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lunes, 19 de julio de 2021

Alfredo, Alfredo - Pietro Germi (1972)

TÍTULO ORIGINAL
Alfredo, Alfredo
AÑO
1972
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español e Inglés (Separados)
DURACIÓN
107 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Pietro Germi
GUIÓN
Pietro Germi, Piero de Bernardi, Tullio Pinelli, Leonardo Benevenuti
MÚSICA
Carlo Rustichelli
FOTOGRAFÍA
Aiace Parolin
REPARTO
Dustin Hoffman, Stefania Sandrelli, Carla Gravina, Clara Colosimo, Daniele Patella, Danika La Loggia, Saro Urzi, Luigi Baghetti, Duilio Del Prete
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia; Francoriz Production, R.P.A. Cinematografica, Rizzoli Film
GÉNERO
Comedia. Romance

Sinopsis
Alfredo, un tímido joven italiano, suspira por la excitante y coqueta Maria Rosa. Inesperadamente, ella toma la iniciativa y decide casarse con él. Pero la pasión inicial desaparece rápidamente, y el desencanto y el odio se apoderan de ambos, de modo que deciden divorciarse; pero entonces comienza un largo peregrinar por los juzgados que da lugar a cómicas situaciones. (FILMAFFINITY)

Premios
1973: Globos de oro: Nominada a mejor película extranjera
1972: Premios David di Donatello: Mejor película (ex-aequo)

2 
3 

Trama:
Alfredo Sbisà, timido impiegato di banca, è innamorato di una graziosa farmacista, Mariarosa. Grazie all'intraprendenza di un amico, riesce a fidanzarsi e poi a sposarsi con la ragazza. Mariarosa, si rivela molto possessiva, tanto che Alfredo perde l'amico, il padre, la disponibilità di sé e costretto anche ad un "tour de force" sessuale poiché Mariarosa vuole un figlio. Quando la moglie resta incinta, Alfredo viene spedito a dormire in cantina riottenendo la sua libertà. Durante una delle sue peregrinazioni notturne incontra Carolina, ragazza simpatica disposta ad amarlo senza vincoli e i due diventano amanti, ed è da lei che si rifugia quando, rivelatasi la gravidanza di Mariarosa frutto d'isteria, gli si prospetta l'idea di ripiombare nell'inferno di prima. Divenuto sostenitore della causa divorzista, quando questa trionfa, scioglie anche legalmente il suo matrimonio. E' di nuovo libero ma si fa avanti Carolina, ora incautamente sollecitata a sposarlo: Alfredo si trova di nuovo impigliato nei lacci matrimoniali.


