TÍTULO ORIGINAL
La rimpatriata
AÑO
1963
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español (Opcionales)
DURACIÓN
110 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Damiano Damiani
GUIÓN
Damiano Damiani, Ugo Liberatore, Vittoriano Petrilli, Enrico Ribulsi
MÚSICA
Roberto Nicolosi
FOTOGRAFÍA
Alessandro D'Eva (B&W)
REPARTO
Walter Chiari, Leticia Roman, Francisco Rabal, Riccardo Garrone, Dominique Boschero, Mino Guerrini, Paul Guers, Gastone Moschin, Jacqueline Pierreux
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Francia; 22 Dicembre, Galatea Film, Societa Editoriale Cinematografica Italiana
GÉNERO
Drama. Comedia | Amistad
Premios
1963: Festival de Berlín: Premio Internacional de la Crítica FIPRESCI (Mención de honor)
Probabilmente quel che ha più nuociuto a "La rimpatriata",film particolare nell'opera di Damiano Damiani,perchè è probabilmente quello in cui ha convogliato le sue massime aspirazioni,e voluto dare una cifra in odor d'autore alla pellicola,è l'averlo presentato come una commedia,mentre invece,salvo qualche spunto brillante,il dramma ribolle per tutta la narrazione,per emergere nel finale,inevitabile resa dei conti col proprio essere dei protagonisti.Cinque amici di vecchia data,giunti sui trentacinque anni,si ritrovano per una serata in nome dei vecchi tempi,ma se uno ha una buona carriera come chirurgo,un altro traffica nell'edilizia,uno svolge affari e si è spostato capitando a Milano ogni tanto,ed uno vive ancora alle spalle del padre ricco,senza aver l'aria di essere uno che lavora,il centro del gruppo è Cesare,quello che rimediava sempre le donne,faceva scherzi continuamente e piaceva a tutti:recuperato anche lui,che gestisce un cinema per conto dello zio,i cinque passano una notte brava tra squinzie,battute e rancori che erano a portata di mano,fino ad un'alba crudele,che mostrerà loro quanta distanza ci sia ormai tra ognuno.Il film è condotto bene,ed è notevole come Damiani sappia rendere l'atmosfera di un ritrovo tra amici che ad un certo punto ritrovano il gusto di una bella risata tutti assieme:ideale seguito de "I vitelloni",con ambientazione lombarda anzichè romagnola,evidenzia via via con proprietà psicologica i caratteri ed i contrasti tra i personaggi,facendo risaltare il sognatore dotato di fascino,ma che spreca la propria esistenza continuando a fare il giovanotto senza prospettiva di diventare uomo.Spiccano un Francisco Rabal che tratteggia l'introversione del proprio uomo d'affari,e un Walter Chiari che,molto probabilmente ha messo tanto di sè nel dritto che la vita ha menato più di tutti.Un bel film,che meriterebbe di essere conosciuto meglio e di più.
http://cinecriticorte2.blogspot.com/2012/04/la-rimpatriata-i1963-di-damiano-damiani.html
Alberto, un avvocato appena arrivato a Milano da Roma, vede all'esterno di un palazzo in costruzione Sandrino, un vecchio amico perso di vista da tempo e ora imprenditore. Finge di non riconoscerlo, ma quando l'altro lo vede da lontano e lo raggiunge si fa convincere a cercare gli altri amici del gruppo per passare una serata insieme. Nell'unità di spazio di una Milano in pieno boom e nel lasso di tempo di una nottata, dalla cena fino all'alba, Damiano Damiani firma un film amaro in cui la superficie del successo professionale si interseca con le disillusioni private. La sera a cena il gruppo è formato da quattro amici: ai due iniziali si sono aggiunti Nino, un chirurgo di successo con moglie della Milano bene, e Livio, un figlio di papà non accasato e sedicente dongiovanni. Dopo la cena raggiungono Cesarino nel piccolo cinema che gestisce grazie allo zio. Da quel momento riemerge tra loro quel mondo di sogni, ricordi, parole e speranze che insieme avevano abitato e dal quale il tempo trascorso li aveva fatti allontanare.
