TÍTULO ORIGINAL
Una questione d'onore
AÑO
1966
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
110 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Luigi Zampa
GUIÓN
Leonardo Benevenuti, Piero de Bernardi, Luigi Zampa (Historia: Lorenzo Gicca Palli)
MÚSICA
Luis Bacalov
FOTOGRAFÍA
Carlo Di Palma, Luciano Trasatti
REPARTO
Ugo Tognazzi, Nicoletta Machiavelli, Bernard Blier, Franco Fabrizi, Lucien Raimburg, Tecla Scarano, Leopoldo Trieste, Sandro Merli
PRODUCTORA
Co-production Italia-Francia; Mega Film, Orphée Productions
GÉNERO
Comedia. Drama | Años 50
Sinopsis
Ambientada en la Cerdeña de mediados del siglo XX, se centra en los enfrentamientos de dos familias desde tiempos inmemoriables y refleja una sociedad arcaica en la que los crímenes suelen quedar impunes, al prevalecer la ley del silencio (l'omertà). (FILMAFFINITY)
TRAMA UNA QUESTIONE D'ONORE
In un paese della Sardegna le famiglie Sanna e Porcu si stanno man mano reciprocamente sterminando a causa di vecchi screzi. Ma don Leandro Sanna, unico superstite della sua famiglia vivente in paese, per evitare di essere aggredito da Egidio Porcu, induce Efisio, un uomo onesto, ad uccidere questi in cambio d'un suo appoggio per lo scagionamento di un delitto non commesso. Efisio, penetrato in paese in occasione d'una festa, anziché uccidere la vittima designata, passa la notte con la propria moglie. L'uccisione di Egidio Porcu, compiuta da uno sconosciuto, mette Efisio in una posizione equivoca di fronte ai paesani i quali, ignorando la sua presenza in paese all'epoca dell'assassinio, attribuiscono la maternità di Domenicangela ad un intruso e pretendono una vendetta d'onore da parte del marito. Efisio, non potendo rivelare la verità senza contemporaneamente vedersi attribuito l'assassinio di Egidio, tenta invano di castigare la moglie della presunta infedeltà per mezzo di violenti alterchi e di feroci insulti: disprezzato da tutti e persino dalla vecchia madre, nonché dai fratelli della moglie, incapace di rimediare in un qualsiasi modo all'ingiusto disonore, pazzo di dolore, dopo aver gridato agli impassibili compaesani la loro barbarie, colpisce a morte la moglie innocente.
https://www.comingsoon.it/film/una-questione-d-onore/7413/scheda/
Ugo Tognazzi e le polemiche su “Una questione d’onore”
Il film di Luigi Zampa del 1967 considerato gravemente offensivo nei confronti dei sardi -
Contende a “Padre Padrone” il titolo di pellicola che ha suscitato più discussioni all’interno dell’isola
“Una questione d’onore” contende a “Padre Padrone” il titolo di film che ha suscitato più polemiche e più discussioni all’interno dell’isola, ma, diversamente dal film dei fratelli Taviani, al quale si attribuiva un discorsopolitico-culturale se non altro coerente, al film di Zampa si negò qualsiasi alibi culturale, classificandolo “tout court” come un film gravemente offensivo nei confronti dei sardi.
Raccontava la vicenda pirandelliana – la definizione è di Tullio Kezich – di Efisio Mulas, alias Ugo Tognazzi, un povero diavolo, coinvolto suo malgrado in una faida e poi costretto, per difendersi dall’accusa di omicidio, ad ucciderela giovane moglie in attesa di un bambino. Deve scegliere tra la prigione (se il figlio è suo, l’alibi crolla) e l’onore.
Erano altri tempi, diversi anche da quelli in cui apparve “Padre Padrone”, anche se poi i due titoli sono distanziati da appena dieci anni: nel 1967 “Una questione d’onore”, nel 1977, “Padre padrone”. A nessuno oggi verrebbe in mentenon solo di intraprendere una crociata ideologica contro il film, ma di denunciarlo per oscenità, provocando, per qualche mese, il ritiro dalle sale e, ovviamente, contribuendo al suo successo, dopo che i giudici respinsero ogni addebito.
È anche interessante rintracciare un precedente in questa rappresentazione “farsesca” della tradizione criminale sarda. Nel 1952 furono infatti Walter Chiari e Riccardo Billi ad interpretare due emigrati che, da Milano, tornano inSardegna, sperando di entrare in possesso di una ricca eredità. Ma questa eredità è semplicemente il dovere di vendicare un parente ucciso dai rivali.
