TÍTULO ORIGINAL La rivincita di Natale
AÑO 2004
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DIRECTOR Pupi Avati
GUIÓN Pupi Avati
MÚSICA Riz Ortolani
FOTOGRAFÍA Pasquale Rachini
REPARTO Diego Abatantuono, Gianni Cavina, Carlo Delle Piane, George Eastman, Alessandro Haber
PRODUCTORA Duea Film / Medusa Film / Medusa Produzione
PREMIOS 2003: Premios David di Donatello: Nominada Mejor director y música
GÉNERO Comedia. Drama | Secuela. Póker
SINOPSIS 1986. Cinco amigos se reúnen dieciocho años después de una partida de póquer que dejó en la ruina a uno de ellos. Éste, que ha logrado recuperarse y es dueño de treinta salas de cine, lo que ahora desea ardientemente es vengarse del abogado Santelia, que fue quien lo humilló aquel día de Nochebuena. (FILMAFFINITY)
Enlaces de descarga (Cortados con HJ Split)
http://www.mediafire.com/?kb76a7bawcjfcnv
http://www.mediafire.com/?bhssccyt45jbw2d
http://www.mediafire.com/?g7lbogy48r5au5l
http://www.mediafire.com/?kyt1g71597sxa1m
http://www.mediafire.com/?c9vj5wougbtac0l
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Così ho insegnato il poker a Delle Piane e Abatantuono
Professor Giovanni Bruzzi, come mai Pupi Avati ha scelto lei come consulente per "Rivincita di Natale" ?
Perché sono un esperto di gioco, tanto da meritarmi quel soprannome di professore...
Perché sono un esperto di gioco, tanto da meritarmi quel soprannome di professore...
...che non ha nulla a che fare col suo mestiere di pittore...
Be' in un certo senso sì, visto che ho fatto l'Accademia di Belle arti a Firenze e oggi ho un certo nome tra gli artisti.
Una discreta fama se l'è fatta anche come giocatore...
Alt. Come biscazziere, non come giocatore, che gioca e perde.
Il biscazziere sta dall'altra parte.
Dunque lei giocando non ha mai perduto una lira?
Mai. Ho scelto subito la parte giusta. Era il '64 quando ho cominciato, tra parentesi è vent'anni che ho smesso, come pr di un amico che a Firenze aveva aperto diverse bische, tipo il "London Club" o la "Coppa d'oro".
Frequentate da pregiudicati?
Macché. Imprenditori, avvocati, notai, campioni dello sport, attori, cantanti tutto il gotha.
Che si faceva spennare?
I polli stanziali, che venivano tutte le sere, erano destinati a perdere da soli. Ci accanivamo con i polli di passaggio, che so, un gioielliere di Perugia o un commerciante di Bologna.
Con quali accorgimenti?
Be', un'aggiustatina alle carte di poker o di chemin de fer.
Barando, insomma...
Sì, come in "Regalo di Natale".
Di cui lei nell'86 ha scritto parte della sceneggiatura...
Ho dato una mano a Pupi Avati per le scene del poker.
Il suo compito?
Rendere la partita credibile ed evitare gli errori tecnici.
Sedici anni dopo è stato richiamato in servizio, proprio come Abatantuono e soci...
Sì, perché il gioco in "Rivincita di Natale" porta via metà film".
Come mai è stato riammesso il baro Delle Piane?
In sedici anni tutto si aggiusta, specie nella finzione.
I suoi cinque allievi, Abatantuono, Cavina, Delle Piane, Eastman e Haber hanno imparato presto la lezione?
Sì, perché il gioco in "Rivincita di Natale" porta via metà film.
Come mai è stato riammesso il baro Delle Piane?
In sedici anni tutto si aggiusta, specie nella finzione.
I suoi cinque allievi, Abatantuono, Cavina, Delle Piane, Eastman e Haber hanno imparato presto la lezione?
Sì, ho avuto vita facile. Tutti dilettanti del poker, ma nessuno completamente digiuno.
Che dritte ha dato ad Avati?
Ho cercato le scene del poker carta per carta dribblando le iperboli, di cui è pieno un classico del genere, "La stangata", come quando Paul Newman per battere il poker di 9 di Robert Shaw, trasforma i suoi quattro 3 in quattro jack. Spettacolare ma fasullo.
