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lunes, 1 de julio de 2013

Alì ha gli occhi azzurri - Claudio Giovannesi (2012)


TITULO ORIGINAL Alì ha gli occhi azzurri
AÑO 2012
IDIOMA Italiano
SUBTITULOS No
DURACION 94 min.
DIRECCION Claudio Giovannesi
GUION Claudio Giovannesi, Filippo Gravino
FOTOGRAFIA Daniele Ciprì
REPARTO Stefano Rabatti, Nader Sarhan, Yamina Kacemi
PREMIOS
2012: Festival de Roma: Premio especial del jurado, mejor ópera prima
2012: Premios David di Donatello: Nominada a mejor productor
2013: Festival de Tribeca: Sección oficial largometrajes a concurso
PRODUCTORA Acaba Produzioni / Rai Cinema
GENERO Drama | Adolescencia. Amistad

SINOPSIS Una semana de la vida de Nader y Stefano, dos amigos de 16 años que viven en Ostia, una localidad costera cercana a Roma. Una vida hecha de clases en el instituto, robos a prostitutas y peleas en discotecas. Nader es egipcio aunque haya nacido en Roma, está enamorado de la italiana Brigitte y desafía a su familia escapándose de casa. Para defender a su amigo Stefano, acuchilla a un joven rumano y huye. Es perseguido, por lo que tiene que esconderse, hasta el punto de dormir en la playa en pleno invierno. Empieza a sentir las contradicciones de su identidad. Se siente italiano, lleva lentillas azules, le fascina el consumismo, no respeta el Ramadán. Pero termina por usar una pistola contra su amigo Stefano que molesta su hermana, en defensa de la mujer musulmana. Como un perfecto fundamentalista. (FILMAFFINITY)



Ostia, il lungomare di Roma, inverno. Nader e Stefano, due ragazzi di sedici anni, alle otto del mattino, rubano un motorino, fanno una rapina, e alle nove entrano a scuola. Uno è egiziano ma è nato a Roma, l’altro è italiano ed è il suo migliore amico. Anche Brigitte, la fidanzata di Nader, è italiana, ma proprio per questo i genitori del ragazzo sono contrari al loro amore. Nader allora scappa di casa. Alì ha gli occhi azzurri racconta una settimana della vita di un adolescente che prova a disubbidire ai valori della propria famiglia. In bilico tra l’essere arabo o italiano, coraggioso e innamorato, come il protagonista di una fiaba contemporanea, Nader dovrà sopportare il freddo, la solitudine, la strada, la fame e la paura, la fuga dai nemici e la perdita dell’amicizia, per tentare di conoscere la propria identità.

"Alì ha gli occhi azzurri è un film che vuole raccontare l’adolescenza nella società multiculturale italiana di oggi: la vitalità e la complessità dell’adolescenza, la turbolenta ricerca di un’identità, che l’origine non italiana del protagonista di questa storia rende ancor più difficile. Nader, egiziano nato a Roma, diventa per me emblema della seconda generazione italiana: l’identità nel suo farsi, in bilico tra l’eredità della religione e della legge del padre e i costumi occidentali del presente italiano.... Il punto di partenza di questo lavoro è stato proprio il conflitto che Nader viveva, come essere umano, prima di diventare personaggio: l’amore per una ragazza italiana, vissuto quasi in clandestinità, contro il divieto dei propri genitori e della propria cultura ( haram – quello che l’Islam considera proibito). Per sfiorare la verità abbiamo messo in scena quel conflitto con Hosny e Fatima, i reali genitori di Nader, e con Brigitte, la ragazza di cui è davvero innamorato, grazie ad una generosa disponibilità da parte loro ad una delicata auto-rappresentazione. Ma non c’è soluzione al conflitto che Nader porta dentro, tra amore e proibizione, tra la cultura di adozione e quella di appartenenza: resta solo la coscienza e la ricchezza della propria contraddizione... Protagonista del film è anche Ostia, il lido di Roma, la spiaggia di inverno, un territorio per sua natura più multietnico della capitale."
Claudio Giovannesi
http://www.primissima.it/film/scheda/ali_ha_gli_occhi_azzurri/

