale, hanno acceso una polemica sull'errore di Rosi, accusato di omissioni nel film Le mani sulla città nei confronti dello scempio ambientale prodotto nel territorio napoletano dalla grande industria fin dal dopoguerra. (13)
Se nel film "manca" la denuncia degli aspetti e degli impatti industriali-ambientali che stavano brutalizzando, in particolare, gli insediamenti costieri, è perché mancava allora una coscienza ambientalista da parte della stragrande maggioranza dei rappresentanti politici e culturali della Sinistra italiana. In ogni caso, specie nel Sud, qualsiasi nuovo posto di lavoro aveva la precedenza sui valori ambientali dei siti, a volte unici per le loro valenze ecosistemiche e paesaggistiche.
Nel 1969, la sala dove stavo vedendo il film di Rosi ospitava spesso incontri e dibattiti sul futuro di Porto Marghera, si parlava spesso della nocività di alcuni posti di lavoro, ma non dell'insostenibilità ambientale del Polo industriale. Solo un gruppo di artisti veneziani scriveva sui muri del Petrolchimico: "Mortedison", per denunciare l'insostenibilità ambientale per la salute umana degli operai e della popolazione residente negli insediamenti industriali.

SECONDA VISIONE, 1992
I CONFLITTI DI INTERESSE TRA PUBBLICO E PRIVATO: DA NAPOLI A TANGENTOPOLI.

La seconda volta ho rivisto il film nel 1992, al culmine della stagione dei processi di Tangentopoli che sembravano aver finalmente (e fatalmente) unificato l'Italia del malaffare dal Nord al Sud. La proiezione era stata promossa da un gruppo di nostalgici delle lotte politiche degli anni '60, un gruppo spontaneo, eterogeneo, sia per estrazione sociale, sia per orientamenti politici. Il luogo dove era stata organizzata la proiezione era improvvisato, il film costituiva certamente un pre-testo per parlare non dell'ieri ma dell'oggi.
Qualcuno si era ricordato di Rosi, soprattutto quando sosteneva che "per attirare l'attenzione il Sud deve continuamente esplodere (...) il Sud torna alla ribalta solo in occasione di tragedie che in parte sarebbero evitabili o contenibili. Perciò io con i miei film ho continuato a dire una cosa sola: non esiste la questione meridionale, esiste la questione nazionale. Non ricordiamoci del Sud solo nei momenti straordinari, ma nel "quadro della realtà ordinaria". (14)
Le mani sulla città si erano estese a tutto il territorio nazionale, partendo con le inchieste giudiziarie proprio da Milano, che, allora, veniva definita la "capitale morale" d'Italia.
La chiave interpretativa che aveva egemonizzato il dibattito, dopo la proiezione del film, non privilegiava più la speculazione edilizia, ma l'intreccio di interessi tra pubblico e privato. Il personaggio più analizzato e vituperato era quello dello speculatore Nottola: il personaggio negativo –interpretato con grande maestria da Rod Steiger, capace addirittura di imitare la mimica e la gestualità napoletana– era certamente una figura narrativa alla quale il regista aveva conferito un'importanza strategica nella valutazione della storia napoletana: "Il personaggio negativo (Nottola, ndr.) in Le mani sulla città era l'eroe del film. Lo sforzo consisteva, qui, nel narrare la sua negatività e nell'inquadrarla in un contesto storico, cercando di far capire che in una società organizzata quella stessa carica negativa sarebbe stata positiva. Le mani sulla città dava la vivisezione di un ambiente corrotto, di una giungla. Il film propone un groviglio di storie collettive che suggeriscono, esse stesse, dei personaggi". (15) Nottola è, a suo modo, un manager ante litteram, non un parassita come Maglione, il rappresentante del "vecchio potere" politico.
Il suo studio è stato progettato in base ai trend più aggiornati dell'architettura moderna e rappresenta nel gusto l'antitesi della villa con piscina di Maglione, dove i mobili d'epoca degli interni testimoniano un valore economico privo di valore estetico nella loro disposizione casuale. Come nel film di Rosi i processi di Tangentopoli mettevano in risalto che non erano solo le singole persone ad essere corrotte, ma l'intero sistema partitico-politico italiano, senza distinzioni tra Destra e Sinistra.
Del resto vi era un parallelismo tra l'indagine giudiziaria e il film-inchiesta di Rosi, solo che all'inizio degli anni '90 la realtà sembrava aver superato la finzione cinematografica.
