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viernes, 3 de septiembre de 2021

Cosa avete fatto a Solange? - Massimo Dallamano (1972)

TÍTULO ORIGINAL
Cosa avete fatto a Solange?
AÑO
1972
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español, Inglés y Portugués (Separados)
DURACIÓN
103 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Massimo Dallamano
GUIÓN
Massimo Dallamano, Bruno Di Geronimo
MÚSICA
Ennio Morricone
FOTOGRAFÍA
Joe D'Amato
REPARTO
Fabio Testi, Cristina Galbó, Karin Baal, Joachim Fuchsberger, Günther Stoll, Claudia Butenuth, Camille Keaton, Maria Monti
PRODUCTORA
Coproducción Italia-Alemania; Italian International Film, Clodio Cinematografica, Rialto Film
GÉNERO
Terror. Thriller. Intriga | Giallo

Sinopsis
Henry es un joven profesor de italiano en una escuela inglesa para mujeres. A pesar de estar casado, flirtea con una de sus alumnas. En uno de sus paseos, a orillas del Támesis, la chica ve algo extraño entre la vegetación. El profesor no le cree, pero poco después halla el cadáver de Hilda, una compañera de clase de su alumna. El comisario Barth se encarga del caso y pronto comienza a sospechar del profesor, quien se ve en el dilema de decir lo que sabe a costa de revelar su amorío con la joven. (FILMAFFINITY)
 
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Cosa avete fatto a Solange? La maladolescenza morbosa e la vendetta di un assassino

«Quelle ragazze sanno tutto, ci giurerei. Hanno sedici anni e un giro di fidanzati segreti. Gelosie morbose, orge, lesbicate. Scusami, ma è la verità. Non mi sorprenderebbe se scoprissero che si drogano». L’ambientazione è britannica, ma il moralismo italiano.

Il fatto è che nei primi anni ’70 la Summer of love e la swingin’ London sono passate da un po’ trascinandosi appresso il loro carico di sogni.

Non a caso, questa frase è pronunciata da un italiano: Enrico Rosseni (un bravo Fabio Testi), docente di ginnastica e lingua italiana nella St’ Mary, una prestigiosa scuola cattolica femminile.

Ambientazione londinese, produzione italiana e cast internazionale, Cosa avete fatto a Solange? (1972) è il quinto film di Massimo Dallamano, un bravo cineasta che esordì nel 1945 in un modo a dir poco particolare: fu lui l’operatore che riprese a piazza Loreto i corpi di Mussolini, di Claretta Petacci e dei gerarchi di Salò.

L’Inghilterra del 1972 ricicla le ansie e i sogni di liberazione del decennio precedente in una dimensione grigia e ludica, l’ideale per lo sguardo conservatore, cinico e disincantato di un osservatore italiano. L’ideale, soprattutto, per imbastire una storia morbosa – scritta da Bruno Di Girolamo e dallo stesso Dallamano e tratta liberamente da The Clue of the New Pin di Edgar Wallace – che si inserisce nel filone del giallo all’italiana, pur senza gli eccessi di Dario Argento, Lucio Fulci e Sergio Martino.

L’aitante professor Rosseni si è ficcato in un brutto guaio: sposato con una sua collega, la professoressa di matematica Herta (la bella interprete germanica Karin Baal), ha una tresca con Elisabeth Seccles (la spagnola Cristina Galbò, passata dai b movie all’interpretazione del flamenco) ed è sospettato dall’ispettore Barth (il tedesco Joachim Fuchsberger) dell’assassinio di Ilda Erikson, una sua allieva. Solo l’uccisione di Janet Bryant (la spagnola Pilar Castel) rimescola le carte e apre uno scenario inquietante: negli ambienti della scuola c’è un serial killer, che massacra le ragazze con morbosa efferatezza. Le immobilizza e poi le uccide con una pugnalata nel ventre. L’unica eccezione è Elisabeth, annegata nella vasca da bagno.
 
Proprio il delitto di Elisabeth fornisce un altro dettaglio: l’assassino agisce travestito da prete. Ma la vicenda si complica quando entra in scena Solange Beauregard, la figlia illegittima del professor Bascombe (il tedesco Gunther Stoll), affetta da una regressione psichica dovuta a un trauma che l’ha riportata all’infanzia.

Solange, eterea e inquietante, merita una nota a parte: è interpretata dall’attrice e modella americana Camille Keaton, in questo film al suo esordio assoluto. La Keaton avrebbe proseguito la sua carriera, culminata nel celebre e famigerato Non violentate Jennifer (1978), interpretando ruoli particolari ed estremi.

Le ragazze uccise hanno un’altra cosa in comune: tra i loro effetti custodiscono uno spillo dalla capocchia verde, segno di appartenenza a una specie di società segreta. Tuttavia, l’assassino non si limita a colpire solo loro: tra le vittime c’è anche Ruth Holden (interpretata da Emilia Wolkowicz), un’anziana contadina con doti da mammana che ha lavorato come colf per la famiglia di Brenda Pilchard (la tedesca Claudia Butenuth, che avrebbe continuato la sua lunghissima carriera in tv, dove figura tra le interpreti dell’Ispettore Derrik), un’altra ragazza coinvolta nella vicenda.

Ci fermiamo qui, per non guastare la visione di un giallo che, a 45 anni di distanza, sa ancora regalare qualche brivido e coinvolgere lo spettatore grazie a un buon ritmo narrativo.