Cesarino era tra loro il più generoso e scanzonato, quello che procurava le donne e li faceva divertire. Di lui ricordano le frasi ("Dobbiamo assolutamente vederci e parlarne"), le ragazze amate e poi condivise, le arti di seduttore che rispolvera subito, telefonando a un numero a caso e riuscendo a convincere la ragazza con cui ha parlato a passare la serata con lui. Inizia così una serie di scorribande per la città, insieme a tre ragazze conosciute per caso, e Cesarino non risparmia né nasconde nulla di sé: non la moglie che gli ha dato un figlio, non l'amante con una figlia da mantenere e un uomo che le ha chiesto di sposarlo, non il fatto che le due donne vivano in pieno accordo unite dall'amore per Cesarino. Nell'osteria di Pino, che raggiungono più tardi, Cesarino riesce a sedare un inizio di rissa con la tenerezza e il candore di parole semplici, ma lentamente iniziano ad emergere le vere identità dei compagni di una notte: il chirurgo ben introdotto tra i poteri forti della città, il costruttore che ha bisogno di una falsa testimonianza in tribunale, il playboy che non riesce a conquistare la ragazza che Cesarino gli ha gettato tra le braccia... Nemmeno Alberto, che all'inizio della serata ha sedotto una studentessa, riesce a nascondere la propria amarezza per un matrimonio ingrigito dal tempo. Ognuno nasconde dietro a sofismi di facciata il proprio essere, ora accarezzando un ruolo che non gli appartiene più, ora rincorrendo l'immagine di adulto di successo. Quando a notte fonda Cesarino apprende che Lara, una donna da lui amata tanto tempo prima, è caduta in disgrazia, chiede agli amici di andarla a trovare. E questi ancora un volta lo seguono sperando di divertirsi, di ritrovare la gioia perduta, di sentirsi ancora una volta come se tutto fosse ancora possibile.
Così, in un'alba livida di freddo e periferia, la realtà viene sbattuta in faccia a tutti. Lara si prostituisce con i camionisti di passaggio e rifiuta di offrirsi allo sguardo curioso degli uomini che l'hanno raggiunta. Ma non è un morboso senso di rivalsa sul passato quello che spinge Cesarino ad abbracciarla e a rincorrere il camion dove è stata caricata. Piuttosto una pietà intrisa di compassione, la consapevolezza che la vita può dare e togliere e che non spetta agli uomini giudicare chi non ce l'ha fatta. Quando i tre camionisti, infastiditi da Cesarino, iniziano a picchiarlo, gli amici appena raggiunti si bloccano per assistere alla scena.
Come per tutta la vita, anche al termine della loro notte l'hanno mandato avanti, raccogliendo le sue briciole quando potevano e scansando le sue batoste quando avrebbero potuto aiutarlo.
Certo, lo hanno a lungo sostenuto economicamente e lui di ciò continua ad essere loro grato. Ma il denaro era l'unico mezzo che li unisse a lui, mentre per lui il legame era fatto di affetto sincero e complicità totale. Quando lo raccolgono, l'impermeabile strappato e il viso sanguinante, Carla, la studentessa rimasta con loro, è l'unica a capire cosa è successo, ora e tanti anni prima.
Cesarino si allontana dagli amici per la prima volta mentendo loro, sapendo che stavolta non li rivedrà più,
Un Walter Chiari in stato di grazia regala al protagonista uno spessore umano al di là della caricatura, per restituire un'anima serena che vive d'amore: per le proprie donne, per gli amici, per la vita stessa, che continua ad affrontre senza curarsi delle conseguenze di ogni sua scelta. Film che fotogrfa implacabilmente l'universo maschile, con una fotografia capace di restituire un'epoca e dinamiche di gruppo tuttora attualissime. La scena in cui Cesarino, dal telefono del suo cinema, chiama una vecchia fiamma e questa, dopo averlo ascoltato, riaggancia tra le lacrime e le domande ottuse di un marito precocemente invecchiato, riassume in pochi secondi il dolore per che la vita avrebbe potuto diventare quando un domani era ancora possibile.
rambaldomelandri
https://www.mymovies.it/pubblico/articolo/?id=733005
Amici ormai quarantenni sparsi per il mondo ed ognuno dentro la propria vita perche’ i giorni passano, i doveri incombono, l’infelicita’ e non il tempo inesorabile sottrae spazio a cio’ che resta da vivere.
