TÍTULO ORIGINAL
Una storia semplice
AÑO
1991
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
91 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Emidio Greco
GUIÓN
Andrea Barbato, Emidio Greco (Novela: Leonardo Sciascia)
MÚSICA
Luis Bacalov
FOTOGRAFÍA
Tonino Delli Colli
REPARTO
Gian Maria Volonté, Ennio Fantastichini, Ricky Tognazzi, Massimo Dapporto, Massimo Ghini, Paolo Graziosi, Macha Méril, Omero Antonutti
PRODUCTORA
Claudio Bonivento Productions, BBE International
GÉNERO
Drama
1992 – David di Donatello
Candidatura Miglior attore protagonista a Gian Maria Volonté
Candidatura Migliore sonoro a Gianni Zampagni
1992 – Nastro d’argento
Miglior sceneggiatura a Andrea Barbato e Emidio Greco
Candidatura Miglior attore non protagonista a Ennio Fantastichini
1992 – Globo d’oro
Miglior film a Emidio Greco
Miglior sceneggiatura a Andrea Barbato e Emidio Greco
Candidatura Miglior musica a Luis Bacalov
1992 – Grolla d’oro
Miglior attore a Gian Maria Volonté, Massimo Dapporto, Ennio Fantastichini, Ricky Tognazzi e Massimo Ghini
1991 – Mostra del cinema di Venezia
Candidatura Leone d’oro a Emidio Greco
Come già avvenuto per altri suoi romanzi, in primis Il giorno della civetta, Leonardo Sciascia viene per l’ennesima omaggiato dal cinema, con la trasposizione di Una storia semplice, per la regia di Emidio Greco, e con la presenza di un cast di attori italiani di tutto rispetto, a cominciare da Gian Maria Volontè, che nel suo ultimo film italiano interpreta il personaggi del prof. Franzò. E proprio con Franzò si apre il film, sul traghetto che lo riporta in Sicilia, dove tra la foschia mattutina che nasconde le coste siciliane, si rivolge ad uno sconosciuto invitandolo a fargli quella fatidica domanda che tutti quelli che arrivano in Sicilia si pongono: come si fa ad essere siciliani? Come se fosse una sorta di benvenuto, il professore vuole mettere all’erta lo straniero, avvertendole delle stranezze a cui potrà andare incontro una volta messo piede su quest’isola. In realtà lo straniero, venuto in Sicilia per il suo lavoro di rappresentante farmaceutico, non si pone questa domanda, almeno all’arrivo. Più probabile che se la ponga alla ora del ritorno in Italia, quando preferisce andarsene e di corsa senza invischiarsi in affari che non lo riguardano, lui che per poco non veniva accusato di omicidio. La storia forse tanto semplice non è, come vuole far suppore il titolo, e la morte dell’ex diplomatico tornato nel paesino non si può archiviare come un semplice suicidio. Questo è il dubbio che pervade il brigadiere Lepri, che dopo aver ricevuto la telefonata della vittima che lo avvertiva di strani movimenti nella sua masseria, consigliato dal Commissario, decide di recarsi alla villa solo l’indomani, trovando il corpo senza vita dell’ex diplomatico, con un foglietto in cui vi è scritta la frase “Ho trovato.” Nella vicenda suo malgrado si trova coinvolto anche il rappresentante farmaceutico che nel suo giro lavorativo si imbatte con un treno fermo, e visto che lui è a bordo della sua auto, viene invitato a recarsi alla stazione per sollecitare la soluzione del problema, casa che da buon cittadino fa senza batter ciglio. Salvo poi apprendere per radio di essere ricercato per l’uccisione dei 2 capi stazione. Decide allora di recarsi spontaneamente dalla polizia per chiarire la sua posizione, e quando gli viene chiesto di identificare da una foto le due vittime, dice di non averle mai viste. Misteri su misteri in questo paesino della Sicilia, sui quali non si riesce a far luce. Fino a quando il brigadiere Lepri e il Commissario non ritornano nella masseria, dove una mossa errata del Commissario tradisce un suo coinvolgimento nell’assassinio. Un faccia a faccia tra il Brigadiere e il Commissario si risolverà con la morte di quest’ultimo che fallendo nel tentativo