Il film era ritornato in auge, era considerato profetico, non più un film sui mali di Napoli, ma su quelli nazionali.
Nel 1991 Rosi era stato invitato a presentare Le mani sulla città alla Facoltà di Architettura di Napoli, per discuterne con urbanisti e intellettuali, non solo locali. Da quell'occasione nasce l'idea di girare un film-documento: Diario napoletano, prodotto da Rai Tre nel 1992.
Una sorta di diario intimo retrospettivo, prospettivo, introspettivo, senza pietismo ma con un grande sentimento di delusione che nasce dal rivedere lo scempio storico delle colline di Posillipo; il gigantismo (fuori scala e fuori luogo) del Centro Direzionale; gli esiti inquietanti dell'edilizia pubblica come quella del rione 167 di Secondigliano. (16)
Il post-laurismo non aveva, certamente, rappresentato un periodo di discontinuità nel sacco edilizio della città partenopea. Quel sacco edilizio, attraverso l'intreccio perverso di interessi pubblici e privati, di modernizzazione mancata e di falsi sviluppi industriali, con Tangentopoli stava emergendo con tutta la sua valenza dirompente nella società civile e, soprattutto, nelle strutture/ funzioni dei tradizionali partiti politici.
Le persone che a Venezia, in particolare i giovani, assistevano alla proiezione di Le mani sulla città erano affascinate dalla capacità del regista di produrre un film inchiesta senza scadere nella bieca propaganda o nel misero messaggio puramente didattico. Si era stabilito un legame virtuale-virtuoso tra le inchieste di Tangentopoli e la poetica del regista napoletano, dove la responsabilità civile si coniugava con le valenze espressive ed estetiche del film.

TERZA VISIONE, 2004
I CONFLITTI URBANI COME CONFLITTI DI POTERE: DALLA SPECULAZIONE ALLA GOVERNANCE.

Ho rivisto il film per la terza volta nell'estate 2004. Una proiezione casalinga, privata, senza spettatori, utilizzando una videocassetta allegata ad un quotidiano. Questa volta si è trattato di una visione non sollecitata da eventi sociali di carattere nazionale –come per quelle del 1969 e del 1992– ma dalla richiesta di scrivere delle riflessioni critiche da pubblicare in occasione del conferimento della laurea honoris causa in Pianificazione territoriale urbanistica & ambientale per Francesco Rosi proposta dalla Facoltà di Architettura dell'Università di Reggio Calabria.
Il film era rimasto lo stesso, ma erano profondamente cambiate le categorie interpretative per leggerlo e decostruirlo nel suo essere un messaggio polisemico e complesso.
Le mani sulla città, una lezione di urbanistica? Mentre assistevo allo svolgimento della trama me lo domandavo, una lezione di urbanistica? Si, ma con quali significati? Non certamente nel senso di una mera denuncia del sacco edilizio o del malgoverno spesso esistente nella gestione urbanistica e delle opere pubbliche, soprattutto nel Mezzogiorno. Il film non rappresenta il semplice medium/supporto di battaglie culturali sul modello di quelle condotte da Italia Nostra, e in particolare da Antonio Cederna, fin dagli anni '60.
Se durante le lotte per la casa del 1969 la mia attenzione si era concentrata sulla figura dell'eroe De Vita, l'antispeculatore, nel 1992 nel tumulto di Tangentopoli era stato lo speculatore Edoardo Nottola –l'artefice del connubio perverso tra pubblico e privato– ad essere considerato il protagonista principale della vicenda napoletana, nel 2004 è sul personaggio De Angeli che si concentrano maggiormente le mie valutazioni/interpretazioni.
Il film non tratta, né fa una disamina accurata delle tecniche delle speculazioni edilizie.
I discorsi, le panoramiche sulle condizioni abitative delle classi popolari e sottoproletarie del Centro storico e delle periferie napoletane non costituiscono un focus importante nella trama narrativa del film. La speculazione edilizia esiste ma non è il soggetto principale del film. È invece l'occupazione del potere il filo conduttore, il leit motiv del racconto e della "speculazione" filosofica del film di Rosi. Alla luce di questa valutazione la figura di De Angeli assume un ruolo centrale, anche se, come un deus ex machina, viene introdotta solo verso la fine della storia. In quest'ottica De Vita sembra essere ancor di più un personaggio astratto, privo di legami con quella società civile per la quale combatte e vuole riscattare. Il suo limite è battersi per il PRG, per una legalità, un buon governo, senza grandi idealità. De Nottola è senza dubbio un personaggio forte, ma non il protagonista. Una figura che all'uscita del film, nel 1963, servì alla critica (soprattutto di Sinistra) per tacciare di americanismo (sul modello di Elia Kazan, per intenderci) lo stile registico di Rosi.