Quindi in "Rivincita di Natale" ci sarà poco spettacolo...
Tutt'altro. La partita ha un intreccio infernale. Per tener alta la tensione, la mano decisiva sarà l'ultima, mentre nella realtà può essere anche la prima.
Massimo Bertarelli
Be' in un certo senso sì, visto che ho fatto l'Accademia di Belle arti a Firenze e oggi ho un certo nome tra gli artisti.
Una discreta fama se l'è fatta anche come giocatore...
Alt. Come biscazziere, non come giocatore, che gioca e perde.
Il biscazziere sta dall'altra parte.
Dunque lei giocando non ha mai perduto una lira?
Mai. Ho scelto subito la parte giusta. Era il '64 quando ho cominciato, tra parentesi è vent'anni che ho smesso, come pr di un amico che a Firenze aveva aperto diverse bische, tipo il "London Club" o la "Coppa d'oro".
Frequentate da pregiudicati?
Macché. Imprenditori, avvocati, notai, campioni dello sport, attori, cantanti tutto il gotha.
Che si faceva spennare?
I polli stanziali, che venivano tutte le sere, erano destinati a perdere da soli. Ci accanivamo con i polli di passaggio, che so, un gioielliere di Perugia o un commerciante di Bologna.
Con quali accorgimenti?
Be', un'aggiustatina alle carte di poker o di chemin de fer.
Barando, insomma...
Sì, come in "Regalo di Natale".
Di cui lei nell'86 ha scritto parte della sceneggiatura...
Ho dato una mano a Pupi Avati per le scene del poker.
Il suo compito?
Rendere la partita credibile ed evitare gli errori tecnici.
Sedici anni dopo è stato richiamato in servizio, proprio come Abatantuono e soci...
Sì, perché il gioco in "Rivincita di Natale" porta via metà film".
Come mai è stato riammesso il baro Delle Piane?
In sedici anni tutto si aggiusta, specie nella finzione.
I suoi cinque allievi, Abatantuono, Cavina, Delle Piane, Eastman e Haber hanno imparato presto la lezione?
Sì, perché il gioco in "Rivincita di Natale" porta via metà film.
Come mai è stato riammesso il baro Delle Piane?
In sedici anni tutto si aggiusta, specie nella finzione.
I suoi cinque allievi, Abatantuono, Cavina, Delle Piane, Eastman e Haber hanno imparato presto la lezione?
Sì, ho avuto vita facile. Tutti dilettanti del poker, ma nessuno completamente digiuno.
Che dritte ha dato ad Avati?
Ho cercato le scene del poker carta per carta dribblando le iperboli, di cui è pieno un classico del genere, "La stangata", come quando Paul Newman per battere il poker di 9 di Robert Shaw, trasforma i suoi quattro 3 in quattro jack. Spettacolare ma fasullo.
Quindi in "Rivincita di Natale" ci sarà poco spettacolo...
Tutt'altro. La partita ha un intreccio infernale. Per tener alta la tensione, la mano decisiva sarà l'ultima, mentre nella realtà può essere anche la prima.