di uccidere il collega inscenando un’incidente per un colpo partito dalla sua pistola che stava pulendo, viene di contro centrato dal Brigadiere, che spiegherà l’accaduto e dimostrerà il coinvolgimento del Commissario nell’omicidio alla masseria. Sbrogliata la matassa, ora si che la storia è semplice. Perché renderla complicata? Basta che la verità sia quella più evidente, e non quella provata, per non macchiare il buon nome della Polizia. Intanto al rappresentante, rimasto nel frattempo in commissariato per ulteriori accertamenti, non resta che andarsene. E proprio mentre va via si imbatte nel prete chiamato a dare l’estremo saluto al Commissario. Quel viso non gli è nuovo, ma solo quando è ormai lontano si ricorda del luogo in cui lo aveva visto: in quella stessa stazione dove sono stati rinvenuti 2 cadaveri. E proprio mentre sta per tornare indietro, deciso a rivelare ciò che sa, desiste, pensando che dopo quello che aveva passato è meglio lasciare prima possibile questo posto. Fantastico Volontè quando davanti al Procuratore riferisce per filo e per segno la conversazione telefonica avuta con la vittima la sera prima dell’assassinio. Il Procuratore dal canto suo, come in segno di sfida, gli ricorda che nonostante il Professore gli mettesse sempre 3 in italiano, non ha avuto problemi a diventare un Procuratore della Repubblica. Di contro il professore Volontè gli risponde che l’italiano non è “l’italiano”, ma è ragionare. A volergli rimproverare che allora come adesso vuole risolvere le cose alla siciliana, in modo semplice….senza ragionare.
https://ciaksicilia.wordpress.com/2012/04/29/film-una-storia-semplice/
Tratto dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia, Una storia semplice è il quarto lungometraggio di Emidio Greco, regista e sceneggiatore tarantino, presentato in concorso al Festival di Venezia nell’edizione del 1991. È un film segnato dall’importante presenza dell’attore Gian Maria Volonté che, nei panni del professore Carmelo Franzò, regala la sua ultima grande interpretazione nel panorama cinematografico italiano (l’effettivo addio alle scene avverrà nel 1993 con Il tiranno Banderas, di produzione cubana). Una partecipazione a un lungometraggio dal respiro giovane, motivata soprattutto dall’affezione alla causa di Sciascia maturata nel corso della propria carriera attraverso l’interpretazione di personaggi memorabili; fra tutti, il Presidente in Todo Modo (E. Petri, 1976). Tuttavia, non basta la presenza di Volonté a far eccellere un prodotto filmico quale è Una storia semplice: molteplici sono difatti i fattori che fanno traballare la consistenza del lungometraggio di Emidio Greco, i quali rendono la pellicola assolutamente godibile ma facilmente dimenticabile.
In primis, lo stile registico adottato dal cineasta tarantino manca di quel piglio particolare che in registi suoi contemporanei, come ad esempio Gianni Amelio, sortiscono con maggior forza: Greco non conferisce una vena personale alla regia, bensì si limita a una serie regolare inquadrature dalla marca quasi accademica, senza osare ulteriormente. Parimenti sono le opache interpretazioni degli attori coinvolti nella messinscena, i quali non riescono a plasmare completamente i loro personaggi: anche l’interpretazione di Gian Maria Volonté, nonostante al pari di tutte le sue precedenti prove, pare soffrire di tale cast claudicante e annaspante, il quale soffoca l’indimenticabile attore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto nelle poche sequenze nelle quali egli appare. Particolarmente sofferta appare la prova di Ricky Tognazzi, forse più adatta a una puntata di Distretto di polizia, e neanche Ennio Fantastichini riesce a riproporre un’interpretazione brillante come quella fornita in Porte Aperte di Gianni Amelio, di un anno precedente il film di Greco.
