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viernes, 10 de septiembre de 2021

Un mondo d'amore - Aurelio Grimaldi (2002)

 

TÍTULO ORIGINAL
Un mondo d'amore
AÑO
2002
IDIOMA
Italiano
SUBTÍTULOS
Español, Italiano y Portugués (Separados)
DURACIÓN
86 min.
PAÍS
Italia
DIRECCIÓN
Aurelio Grimaldi
GUIÓN
Anna Maria Coglitore, Aurelio Grimaldi
MÚSICA
Mario Soldatini
FOTOGRAFÍA
Massimo Intoppa
REPARTO
Arturo Paglia, Gaetano Amato, Massimo Ferroni, Guia Jelo, Diego Pagotto, Teresa Pascarelli, Francesco Guzzo, Loredana Cannata, Sandra De Falco, Mariolina De Fano
PRODUCTORA
Impresa Pubblici Esercizi, Ministero per i Beni e le Attività Culturali
GÉNERO
Drama | Biográfico

Sinopsis
Un joven Pier Paolo Pasolini es detenido como sospechoso de conducta inapropiada con 3 chicos menores de edad. Este escándalo provocará cambios drásticos en su vida y en la de su familia. (FILMAFFINITY)
 

A "Nerolio", modello narrativo di controversa collocazione, risponde un'opera non allusiva ma di immediato impatto figurativo. Il dramma del giovane precede l'essenza del "profeta". "L'immoralista" guadagna in punta di piedi lo spazio scenico e abbatte, con "fendenti diaristici", l'esaltazione del presente.

In assoluta evidenza, nel Pasolini di Grimaldi, quello friulano, giovane insegnante di lettere, ma già articolista, poeta e segretario del Partito Comunista di Casarsa della Delizia, c'è già la divisione tra l'io e gli "altri", l'io chiuso nella sua dolorante solitudine e gli "altri" visti di frequente nella dimensione della festa, della domenica.

Nell'inverno del 1949, a 27 anni, Pasolini viene incriminato per corruzione di minorenni e atti osceni. Attraverso André Gide, che il maresciallo non riesce proprio a pronunciare, Pasolini si mostra con il suo lato più doloroso, quello di un giovane sensibile e fragile.  Nel  ballo del paese, flash reiterato, la festa degli "altri" si oppone alla diversità e disillusione del giovane; sarà il punto iniziale, la collettiva festosità che apre la narrazione, e quella terminale. Nei turbamenti per i giovani angeli, nel fuoco esistenziale, privato, corporeo, nasce forse la teorizzata divisione, tra i "figli", come esponenti di vita potenziale, e "padri", custodi del potere, del mondo normativo.

Il profeta deve lasciare quelle terre, perché destino di costui è la persecuzione, l'esilio,  l'essere sospettato.  Pasolini all'interrogatorio, per i presunti reati, attiva una lotta con il detto e non detto. Il profeta non sempre dice il "vero" ma solo perché in quel che afferma c'è sempre il rifiuto radicale della menzogna condivisa e, di conseguenza, l'urto inevitabile con il buonsenso generalizzato.

Anche i "compagni" gli girano le spalle: l'omosessualità, mai esplicita, è qualcosa al di fuori di quell'insieme. La battaglia di liberazione dal conformismo, la ricerca del senso autentico dell'individualità al di là da qualsiasi pastoia sociale, morale o religiosa, sembra proprio non aver bisogno di castranti bandiere.

Destinazione Roma. Nel treno Pasolini è con la madre Susanna, s'intendono solo con lo sguardo, lo zio in città troverà loro una sistemazione. Nel vagone, viaggia il microcosmo negato: un'anziana siciliana con orgoglio mostra la foto di suo figlio ammogliato al nord; due giovani sposini si abbracciano felici; alcuni militari napoletani sono lo specchio della spensieratezza. Priva di caratterizzazione, il ventaglio umano dinanzi a Pier Paolo è pura astrazione: presenze funeree imbrigliate tra frammentazioni visive.     
C'è però vita a Roma, la città è idealmente una festa gioiosa; nei campi di periferia, borgatari a dorso nudo danno calci ad un pallone e fanno palpitare il cuore umiliato, scartando per un attimo la plumbea umiliazione di un solitario.

