TITULO ORIGINAL Uova di garofano
AÑO 1991
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 102 min.
DIRECCION Silvano Agosti
ARGUMENTO Silvano Agosti
GUION Silvano Agosti
REPARTO Federico Zanola, Alain Cuny, Lou Castel, Roberto Brignani, Lorenzino Agosti, Paola Agosti, Luciano Salodini, Lucia Gafa', Michele Meggiolaro, Elisa Murolo, Severino Saltarelli, Camilla Serafini, Eva Serafini
FOTOGRAFIA Silvano Agosti
MONTAJE Silvano Agosti
MUSICA Daniele Iacono
PRODUCCION Silvano Agosti para 11 Marzo Cinematografica - Rai Due
GENERO Drama
SINOPSIS Silvano (Castel) ritorna col figlioletto nella sua casa natale, ormai diroccata, nella campagna bresciana e rievoca la sua infanzia tra il 1943 e il 1945. "Forse la memoria di chi è cresciuto nell'atmosfera della Repubblica di Salò può essere solo così: scabra, selettiva, scorticata" (A. Crespi). Nel difficile tentativo di recuperare il proprio sguardo di bambino Agosti (1938) oscilla tra il tono di favola vissuta e la durezza del giudizio sul mondo degli adulti "sinceri nell'obbligo quotidiano della menzogna". Ne è uscito un film diseguale, ora affascinante ora irritante, parzialmente riuscito nella 2ª parte, quella in cui i rumori della Storia si fanno più sentire, ma anche visitato da momenti di felicità espressiva. L'uovo di garofano si trova, secondo una voce popolare, nel fiore al tramonto e fa avverare i desideri. (Il Morandini)
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TRAMA
Silvano, un cinquantenne, conduce il suo bambino a conoscere il casale in campagna dove è nato e dove ha trascorso l'infanzia durante la seconda guerra mondiale. Il casale è abbandonato ma vi sono ancora alcuni arredi e qualche fotografia ingiallita. L'uomo rivede se stesso bambino affetto da mutismo per un trauma causato dallo scoppio di un ordigno, i genitori, la bella zia Olga, i fratelli Giorgio e Piero, e le sorelle Elisa, Adriana e Renata. Tornano così alla memoria i ricordi: i giochi infantili, il teatrino delle suore, i rituali fascisti celebrati nella piazza del paese presso il busto del Duce ed orchestrati da un gerarca vicino di casa, i traumatici contatti con la morte seminata da sparatorie e bombardamenti, la visita alla giovane e disinibita zia Olga, guardarobiera in un grande albergo sede del comando tedesco. Altre figure risaltano: una è quella di Crimen, un vecchio che abita fuori dal paese e sul cui conto circolano strane dicerie secondo le quali egli avrebbe anni prima divorato la sua stessa moglie per amore, l'altra è quella di un anziano ebreo ucciso da un gruppo di squadristi ubriachi. Ad entrambi, i bambini si erano avvicinati con timore anche grazie alla suggestione delle immagini della lanterna magica e del cinema che essi mostravano agli stupefatti occhi dei bambini. I ricordi di certi eventi si susseguono: la guerra sta volgendo al termine ma non così la crudeltà e la sofferenza causate dalle disperate resistenze dei nazifascisti e dalle loro sanguinose rappresaglie nei confronti dei partigiani. Il pavido padre temendo per la propria sorte, a causa delle sue precedenti collusioni con il regime si fa cucire nel materasso dalla moglie per inscenare poi un farsesco ritorno a casa dall'ospedale. Nel frattempo Crimen, sentendo avvicinarsi la fine, decide di attenderla chiudendosi in una caverna accanto al cadavere della moglie che in realtà egli aveva mummificato dopo la sua morte, molto tempo prima. Alla notizia della scomparsa di Crimen, il piccolo Silvano fugge sulle colline per vederlo un'ultima volta: la sua corsa si sovrappone a quella di Silvano adulto che si arresta davanti alla caverna di Crimen. Qui lo raggiunge il figlio che, raccolto un piccolo uovo di uccello glielo mostra: in Silvano torna alla mente la leggenda dell'uovo di garofano che si narrava in tempo di guerra ai bambini. Si tratta di un uovo magico, piccolissimo, che è possibile trovare solo al tramonto: se lo si mette sotto il cuscino tutti i sogni diventano veri.
CRITICA
"E' sempre molto intenso, le sue tecniche sono fini e il clima in cui ci immerge, pur senza nessun intento didascalico, coinvolge e fa riflettere." (Gian Luigi Rondi, Il Tempo)"Uova di garofano", struggente sguardo autobiografico all'indietro, nella campagna lombarda durante la guerra, dedicato ai bambini senza sorrisi." (Maurizio Porro, Il Corriere della Sera)"E' il film di famiglia di un regista che ha aspettato per permettersi l'autobiografia, ed ha molto da dire; tanto che forse non riesce a metterlo in ordine."