Anni ’60 di noi italiani, c’e’ chi e’ arrivato e chi no, qualcuno e’ ingegnere, qualcun’altro avvocato, c’e’ persino un chirurgo ma un fallito resta un fallito, un uomo felice comunque e’ un uomo felice, nel dubbio gia’ a quel tempo irrisolto se nella vita conti la tranquillita’ o la felicita’.
Donne come collante di tutto, infine l’ultimo senso possibile eppure c’e’ chi le ha conosciute talmente bene da andare oltre e giungere al senso profondo della famiglia passando per i figli, distillando i sentimenti, raccogliendo le miserie dell’egoismo per farne accogliente nido e sereno anfratto nel quale rifugiarsi.
Lo capiranno gli amici? Lo capiranno gli estranei?
Forse e’ tutto talmente semplice che passare per falliti puo’ essere una soluzione, sempre che avere un’anima possa essere pregio e non debolezza.
Film formidabile, amaro, amarissimo, capovolto nel giudicare sconfitte e vittorie, difficile da indossare, combattuti come si e’ nell’inversione dei valori. Opera che anticipa di decenni l’esistenzialismo da post-rivoluzionari coi macchinoni, i mal di pancia dell’essere arrivato ed aver fatto i soldi, la sadica soddisfazione di essere peggiori dei propri padri.
Damiani surclassa con venti e ripeto venti anni d’anticipo "Il grande freddo" una delle peggio boiate del cinema statunitense che dalla sua ha il solo pregio di evidenziare l’entita’ del fallimento umano e morale di chi si e’ illuso di essere la meglio gioventu’ invece della "canticchiante e danzante merda del mondo".
Walter Chiari nella sua piu’ alta prova d’attore, un ruolo a lui consono certo ma e’ difficile pensare a qualcuno che potesse meglio incarnare l’uomo che ha trovato una strada per sentire la vita a modo proprio e quando gli amici arriveranno all’inevitabile momento in cui dovranno affrontare cio’ che sono diventati, egli solo ribaltera’ i canoni della sconfitta trovando nell’illusione dell’eterna giovinezza la sola salvezza dall’ipocrisia, quindi la vera morte dell’anima.
Per il resto sono schiaffi per tutti, dai gaudenti mai cresciuti agli arricchiti per meriti familiari, agli intellettuali contro la guerra ma favorevoli ad infrattarsi nei bagni dei cinema coi ragazzini ai padri di famiglia che oltre i venti anni sono troppo vecchie.
Film attuale non per merito proprio ma per invariato fariseismo italico, dialoghi dello stesso Damiani a tratti da incorniciare, anche qui un bel ceffone alla cricca dell’intellighenzia "amica" perche’ a quanto pare un film cosi’ non l’hanno saputo fare e forse per questo lo tacciono.
Unica pecca e’ "La rosa bianca" sigla del film, palla mostruosa cantata dal piu’ disperante dei nostri cantautori, Tenco a parte che in quanto a lagne e’ sempre fuori gara, il Sergio Endrigo che ha depresso un’intera generazione tanto che alla prima fesseria con un po’ di verve come "L’arca di Noe’ ", volevano farlo santo subito.
Sdrammatizzo ma e’ un film che fa male, sul quale non basta distogliere lo sguardo o tappare le orecchie e ci si ritrova riflessi nella generazionale consapevolezza che nulla cambia, nulla si distrugge e in fondo comprenderlo e’ il primo passa per una nuova vita, forse più triste ma certo piu’ vera.