Se la parafrasi Nerolio si colloca in uno spazio ambiguo tra la ricostruzione paratelevisiva e un po' olografica, della storia, e una divagazione visionaria della "biografia incompiuta", Un mondo d'amore è poesia in fondo alla quale rimane sempre qualcosa che sfugge alla pura logica. Nerolio è un  film a tesi, è un dramma a tappe, come una monodia in crescendo; Un mondo d'amore è il rivelamento di un fantasma: Pasolini sembra parlare solo se interrogato, evocato. Si rifugge dai classici toni biografici e dalle immagini di repertorio, punti cardini per Giordana, e il raffinato bianco e nero svela, in una forma archetipica, gli estremi pasoliniani: la calma e il travaglio, la rinascita e la rassegnazione.     

Leonardo Lardieri
https://www.sentieriselvaggi.it/un-mondo-damore-di-aurelio-grimaldi/


“… furono le sue contraddizioni biografiche a colpirmi sempre di più. Nel frattempo, come lui, ero diventato insegnante di scuola ma come lui in una città diversa da quella in cui sono cresciuto (io a Palermo dalla provincia di Varese, e lui a Roma dal Friuli). Ho cominciato a sentire un afflato anche autobiografico verso certe sue tematiche e personaggi, anche se trovavo sconcertante che un intellettuale del suo calibro, grande ma contraddittorio, ‘inquietasse’ dei ragazzi di dodici o tredici anni (non suoi alunni ma allievi della scuola in cui prestava servizio). Era questa dicotomia ‘amorale’, attraente da sviscerare e raccontare, che mi ha spinto a girare Un mondo d’amore, che racconta proprio lo scandalo della sua prima incriminazione, da professore di scuola media a Casarsa, per atti sessuali con tredicenni. E la sua ‘fuga’ a Roma con la sempre fedelissima madre, ma rompendo col padre.”

Estratto da una lunga, recente intervista al regista, Aurelio Grimaldi, reperibile in versione integrale su FilmTV.itall’indirizzo:https://www.filmtv.it/post/38261/aurelio-grimaldi-intervista-esclusiva/#rfr:film-24136

12 ottobre 1949, Caserma dei Carabinieri di Casarsa in Friuli. Pasolini ha 27 anni, è seduto su una panca e aspetta che il maresciallo lo faccia entrare per interrogarlo, l’accusa è di corruzione di minore e atti osceni in luogo pubblico.

Sarà il primo dei 33 processi che affronterà in vita, poi ci sarà l’esecuzione capitale il 2 novembre 1975, all’idroscalo di Ostia.

Ma questa di Grimaldi è Una storia d’amore e come tale va raccontata.

Si apre come un sogno, una balera degli anni del bianco e nero esclusivo, coppie che ballano, sono solo maschi, intorno, seduti, i vecchi e gli anziani del paese guardano, tutto sembra normale.

Neil Sedaka, voce inconfondibile dei balli del mattone anni ‘50, canta “La terza luna”.

Nel quadro successivo Grimaldi muove lento la mdp, campo e controcampo sul poeta e il maresciallo. Un grado per volta tutto, nel maresciallo, occhi, bocca, parole, perfino i baffi, costruiscono intorno al poeta silenzioso un castello accusatorio sempre più stringente, sempre più osceno.

Quasi mellifluo sulle prime, mentre snocciola l’elenco delle attività del professore, scrittore, poeta, giornalista e fondatore dell’ “Academiuta de lenga furlana”, aumenta pian piano di tono e sceglie l’ironia che prepara la strada all’invettiva:

“Fate un sacco di cose, professo’, e avete trovato pure il tempo, sabato 28 settembre scorso, di recarvi a Ramuscello, alla festa di Santa Sabina, dove avete conosciuto i minori … ( e qui segue elenco, rigorosamente cognome e nome, dei ragazzi, il linguaggio del maresciallo non tradisce l’Arma).

La “diffusa diceria di paese”, secondo la quale “i minori suddetti” si sono confidati ad altri minori di aver commesso atti di libidine con un adulto, è diventata un rapporto della questura.