Il personaggio De Angeli non può essere banalizzato come un simbolo del doroteismo, che risulterà vincente nel partito della Democrazia Cristiana dopo la breve esperienza del primo Centro sinistra. De Angeli costituisce una metafora del rapporto potere-politica dove ogni becera alleanza, i peggiori compromessi, le "convergenze parallele", sono dettate dal "dovere di governare", dal "salvare la libertà", dal "farsene carico". (17)
Il personaggio-simbolo di una politica che subordina i mezzi ai fini, distante dalle rendite parassitarie e paleocapitalistiche del "borbonico" Maglione (rappresentante della Destra) e dalla spregiudicatezza tutta neocapitalistica di Nottola, è De Angeli che, con un cinismo elegante nei modi ma fermo nei propositi, arriva a dire: "un grande partito come il nostro i Nottola li digerisce quando vuole".
La stessa figura del "buon" Balsamo non appare come antagonista alla occupazione del potere per il potere. Il suo buonismo è senza strategia, un misto di onestà, moralismo e populismo, incapace di intessere alleanze alternative. La vittoria finale di De Angeli testimonia la fine dei partiti come portatori di principi, di interessi pubblici ed etici condivisi.
Quindi se il film rappresenta una lezione di urbanistica, questa va interpretata nel senso che il regista napoletano ha ben individuato anche quelli che possono essere considerati i protagonisti dei processi di governance che costituiscono i fondamenti ed i prerequisiti delle fasi partecipative del governo del territorio.
Nel film sono esemplificati i conflitti di interesse (pubblico-privato), i conflitti di valori (città pianificata-città non pianificata), i conflitti di rapporto (l'incapacità di dialogo costruttivo fra De Vita e Balsamo), i conflitti cognitivi (la causa tecnica, la commissione d'inchiesta per appurare le responsabilità del crollo degli edifici "ristrutturati" dallo speculatore Nottola).
Le politiche deboli dei De Vita e dei Balsamo possono essere paragonate a quelle dei mille comitati, assemblee, gruppi di opinione, movimenti di lotta di base, che nascevano per contrastare politiche e piani settoriali di intervento urbanistico, del tutto incapaci, però, di proporre strategie alternative al modello di sviluppo ambientale e territoriale vincente e insostenibile.
De Angeli, rivisto oggi, risulta essere un personaggio profetico, colui che in nome dell'occupazione del potere per i potere sarà in grado di affondare la credibilità ed il ruolo dei partiti nella società civile italiana. Anche la politica "urlata" del consiglio comunale aperto al pubblico nelle parti finali del film e, nello stesso tempo, le mediazioni-contrattazioni che si svolgono al riparo da occhi indiscreti nei "corridoi" delle spartizioni politiche, sembrano anticipare un modo di concepire la vita democratica molto simile alle attuali trasmissioni televisive improntate sull'alterco, più che sulla dialettica argomentativa tra partiti politici.
Il film di Rosi rappresenta una lezione di urbanistica perché per la prima volta nel cinema italiano si sono abbandonati i canoni del film-verità a favore del film-inchiesta, del film-discorso. Sono le argomentazioni soggettive del regista, la ricerca puntuale dell'obiettività della documentazione, il rigore nella ricostruzione della storia (sociale, politica, ambientale, ecc.) ad essere prese come riferimento per non banalizzare i processi di governance, quando si vogliono ridurre gli stessi a strumenti di sola partecipazione popolare alle scelte di pianificazione.
Fa piacere constatare che quello stile oratorio, discorsivo, inventato per la prima volta da Rosi ne Le mani sulla città (all'uscita il film fu tacciato di essere un comizio politico) sia oggi ripreso da altri autori, al fine di raccontare con impegno civile nuove storie urbane o catastrofi ambientali. Quanti sono gli spettatori, e soprattutto i critici, che nel vedere Bowling a Colombine di Michael Moore (18) sanno riconoscere nello stile del documentarista statunitense un'elaborazione aggiornata delle strutture narrative del film di Rosi?