Massimo Bertarelli
(Il Giornale, 22 Aprile 2002)---
Un altro poker per Pupi Avati
<< Una cosa è certa - sì deve essere detto Diego Abatantuono, alias Franco, che dopo la disastrosa partita a poker del Natale di 15 anni fa è riuscito a diventare di nuovo un ricco gestore di sale cinematografiche a Milano e hinterland -: non sono un fesso. Il problema è riportare gli stessi allo stesso tavolo. Magari ancora a Natale. Sì, il problema è la Rivincita di Natale! >>. E la rivincita di "Regalo di Natale", il fortunato film che Pupi Avati realizzò nel 1986, si farà e, ovviamente, sarà proprio la "Rivincita di Natale". Stesso tavolo, stessa splendida villa a Bologna e, soprattutto, stessi giocatori: Franco (Diego Abatantuono), l'industriale Santelia (Carlo Delle Piane), il critico cinematografico Lele (Alessandro Haber), l'istruttore di palestra Stefano (George Eastman) e Ugo (Gianni Cavina), che quindici anni fa faceva l'imbonitore televisivo e organizzò la spiumatura del "pollo" Abatantuono. La sceneggiatura è già terminata, Pupi Avati dovrebbe cominciare a girare in ottobre. E, questa volta, la partita sarà una partita onesta? C'è da scommettere di no, perché a firmare la sceneggiatura assieme al regista bolognese c'è ancora (come 15 anni fa) il pittore fiorentino Giovanni Bruzzi, uno che, tanto per stare nell'autobiografico, ha scritto un libro dal titolo "Professione biscazziere", sottotitolo "Il banco vince sempre!. Fu Bruzzi a organizzare la partita di "Regalo di Natale". Ci voleva un esperto e lui, in certi ambienti notturni meglio noto come "lo scienziato delle carte", era l'uomo giusto. Anche perché quella partita, vittima un ricco macellaio e non un gestore di cinema, si era svolta davvero anche se a Firenze e non a Bologna. Bruzzi l'aveva raccontata in un libro, "Banco di nove", che aveva anche illustrato con bellissime tavole, e che finì nelle mani di Pupi Avati. << In mezzo ai giocatori di "Regalo di Natale" - racconta oggi Bruzzi - ce n'era uno che barava e io ho dovuto spiegare come si fa. Come si fa nella realtà, voglio dire, non come spesso si vede al cinema, con l'asso nella manica o nello stivaletto. Al poker vero si deve barare con la complicità di un altro giocatore, che al tavolo deve occupare un posto preciso. Solo che a decidere i posti sono le carte... >>. La rivincita - Bruzzi non rivela la trama - sarà ancora più complicata: perché Delle Piane (il baro di 15 anni fa) deve accettare? Che posti avranno attorno al tavolo? E che ruolo ha quella giovanissima e provocante brunetta (l'attrice è ancora da scegliere), apparentemente ignara di tutto e che sembra invece essere il pepe sulla partita? E chi sono quei personaggi in ombra sicuramente molto dannosi? << In questa rivincita - dice Bruzzi - tutto è sviante. Il gioco diventa infernale, perché qui non si gioca solo per i soldi, anche se questi contano tanto. Alla fine la vincita sarà iperbolica, ma tutti avranno perso. Un solo vincitore: il denaro >>.
Mario Spezi
Mario Spezi
(La Nazione, Il Giorno, Il Resto del Carlino, 4 Giugno 2002)http://www.giovannibruzzi.it/frame_principale.asp?Pagina=cinema
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Ci ha molto riflettuto, Pupi Avati, prima di decidersi a dar un seguito a “Regalo di Natale” (1986), una delle sue pellicole più note e riuscite: vi si raccontava d'una drammatica partita di poker, svoltasi nel corso della più santa delle notti, dove uno dei giocatori cadeva in un tranello organizzato da due degli altri, uscendone finanziariamente rovinato. Le perplessità del regista bolognese nascevano dal timore di non essere all'altezza del primo successo, forse pure dalla difficoltà d'immaginare un seguito credibile per una vicenda la cui forza risiedeva in gran parte nell'impietosa secchezza della chiusa. Al centro di questo nuovo copione, in definitiva, poteva star solo il desiderio di vendetta di Franco, colui che aveva lasciato sul piatto oltre ai propri beni qualsivoglia fiducia nell'amicizia: ed è proprio da questo spunto che si parte - l'ossessione di una rivincita sognata lungo diciotto anni - per mettere ancora attorno ad un tavolo gli antichi contendenti.
Ma il trascorrere del tempo non ha fatto altro che deteriorare ulteriormente la qualità umane dei cinque competitori: mossi tutti da indicibili rancori e malcelate frustrazioni, essi finiscono per scontrarsi in una gara dove la scorrettezza è regola ed il risentimento motore d'ogni cosa, fino ad una inaspettata conclusione che assume quasi colorazioni da “giallo”.
Impeccabilmente condotta da un cineasta-demiurgo a suo agio nello scrutare fra le pieghe più recondite dell'animo degli uomini, “La rivincita di Natale” trova nel concertato degli attori il suo più convincente atout: nel gruppo, spicca un Abatantuono dolente e immalinconito, capace di donar al suo personaggio riverberi di tenerezza e pietà
F.T
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=rivincita_natale
Ma il trascorrere del tempo non ha fatto altro che deteriorare ulteriormente la qualità umane dei cinque competitori: mossi tutti da indicibili rancori e malcelate frustrazioni, essi finiscono per scontrarsi in una gara dove la scorrettezza è regola ed il risentimento motore d'ogni cosa, fino ad una inaspettata conclusione che assume quasi colorazioni da “giallo”.