Pasolini fa cenno al romanzo a cui sta lavorando, ad André Gide,  all’ Immoralista a cui si ispira e al bisogno di confrontarsi con le esperienze dei ragazzi.

Questo l’ha spinto ad appartarsi con loro e le motivazioni accessorie, confusamente riferite poi anche dai tre ragazzi atterriti, che parlano di latini, greci, amore per uomini e donne, diritto ad essere felici e basta, non sono affatto convincenti, anzi, messe insieme a quell’ Aspersgì (tale diventa André Gide per il graduato) sono la prova di quanto leggere troppo faccia male allo spirito e, soprattutto, al fisico.

“Io qua devo scrivere se voi queste porcherie le avete fatto o no – urla fieramente schifato – le avete fatto o no?”, e questa sarà l’estrema sintesi del colloquio.

Pasolini eviterà la galera solo perché le famiglie non sporgono denuncia, 20.000 lire a testa sono bastate e tante cinghiate ai ragazzi da parte di padri fieramente indignati che i figli non s’ispirino ai loro modelli indiscussi di paterfamilias tutto lavoro di giorno, passatella al bar di sera, e giuste botte alla moglie al ritorno.

Le scuole dello Stato, però, l’hanno espulso per sempre.

Solo un piccolo cameo, in tanto squallore.Gli alunni, interrogati da un provveditore insinuante ma incapace di ottenere qualcosa più che una dichiarazione d’amore per quel prof.:

“E’ il miglior professore che abbiamo avuto, ci parla della poesia, dei latini, dei greci, abbiamo scritto poesie, l’altro ci diceva somari, bestie, non capite niente…”.

Andranno a salutarlo in stazione, questi ragazzi, lui un giorno li aveva portati a vedere il mare a Caorle, per la prima volta in vita loro.

Paola Di Giuseppe
https://www.paoladigiuseppe.it/angele-et-tony-di-alix-delaporte/

 

Forse non è possibile apprezzare o addirittura "vedere" Un mondo d'amore a prescindere da Nerolio. Perché entrambi formano una clessidra: comunque li si giri, si influenzano, si recuperano, si ricordano, si anticipano. E l'apparente pacatezza (comunque ansiosa) di Un mondo d'amore, completa la spinosità terminale della bellissima opera del '96. Là, Pasolini in fin di vita; qui, Pasolini che si apre ad essa, timidamente, ma con una voglia di esistenza e di linfa umana incontenibile. Fa ancor più male, dunque, Un mondo d'amore, alla luce delle vicende successive che tutti sappiamo. Perché già non tace sull'orrore della "pubblicità" e il dolore del desiderio, la sofferenza del proprio io e la consapevolezza di un'inadattabilità. Cinema di carne e corpi, quello di Grimaldi, sempre rivolto alla vita, cattiva o buona che sia, mai chiuso su se stesso. E anche quando imperfetto o squilibrato, riesce a scavare nei volti e negli animi con uno sguardo profondo e secco che non è facile trovare nei nostri filmucoli. Inoltre, sa tagliare e sottrarre, anche dai suoi bravissimi interpreti. Ha il coraggio perfino di concedersi al sogno e all'illusione (come nella splendida sequenza d'apertura): conoscendo la realtà, è un gran bel colpo di ricchezza interiore.

Pier Maria Bocchi
https://filmtv.press/cinerama/180339

***

Da dove nasce la sua passione verso il Cinema?
La mia passione per il cinema è nata sin da bambino. A Luino a quei tempi si potevano vedere solo i film della Rai, che si chiamava “Primo Canale”, uno alla settimana il lunedì. Noi qui in questa zona, però, eravamo fortunati perchè potevamo raddoppiare l’appuntamento con la Televisione Svizzera Italiana che il sabato sera trasmetteva un film. A quei tempi passavano film hollywoodiani, i western, Hitchcock e tanti altri, che però a me piacevano poco, ma mi ricordo che c’erano anche tutti i miglior film italiani, “Roma Città Aperta”, “Umberto D”, perfino qualche film di Totò… Beh a me piacevano di più, sin da allora, i film italiani e certe passioni non finiscono più.