Lo spettacolo teatrale Vajont 9 ottobre '63. Orazione civile di Marco Paolini è stato definito: "Un'opera epica, che è insieme memoria, documento, creazione, denuncia minuziosa (...): un'orazione civile per una tragedia italiana" (19), una piece teatrale "politica" che ha ottenuto un largo consenso di pubblico e dei critica. Perché non ricordare che nel 1963, alla sua prima uscita, il film di Rosi fu accusato di "fare politica" e questa nuova poetica era –secondo la critica– da bandire dalle opere etiche ed estetiche del cinema italiano. Pochi, come ad esempio Sandro Zambetti, intuirono l'originalità del nuovo linguaggio cinematografico: "Un film che "faccia della politica" non ha niente da rimproverarsi perché non fa altro che inserirsi in un dibattito di idee e nessuno ha ancora dimostrato che le idee nuocciano all'arte e inaridiscano l'ispirazione, mentre è facilmente dimostrabile il contrario, citando magari Dante o, senza andar troppo indietro, Berthold Brecht". (20)
Molti film-verità degli anni '60-'70, nati come strumenti di propaganda partitico-politica, visti oggi sono invecchiati male. Il film di Rosi resta di grande attualità perché tratta di quel perverso rapporto che ancor oggi si instaura in Italia tra politica e moralità, tra partiti e strategie senza principi, tra conflitti inerenti interessi pubblici e privati.
Giorgio Conti

NOTE:
1. F. Balzoni, I film di Francesco Rosi, Gremese Editore, Roma, 1986.
2. Cfr. nel sito www.cineclub.it: Francesco Rosi, Appunti di regia.
3. Con Visconti ha collaborato anche per Bellissima e per Senso.
4. Cfr. sito: www.cineclub.it.
5. Hanno collaborato con Rosi alla sceneggiatura R. La Capria, E. Provenzale ed E. Forcella. Il sodalizio con La Capria, proseguirà anche in seguito, per altri film.
6. R. La Capria, Ferito a morte, Bompiani, Milano, 1961.
7. R. La Capria, Napolitan Graffiti, Rizzoli, Milano. Raffaele La Capria intorno al 1945 con un gruppo di "giovani illuminati" che comprendeva Ghirelli, Patroni Griffi, Compagna, Stefanile, Ortese, Scognamiglio, aveva fondato la rivista "Sud".
8. L. Ciacci, Progetti di città sullo schermo. Il cinema degli urbanisti, Marsilio, Venezia, 2001.
9. Ibidem, pag. 146.
10. Cfr. G. Conti, E. Barbiani, Documenti: Governo, Sindacati Regioni, IACP, ISES, Gescal, Ance, Cooperative, Soc. Gen. immobiliare, Unione inquilini, Fondazione Agnelli, ISVET, CIPI, CER, CNEL, INU, Associazione Nazionale Centri Storici, ecc. a confronto sul problema della casa in Italia, Ediz. Regione Veneto, Venezia, 1973.
11. G. Conti, Riprogettare Bagnoli flegrea: immagini locali e visioni globali, in Napoli Fotocittà, Risonanze meccaniche, ART&, Udine, 1997.
12. R. Guarini, Il Pci napoletano degli anni '50 se ne fregava dell'ambiente, in "Sette", 20 novembre 2003, p. 59.
13. M. Demarco, Che cosa c'entra Achille Lauro con lo scempio sotto il Vesuvio di oggi?, in "Sette", 13 novembre 2003, p. 40.
14. T. Kezich, Scusi mi racconta una storia? Si, c'era una volta il Sud, in "La Repubblica", 16 dicembre 1980.
15. F. Balzoni, op. cit., p. 30.
16. M. Luongo, Diario all'ombra del Vesuvio, in "l'Unità", 21 agosto 1992.
17. S. Zambetti, Francesco Rosi, il Castoro Cinema-La Nuova Italia, Firenze, 1976.
18. A. Grasso, A lezione di giornalismo con Moore, in "Corriere della Sera", 13 marzo 2004.
19. M. Paolini, Vajont 9 ottobre '63, Einaudi, Torino, 1999.
20. S. Zambetti, Le mani sulla città, in "Cineforum", anno I

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