Il regista Mario Mattoli, direttore di alcune delle più belle farse di Totò, lo girò interamente a Cinecittà: prese in giro la campagna antimalarica appena conclusa e ipotizzò, forse dopo aver visto i primi documentari turistici, non ancoramarini, che il Gennargentu sarebbe stato visitato da allegre e belle turiste del nord Europa. Nei titoli di testa spiegò anche che non intendeva offendere i sardi, ma semplicemente fare una commedia.
Di “Una questione d’onore” si scrisse invece che era stato inizialmente pensato – dal soggettista Enzo Gicca Palli – per la Sicilia, ormai abituata alle “prese in giro” per i numerosi delitti d’onore. Problemi produttivi fecero dirottare laproduzione in Sardegna, al centro dell’attenzione nazionale per l’avvenuta conclusione legislativa della vertenza “Rinascita sarda”, per la recrudescenza dei fatti delittuosi e soprattutto per la notorietà della Costa Smeralda.
Ovviamente, tutti questi richiami promozionali sono utilizzati in senso caricaturale. Già l’esordio, nei titoli di testa, è una sorta di dichiarazione umoristica: numero di abitanti della Sardegna (poco più di novecentomila),numero di pecore (4 milioni), numero di pugili pesi mosca, numero di carabinieri in servizio (4 mila); infine la considerazione che la Sardegna è sempre stata autonoma anche prima di diventare una Regione a statuto speciale,una vera provincia da film western, ma con molte più sparatorie che al cinema. La didascalia viene raddoppiata da un prologo che è un vero metafilm. In una sala cinematografica si sta proiettando un western all’italiana.
All’uscita, in mezzo alla folla, compare un uomo con un fucile: a volto scoperto uccide uno dei presenti. I carabinieri chiedono se qualcuno ha visto qualcosa, ma nessuno si è accorto di niente. A questo punto, l’appuntato dichiara:andiamo dallo sceriffo, poi si corregge, “dal maresciallo”. Più avanti, vi sono altre dirette e riuscite trovate surreali: il personaggio della madre, pagata per fare “s’attitadora” e tentata continuamente dal ridere, anziché piangere,durante le veglie funebri, è un pezzo da antologia.
E soprattutto, la sequenza del prete (appartenente ad una delle famiglie in guerra) che tira fuori dalla tonaca il fucile e spara al nemico, è degna di un Buñuel degli anni messicani: stessa costruzione para realista,stesso sberleffo alla retorica benpensante. Sia la dichiarata vena caricaturale, sia la tesi dello spostamento in Sardegna di una storia siciliana, non impedirono comunque agli autori – i veterani Benvenuti e De Bernardi e il regista Luigi Zampa – di ricercare una credibilità alle ambientazioni ed una suggestione, non solo paesaggistica, ma anche folclorica, derivante magari dall’ampia documentazione filmicain sintonia con la crescente fama turistica dell’isola.
Luoghi riconoscibili sono le campagne (Il ponte sul Cedrino) e il paese di Orosei, non ancora toccato dal “boom” turistico; la grotta del Bue Marino (che serve da rifugio al latitante Mulas), gli stazzi di Aggius e i monti galluresi;Oliena e il Corrasi; ma anche qualche scorcio della Costa Smeralda – altro rifugio, non per il latitante ma per il possidente Bernard Blier, che vuole sottrarsi all’obbligo della vendetta rifugiandosi tra le braccia di una bionda – e,teatro delle grandi sfide a testate tra Tognazzi e i suoi rivali, le saline di Cagliari/Capoterra. Altri scenari importanti furono Dorgali – qui fu girata la scena dell’esorcismo, con le donne che spruzzano il loro latte su Tognazzi,per restituirgli la virilità – e Sedilo, in cui si svolge, durante l’Ardia, la scena chiave del film, divertentissima e crudele. Infine, da Mamoiada, furono “importati” i Mamuthones ed anche Tognazzi si vestì con quel costume,prima di consumare il matrimonio, clandestinamente, con la propria moglie. Infine, una nota che riguarda la lingua e le tradizioni, ennesimo e ovvio “patchwork”:canzoni logudoresi e campidanesi accennate da Tognazzi e una bella esibizione dei “tenores di Orgosolo” che fanno una serenata, ma la dominante linguistica è decisamente campidanese. Ancora non si usavamettere al centro (culturale) della Sardegna “sa limba”: bastavano le parolacce cagliaritane.