Più elegante e meno truce dei suoi colleghi impegnati nel giallo all’Italiana, Dallamano dirige con una mano felice una storia morbosa, che ha una morale particolare: la perdita dell’innocenza, ribadita dai numerosi nudi adolescenziali. Oggi il particolare sembra risibile, ma all’epoca faceva comunque un certo effetto allo spettatore medio scoprire che le vittime sacrificali di un rito macabro, dietro il quale c’è una motivazione che non assolve ma comunque giustifica l’assassino agli occhi del pubblico più conservatore, siano delle lolite (o peggio, delle puttanelle).
 
Suona perciò quasi beffarda la frase di Philip, un personaggio secondario ma essenziale nell’economia del film: «Hai mai letto il rapporto Kinsey, amico?». Il riferimento all’inchiesta sociologica americana sulla sessualità, che tanto fece discutere i benpensanti degli anni del boom, scopre definitivamente le carte. La fanciullezza, ribadisce Dallamano, non è più un tabù. Ed ecco che Londra diventa grigia, grazie alla fotografia di Aristide Massaccesi (più noto con lo pseudonimo di Joe d’Amato, ma questa è un’altra storia) e fa concorrenza a Birmingham, dove certe illusioni non c’erano mai state e le pulsioni e il disagio giovanile venivano espresse dal nascente heavy metal. L’unico riferimento a quella generazione dorata è improprio e resta nella colonna sonora di Morricone, dove di swingin’ ci sono solo le partiture jazzate

Saverio Paletta
https://www.indygesto.com/indymovies/264-cosa-avete-fatto-a-solange-la-maladolescenza-morbosa-e-la-vendetta-di-un-assassino

Un giallo de cierta rareza e importante en la evolución del género -o  de los género pues es difícil desligar su éxito del inminente aluvión de títulos sobre jovencitas corrompidas en turbias intrigas de demagógicos poliziotteschi; el mismo Dallamano incidiría en el momentáneo filón con La polizia chiede aiuto (1972) y extendería los peores instintos menoreros a terrenos del floreciente “S” post-Emmanuelle con La fine dell’innocenza (1976) – y una película hasta cierto punto apreciable, lograda incluso pese a numerosas arbitrariedades y a un moralismo ambiguo e incómodo, retorcidamente aleccionador cuando no directamente retrógrado y morboso hasta lo enfermizo. Notable director de fotografía (responsable de las dos primeras partes de “La trilogía del dólar”, ahí es nada), Massimo Dallamano rueda con oficio e inteligencia, apostando por un enfoque que pretende hibridar la todavía caliente veta “argentoniana” (también “baviana”, tal y como certifica el enésimo asesinato por ahogamiento en bañera) con cierto gusto krimi, en clave sombría y un punto rígida. No en vano se intentó dar gato por liebre anunciándola como una adaptación de una novelita de Edgar Wallace. Es de suponer que, co-producción mediante, la idea estaba en explotar el recuerdo de las producciones sesenteras dela Rialto, con el añadido de que el entrañable Joachim Fuchsberger retoma para la ocasión su sempiterno rol de inspector.

Quizás a esta formación estética del director se pueda achacar el elaborado ambiente opresivo y feísta que respira el film, con una luz deprimente cortesía de Aristide Massaccesi (a.k.a. Joe D’Amato, pringoso perpetrador de mil engendros, desde el “mondo” al porno) muy en consonancia con otra serie de películas de de similar raíz que volvieron mate los brillantes colores del giallo sumergiéndolos en una languidez otoñal que casaba con la mixtura de sordidez y desesperanza de sus propuestas. Una suerte de giallo-depresivo encabezado por magníficos trabajos como El día negro (1971) de Luigi Bazzoni o ¿Quién la ha visto morir? (1972) de Aldo Lado, entre otros. Textura siniestra, pátina húmeda, que en breve Nicolas Roeg secuestraría desde el género bastardo para su Venecia de la absorbente Amenaza en la sombra (1973), en puridad un giallo de qualité.

A esta brillantez formal (incluida la soberbia banda sonora de Ennio Morricone) cabe añadir lo parsimonioso de su ritmo, sin estridencias ni excesivos manierismos formales que hace todavía más severo el retorcido fetichismo en los crudos y nada exhibicionistas crímenes: la victimas son encontradas atadas y con un cuchillo que atraviesa sus genitales, en una brutalización del acto sexual particularmente perversa.

De esta resbaladiza naturaleza nace lo mejor y lo peor de la película, desde las gotas gruesa de erotismo para mirones, con esa consuetudinaria escenita de ducha a la grotesca caracterización del grupo de amiguitas protagonistas, capaces todas ellas de los mayores vicios y vesanias (ya se sabe, la maldad de los jóvenes) o el mismo personaje de Fabio Testi, alegre cortejador de postadolescentes. Algo solo salvado por su excelente reparto femenino, con la preciosa Cristina Galbó casi volviendo a La residencia (Narciso Ibañez Serrador, 1969) y una Camille Keaton espeluznante como jovencita convertida casi en vegetal después de que sus compañeras la obligaran a someterse a un carnicero aborto, que, a su vez, volvió loco al padre de la misma dedicado desde el momento a masacrarlas una a una.
https://esbilla.wordpress.com/2011/05/22/amarillo-es-el-color-vol-2-que-habeis-hecho-con-solange-la-notte-che-evelyn-usci-dalla-tomba-el-dios-de-la-muerte-asesina-otra-vez-nude-per-lassassino-lassassino-e-costretto-ad-uc/


 


 

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