Impeccabilmente condotta da un cineasta-demiurgo a suo agio nello scrutare fra le pieghe più recondite dell'animo degli uomini, “La rivincita di Natale” trova nel concertato degli attori il suo più convincente atout: nel gruppo, spicca un Abatantuono dolente e immalinconito, capace di donar al suo personaggio riverberi di tenerezza e pietà
F.T
http://www.italica.rai.it/scheda.php?scheda=rivincita_natale
LA RIVINCITA DI AVATI - Pupi Avati, piccolo lume del difficile cinema italiano contemporaneo, ha confezionato un nuovo regalo. Lo ha confezionato davvero: tutto con le sue mani e con quelle del fratello e degli amici più cari. Se si andrà a vedere questo film per la storia, si consiglia di non uscire di casa, di non cercare posto per la macchina, di non fare la fila per il biglietto. Poca storia, infatti, che, in ogni caso assume una propria dignità nel rovesciamento finale: un accadimento sull'accadimento, un doppio salto mortale nell'arte del racconto. Il tutto, naturalmente, va ridimensionato e ricondotto ad un debole traliccio narrativo, e dunque i colpi di scena sono deboli colpi di scena, ma intelligenti, pieni di sapienza non sfacciata, misurati, fatti di un'ironia sottile e arguta. Tutto quello che, insomma, manca al cinema italiano dei nostri tempi, fatto di registi che vogliono disperatamente raccontare grandi storie: intere crisi generazionali, viste da registi borghesi in storie borghesi; crisi familiari, viste da registi borghesi in famiglie borghesi; crisi di identità e di personalità, viste da registi borghesi con occhi borghesi. Non si fraintenda: la borghesia, da ben oltre un secolo, è la classe dominante della nostra civiltà. Non si vuole, dunque, usare in modo dispregiativo tale termine: sarebbe stupido e obsoleto. No, la borghesia del cinema italiano la si intende come un modo piccolo, provinciale, spesso ipocrita e presuntuoso di fare cinema. Ecco perché si usa la parola borghese: perché è un modo sintetico di dire cose diverse eppure non in contrasto. E si parla di borghesia anche e soprattutto in questo film: sì, perchè tutto è piccolo borghese in tutto il cinema di Pupi Avati, in questo film come negli altri. Che si tratti dello scaltro proprietario di numerose sale cinematografiche del riccastro nord italiano Diego Abatantuono; che si guardi ai due morti di fame, meschini, stupidotti, furbastri da strapazzo e vagamente delinquenti, Alessandro Haber e Gianni Cavina; che si guardi al piccolo, tristanzuolo, intelligente idustrialotto di giocattoli in un'improbabile Calabria moderna (Carlo Delle Piane), insomma, che si guardino in modo giustamente differente tutti i protagonisti straordinari di questo piccolo film, in ciascuno di essi si troveranno elementi di quella borghesia italiana un po' truffaldina, ingenua e furbetta, che si fa sempre cogliere allo scoperto, o che nasconde talmente bene da insabbiare anche se stessa. Pupi Avati ci parla di questa realtà senza parlarne. Questo film italiano, finalmente, non ha morale, non ha un messaggio, non vuole insegnare, né far comprendere nulla. E' una storiella ripresa da un film di 17 anni fa: i protagonisti sono gli stessi, non sono cambiati di una virgola. Qualcuno è solamente diventato più ricco, ma nessuno ha cambiato prospettiva di vita. Questo, già, è un dato sottilmente e fuggevolmente agghiacciante. 15 anni non sono pochi: la vita insegna delle cose e alle cose si reagisce via via in modo differente, sino al punto di creare alcuni piccoli cambiamenti in ciascuno di noi. O forse è soltanto un'illusione: la vita non insegna nulla; non si cambia neanche davanti alla malattia, o ad una possibile morte. Anzi, esattamente su questa unica vera tragedia umana si costruisce la truffa del film. E' questa la verità che Pupi Avati, finalmente, non dice. I 5 giocatori di poker sono, dunque, identici a loro stessi. Vengono fregati, si fanno fregare e fregano nello stesso modo di sempre. Assomigliano a quei personaggi dei film americani degli Anni '30-'40. Un pò Humphrey Bogart un pò Peter Lorre: un pò seduttivi e affascinanti, un pò vittime e maschere deformate della realtà. Ed è questo aspetto a rendere ancora più interessante il film: la grande provincia americana Anni '30, fumosa, piena di whisky, povertà, perdizione e fascino, fatta di un bianco e nero quasi grigio, viene guardata, ricordata e appena accennata qui; riportata nella piccola Italia, dove ci si posta tra Bologna e Lamezia Terme; dove il gioco, e il doppio gioco diventano alla portata di chiunque. Dopo la bella storia della ragazza cieca, Pupi Avati firma un altro capolavoro in miniatura, se lo si sa guardare con occhi attenti e divertiti. Un'ultima notazione: i giornali riportano la dicitura: "commedia" per definire questo film. E' noto che il termine "genere" è, di per sé, generico (si perdoni il gioco di parole), ma in questo caso non crediamo davvero che si possa parlare di commedia. La rivincita di natale è forse più un "noir", con delle sfumature talmente ampie da non poter essere classificato. Oltre a non avere una morale, questo film non ha neanche uno schema definibile. Questo è il vero regalo che ci fa Pupi Avati.