Tre anni fa Claudio Giovannesi aveva realizzato un documentario, Fratelli d’Italia, nel quale raccontava tre storie. Tre storie di tre adolescenti, frequentanti lo stesso liceo di Ostia: un giovane immigrato rumeno, una ragazza bielorussa adottata da una famiglia italiana, e un ragazzo nato in Italia figlio di immigrati egiziani.
Delle tre storie era proprio quest’ultima, quella di Nader, a risultare la più forte e complessa. E non stupisce, allora, che Giovannesi l’abbia scelta, ampliata e drammatizzata per realizzare un film di finzione che guarda - il titolo parla chiarissimo - ad un realismo pasoliniano di diretta derivazione documentaria.
Alì ha gli occhi azzurri riesce laddove in tanti hanno provato, da decenni a questa parte, e quasi tutti hanno fallito. Riesce nel catturare la forza ruvida e brutale della verità e della vita senza mai dimenticare le esigenze del cinema e perfino quelle della finzione. Anzi, più il cinema è presente, più sembra farsi invisibile per lasciare che la realtà dello schermo dialoghi fitta e intensa con quella dello spettatore.
Lo fa raccontando sette giorni della vita di Nader. Sette giorni inquieti e turbolenti, nei quali bravate e ribellioni, fughe e conti da regolare, amori e tensioni non fanno altro che rendere più ampio e complesso il confronto del ragazzo con sé stesso, i suoi ideali, i suoi sogni, le sue radici e le sue contraddizioni. Con i problemi di un’età adulta e di una maturità che incombono pacificanti e minacciose al tempo stesso.
Proprio come Pasolini, Giovannesi sceglie di lavorare con attori non professionisti (Nader è il vero Nader, così come i suoi amici e la sua famiglia) ed è in grado di sostenerli ermeneuticamente fino a cavargli fuori interpretazioni sentite e rabbiose, tanto intense da risultate quasi palpabili.
Al contrario, dal punto di vista tecnico si affida a professionisti in grado di seguirlo senza esitazioni lungo un cammino difficile, alla ricerca di un equilibrio tra Cinema e Vita sulla base del quale si regge senza altri punti d’appiglio tutto il film. Dal suo co-sceneggiatore Filippo Gravino al direttore della fotografia Daniele Ciprì, al montatore Giuseppe Trepiccione.
Alì ha gli occhi azzurri, sulle questioni legate all’immigrazione, al conflitto o al sincretismo culturale, all’adolescenza e al neoproletatiato, ha uno sguardo che è lontano mille e più miglia rispetto a quello carico di preconcetti, luoghi comuni, paternalismi e verità precotte comode alle coscienze, ai sensazionalismi o alle polemiche che caratterizza la maggior parte dei dibattiti giornalistici e televisivi.
Uno sguardo ad altezza uomo, dialettico, capace di osservare senza giudicare, di sfidare e provocare, di cogliere con la stessa partecipata oggettività la rabbia più dolorosa o la tenerezza più dura.
Uno sguardo che sembra fissare negli occhi, azzurri o meno, il suo spettatore e metterlo alle corde con la patata bollente che gli consegna. Uno sguardo che, con i tempi che corrono, è tanto più scomodo quanto necessario.
Federico Gironi
http://www.comingsoon.it/News_Articoli/Recensioni/Page/?Key=17836


