TÍTULO ORIGINAL
Il grido della terra
AÑO
1949
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Separados)
DURACIÓN
80 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Duilio Coletti
GUIÓN
Maria R. Berardi, Alessandro Fersen, Lewis F. Gittler, Carlo Levi, Giorgio Prosperi. Historia: Tullio Pinelli
MÚSICA
Alessandro Cicognini
FOTOGRAFÍA
Domenico Scala (B&W)
REPARTO
Marina Berti, Andrea Checchi, Vivi Gioi, Carlo Ninchi, Filippo Scelzo, Luigi Tosi, Peter Trent, Elena Zareschi, Alessandro Fersen, Nerio Bernardi, Renato Bossi, Cesare Polacco, Nicola Di Gianvito
PRODUCTORA
Lux Film
GÉNERO
Drama
La guerra alle spalle
Un gruppo di ebrei reduci dai lager nazisti partono da un campo profughi della Puglia per raggiungere clandestinamente la Palestina. Qui si ritrovano costretti ad affrontare la guerriglia contro gli occupanti inglesi.
Il grido della terra è un prodotto interessante sia per l’argomento trattato sia per il posto che occupa all’interno della storia del cinema italiano. Una pellicola, in effetti, esclusa dal canone del cinema italiano anche, forse, per l’annus mirabilis in cui è stata prodotta. In quel periodo, infatti, escono almeno quattro film-titani: Ladri di biciclette, La terra trema, Germania anno zero, Anni difficili. Il grido della terra si adoperamediacritica_il_grido_della_terra_290 in un curioso aggiornamento di alcune coordinate tematiche del panorama neorealista, tenendone salde le principali peculiarità stilistiche. La retorica dell’autenticità è, difatti, presente: il film è girato nei medesimi campi profughi (a Bari e Trani) in cui il film è ambientato, inoltre, l’argomento trattato è quasi contemporaneo alla produzione dell’opera. Il cast interamente costituito da professionisti, e lo stile recitativo piuttosto solenne, appartengono, al contrario, a una prassi piuttosto tradizionalista. La vicenda, sebbene lineare e coerente, è composta da personaggi poco caratterizzati, che non subiscono particolari evoluzioni. Il tenente Birkmore, ad esempio, pare non mettere in questione il proprio ruolo di “poliziotto” nemmeno in nome dell’amicizia con Ariè e David. Al medesimo tempo, il passato dei protagonisti e di alcuni altri personaggi è solo abbozzato. Non si tratta qui, tuttavia, di un tentativo rosselliniano di liberarsi dai vincoli della diegesi, ma piuttosto di rimandare per inferenza a un passato prossimo che è risaputo. Analogamente, la povertà di eventi rappresentati, è anche un pretesto per rendere note le tradizioni e i riti di un popolo che poco prima era disprezzato dalla cultura ufficiale. Il rapporto con il passato è, in effetti, anche un dialogo con il cinema neorealista coevo, in cui si vedono i soldati inglesi combattere a fianco dei partigiani contro un nemico comune (pensiamo a Paisà). Un’interlocuzione, questa, che è evidente nel flash-back in cui si racconta del passato da commilitoni di Ariè, David e il tenente Birkmore dopo i rastrellamenti nel ghetto di Roma. Il film, in questo senso, parla di tradimenti, e di un popolo che – sebbene in maniera controversa e talvolta deprecabile – cerca di riassestarsi e di ritrovare una propria identità.
https://www.mediacritica.it/2017/07/15/il-grido-della-terra-1949/
Un chirurgo ebreo di nome Taumen e Dina, la sua futura nuora, reduci dai campi di sterminio nazisti, vengono trasferiti in un campo profughi in Puglia. Insieme ad altri ebrei sopravvissuti raggiungono la Palestina, sotto la guida di Ariè, membro dell’Haganà. In Palestina i movimenti per l’indipendenza dello Stato Ebraico combattono contro gli inglesi. Il figlio di Taumen, David, che prima della guerra era fidanzato con Dina ed ora vive con Judith, è uno tra i più attivi combattenti. David viene informato dell’arrivo del padre, che non sperava più di rivedere, e va a trovarlo nella colonia agricola che ospita i profughi. Qui incontra anche Dina e Ariè. Tra i due ex compagni scoppia una lite, a causa della divergenza sui “metodi” che devono essere utilizzati per espugnare gli inglesi. Nel frattempo la colonia agricola viene assediata e David catturato. L'Irgun per vendicarsi della cattura di David, prende come ostaggio l’ufficiale George Bilkmoe. L’amara ironia vuole che David, Ariè e George una volta compagni di guerra contro i nazisti oggi si ritrovano nemici. La morte arriva ma i sopravissuti continueranno il progetto sionista.