(Paolo D'Agostini, La Repubblica)
fonte "RdC - Cinematografo.it"
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=37770&film=UOVA-DI-GAROFANO
(Paolo D'Agostini, La Repubblica)
fonte "RdC - Cinematografo.it"
http://www.comingsoon.it/Film/Scheda/Trama/?key=37770&film=UOVA-DI-GAROFANO
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Fu proiettato a Venezia, qualche anno fa, questo piccolo bellissimo film di Silvano Agosti. Che è un regista strano, un vero appassionato di cinema, uno che ha realizzato un sogno, si è comprato un cinema, lo gestisce e lì proietta i film che più gli piacciono, che gli sembrano più importanti. Tra questi, giustamente, i suoi. E Agosti ne ha girati diversi, tra cui alcuni Cinegiornali del Movimento studentesco, una delle poche documentazioni reali di quella stagione, e un bellissimo film firmato con Bellocchio, Rulli e Petraglia dedicato ai Matti da slegare. [...]
Walter Veltroni
Walter Veltroni
A ventiquattro anni dal suo esordio con Il giardino delle delizie, Silvano Agosti affronta l’autobiografia e ci propone se stesso a sei anni – o, comunque un bambino di nome Silvano – che, alla luce del ricordo, rivede gli anni di guerra e dell’immediato dopoguerra in una casa della campagna lombarda, con un padre timido e impaurito, una madre, invece, decisa, e molti fratellini e sorelline. Un ricordo che, nonostante l’asprezza delle situazioni pubbliche, non è mai né polemico né ironico (com’era, invece, per la stessa epoca, l’Amarcord felliniano) e che tende soprattutto a costruirsi sulla poetica dell’adolescenza che guarda: dilatando tutto, rendendo misteriose anche le cose più evidenti, confondendo i sogni con la realtà, il razionalismo con la superstizione. [...]
Gian Luigi Rondi, Il Tempo 13 novembre 1991
Gian Luigi Rondi, Il Tempo 13 novembre 1991
Sinossi
Silvano torna, dopo molti anni, nella casa della sua infanzia insieme al figlio Lorenzo. Davanti all’abitazione, ormai in rovina, inizia a ricordare i primi anni della propria vita, vissuta insieme al padre, simpatizzante fascista, la madre e le sue sorelle maggiori. La mente torna così ai piccoli episodi che hanno costellato la sua infanzia, vissuta per lo più in silenzio ad osservare il mondo degli adulti e quello, diversissimo, dei suoi coetanei.
Il ricordo si volge allora alle recite teatrali, alle feste fasciste dove, davanti a gerarchi e a cardinali, i bambini posavano fiori sul busto del duce, all’incontro e all’amicizia con un vecchio soprannominato “l’orco” (perché si riteneva che avesse mangiato la moglie), alle prime sigarette, alla scoperta del cinematografo. Il ritorno alla memoria diventa un’occasione per ritrarre una nazione e tutte le sue contraddizioni, dal periodo fascista a quello della guerra, dalle torture e dalle esecuzioni naziste alle ritorsioni partigiane e americane, per rappresentare lo sguardo di un bambino, chiuso nel silenzio e per questo il solo capace di vedere l’extra sensoriale e di trovare le “uova di garofano”, magiche uova capaci di avverare i desideri.
Il ricordo si volge allora alle recite teatrali, alle feste fasciste dove, davanti a gerarchi e a cardinali, i bambini posavano fiori sul busto del duce, all’incontro e all’amicizia con un vecchio soprannominato “l’orco” (perché si riteneva che avesse mangiato la moglie), alle prime sigarette, alla scoperta del cinematografo. Il ritorno alla memoria diventa un’occasione per ritrarre una nazione e tutte le sue contraddizioni, dal periodo fascista a quello della guerra, dalle torture e dalle esecuzioni naziste alle ritorsioni partigiane e americane, per rappresentare lo sguardo di un bambino, chiuso nel silenzio e per questo il solo capace di vedere l’extra sensoriale e di trovare le “uova di garofano”, magiche uova capaci di avverare i desideri.