Critica:
Alfredo Alfredo è un'altra ricognizione nel mondo piccolo-borghese in cui il regista aveva mostrato di sapersi muovere con la sicurezza che gli derivava da una lunga esperienza di vita. Il protagonista è il tipico giovane appartenente ad una famiglia del ceto impiegatizio, destinato anch'egli ad una grigia routine, nonostante una laurea in architettura, raggiunta con ben altre ambizioni, vanificate poi al contatto con la realtà. Del piccolo-borghese Alfredo riassume il proverbiale tipo: impegno a restare scapolo fino al classico colpo di fulmine e nel frattempo a spassarsela, lasciando che il caso governi la sua vita e l'esito di avventure sentimentali intraprese spesso senza convinzione ("meglio che sia andata a finire così" è la frase con cui suggella ogni volta un legame che era sul punto di tramutarsi in matrimonio). La sua apparente sicurezza e l'inconfessato cinismo sono tuttavia l'altra faccia di quella vulnerabilità su cui fa leva l'astuzia femminile, come quella della moglie da cui, all'inizio del film, lo vediamo divorziare. L'avventura di Alfredo nasce nella maniera più normale: la casuale conoscenza di Mariarosa, commessa di farmacia, i pedinamenti per le strade della città, i timidi approcci. Sarà però Oreste, l'amico più vicino, a fargliela conoscere davvero. Oreste è l'esatto contrario di Alfredo: tanto è introverso e un tantino timido questo, quanto quello è estroverso e decisamente votato al successo con le donne. Una volta stabiliti i contatti, ha inizio l'attacco frontale di Mariarosa che non avrà soste se non col divorzio: questa è infatti della razza delle "api regine", la cui forza onnivora Marco Ferreri aveva sottolineato in uno dei suoi film migliori. Germi, sia pure in chiave diversa, ne offre una variazione. L'iniziativa della relazione che sfocia poi nel matrimonio viene praticamente presa dalla donna che ne assume le redini procedendo ad un'opera di accerchiamento che l'infatuazione di Alfredo non può valutare in tutta la sua latente pericolosità, di cui sono indizio alcuni episodi ora comici ora un po' meno: si pensi a quella singolare caccia al tesoro cui Mariarosa sottopone il povero Alfredo durante una sua assenza, consistente in una sapiente serie di ricerche di messaggi nascosti nei luoghi più impensati, conclusa nel momento in cui l'autrice della beffa sta scendendo dal treno che la riconduce nella sua città, di fronte agli occhi sbalorditi di Alfredo, che ha così terminato la sua assurda maratona; o si pensi ancora al litigio durante una visita della ragazza al futuro suocero, causata dalla debole convinzione con cui il protagonista le dichiara il suo amore e concluso col tentativo di suicidio di Mariarosa. Piccole ma minacciose avvisaglie di un legame avviato sui binari del rituale prematrimoniale. Mariarosa vive nell'eccesso, sincero e simulato che sia: i rapporti sessuali sono accompagnati da urla disumane, il suo amore per Alfredo non tollera "mezzadrie" di sorta, perfino con l'amico Oreste. E, come un'ape regina, non è contenta se non quando resta incinta: le iniziale difficoltà sono curate da un ginecologo, che impartisce ai due sposi alcune raccomandazioni sulle ore più favorevoli per la fecondazione. Naturalmente il povero Alfredo è sottoposto a prestazioni eccezionali che, mettendolo un po' fuori gioco, lo costringono ad un periodo di riposo in campagna; ma al ritorno la lieta notizia lo ripaga delle fatiche sostenute: ora, al contrario, dovrà stare lontano dalla moglie per permetterle una tranquilla gravidanza. Questa astinenza forse non del tutto sgradita concede al giovane una libertà insperata: piccole fughe serali con gli amici lo riconciliano con la vita e col mondo. Ma il cerchio sta per chiudersi: durante una delle sortite e grazie ancora una volta ad Oreste, Alfredo conosce Carolina, una ragazza esuberante e sincera, materna senza essere oppressiva. Esattamente ciò che potrebbe ripagarlo delle delusioni, se l'analogia dei modi di approccio con le due donne - sarcasticamente sottolineate da Germi - non inducessero a pensare che in fondo egli è destinato a ricadere negli stessi errori.
Carolina lo accoglie in casa, gli lascia libertà e non pretende molto in cambio. Un nuovo orizzonte si schiude per il protagonista che, sollecitato dal suo caso personale, diventa il fautore di un movimento a favore del divorzio: chiederà così la mano di Carolina, che con armi più sapienti ha saputo intrappolarlo. A questo punto la conclusione del lungo flash-back in cui si risolve per intero il film introduce ad un breve epilogo che rimette tutto in questione: uscendo dallo studio del giudice, Alfredo individua la nuova vittima di Mariarosa nell'amico Oreste. Non c'è scampo per l'uomo, anche il più astuto, vittima predestinata dell'opprimente matriarcato, si esprima questo nella rozza prepotenza di Mariarosa o nella tollerante indulgenza di Carolina. Quando Alfredo sta per pronunziare il suo secondo "sì" ha un improvviso sussulto; avverte oscuramente di inoltrarsi in un campo minato, si accorge di star ripetendo l'errore di sempre e si chiede se il passo compiuto non sia un'altra sconfitta. Ma è troppo tardi: il desiderio di fuggire è presto soffocato ed egli resta inchiodato dinanzi all'altare con un gesto esattamente opposto a quello che Dustin Hoffman aveva compiuto qualche anno prima in un film sintomatico come Il laureato (The graduate, 1969) di Mike Nichols. Il divorzio, senza ulteriori specificazioni questa volta, sancisce il destino dell'uomo, che si ripete monotonamente e senza uno spiraglio. Il rientro nell'alveo familiare, che Germi aveva celebrato come uno dei capisaldi della sua morale, si traduce ora in una resa senza condizioni, in una capitolazione. Non v'è alcuna garanzia che il nuovo matrimonio di Alfredo sia destinato a migliore esito.
Vito Attolini, Il cinema di Pietro Germi, Elle Edizioni, 1986
https://www.comune.re.it/cinema/catfilm.nsf/PES_PerTitoloRB/9A2CC75DA931ACB3C1257B680040B603?opendocument


Pietro Germi: il regista nemico del neorealismo

Pietro Germi nasce a Genova il 14 settembre 1914. Fin da giovane si interessa di recitazione e trova il modo di frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma. Presso la prestigiosa scuola segue anche i corsi di Alessandro Blasetti, finendo per appassionarsi alla regia e per diventare aiuto-regista del suo professore.
Il suo esordio dietro la macchina da presa risale al 1945 con “Il testimone”, una delle prime pellicole prodotte dopo la catastrofe della guerra dal rinato sistema italiano. Nonostante la riconosciuta maestria tecnica, Germi rimane una voce isolata, anche perché è poco coinvolto dal dominante movimento neorealista. Nei suoi film preferisce di gran lunga ispirarsi al suo maestro Blasetti e al cinema classico hollywoodiano.