Già dal suo esordio “La discesa di Aclà a Floistella” ha dimostrato un’attenzione particolare ai temi sociali. In che modo è riuscito a coniugare aspetti sociali ed arte cinematografica nei suoi film?
Per me è stato fondamentale ed emozionante il cambiamento che ho avuto passando da Luino alla Sicilia, soprattutto Palermo quando ad un certo punto ho deciso di fare il servizio civile lì. A Luino, in 19 anni, non avevo mai conosciuto la povertà, invece a Palermo ho avuto modo di verificare delle condizioni sociali e umane molto più complesse, in qualche modo appassionanti, ingiuste, ma emozionanti e piene di vitalità. Prima ho cominciato facendo il servizio civile occupandomi di bambini, ladruncoli inadempienti alla scuola, poi in maniera un po’ fortuita, vinsi il concorso di insegnante di scuola elementare quando in verità avevo programmato la mia vita, avevo preso la laurea in lettere, per fare l’insegnante di storia-filosofia o di letteratura italiana e storia. Invece mi sono trovato, come desideravo, nel carcere minorile e da allora gli aspetti sociali, come essere umano, fanno parte della mia vita e quando posso mi piace raccontarli.

Dopo “La Ribelle”, presentato a Locarno, è il film “Le Buttane”, che ha suscitato polemiche al 47esimo Festival di Cannes, a consacrare la sua affermazione… Si immaginava questo successo? In che modo ha affrontato le polemiche della critica?
I miei film hanno sempre causato polemiche, sicuramente “Le Buttane”, “Nerolio” e “Rosa Funzeca” più di altri. Devo ammettere che me le sono sempre cercate e a me piace sempre dire che “nessun medico ha prescritto che uno debba fare il regista”, però se ci riesco, e non è facile, se devo fare dei film, faccio quelli che mi stanno a cuore. Non ho mai seguito le leggi del cinema commerciale e molti dicono che sia un errore, che è una cosa tipicamente europea, l’idea del cinema d’autore, ma l’ipotesi di fare del cinema per lavoro e non per passione non mi ha mai sfiorato.

Avrebbe potuto fare una scelta differente? Ha avuto questa possibilità?
Diciamo che “Il Macellaio”, che era prodotto da Medusa, quindi dal gruppo Mediaset, con un grande investimento, sulla carta doveva essere un film commerciale. Però quando mi proposero di lavorare con Alba Parietti ed io accettai, la condizione che posi era la libertà assoluta sulla sceneggiatura, che in verità mi avevano già dato prima che entrasse la Parietti. Così ho trasformato un progetto che doveva essere commerciale, nonostante non sia il mio capolavoro, con il film che andò bene grazie alla Parietti e non a me, in una storia e in un film a modo suo un po’ intellettualizzato, in un film che ha cercato di raccontare la solitudine di una donna benestante con un marito ricco del Nord, che viene a Palermo a fare il direttore d’orchestra. La donna sembra abbia tutto, ma poi si accorge, innamorandosi assurdamente ed eroticamente di un macellaio brutale e poco intellettuale, che evidentemente c’era dentro di lei nel suo equilibrio qualcosa che pensava di avere e che non aveva. Quindi anche nell’occasione di fare un film commerciale io ho accettato solo a condizione di poter usare un’icona come Alba Parietti, nel suo primo ed unico film da protagonista, per costruire un film che fosse un po’ più psicologico.