ALÌ HA GLI OCCHI AZZURRI,
un film à la Pasolini nella Roma (multietnica) di oggi

Titolo che è una citazione pasoliniana. Ma tutto il film è sotto il segno di PPP, nel suo raccontarci i nuovi ragazzi di vita e di borgata. L’Alì del titolo è Nader, nato in Italia da genitori egiziani. Ha una ragazza che i suoi non accettano, per questo se ne va di casa. Alì ha gli occhi azzurri ci racconta una settimana (i giorni sono scanditi in italiano e in arabo) nella sua vita, tra vuoto, disperazione, derive criminali, tra i detriti di una periferia degradata. Accattone oggi. Con un’ambiguità: Alì è documentario e finzione insieme, e mescola troppo rischiosamente i due generi. Ha altri difetti: è irrisolto, è troppo lungo, non ha un asse narrativo forte e deciso. Ma è un film che grazie a Dio esce dalla medietà e dalla piacioneria, e merita rispetto. Voto 6 e mezzo
È sotto il segno di Pasolini, questo Alì ha gli occhi azzurri. Fin dal titolo derivato da una poesia di PPP, Profezia, 1962-64, che fu scritta e impaginata e voluta dal suo autore a forma di croce (come potete vedere a questo link). Sono parole, quelle di Profezia, che turbano per quanto son chiaroveggenti, e non è retorica dirlo. Provate a leggere:

Alì dagli Occhi Azzurri
uno dei tanti figli di figli,
scenderà da Algeri, su navi
a vela e a remi. Saranno
con lui migliaia di uomini (…)
Sbarcheranno a Crotone o a Palmi,
a milioni, vestiti di stracci
asiatici, e di camicie americane.
E più avanti:
… dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri – usciranno da sotto la terra per uccidere –
usciranno dal fondo del mare per aggredire – scenderanno
dall’alto del cielo per derubare – e prima di giungere a Parigi
per insegnare la gioia di vivere,
prima di giungere a Londra
per insegnare a essere liberi (…),
distruggeranno Roma.