Un'ispirazione hollywoodiana e la collaborazione con Fellini

Fra i lavori di maggior successo in questo periodo troviamo “In nome della legge” (1949), dove lo scontro fra mafiosi e poliziotti in Sicilia ricorda il genere western e “Il cammino della speranza” (1950), che nell’epica della migrazione dei siciliani verso nord riecheggia più Ford che il neorealismo. Per quest’ultimo ottiene l’Orso d’Argento al Festival di Berlino. “Il brigante di Tacca del Lupo” (1952), tratto da un romanzo di Riccardo Bacchelli, interpretato dal divo Amedeo Nazzari e sceneggiato tra l’altro da Fellini e Pinelli, è un altro grande successo di pubblico. Il film affronta per la prima volta le tematiche dell’Unità d’Italia e della lotta al brigantaggio in Lucania con occhio critico, senza nascondere la brutalità dell’occupazione piemontese e alludendo apertamente alle vicende appena trascorse della Seconda Guerra Mondiale.
Il suo rifiuto dei principi del neorealismo e la sua interpretazione storica, che spesso evitava l’analisi sociale per concentrarsi maggiormente sui contrasti psicologici fra i personaggi, lo portano a scontrarsi con la critica cinematografica, specialmente con quella di sinistra. “Il ferroviere” (1956), storia di un macchinista alcolizzato e “L’uomo di paglia” (1958), tragedia amorosa di un operaio romano, vengono duramente attaccati, particolarmente dal critico marxista Guido Aristarco che lo accusava di conservatorismo e populismo. Altri intellettuali di sinistra come Trombadori o Spriano presero le difese di Germi, sottolineando l’approvazione del pubblico che avevano i suoi lavori, particolarmente fra le classi meno abbienti.

Pietro Germi: commedie ciniche e riconoscimenti

Nel 1959, la riduzione del celebre romanzo di Gadda “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” con il titolo di “Un maledetto imbroglio” gli fa ottenere le pubbliche lodi di Pier Paolo Pasolini, oltre che quelle dell’autore del romanzo.
Gli anni Sessanta sono il momento di massima creatività per Germi che, anche grazie al mutato clima sociale, può girare lo splendido “Divorzio all’italiana” (1961) con Marcello Mastroianni e Stefania Sandrelli. Il film, che racconta le peripezie del barone Cefalù per liberarsi dalla brutta moglie uccidendola, è un successo al botteghino, costituisce un esempio classico di “Commedia all’italiana” e frutta un Oscar per la Sceneggiatura, due Golden Globe e un premio al Festival di Cannes.
Ancora oggi “Divorzio all’italiana” e il successivo “Sedotta e abbandonata” (1963) sono amatissimi e vengono spesso riproposti in televisione. La trilogia che descrive la società italiana degli anni Sessanta, ancora a metà fra bigottismo, ipocrisia e ansia di modernità, viene completata nel 1965 da “Signore e signori”, ambientato questa volta nella provincia veneta, descritta in maniera altrettanto cinica e spietata oltre che divertente.

Un'idea unica e geniale di Cinema

"Commedia all'italiana" vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes, coronando in un certo senso la controversa carriera del regista, ancora spesso accusato di essere commerciale o semplicemente corrivo ai gusti del pubblico.

Negli anni successivi, nonostante la salute declinante, Germi riesce ancora a conquistare trionfi al box-office con “Serafino” (1968) con Adriano Celentano e Ottavia Piccolo. Successivamente, dopo il flop di “Le castagne sono buone” (1970), curiosa parabola antimoderna con Gianni Morandi, gira l’interessante ma imperfetto “Alfredo Alfredo” (1972) con un giovanissimo Dustin Hoffman nella parte di un marito vessato dalla moglie.

Subito dopo comincia a lavorare al progetto di “Amici miei”, ma deve abbandonare perché la sua malattia è ormai in uno stadio troppo avanzato. Muore a Roma il 5 dicembre 1974. “Amici miei” girato nel 1975 da Monicelli si apre con una dedica al regista scomparso.
Fabio Benincasa
https://www.ecodelcinema.com/pietro-germi-biografia-filmografia.htm



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