Nel 1995 è uscito Nerolio, primo dei film della trilogia dedicata a Pasolini. Cosa l’ha colpita maggiormente di una delle figure più intellettuali del Novecento?
Di Pasolini mi colpivano molte cose, soprattutto le sue contraddizioni. Il suo contrasto tra l’essere intellettuale e la sua vita. Pasolini, come ho detto spesso, ogni notte andava in cerca di ragazzi, in quelle notte selvagge, di macelleria, come le chiamava lui. Cercava questi ragazzi nel proletariato più povero, presentandosi con la Giulietta, i capelli tinti, ben vestito, con la giacca di pelle, dicendo a questi ragazzi “io sono un regista e ti faccio fare cinema”, li portava al ristorante in tempi in cui neanche la piccola borghesia ci poteva andare. Questo era il Pasolini notturno, molto diverso da quello che scriveva sul “Corriere della Sera” contro il capitalismo. Si può quasi dire che il “Pasolini notturno” agiva da capitalista, usava il suo denaro, la sua forza economica nei confronti di ragazzini che, invece, proprio su quello erano negli ultimi posti della società. Questo mi colpiva ma senza dare giudizi morali su di lui: credo che l’artista deve essere esaminato sulle sue opere, non sulla sua vita, quello è un altro discorso. Questa contraddizione, invece, mi ha colpito molto e proprio da questo sono nati prima “Nerolio” e dopo “Un mondo d’amore”. “Nerolio” è il Pasolini notturno, ma ormai famoso, conosciuto, arrogante e consapevole della sua grandezza e della sua fama, mentre in “Un mondo d’amore” racconto del primo processo nel quale Pasolini venne coinvolto, uno scandalo: lui aveva 27 anni, professore in una scuola media e per la prima volta viene beccato ad “inquietare”, come si dice a Palermo, a molestare tre ragazzini minorenni, di tredici-quattordici anni. Questa contraddizione si mischia con il mio affetto e la mia considerazione nei suoi confronti, perchè “Accattone”, “Mamma Roma”, “La Ricotta” e “Che cosa sono le nuvole”, sono per me quattro film, due sono medio-metraggi, molto importanti. Da qui oltre la mia passione per lui come cineasta, anche il raccontare la sua vita con “Nerolio”, “Un mondo d’amore” e riraccontare “Mamma Roma”, modificato nel finale nel mio “Rosa Funzeca”.

Da cosa nasce la volontà di dedicare queste tre opere a Pasolini?
Non è una vera trilogia perchè quando ho fatto “Nerolio” non pensavo altri film su Pasolini. Poi mi è venuto in mente di fare “Un mondo d’amore” e ci sono riuscito. Lì, quasi in contemporanea, è nato “Rosa Funzeca”, che da anni cercavamo di fare con Di Benedetto. Dopo una serie di no, improvvisamente è saltato fuori un sì con una nuova commissione dell’Ufficio Cinema che ha approvato il progetto con un buon finanziamento. Quindi non è un lavoro organico, ma due film sono sulla vita di Pasolini ed uno completamente ispirato alla sua cinematografia. Sono tutti e tre in bianco e nero e prossimamente farò un altro film così. Sono molto contento di essere l’unico regista italiano a fare anche film in bianco e nero perchè tutti i miei colleghi dicono sia magnifico però poi creano solo film a colori. In questo senso mi sento fortunato: forse accettando di fare film a basso budget, totalmente indipendenti, mi posso permettere la libertà espressiva che se voglio usare il bianco e nero non me lo può impedire nessuno.

Come ha sviluppato “Rosa Funzeca”? Perchè questa scelta?
“Rosa Funzeca” nasce da una telefonata. Nasce dopo “Le Buttane” che nonostante le polemiche aveva avuto un grosso impatto ed un buon successo di pubblico, un’ottima distribuzione ed era stato venduto in diversi paesi esteri grazie al Festival di Cannes. Mi telefona Ida De Benedetto la quale mi dice “non mi chiama nessuno, tu sei l’unico che fa film con protagoniste donne, dai fai un film per me”. Così è partito il progetto: ci impiegammo sette anni, dal 1995 al 2002, ma alla fine ce l’abbiamo fatto.