Con una critica piu’ sana oggi sarebbe argomento di libri e retrospettive e non si perderebbe tempo con i falliti d’oltreoceano ma visto che cosi’ non e’ il film va visto e rivisto, rispettato come una gemma preziosa e conservato nel piu’ alto degli scaffali, li’ dove dimora il meglio.
https://ultimavisione.wordpress.com/2012/03/19/la-rimpatriata-damiano-damiani/
A Milano, quattro amici prossimi alla quarantina si ritrovano dopo diversi anni. Il donnaiolo Cesarino (Walter Chiari), l’avvocato Alberto (Francisco Rabal), l’imprenditore Sandrino (Riccardo Garrone), il medico Livio (Paul Guers) e l’annoiato benestante Nino (Mino Guerrini) trascorrono una serata in compagnia, facendo un bilancio delle proprie vite e affrontando le rispettive miserie e sconfitte professionali e personali.
Pellicola esemplare di un approccio personale alla commedia all’italiana, che combina la critica di costume a un’atmosfera drammatica permeante e sempre percepibile ma mitigata solo in superficie da un tono più triviale. In questo modo il quadro sociale che emerge è impietoso, un ritratto spietato della borghesia italiana figlia del boom economico, volgare e rozza, grottesca e cialtrona, sospesa tra le proprie ambizioni di grandezza e i limiti di una mediocrità che pare ineludibile. Esplicito e sgradevole, disilluso e caustico, un prodotto tragico che suscita un sorriso amaro e al contempo divertente pur essendo per certi versi spaventoso: i personaggi descritti da Damiani sono veri e propri mostri immaturi e gretti, falliti che hanno sprecato tutte le occasioni che la vita ha dato loro. Grande prova di tutto il cast con una menzione particolare a Walter Chiari alle prese con un personaggio vagamente autobiografico. Sceneggiatura firmata dal regista e da Ugo Liberatore. All’epoca dell’uscita in sala il film fu un sonoro fiasco commerciale e per molti anni è rimasto pressoché invisibile, probabilmente a causa del suo pessimismo e della sua durezza refrattaria a qualsiasi compromesso.
Potevate dirglielo in tutte le lingue al povero Damiano Damiani [Pasiano, Udine, in seguito Pordenone, 23 luglio 1922 – Roma, 7 marzo 2013] che il suo era un film con intuizioni geniali, anticipatore di un futuro amaro, doloroso e anche tragico, che stava lì dietro l’angolo. Per lui La Rimpatriata era “soltanto un film sull’amicizia… che poi fosse una metafora di qualcosa d’altro non lo so. Lo dite voi. Scegliemmo quella canzone stupenda, La Rosa Bianca, che apriva e chiudeva il film proprio perché parlava d’amicizia“. Damiani dixit. E guai a parlargli di capolavoro. Sorrideva e si scherniva. Io glielo dissi che era un capolavoro. Lui mi gratificò con una dedica scritta: “Hai parlato troppo bene di me. Non so se me lo merito“. La Rimpatriata è sì un film sull’amicizia, quella amata voluta calpestata tradita. Forse mai esistita. Ma è anche altro. Obbligatorio riguardarlo. Ai tempi passò inosservato. Lo vidi in un pomeriggio, fine 1963. In sala eravamo in sei. Io e cinque riserve del Bologna finite lì dopo l’allenamento. Che uscirono prima della fine. L’incipit è illuminante, con buona pace di Damiani, che, sornione, sapeva bene cosa ci avrebbe voluto dire. Una lenta panoramica ci mostra scheletri di grattacieli e palazzoni in costruzione. Siamo nel 1962: è l’immagine del boom economico. Ed è così per tutti i primi cinque minuti, quando vediamo Alberto (Francisco Rabal) camminare per una strada della periferia milanese avvolta dalla nebbia (stupendamente fotografata in b/n da Sandro D’Eva) prima di incontrare il vecchio amico Sandrino (Riccardo Garrone). Che sia inquadrato in campo lungo, in piano americano o in primo piano, la m.d.p. non tralascia il dettaglio dello sfondo con quei mostri di cemento non ancora terminati, quasi