Ciononostante, l’atmosfera della Sicilia narrata da Sciascia sortisce pienamente: il comportamento omertoso dei poliziotti, i limiti della vita nell’isola, la distanza con il continente; esemplare, in tal senso, la scena iniziale in cui il personaggio di Volonté parla con il rappresentante veronese, interpretato da Massimo Ghini, durante il viaggio sul traghetto diretto in Sicilia. È una rielaborazione filmica onesta e diretta, priva di accuse eclatanti, e lontana dunque dalla veemente denuncia dei più celebri film trattanti la questione siciliana. Tuttavia, Emidio Greco confeziona un prodotto godibile e sincero, adornato sia dai paesaggi siculi e dalla colonna sonora composta da Luis Bacalov. Una nota di merito va sicuramente alla sceneggiatura scritta dal regista e da Andrea Barbato. Nonostante questa risulti affetta da mancanze di coordinamento fra gli attori, lo script è invero colma di guizzi geniali che compensano gli errori di armonia fra il cast degli interpreti: fra i momenti di spicco, si sottolinei l’interrogatorio del professore Carmelo Franzò e il finale stesso della pellicola.
https://locchiodelcineasta.com/una-storia-semplice/
Sbarcando dal traghetto che porta in Sicilia, due uomini si dividono e uno (un rappresentante di case farmaceutiche) raggiunge un piccolo paese alla vigilia della festa di San Giuseppe dove si consuma la tradizione del falò. Quella stessa sera il commissariato del paese riceve una telefonata da Luca Roccella di Monterosso, un diplomatico in pensione, per anni vissuto lontano dall’Italia, che invita la Polizia a far visita alla propria villa e masseria poco distante dal centro abitato. L’indomani il brigadiere Lepri fa visita alla villa, e trova il cadavere del diplomatico riverso sulla scrivania con accanto un’arma e un foglio con su scritto: “Ho trovato.” Sopraggiungono per il sopralluogo il questore e il colonnello dei carabinieri e si ipotizza subito un suicidio, “questo è un caso semplice“, sottolinea sbrigativamente il questore.
Le indagini proseguono con gli interrogatori di rito ad un ragazzo che aveva accompagnato Roccella alla villa la sera del delitto e al professor Carmelo Franzò, il quale riferisce di una telefonata ricevuta dal vecchio amico diplomatico la sera precedente, quando gli aveva confidato alcune stranezze avvenute nella villa durante la sua assenza.
Nel mentre, il rappresentante si imbatte in un gruppo di viaggiatori di un treno bloccato da un semaforo rosso che impedisce loro il raggiungimento della successiva stazione di Monterosso. Viene pregato dal capotreno di avvertire del fatto i colleghi della stazione stessa. Passano le ore e il capotreno, spazientito, si decide a raggiungere a piedi la stazione, dove trova il capostazione e un manovale assassinati. Dopo l’accaduto la polizia dirama la descrizione del rappresentante alla guida della Volvo come possibile implicato nei fatti che, sentendo l’avviso per radio, decide di costituirsi in commissariato e dare la propria versione raccontando di aver sì avvertito il capostazione, che si stava adoperando per il guasto. Non riconoscendolo tra le foto sottoposte dal questore, il rappresentante, che era all’oscuro del duplice delitto, viene fermato in via cautelativa.
Proseguono intanto le indagini nella villa di Roccella. Una apparente mossa sbagliata del commissario, che trova con facilità un interruttore nascosto, insospettisce il brigadiere Lepri. Dopo essersi confidato con Franzò sulla sua ipotesi, Lepri riesce a salvarsi da un tentativo del commissario di inscenare un incidente per ucciderlo ed invece a rimanere ucciso è il commissario mentre il procuratore, per non coinvolgere il nome di un alto esponente di polizia nel traffico di droga, insabbia il caso riconoscendo a Lepri l’attenuante per lo stesso incidente che avrebbe voluto inscenare il commissario morto.