Il film è stato girato nel 1949 quasi in contemporanea con i fatti storici. La censura non lo ha digerito facilmente reputandolo "offensivo nei confronti di un paese amico". Al regista Duilio Coletti, che diventerà poi uno specialista nel cinema di guerra, piaceva l'idea di fare un film anti-britannico e molto filo-ebraico. Alle origini del film sta, probabilmente, la collaborazione tra Coletti e Carlo Levi (questa è la sua unica sceneggiatura accreditata), che il regista tenta di convincere a portare sullo schermo “Cristo si è fermato a Eboli”. A “Il Grido della terra” collaborano inoltre Alessandro Fersen (cosceneggiatore e interprete del ruolo del rabbino), e lo scenografo Emanuele Luzzati che avevano esordito insieme nel 1947 al Teatro di Genova con uno spettacolo riecheggianto il folklore ebraico, “Lea Lebowitz”. Non accreditato, ma coinvolto nella realizzazione del film, è infine Leo Levi, cui si devono le ricerche musicologiche per i canti frequentemente utilizzati nella costruzione drammaturgia di “Il Grido della terra”.
http://www.pitiglianikolnoafestival.it/it/archivio_film.php?idEd=3&id=49
Il lavoro, segnato da un moderato sionismo, è in fondo una prima e isolata collaborazione italoebraica (tra gli sceneggiatori ci sono Carlo Levi e Alessandro Fersen, i costumi sono di Emanuele Luzzati mentre produttore esecutivo è Domenico Forges Davanzati); quando esce nelle sale però risulta ampiamente sorpassato dagli eventi (rinuncia dell’Inghilterra al proprio mandato in Palestina e contemporanea proclamazione dello stato d’Israele da parte di Ben Gurion nel maggio 1948, conseguente espulsione di migliaia di palestinesi e scoppio della prima guerra arabo-israeliana) e passa quasi inosservato. La sua funzione originaria era probabilmente quella di sensibilizzare l’opinione pubblica italiana riguardo ai diritti della minoranza ebraica in Palestina e al suo diritto ad avere un proprio stato autonomo. Tutto ciò non ha più senso nei primi mesi del 1949. D’altro canto il film, che merita perfino una recensione benevola dell’autorevole New York Times (agosto 1949) in occasione della uscita del film doppiato in inglese negli USA, mostra un punto di vista realmente inquietante (che i decenni a venire non faranno che confermare, tra sofferenze e sangue) poiché nel racconto non compare un solo personaggio arabo-palestinese. La questione viene trattata come se si fosse di fronte a un’insurrezione popolare israeliana nei confronti del coloni inglesi, mentre la maggioranza araba della popolazione storicamente residente in quel paese da secoli (gli ebrei vi emigrano a ondate a partire dall’inizio del Novecento; nel 1936 sono circa 400000, nel 1946 sono diventati 600000 ossia circa un terzo della popolazione palestinese) viene annullata, resa inesistente e pressoché invisibile. Al contrario l’intera narrazione del gesto terroristico prende le sembianze di una eroica lotta clandestina simile a quella della Resistenza italiana mentre la collocazione della bomba presso un edificio militare ricorda sinistramente lo sconsiderato gesto di via Rasella (Roma, 23 marzo 1944).
Il lavoro lascia dunque esterrefatti per il pressappochismo di personaggi e vicende, la goffaggine generale con cui una realtà quasi ignota viene evocata ispirandosi a eventi della storia italiana nonché la falsificazione storica evidente della reale situazione in Palestina. Come primo esempio di cinema italiano di indagine storica e di impegno civile a favore della libertà e dei diritti dei popoli, l’operazione appare piuttosto scadente, sortendo solo un compitino di rozza propaganda.
Non mancano infine elementi involontariamente comici: ex attori esemplari del cinema fascista come Andrea Checchi e Carlo Ninchi si trovano nuovamente a combattere in mare contro navi inglesi; e così l’intransigenza e l’avidità coloniale britannica, denunciate per anni dal regime mussoliniano, tornano sugli schermi italiani, ora descritte e combattute però in nome di ideali sionisti.
La Lux Film torinese, casa di produzione “illuminata” e antifascista nei primi anni quaranta (come si è spesso notato), sostiene senza sorprese la causa israeliana: di fatto la cultura ebraica costituisce la punta avanzata di quel modernismo laico-massonico entro i cui confini agisce con coerenza la cinematografia capitanata da Gualino e Gatti e perfettamente inserita nell’universo ideale prevalente da decenni nella metropoli dei Savoia e degli Agnelli.
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http://www.giusepperausa.it/_il_grido_della_terra__il_lupo.html
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