Come “Un mondo d’amore”?  
“Un mondo d’amore” nasce dallo studio della biografia di Pasolini, da questo capitolo molto doloroso, quando esplode il primo scandalo che lo vedeva molestare dei ragazzini nel piccolo paese di Casarza, dove viveva con la madre friulana. Era insegnante di scuola media, segretario comunale del Partito Comunista. Scoppia questo scandalo e lui per la vergogna, licenziato in tronco dal provveditorato agli studi, sospeso dall’insegnamentoe mai più integrato, espulso senza mai essere sentito dal Pc, morto dalla paura, parte per Roma con la fedelissima madre e non tornerà più in Friuli. Racconto questo viaggio, questo scandalo, questo momento terribile della sua vita. Sarà il primo di circa ventisette processi contro Pasolini, non tutti per atti osceni contro minori, ne ha avuti però altri…

Secondo lei, quanto manca all’Italia una figura come quella di Pasolini? Quanto è ancora attuale dei suoi scritti?
Io sono razionalista, questa è una domanda che si continua a ripetere. Pasolini ha vissuto soltanto 53 anni, intensissimi. Negli ultimi anni della sua vita ha sfornato tutto, anche esagerando: film, critica, teatro, “Corriere della Sera”, tutto ha fatto. Ebbene, godiamoci questa sua opera nei suoi 53 anni. Io amo moltissimo anche un altro scrittore, Honoré de Balzac, che è morto a 51 anni, in maniera molto diversa. E’ inutile star lì a pensare “cosa avrebbero fatto se…”, intanto hanno fatto tantissimo e ame interessano le loro opere. Non ci fermiamo a piangere, a cercare nuovi Pasolini, perchè non ce ne saranno mai così. Cerchiamo invece di amare ed analizzare i suoi lavori, nelle sue parti riuscite, perchè alcune cose bisogna ammettere lealmente che non sono granchè. Altre sono magnifiche. Soprattutto però vorrei, un po’ come è stato fatto nel quarantennale della sua morte, che si pensi di più alle sue opere e non alla sua morte ed i complotti annessi.

Quale intellettuale, secondo lei, si avvicina maggiormente oggi a Pasolini?
Nessuno secondo me. Certi ingegni così multiformi e così insoliti sono unici, anzi se qualcuno tenta di imitarlo scivola sul bagnato e fa una brutta fine. Nessuno è paragonabile a Pasolini, non ce ne sarà un altro uguale a lui, come si spera non ci sarà un altro Berlusconi o un altro Mussolini. Certe grosse personalità sono uniche per fortuna perchè, nel bene o nel male, lo devono essere.

Quanto incide in generale, nel suo pensiero, la critica cinematografica subito dopo la proiezione dei film?
Diciamo che la critica cinematografica è importante per chi fa cinema indipendente e cinema d’autore. Però, per vari motivi, perchè io amo molto la storia del cinema e la letteratura, quindi mi alimento di critiche non soltanto sulle mie cose ma anche di altri, penso di avere un atteggiamento incuriosito ma abbastanza distaccato dalle critiche. Le critiche positive, su questo non mi crede nessuno, ma se le comincio a leggerle e vedo che sono troppe positive non le finisco neanche. Sono più interessato alle critiche negative perchè io dico che neanche la “Divina Commedia” e “I Promessi sposi”, che amo tutte e due, sono perfetti. Non esiste la perfezione nell’arte, siamo umani. Certo dal mio punto di vista soggettivo alcune le trovo più incattivite, un po’ rancorose, come quando il critico, e succede a molti, vuole essere lui il protagonista e non l’opera dando più peso alla sua opinione piuttosto che darla all’analisi. Secondo me il critico dovrebbe essere al servizio dell’opera, esprimendo un giudizio il più argomentato possibile e senza avere i toni che certe volte alcuni hanno di arrogante. Per cui quando la critica negativa è ben argomentata mi interesso e ci rifletto moltissimo. In quelle cattive e antipatiche, se non ci sono argomentazioni ma solo nervosismo, mi dico solo che non è vera critica e passo oltre. Ho un senso di imbarazzo e disinteresse, io voglio capire solo le cose che non ho fatto bene, che posso migliorare, che posso cambiare… a volte un critico intelligente ti accende anche delle luci. Questa è una cosa importante.