a suggerirci: attenzione, ficcatevele bene in testa queste immagini, non sono girate a caso. La spiegazione arriva alla fine ed è una delle ultime folgoranti frasi del film ” costruiscono, costruiscono, ma il miracolo economico è finito, ce ne accorgeremo“. E no, caro Damiano, hai bluffato. Questo non è solo un film sull’amicizia. Chi avrebbe messo in bocca ad un personaggio di un film datato 1962 quelle parole? Un profeta illuminato. Il tema dell’amicizia corre parallelo a quello della critica sociale, della visione disincantata di un mondo apparentemente sereno che sta degradandosi, impoverendosi, che sta per morire come quell’amicizia forse mai nata. Tutta illusione la felicità. Il soggetto, se non letto cum grano salis, può apparire banale. Alcuni amici prossimi ai quaranta che s’incontrano e decidono di passare una notte ripercorrendo la loro vita e cercando di divertirsi. Kasdan e Verdone, tanto per fare solo due dei cento nomi possibili, dall’argomento hanno tratto opere importanti. Più di vent’anni dopo, però. Alberto, un avvocato, incontra casualmente (ma forse non tanto) il vecchio amico Sandrino, un piccolo imprenditore con problemi economici. Decidono di passare una notte allegra insieme ad altri due compagni dei bei tempi andati, Livio, un affermato medico in crisi con la moglie e Nino, uno squattrinato figlio di papà, poco attraente ma convinto di essere un irresistibile tombeur de femmes. La serata va avanti stanca. Mancano le donne. E chi può procurarle se non Cesarino. L’anello mancante. Cesarino il puro, il romantico, l’idealista. Cesarino che ha una moglie e un’amante (o viceversa), che ha figli suoi e non suoi, che ama le donne, tutte, di identico amore. E quelle sue donne sono anche amiche (la famiglia allargata, altra tematica non certo frequentata dal cinema italiano dei tempi). Lo vanno a cercare. Cesarino gestisce un piccolo cinema di periferia. Dopo un attimo di sincera sorpresa decide di unirsi ai quattro e si dà da fare per rintracciare donne, anche inventandosi numeri di telefono. Ne abbordano tre: una ragazzina con un debole per gli uomini maturi, una biondona svampita e una scombinata mora bisognosa d’affetto (e non solo). Ora la notte sembra prendere la piega giusta. I presupposti ci sono tutti. Non sarà così. Antiche incomprensioni, rancori non sopiti ben presto affiorano. Una ad una le ragazze se ne vanno. Rimasti soli i cinque hanno la bella di idea di andare a cercare Lara, una vecchia fiamma di tutti ora ridotta a prostituirsi con camionisti di passaggio lungo uno stradone che porta a Lodi. La poveretta li rifiuta. L’incorreggibile Cesarino le dichiara il suo amore, non l’ha mai dimenticata, le vuole ancora bene. Alcuni stizziti camionisti lo prendono a botte, quasi lo massacrano. Gli amici non intervengono. E’ l’alba. Cesarino, barcollando se ne va. E’ fin troppo evidente che non si vedranno mai più. Significativo che come nel “Sorpasso” di Dino Risi a soccombere sia l’idealista, mentre il cinico o i cinici in qualche modo continueranno la loro esistenza, fra furberie e compromessi. Sarà l’Italia del futuro.
Attori in stato di grazia. Sopra a tutti un grandissimo Walter Chiari, qui forse nella sua più intensa e convinta interpretazione. Il suo Cesarino non si dimentica facilmente. Eccellenti tutti gi altri, con menzione speciale per Jacqueline Pierreux, una donna atrocemente sconfitta dalla vita. Da segnalare il neo regista Mino Guerrini, qui nel suo unico ruolo attoriale da co-protagonista. Straordinari i tre minuti concessi ad un immenso Gastone Moschin. Che dire d’altro? Chapeau, maestro Damiani.
http://www.controappuntoblog.org/2017/05/02/la-rimpatriata-regia-di-damiano-damiani-1963/
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