Marta Rizzo - marta.michela@tiscalinet.it
http://www.cinemovie.info/LaRivincitadiNatale_scheda.htm
Marta Rizzo - marta.michela@tiscalinet.it
http://www.cinemovie.info/LaRivincitadiNatale_scheda.htm
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I seguiti dei film belli difficilmente eguagliano i loro precursori, neanche se lasci intatto il cast. Questo film ne è un esempio lampante. Premetto che ho visto le due pellicole (“Regalo di Natale” e “La rivincita di Natale”) una via l’altra. La prima nel pomeriggio e la seconda in serata, curiosa di vedere come erano cambiate le vite dei protagonisti e desiderosa di immergermi per la seconda volta nell’atmosfera quasi thriller di una chilometrica partita a poker. La delusione è stata immediata. Spiego i motivi cercando di essere chiara e obiettiva.
La trama scricchiola parecchio. Nel primo film Franco partecipa alla partita perché aveva un bisogno assoluto di liquidi, Lele per pubblicare un libro, Ugo perché senza lavoro, Stefano per accontentare gli amici e l’avvocato Santelia per dare la stoccata finale a Franco. Tutti avevano più o meno dei validi motivi, mentre in questo seguito scopriamo che Franco è diventato uno degli uomini più ricchi della Lombardia, Lele e Ugo sono due disperati in combutta con il re dei bari e Santelia vive serenamente la sua vita in quel di Lamezia. Il film però punta tutto sulla rivincita che sembra rodere da anni Franco, ancora incapace di digerire la sconfitta di una notte di Natale di quasi vent’anni prima. Parte allora per Bologna con la scusa di andare a trovare Lele (finto malato di tumore) ma con l’intenzione di ricreare la situazione dell’86, cosa che riesce a fare. Ma in tutto questo, la partita viene circoscritta agli ultimi 30 minuti di girato, con il risultato che il pathos non riesce a crearsi così come l’acme che prelude al colpo di scena (in realtà telefonato).
Il film non rende l’atmosfera emozionale e coinvolgente presente nel primo film dove il tutto si svolge nell’arco di una notte, dove con pochi accenni vengono tratteggiate le personalità dei protagonisti: Lele il critico cinematografico di film di serie b che non riceve dal giornale in cui lavora neanche il panettone con lo spumante, Ugo che fa il venditore in televisione, Stefano il raffinato che si scoprirà essere gay, Franco che ha sposato una donna che non ama e che continua a ricordare il suo primo amore e infine Santelia che mangia solo patate lesse scondite e bollenti e che ha un debole per le donne. Era bellissimo il racconto realistico di 5 uomini senza una vita che tentano di cambiare la propria grigia esistenza con una partita a poker giocata nella notte in cui si dovrebbe stare con le proprie famiglie. C’erano le portate già cucinate comprate in una rosticceria che venivano consumate nella mezzora di pausa tra una mano e l’altra, la governante che prima di andar via doveva fare l’albero di Natale, gli auguri alla mezzanotte, c’erano le confidenze e i ricordi, le telefonate al fisso con la rotella per comporre i numeri, c’erano le lire e delle poste in gioco accettabili fino all’ultima mano dove iniziavano le puntate vertiginose. Insomma era un modo per accompagnare per mano lo spettatore da dettagli gustosi e funzionali anche al periodo in cui si svolge il film fino all’apice, facendolo accomodare in una sedia nella stessa stanza in cui si svolgeva la partita.