Loro chi? Gli Alì dagli occhi azzurri sono gli uomini del sud del mondo che arriveranno spinti dalla fame. Pasolini li descrive disperati (‘sbarcheranno a Crotone o a Palmi a milioni’), portatori insieme di liberazione e pericoli (‘prima di giungere a Londra per insegnare a essere liberi… distruggeranno Roma’). Visione ambivalente. Impressionante anche per come prefigura quanto sarebbe successo decenni dopo perfino in certi dettagli: gli sbarchi e quegli stracci asiatici (il made in China!).
A questo inquietante testo il regista Claudio Giovannesi ha attinto per il titolo e non solo. Tutto Alì ha gli occhi azzurri è un omaggio e insieme una citazione dell’universo (scritto, filmico, esistenziale) di Pasolini, nel suo presentarci e raccontarci un nuovo sottoproletario, nuovi ragazzi di vita, nuovi ragazzi di borgata vagare attraverso i detriti hinterland-metropolitani della Roma di oggi, come Accattoni contemporaneizzati, come, soprattutto, i ragazzi protagonisti di quel meraviglioso film che era La notte brava, diretto da Mauro Bolognini (rivalutare!) e scritto da PPP. L’Alì del film si chiama Nader, è di famiglia egiziana ma nato in Italia, immigrato di seconda generazione come dicono i sociologhi dalla definizione facile, dunque diviso e confuso tra due mondi, due universi culturali e sociali, due appartenenze che tendono più a confliggere (dentro e fuori di lui) che a compenetrarsi. Gli occhi azzurri Nader non ce li ha, se li procura mettendosi lenti a contatto colorate (e non si capisce se questa sia un’annotazione ironica o meno da parte del regista).
Nader – e qui incomincia il bello e pure il complicato del film – è in parte personaggio di finzione e in parte no, tutto il film del resto è sospeso tra la registrazione documentaria e l’invenzione, come ormai succede sempre più spesso al cinema, si pensi solo a L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin, Pardo d’oro Cineasti del presente al festival di Locarno 2011, o a La bocca del lupo di Pietro Marcello o allo stesso Cesare deve morire dei fratelli Taviani Orso d’oro all’ultima Berlinale. Ed è un’ambiguità non sempre felice, che anzi comporta a mio parere i suoi bei rischi. Naturalmente la si spaccia volentieri come nuova frontiera di un cinema più arrischiato e coraggiosamente vicino al reale e sempre meno escapista, consolatorio, elusivo. Più vero, più onesto, più trasparente, più sincero, meno ipocrita: si suggeriscono volentieri categorie, oltre che estetiche, etiche per invocarne e proclamarne la superiorità. Ma Alì dagli occhi azzurri, come già L’estate di Giacomo (vedi la mia recensione da Locarno), ci indica come l’operazione sia piena di chiariscuri. Allora: l’attore protagonista, Nader Sarhan, interpreta un personaggio che porta il suo nome, che come lui è immigrato di seconda generazione. I genitori che appaiono nel film sono i veri genitori dell’attore, Brigitte, la ragazza del protagonista, è Brigitte Apruzzesi, la vera ragazza di Nader Sarhan. Allora il film è un documentario su di lui, come questi pesanti, vistosi indizi lascerebbero pensare? Macchè, non è così semplice. Altri personaggi non portano gli stessi nomi degli attori che li interpretano, il che ci fa capire che ci inoltriamo (anche) in un territorio di fictionalizzazione. Se ho ben capito, tutta la parte che riguarda i conflitti di Nader con i genitori, in particolare con la madre che non accetta la sua ragazza italiana e vorrrebbe per lui un’egiziana e musulmana, riflette abbastanza fedelmente la realtà di Nader Sarhan. Lo stesso i problemi che il protagonista ha a scuola, le discussioni con l’insegnante sul crocifisso alla parete, che lui strappa. Lo stesso il suo essere diviso tra due culture, come ci rivela la battuta migliore e più significativa: “Loro sono proprio retrogradi, proprio arabi”, sbotta Nader a proposito dei genitori, e quando gli controbattono “ma perché? non sei arabo anche tu?”, lui: “No, io sono italiano”. Dialogo da mettere sotto teca sociologica. Solo che Alì ha gli occhi azzurri non si ferma lì, ci racconta e ci mostra molto altro di Nader (il personaggio, intendo): rapina insieme all’amico Stefano una farmacia, in una discoteca accoltella un ragazzo est-europeo, scappa di casa ed è disposto a tutto o quasi per sopravvivere: la questua, e una rapina con gli amici a una prostituta romena (la adesca un altro romeno, amico di Nader e Stefano, e mentre lei gli fa un pompino, e mentre parlano tra una succhiata