La “troupe” fu ospitata tra Cala Gonone e Siniscola, dove sorgevano i primi alberghi. Tognazzi chiese per sé una villa e fecero scalpore i festini che l’attore organizzava con gli amici.
Ancora più scalpore suscitò l’anteprima del film al Cinema Ariston di Cagliari, nel febbraio del 1966, presenti le maggiori autorità regionali e cittadine che, alle prime parolacce e battute “sconce” recitate da Tognazziin “italiano-sardo-porcellino”, abbandonarono la sala, senza neanche attendere l’immagine delle donne di Dorgali a seno nudo che innaffiano l’attore.
Curiosamente, lo scandalo ufficiale, fu anche il principale traino commerciale del film: gli espliciti accenni sessuali, le parolacce e il macchiettismo di Tognazzi, vennero accolte con sonore risate dal pubblicoche affollò, dopo il dissequestro, le sale isolane e nazionali. Tuttora, il film contende a “Padre Padrone” e a “Il figlio di Bakunin”, il titolo di film più remunerativo della storia del cinema “sardo”
Gianni Olla
IL MESSAGGERO SARDO (Ago/Set 2010)
Terra dei mille regionalismi, l’Italia ha spesso radicato in questo fenomeno tutto nostro una parte rilevante della sua produzione artistica. Dalla poesia e narrativa dialettale, al teatro vernacolare (in senso lato, potremmo comprendervi anche la pittura paesaggistica a destinazione strettamente locale), infine al cinema. Nel bene e più spesso nel male, il cinema ha assorbito questa tendenza, contaminandola nella maggior parte dei casi con gli schemi della commedia italiana, e in seguito “all’italiana”. Se da un lato l’interesse etnografico in chiave regionale ha dato meravigliosi frutti sotto il profilo del cinema documentario e para-documentario (basti pensare a Roberto Rossellini), dall’altro l’incontro tra localismo e commedia è stato tra i più felici sotto il profilo del successo di pubblico, ma spesso deludente dal punto di vista estetico. E, soprattutto, si tratta di tutto un cinema tremendamente invecchiato, non tanto perché nel frattempo l’Italia è cambiata (anzi, vista la lentezza evolutiva del nostro Paese, rasente all’immobilità, il problema forse non si pone nemmeno), quanto perché sono cambiati, sia pure nel solco di una solida continuità, i modelli espressivi, i toni della commedia, il piacere della fruizione.
A ben vedere, in epoca di strepitoso successo per Benvenuti al Sud & soci, tutto sembrerebbe rimasto uguale a ieri. Ma i toni sono assai più smussati, e il grottesco attuale passa attraverso un decisivo filtro di familiarità. Non è buona la commedia regionale “senza qualità” di oggi, e talvolta non era buona nemmeno la commedia survoltata di ieri.
Una questione d’onore di Luigi Zampa, riproposto in dvd per CG Home Video, si pone invece su un territorio problematico. Ben recuperato nei suoi colori sgargianti (benché il dvd sia privo di extra), il film appartiene a un autore che ha sempre fatto del didascalismo e della denuncia sociale populista un proprio baluardo. Uno spirito aggressivo facile facile che spesso ha drasticamente indebolito l’efficacia delle sue opere. Difetto assai più evidente nelle prove drammatiche di Zampa, tale faciloneria tende a stemperarsi nelle sue commedie, e non perché il qualunquismo di fondo venga miracolosamente a dissolversi, bensì perché nelle macro-categorie grottesche frequenti nella nostra commedia è già insita una buona dose di astrazione e approssimazione. A qualche personaggio, poi, viene affidato con maggiore o minore evidenza il compito di declamare di volta in volta brani di immediata denuncia sociale, assommando luoghi comuni in battute di dialogo francamente infelici (ruolo che in questo caso è ricoperto dalla figura del maresciallo), ma confinando comunque lo spirito qualunquistico più corrivo solo in questi sporadici cenni.