Il rappresentante viene così rilasciato dalla Polizia e il parroco del paese lo incrocia con lo sguardo chiedendogli se si conoscono: sulla strada del ritorno, l’uomo della Volvo ricorda di avere visto quel volto proprio alla stazione del passaggio a livello. Deciso a testimoniare per avere riconosciuto il parroco come responsabile di quel duplice delitto, prima fa marcia indietro, ma subito dopo, temendo un nuovo fermo, cambia idea e riprende la strada verso il continente.
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Questa volta Emidio Greco si cimenta in un thriller e lo fa nel migliore dei modi. Un cast interessante, un’ambientazione insolita, una musica semplice ed adeguata. Gian Maria Volontè è strepitoso e dall’alto della sua bravura ridimensiona tutti gli altri. La scena girata all’interno del posto di Polizia, dove espone lentamente al commissario ciò che ha visto e soprattutto sentito, vale da sola la visione del film. I personaggi principali sono tre. Il commissario di Polizia (Ennio Fantastichini) saccente, presuntuoso, antipatico. Il giovane brigadiere con il quale collabora e divide l’ufficio (Ricky Tognazzi), intraprendente e brioso, arguto e con ambizioni da detective. L’anziano professore (Gian Maria Volontè), amico di vecchia data della vittima, preciso e intrigante nell’esposizione dei fatti, un uomo colto dal fascino sfuggente. Comunque anche il Questore (Massimo Dapporto), il colonnello dei Carabinieri (Paolo Graziosi) e il Procuratore (Gianluca Favilla) sono figure importanti per la soluzione dell’intricata vicenda. C’è poi il rappresentante farmaceutico di Verona (Massimo Ghini) alla guida della Volvo bianca, che viene a trovarsi in una situazione a dir poco imbarazzante… E non va dimenticato Omero Antonutti, in una parte davvero ambigua. Il film è impreziosito dalla presenza di Macha Meril, nei panni di una donna bella, cinica e affascinante. La storia inizia con il presunto suicidio di Luca Roccella, un anziano benestante del paese, amico del professor Franzò (Gian Maria Volontè), che torna nella villa di famiglia, disabitata da anni, per cercare un plico di vecchie lettere custodite in una cassapanca, lettere importanti risalenti all’epoca di Pirandello. Ma non si tratta di suicidio, è un brutale omicidio come sospetta subito il brigadiere nello svolgere le indagini, suscitando così la curiosità del Questore. Invece il commissario è infastidito da questa idea dell’omicidio. Lui vorrebbe, insieme al Procuratore, credere in una “storia semplice”, Roccella si è suicidato e che la cosa finisca lì. Forse il professor Franzò ha già intuito tutto, ma aspetta che gli eventi proseguano, aiutando comunque il brigadiere a vederci più chiaro e a risovere brillantemente il caso. Alla fine però, per volere del Procuratore, la versione dei fatti data alla stampa sarà “di comodo”, per calmare le acque e prendere tempo. Questore e colonnello dei Carabinieri non sono molto d’accordo ma acconsentono al volere del Procuratore, funzionario cinico e molto influente. Tutto il film è costruito con metodo e pazienza, i ritmi sono lenti e la fotografia splendida. Alcune inquadrature, come il treno fermo in aperta campagna e i passeggeri a terra, spazientiti, sono notevoli, un valore aggiunto in questa opera. Anche i dialoghi, secchi e determinati, contribuiscono con la musica alla strana e… inquietante atmosfera della storia, girata in una Sicilia invernale e fredda. D’altronde l’improvvisazione e la mancanza di dettagli non hanno mai fatto parte del mondo di Emidio Greco. Questo bel film, quasi sconosciuto, è un’ulteriore prova del suo talento, un film che sorprende per il “dinamismo lento” con cui coinvolge e affascina lo spettatore. –di “Joss” –
https://www.mymovies.it/pubblico/articolo/?id=660826
Gracias Amarcord!
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