e l’altra di Romania e delle rispettive città di origine, intervengono i due a portarle via i soldi, e più Pasolini di così non si potrebbe). Non bastasse, Nader/Alì (che ogni tanto ha gli occhi azzurri e ogni tanto no, e Brigitte gli dice di smetterla di fare il narciso con quelle lenti) si compra una pistola per difendersi dal fratello del ragazzo accoltellato che vuole vendicarsi. Non proprio delle cosette edificanti. Ma queste son realtà o fiction? D’accordo, va bene la commistione dei generi e dei linguaggi, il proclamato oltrepassamento delle differenze, ma qui un po’ di ordine va fatto, perdio: se vogliamo raccontare la storia di Nader Sarhan, della sua fidanzata Brigitte, dei genitori di lui e di quelli di lei, facciamo un bel doc anche con un bell’andamento narrativo su di lui, se invece vogliamo prendere Nader Sarhan e fargli interpretare la storia di un neo-pasoliniano ragazzo di vita e di borgata con tanto di rapine, accoltellamenti, armi ecc., facciamolo. Però please, non confondiamo, teniamo distinte le cose, che qui signora mia si scherza col fuoco, altro che contaminazioni e affini. Pasolini quando metteva Ninetto Davoli nei suoi film lo usava come attore, attore puro, mica pretendeva di raccontarci la vita sua, ci montava intorno una finzione, e paradossalmente proprio per questo riusciva a restituirci al mssimo grado la realtà. In Alì dagli occhi azzurri l’ambiguità è totale e destabilizza il film, lo fa girare attorno a un centro che non c’è. Peccato, perché ci troviamo di fronte a un’opera per molti versi ammirevole, tra le più interessanti che ci abbia dato il nostro cinema diciamo nell’ultimo paio d’anni. Il film è ambizioso, per fortuna, e anche se sbaglia parecchio coglie anche qualche bersaglio. Poche volte abbiamo visto restituite così bene e con tanto allarmante credibilità e fedeltà la desolazione, la deriva di certo esistere nelle odierne banlieu italiche, tra panorami deagradati e sporchi, luci livide, complicate convivenze tra etnie diverse, violenze sottotraccia pronte a esplodere, derive criminali. Claudio Giovannesi, che viene dal documentario (difatti aveva già filmato Nader Sarhani nel suo precedente doc Fratelli d’Italia), gira con macchina in spalla, pedina alla Dardenne i suoi personaggi, spesso riprendendoli da dietro, e qui il riferimento stilistico è, credo, Gus Van Sant. Fotografia a luce quasi sempre naturale, ad opera di Daniele Ciprì (eccellente, come sempre). Ma il film è fondamentalmente irrisolto. Il regista avrebbe dovuto decidere da subito se filmare la vera storia di Nader o usarlo come attore. Non sceglie nemmeno l’asse narrativo su cui puntare, ne affastella troppi senza mai decidersi: Nader, la sua ragazza e la sua famiglia è il primo; i rapporti con l’amico di scorribande e di malavita Stefano è il secondo; l’accoltellamento del romeno e la fuga dal vendicativo fratello è il terzo. Ci sono almeno due finali, e nessuno funziona: il faccia a faccia con il romeno in cerca di vendetta, e lo scontro finale con l’amico Stefano che ha osato insidiare la sorella di Nader. Ma non succede quasi niente né nell’uno né nell’altro caso, il film implode, si sgonfia, va alla deriva, e qui ci si rende conto di come ad Alì ha gli occhi azzurri manchi la radicalità, il coraggio di andare in fondo, in definitiva il coraggio del tragico. Troppo politically correct, cauteloso e accomodante verso il suo protagonista. Pasolini certe esitazioni credo non le avrebbe avute, sarebbe andato dritto fino all’esito fatale, estremo. A margine, annotiamo che il ragazzo Nader, che si sente italiano e non arabo, quando si tratta di famiglia si comporta secondo i codici d’onore della sua cultura di origine: “se tocchi mia sorella ti ammazzo”. Un tempo nel nostro cinema italiano, erano i siciliani i portatori di questi codici, adesso sono gli arabi immigrati di prima o seconda generazione. Però, nonostante le sue contraddizioni, troppe, questo è un film non trascurabile. Certo, di fronte a film così viene in mente quanto diceva Hitchcock: “Il cinema è la vita, ma con le parti noiose tagliate”. Invece qui si vuole, anzi si pretende di raccontare e registrare la vita per quella che è, anche quando la si fictionalizza, con il rischio di annoiare. Ad Alì dagli occhi azzurri un bel taglio di una ventina di minuti almeno avrebbe giovato.
luigilocatelli
http://nuovocinemalocatelli.com/2012/11/15/recensione-ali-ha-gli-occhi-azzurri-pasolini-roma-multietnica/