In tal senso e per varie ragioni, Una questione d’onore si presenta come uno dei film migliori (e più misconosciuti) di Luigi Zampa, innanzitutto per meriti di sceneggiatura. Prendendo di petto le problematiche morali, sociali e civili sollevate dalla Sardegna di allora, che si poneva a un crocevia tra Far West di faide familiari e delitti d’onore, Zampa e i suoi sceneggiatori costruiscono un racconto talvolta macchinoso e fin troppo denso di figure e plot paralleli, sprofondato fino al ginocchio nei luoghi comuni regionali (fin troppo facile l’associazione col grottesco esasperato della Sicilia di Pietro Germi in Divorzio all’italiana), ma anche ben radicato in una ragnatela asfissiante di paradossi. Il protagonista, il “meschineddu” Efisio Mulas, si ritrova infatti imprigionato in una rete di questioni d’onore incrociate che per lo più non lo riguardano neanche personalmente, finendo per vedere impedita qualsiasi possibilità di vita. In questa disperata lotta tra convenzioni sociali e realtà, risuonano echi pirandelliani che sollevano progressivamente il racconto dalla sua contingenza storico-sociale verso una riflessione universale sull’assurdo e le sue aberranti prigioni.
Nel ruolo principale, Ugo Tognazzi risulta tanto improbabile quanto efficace. Se da un lato i suoi tentativi di parlare con un credibile accento sardo sono terribilmente fallimentari, dall’altro stavolta l’attore trova un punto di fusione tra due delle tendenze che più lo contraddistinguono: l’uomo ridicolo e la maschera comica. Nel primo caso, si tratta di un profilo umano a cui Tognazzi ha regalato le sue migliori prove. Uomo debole, arrabbiato ma sostanzialmente impotente per carenza di volontà e vero coraggio, e perciò costante vittima degli altri e degli eventi, l’ “uomo meschino” qui si stempera però nella maschera, riconducendo l’arte di Tognazzi ai suoi esordi, quando sull’attore a tutto tondo prevaleva il comico tout court. Efisio Mulas esordisce nel racconto esibendosi in una gara di testate in pausa lavoro. È la cifra del suo personaggio e di tutta la prova attoriale successiva, fondata per lo più su fisicità, mimica e fisiognomica (i lineamenti di Tognazzi sono ovviamente esasperati dal trucco anche per renderlo più credibile in territorio sardo). Un ritorno alla propria arte sopraffina di performer, per chi non a caso aveva iniziato la carriera in coppia con Raimondo Vianello ed era stato uno dei “Mostri” di Dino Risi. A tutto questo si aggiungono brani “etnografici” ben inseriti nella catena narrativa. In tal senso Zampa sembra voler supplire anche alla scarsa conoscenza del mondo sardo in quegli anni; il cinema stesso se n’era occupato pochissimo, se non in Banditi a Orgosolo (1961) di Vittorio De Seta.
Tuttavia, l’intento principale resta quello della commedia di costume, aggressiva, eccessiva e in tal senso anche consapevolmente “falsificante”. Anzi, Zampa aderisce non solo al genere-commedia e farsa, ma anche a riflessi del coevo spaghetti-western. Come avvertito dai cartelli d’apertura, la Sardegna di allora sorpassava il West con una mano sola. Le prevalenti ambientazioni in esterno, in mezzo a paesaggi brulli e montuosi, i corpo-a-corpo, i fucili e le fucilate, soprattutto il taglio delle inquadrature e le non casuali musiche di Luis Bacalov contribuiscono decisamente a evocare scenari narrativi da western italiano, così come la scelta di un Technicolor smagliante e senza ombre. Altrettanto non casuale è la scelta di un volto dimenticato del nostro cinema per il ruolo della moglie di Efisio: Nicoletta Machiavelli, frequente “falsa indiana” nei western di casa nostra. Unico volto credibile, il suo, tra i protagonisti, dal momento che come in tutte le buone coproduzioni italo-francesi dell’epoca il cast è di primissima scelta, ma stavolta più che mai improbabile per la collocazione regionale del racconto (difficile credere che Bernard Blier, Franco Fabrizi, Leopoldo Trieste e Tecla Scarano possano essere sardi). Probabilmente è per merito della coproduzione che tra gli aiuto-registi troviamo la sorpresa più eclatante: al fianco di Luigi Zampa infatti collaborò incredibilmente un giovane Bertrand Tavernier. Un francese in Sardegna, a scuola nel nostro cinema. Altri tempi.
Massimiliano Schiavoni
https://quinlan.it/2014/02/09/una-questione-donore/
Gracias Amarcord!
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