Nel sequel tutto questo si è perso, in realtà non sembrerebbe neppure Natale. Il contorno poi subissa il nucleo del film, rendendo il tutto poco immediato e alquanto indigesto. A molti però questo film è piaciuto e mi chiedo perché. In fondo anche il cast sembra stanco e con poco smalto. Abatantuono non è in palla e Haber fa Haber. Carlo delle Piane cerca di fare qualcosa in più ma anche il suo fare misterioso è scomparso, sostituito da una strana e paradossale solidarietà con un uomo che ha ridotto sul lastrico e che ha trascorso gli ultimi vent’anni a odiarlo.
Molto deludente.
http://scoiattoloviaggiante.blogspot.com.ar/2011/12/la-rivincita-di-natale-2004.html
La trama scricchiola parecchio. Nel primo film Franco partecipa alla partita perché aveva un bisogno assoluto di liquidi, Lele per pubblicare un libro, Ugo perché senza lavoro, Stefano per accontentare gli amici e l’avvocato Santelia per dare la stoccata finale a Franco. Tutti avevano più o meno dei validi motivi, mentre in questo seguito scopriamo che Franco è diventato uno degli uomini più ricchi della Lombardia, Lele e Ugo sono due disperati in combutta con il re dei bari e Santelia vive serenamente la sua vita in quel di Lamezia. Il film però punta tutto sulla rivincita che sembra rodere da anni Franco, ancora incapace di digerire la sconfitta di una notte di Natale di quasi vent’anni prima. Parte allora per Bologna con la scusa di andare a trovare Lele (finto malato di tumore) ma con l’intenzione di ricreare la situazione dell’86, cosa che riesce a fare. Ma in tutto questo, la partita viene circoscritta agli ultimi 30 minuti di girato, con il risultato che il pathos non riesce a crearsi così come l’acme che prelude al colpo di scena (in realtà telefonato).
Il film non rende l’atmosfera emozionale e coinvolgente presente nel primo film dove il tutto si svolge nell’arco di una notte, dove con pochi accenni vengono tratteggiate le personalità dei protagonisti: Lele il critico cinematografico di film di serie b che non riceve dal giornale in cui lavora neanche il panettone con lo spumante, Ugo che fa il venditore in televisione, Stefano il raffinato che si scoprirà essere gay, Franco che ha sposato una donna che non ama e che continua a ricordare il suo primo amore e infine Santelia che mangia solo patate lesse scondite e bollenti e che ha un debole per le donne. Era bellissimo il racconto realistico di 5 uomini senza una vita che tentano di cambiare la propria grigia esistenza con una partita a poker giocata nella notte in cui si dovrebbe stare con le proprie famiglie. C’erano le portate già cucinate comprate in una rosticceria che venivano consumate nella mezzora di pausa tra una mano e l’altra, la governante che prima di andar via doveva fare l’albero di Natale, gli auguri alla mezzanotte, c’erano le confidenze e i ricordi, le telefonate al fisso con la rotella per comporre i numeri, c’erano le lire e delle poste in gioco accettabili fino all’ultima mano dove iniziavano le puntate vertiginose. Insomma era un modo per accompagnare per mano lo spettatore da dettagli gustosi e funzionali anche al periodo in cui si svolge il film fino all’apice, facendolo accomodare in una sedia nella stessa stanza in cui si svolgeva la partita.
Nel sequel tutto questo si è perso, in realtà non sembrerebbe neppure Natale. Il contorno poi subissa il nucleo del film, rendendo il tutto poco immediato e alquanto indigesto. A molti però questo film è piaciuto e mi chiedo perché. In fondo anche il cast sembra stanco e con poco smalto. Abatantuono non è in palla e Haber fa Haber. Carlo delle Piane cerca di fare qualcosa in più ma anche il suo fare misterioso è scomparso, sostituito da una strana e paradossale solidarietà con un uomo che ha ridotto sul lastrico e che ha trascorso gli ultimi vent’anni a odiarlo.
Molto deludente.
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