Nader vive a Ostia con i genitori e la sorella. Ha origini egiziane ma, di fatto, la sua vita è quella comune di un ragazzo italiano alle prese con tutte le difficoltà della crescita, in un ambiente periferico che amplifica lo straniamento dalla condizione di ‘cittadino ibrido', diviso tra la cultura italiana e quella egiziana, tra l'esser circondato da valori cristiani e appartenere - di fatto - a quelli musulmani. La sua vita procede (incerta) tra furtarelli ed estorsioni con il suo migliore amico Stefano, l'amore ma anche l'ancora di salvezza incarnati dalla sua dolce e fin troppo comprensiva ragazza Brigitte, e la convivenza (sempre piena di scontri) con i genitori e i loro incrollabili valori musulmani. Ma durante quella che sarà una settimana ‘epifanica', le piccole crepe (strutturali, dovute soprattutto alla sua condizione di cittadino dalla nazionalità multipla) della vita di Nader si apriranno a voragine, e l'asfissia di una società che non offre alcuna rete si mostrerà in tutta la sua violenza. A quel punto starà alla maturità dello stesso Nader, ragazzo di vita come tanti impigliato nell'omologazione e nel consumismo odierni, il compito di capire il percorso da seguire per una presa di coscienza che possa (là dove non risolvere) quanto meno smussare gli attriti tra le due culture che incarna. CHIUDI [X]
NEL MONDO DI NADERPrimo film italiano in concorso, Alì ha gli occhi azzurri è il terzo lavoro da regista per il romano Claudio Giovannesi dopo il lungometraggio La casa sulle nuvole e il documentario Fratelli d'Italia. Il film nasce, infatti, proprio dal materiale di quest'ultimo lavoro, attestandosi come un ‘prolungamento' e una presa di coscienza ulteriore di uno degli episodi che costituivano il documentario Fratelli d'Italia (in cui compariva già lo stesso Nader Sarhan). La vita reale del giovane Nader (ragazzo italiano di origini egiziane) viene portata così nuovamente sotto la luce dei riflettori per realizzare una fotografia complessa ma realista dello stato del processo di integrazione tra culture e religioni diverse nell'Italia di oggi. L'episodio originale del documentario si allarga qui fino a diventare racconto di una (particolarmente difficile) settimana di vita del ragazzo, inglobando il suo vero - e contrastato - amore per Brigitte e la sua amicizia con Stefano. Alì ha gli occhi azzurri (titolo che gioca sull'ossessione del protagonista di avere un aspetto visibilmente ‘più occidentale', e che rimanda a un illuminante passo tratto da Profezia di Pier Paolo Pasolini) si prende dunque l'onere di scavare dentro la vita di un adolescente come tanti, intrappolato tra la sua cultura d'origine e quella d'adozione, immobilizzato tra la voglia di reclamare i propri diritti e l'impossibilità di farlo. Giovannesi lavora nel senso di sottolineare le contraddizioni in termini che questo scontro ‘sociale' crea nella vita di un ragazzo, ancora nella piena ricerca della propria identità, che è pronto a inguaiarsi per difendere un amico, ma anche a sparare a quello stesso amico perché ha posato gli occhi sulla sorella. Tutto infine si gioca nell'incoerenza di lottare per liberarsi di un valore che è invece parte integrante di sé stessi. Giovannesi coglie l'autenticità di questo gap, prendendo a prestito la realtà per raccontare la finzione (anziché viceversa) in una sorta di docufilm sociale che inquadra molto bene i punti morti di un'integrazione ancora faticosamente in divenire. A vantaggio del film poi giocano i due protagonisti (Nader, in particolare), due ragazzi granitici nella loro fisicità e nella manifestazione del loro essere, che bucano lo schermo e che riportano in vita, attraverso il loro agire, l'essenza delle loro complessità/semplicità caratteriali. Un film che sceglie di non aggrapparsi (come spesso accade in questo genere di cinema) alla facile chiave di un dramma fatto e finito, in cui irrompe il fatto di sangue a chiudere il conto tra vittime e carnefici. Un film che sceglie, piuttosto, di lasciare il senso sospeso di quel 'fardello sociale' in uno sguardo che coglie perfettamente la solitudine e il dolore repressi, senza rivendicarli in un finale a effetto.
Commento finale
Primo film italiano in concorso, Alì ha gli occhi azzurri racconta la settimana di Nader (figlio della seconda generazione) attraverso il climax di eventi che lo porteranno a dover fare i conti con l’attrito esistente tra la cultura d’origine e quella d’arrivo. Un docufilm che sceglie (e lo fa bene) le verità da prestare alla finzione per costruire un ritratto sobrio ma toccante di un’immigrazione che s’incontra con sterili mondi di periferia, rigidità mentali, povertà culturale e materiale, dando vita a un mix fatale. Una spinosa questione sociale che il cinema ha toccato spesso e volentieri ma (poche volte, specialmente nel cinema italiano) con il pregnante realismo che riesce a mettere in campo Claudio Giovannesi. Chapeau.
Elena Pedoto
http://www.everyeye.it/cinema/articoli/ali-ha-gli-occhi-azzurri_recensione_18180

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