Ha lavorato con attori di grande prestigio a livello internazionale. Ha qualche aneddoto da raccontarci? Quale le è rimasto particolarmente a cuore e quale ricorda con maggior simpatia?
Ho avuto la fortuna di lavorare con una giovanissima Penelope Cruz che aveva soltanto 18 anni. Lei non lo sa, ma io ho pronta una sceneggiatura per quando compirà 45 anni. Lei cita sempre “La Ribelle” quando è intervistata in Italia con mio gran piacere, visto che di lei ho un gran bel ricordo. Ho sempre pensato di voler lavorare nuovamente con Penelope, e ci proverò appena compirà 45 anni, perchè si tratta di un ruolo di una mamma giovane con due figlie di 22 e di 20 anni, glielo proporrò… Se lo vorrà fare ripeteremo l’esperienza… oltretutto la storia è ambientata negli Usa e parla di una mamma spagnola che vive a New York, quindi sarebbe girato in lingua inglese con un po’ di spagnolo. Staremo a vedere… io ho sempre pensato di voler rilavorare con Penelope soltanto in un film che esplori al massimo le sue potenzialità espressive. Lei è una persona di straordinario talento e così come ne “La Ribelle”, il personaggio di questa ragazzina che doveva ridere, piangere, essere allegra, essere depressa, io ho pensato ad un altro personaggio, di una madre, e quindi fra qualche anno è già lì pronta la sceneggiatura che le consegnerò e vedremo cosa salterà fuori… Altri aneddoti che mi vengono in mente riguardano Lucia Sardo, che ha esordito con me, e adesso è diventata un’attrice e ha fatto cinema, tanta televisione… è stata la mamma di Peppino Impastato e ha fatto tante altre belle cose.. beh, mi ricorderò sempre il primo provino a Piazza Armerina, io cercavo la madre del mio Aclà. Arriva questa attrice che fa un provino magnifico, di quelli che ti si accende la luce e ho detto subito: “Fate un contratto a questa signora”. Siamo diventati subito molto amici. Voglio, infine, dire su un altro personaggio popolare, più che un’attrice una showgirl o altro, che di Alba Parietti io conservo un ricordo molto positivo. Alba, che si è sempre dichiarata una persona di sinistra, sul set si comportava da perfetta persona di sinistra-democratica. Salutava tutti i membri della troupe e trattava l’ultimo manovale come trattava il regista. Questa cosa l’ho apprezzata tantissimo, perchè la maggioranza dei registi famosi, inconsciamente, trattano le persone in base al ruolo che ricoprivano nel set, mentre Alba, non lo dimenticherò mai e l’ho ringraziata anche pubblicamente per questo, era veramente una persona che aveva rispetto per tutti gli esseri umani e per i lavoratori… ed è una cosa che umanamente vale moltissimo, vuol dire che dentro ha delle belle qualità. Per me è anche una donna molto sincera, leale, determinata, che mantiene la parola. E’ stata una bella esperienza lavorare insieme, nonostante il film sia stato massacrato ed attaccato, e questo noi lo rispettiamo. Anche Alba era contenta di quello che aveva fatto perchè temeva, invece, ci fosse una deriva commerciale. Il film ha sicuramente qualche difetto, ma siamo soddisfatti di come è venuto…

La storia e la società sono sempre presenti nei suoi film. La sua ultima opera, “Alicudi nel vento”, è un documentario. Come mai questa scelta?
Io vado pazzo per questa isoletta di Alicudi, dove per la prima volta ci sono stato 35 anni fa quando ero un maestrino che sognava di fare lo scrittore ed il regista, ma ancora ero giovane e non c’ero riuscito. Ho impiegato decenni a trovare un piccolo finanziamento e finalmente sono riuscito a raccontare i bambini ed i ragazzi di questa sperduta isola delle Eolie, che è un cono vulcanico, con un vulcano inattivo da 20mila anni, circondato da altri vulcani attivi… ci sono 80 residenti, 60 abitanti, senza strade ed automobili, solo gradini. Un posto magnifico…

Quali i progetti futuri?
E’ stata una pazzia per me venire settimana scorsa a Luino, perchè lunedì ho iniziato le riprese di un nuovo film che si chiama “Controtempo!”, la mia prima commedia. Speriamo bene, ma sono molto ottimista.

https://www.luinonotizie.it/2015/12/17/luino-intervista-al-regista-aurelio-grimaldi-la-passione-per-il-cinema-temi-sociali-e-pasolini-con-penelope-cruz-e-alba-parietti/60115

 

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