Presentazione critica
“Questo film è dedicato ai bambini che volevano vivere e sono morti durante le guerre”, così recita la chiosa che conclude la pellicola. Il regista Silvano Agosti segnala allo spettatore una delle intenzioni iniziali, nonché uno dei maggiori meriti del film: dedicare la storia ai bambini, e quindi cercare di raccontare gli avvenimenti secondo un linguaggio che appartenga al loro mondo. Uova di garofano, infatti, non è un film “per ragazzi”, costruito cioè seguendo le regole classiche del cinema di genere, dalla costruzione dell’eroe in cui identificarsi alle prove da fargli superare e all’happy end finale, anzi proprio perché è un film con “lo sguardo e le contraddizioni dei ragazzi” ha il merito di allontanarsi da questo modello e di far propri i chiaroscuri dell’età. Grazie ad una narrazione sottovoce, sia nello stile, mai ridondante o eccessivo, sia nei dialoghi recitati in tono sommesso, come spesso capita ai piccoli per non farsi sentire dai grandi, la pellicola riesce a descrivere bene il mondo dell’infanzia, in continuo movimento tra la tragicità del reale e la necessità del sogno – richiamato dalle simboliche delle “uova di garofano” – tra la scoperta affascinante e crudele del mondo e la necessità di cercare un equilibrio tra le proprie esigenze e le richieste degli adulti.
La narrazione non segue così un filo logico che voglia portare lo spettatore ad una conclusione scontata – anche se ci sono elementi che ritornano nel corso del film, come il busto di Mussolini o la comparsa di alcuni personaggi (la zia, il prete) – ma segue inesorabile le vicende dell’Italia sempre con un certo distacco ed un’incomprensione storica di fondo comune a tutti i bambini. I toni pastello con cui Agosti tratteggia la storia permettono di tollerare, con minore fatica, alcune soluzioni prevedibili sia nell’impianto narrativo sia nella scelta degli episodi rappresentati: si pensi all’uso del flash back, inflazionato e troppo semplice pretesto per raccontare la storia della propria infanzia, al finale ciclico, con la simbolica fuga di Leonardo, figlio di Silvano, nei luoghi cari al padre, alle scene “già viste” sulle sigarette fumate di nascosto, alla voce fuori-campo del protagonista che rilegge gli avvenimenti con il senno di poi. Il ricorso ad alcune scene “consolidate”, come quella in cui i due fratelli spiano la famiglia dall’alto della scala, potrebbero in realtà essere un omaggio al film di Ingmar Bergman Fanny ed Alexander, da cui Agosti riprende la delicatezza del racconto e la spietatezza con cui viene denudata la miseria degli adulti.
Tra le poche parole pronunciate dal protagonista restano, infatti, quelle che Silvano rivolge senza alibi alla sua famiglia, odiata per la piccolezza delle sue azioni, per i pianti impotenti della madre e della sorella, per la fuga codarda del padre, una famiglia, proprio per questo, teneramente amata e commiserata. Questa è, infine, la visione inesorabile che il regista ci dà del mondo dei grandi. Rinunciarvi – il rifiuto di parlare da parte di Silvano va proprio in questa direzione – sembra un’azione irrimediabilmente persa. Il film, autobiografico, non è solo un piccolo omaggio alla propria infanzia, ma diventa, così, motivo per raccontare le paure e le contraddizioni degli uomini e dei bambini.
Marco Dalla Gassa
http://www.minori.it/uovadigarofano
La narrazione non segue così un filo logico che voglia portare lo spettatore ad una conclusione scontata – anche se ci sono elementi che ritornano nel corso del film, come il busto di Mussolini o la comparsa di alcuni personaggi (la zia, il prete) – ma segue inesorabile le vicende dell’Italia sempre con un certo distacco ed un’incomprensione storica di fondo comune a tutti i bambini. I toni pastello con cui Agosti tratteggia la storia permettono di tollerare, con minore fatica, alcune soluzioni prevedibili sia nell’impianto narrativo sia nella scelta degli episodi rappresentati: si pensi all’uso del flash back, inflazionato e troppo semplice pretesto per raccontare la storia della propria infanzia, al finale ciclico, con la simbolica fuga di Leonardo, figlio di Silvano, nei luoghi cari al padre, alle scene “già viste” sulle sigarette fumate di nascosto, alla voce fuori-campo del protagonista che rilegge gli avvenimenti con il senno di poi. Il ricorso ad alcune scene “consolidate”, come quella in cui i due fratelli spiano la famiglia dall’alto della scala, potrebbero in realtà essere un omaggio al film di Ingmar Bergman Fanny ed Alexander, da cui Agosti riprende la delicatezza del racconto e la spietatezza con cui viene denudata la miseria degli adulti.
Tra le poche parole pronunciate dal protagonista restano, infatti, quelle che Silvano rivolge senza alibi alla sua famiglia, odiata per la piccolezza delle sue azioni, per i pianti impotenti della madre e della sorella, per la fuga codarda del padre, una famiglia, proprio per questo, teneramente amata e commiserata. Questa è, infine, la visione inesorabile che il regista ci dà del mondo dei grandi. Rinunciarvi – il rifiuto di parlare da parte di Silvano va proprio in questa direzione – sembra un’azione irrimediabilmente persa. Il film, autobiografico, non è solo un piccolo omaggio alla propria infanzia, ma diventa, così, motivo per raccontare le paure e le contraddizioni degli uomini e dei bambini.
Marco Dalla Gassa
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